N. 423 SENTENZA 6 - 12 settembre 1995
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Previdenza e assistenza sociale - Dipendenti da imprese, diverse da quelle edili, rientranti nel campo di applicazione della disciplina di integrazione salariale - Disoccupazione da licenziamento per riduzione di personale - Diritto all'indennita' di mobilita', ma solo per chi abbia un'anzianita' di servizio di dodici mesi, di cui almeno sei di lavoro effettivamente prestato - Computabilita', al fine dell'integrazione di tale requisito, dei giorni non lavorati per ferie, festivita' ed infortuni sui lavoro, ma non, invece, dei periodi di astensione dal lavoro per gravidanza e puerperio della lavoratrice - Lamentata violazione del principio di eguaglianza e del diritto alla tutela previdenziale - Esclusione, in quanto la denunciata diversita' di trattamento risulta giustificata dalle peculiarita' delle ipotesi considerate - Non fondatezza della questione. Previdenza e assistenza sociale - Dipendenti da imprese, diverse da quelle edili, rientranti nel campo di applicazione della disciplina di integrazione salariale - Disoccupazione da licenziamento per riduzione di personale - Diritto all'indennita' di mobilita' solo per chi abbia un'anzianita' di servizio di dodici mesi, di cui almeno sei di lavoro effettivamente prestato - Non computabilita' al fine dell'integrazione di tale requisito, dei periodi di astensione dal lavoro per gravidanza e puerperio - Violazione del principio, collegato a quello della eguaglianza, e gia' puntualmente applicato nelle norme che ad altri effetti prevedono la computabilita' dei suddetti periodi, che impone alla legge di impedire che dalla maternita' e dagli impegni connessi alla cura del bambino possano derivare conseguenze discriminatorie per la lavoratrice - Illegittimita' costituzionale parziale - Richiamo a sentenze nn. 181 del 1993 e 61 e 132 del 1991. (Legge 23 luglio 1991, n. 223, artt. 7, primo comma, e 16, primo comma). (Cost., artt. 3, primo comma, e 38, secondo comma).(GU n.39 del 20-9-1995 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: prof. Antonio BALDASSARRE; Giudici: prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA;
ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale del combinato disposto degli artt. 7, comma 1, e 16, comma 1, della legge 23 luglio 1991, n. 223 (Norme in materia di cassa integrazione, mobilita', trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunita' europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro), promosso con ordinanza emessa il 6 agosto 1994 dal Pretore di Torino nel procedimento civile vertente tra Mantovani Tiziana e l'INPS, iscritta al n. 627 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell'anno 1994; Visti gli atti di costituzione dell'INPS e di Mantovani Tiziana, nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nell'udienza pubblica del 27 giugno 1995 il Giudice relatore Renato Granata; Uditi gli avv.ti Luciano Ventura per Mantovani Tiziana, Giuseppe Fabiani per l'INPS e l'Avvocato dello Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto 1. - Nel corso del giudizio promosso da Mantovani Tiziana - la quale, dopo aver usufruito del periodo di astensione dal lavoro, obbligatoria e facoltativa, per gravidanza, nonche' di un ulteriore periodo di aspettativa non retribuita, ed essere stata successivamente collocata in mobilita', aveva convenuto in giudizio l'INPS chiedendone la condanna al pagamento dell'indennita' di mobilita' ex art. 7 della legge 23 luglio 1991, n. 223, prestazione che l'INPS si rifiutava di erogare opponendo l'insussistenza del requisito dell'anzianita' di servizio non potendo la lavoratrice far valere un periodo di sei mesi di lavoro effettivo, come prescritto dall'art. 16, comma 1, della legge n. 223 del 1991 cit. - l'adito pretore di Torino con ordinanza del 6 agosto 1994 ha sollevato questione incidentale di legittimita' costituzionale dei cit. artt. 7, comma 1, e 16, comma 1, per sospetta violazione degli artt. 3, 37, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione. Premette il giudice rimettente che l'art. 16, comma 1, prevede che - nel caso di disoccupazione derivante da licenziamento per riduzione del personale ex art. 24 legge cit. da parte delle imprese diverse da quelle edili, rientranti nel campo di applicazione della disciplina di intervento straordinario di integrazione salariale - il lavoratore ha diritto all'indennita' di mobilita' di cui al precedente art. 7 soltanto se possa far valere un'anzianita' di servizio di dodici mesi, di cui almeno sei di lavoro effettivamente prestato, ivi compresi i periodi di sospensione dal lavoro derivanti da ferie, festivita', e infortuni. Tale disciplina confliggerebbe - nella prospettazione del giudice rimettente - con plurimi parametri costituzionali. Innanzi tutto vi sarebbe vulnerazione degli artt. 3, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione sotto il profilo che la norma censurata, limitando i periodi di sospensione utili a tutti gli effetti alla stregua di lavoro effettivo ai soli casi correlati a ferie, festivita' ed infortuni, determinerebbe una irrazionale ed immotivata discriminazione in danno dei lavoratori di entrambi i sessi rispetto a tutti gli altri casi di sospensione legale del rapporto di lavoro con diritto alla conservazione del posto. Inoltre vi sarebbe violazione degli artt. 3, primo e secondo comma, e 37, primo comma, della Costituzione specificamente in danno della lavoratrice, la quale, in quanto donna e madre, si troverebbe in una situazione di piu' marcata discriminazione rispetto agli altri lavoratori atteso che la prescritta condizione di aver prestato necessariamente almeno sei mesi di effettivo lavoro non le consentirebbe l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e le creerebbe una forte remora in relazione alla realizzazione di tale peculiare funzione. 2. - E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata in ragione della discrezionalita' del legislatore nel fissare i requisiti soggettivi per l'attribuzione dell'indennita' di mobilita'. 3. - Si e' costituita la ricorrente Mantovani Tiziana chiedendo - anche con una successiva memoria - che le disposizioni censurate siano dichiarate incostituzionali. 4. - Si e' costituito anche l'INPS concludendo per l'infondatezza della questione sollevata. Da una parte la difesa dell'Istituto sostiene la non equiparabilita' dei periodi di astensione dal lavoro per maternita' ai periodi di ferie, festivita' ed infortuni, espressamente computabili come periodi di lavoro effettivamente prestato, giacche', mentre questi ultimi periodi sono riconducibili o ad interruzioni fisiologiche delle prestazioni lavorative (ferie, festivita') o a cause che attengono allo svolgimento dell'attivita' aziendale (infortuni), invece i primi, al pari di tutti gli altri casi di sospensione legale del rapporto di lavoro con diritto alla conservazione del posto, sono correlati a cause attinenti alla persona del lavoratore. D'altra parte l'astensione dal lavoro per maternita' non e' priva di rilevanza sia perche' essa concorre al raggiungimento di una anzianita' aziendale di dodici mesi, pur richiesta per il riconoscimento dell'indennita' di mobilita', sia perche' e' valutabile ai fini del trattamento ordinario di disoccupazione, di minor importo, ma pur sempre adeguato alle esigenze di vita della lavoratrice allorche' sia rimasta disoccupata. Nella discussione orale, nel corso della pubblica udienza, la difesa dell'INPS ha comunicato l'avvenuto pagamento alla ricorrente del beneficio previdenziale richiesto, sicche' nel giudizio a quo sarebbe da ritenersi cessata la materia del contendere. Considerato in diritto 1. - E' stata sollevata questione incidentale di legittimita' costituzionale - in riferimento agli artt. 3, primo e secondo comma, 37 e 38, secondo comma, della Costituzione - degli artt. 7, comma 1, e 16, comma 1, della legge 23 luglio 1991, n. 223 (Norme in materia di cassa integrazione, mobilita', trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunita' europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro), nella parte in cui non prevedono che i periodi di astensione dal lavoro della lavoratrice per gravidanza o puerperio siano computabili al fine del raggiungimento del limite minimo di sei mesi di "lavoro effettivamente prestato" per poter beneficiare dell'indennita' di mobilita'. In particolare il giudice rimettente prospetta la questione sotto un duplice profilo sospettando la violazione: a) degli artt. 3, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione perche', quanto ai periodi considerati utili agli effetti della maturazione dell'anzianita' necessaria per beneficiare dell'indennita' di mobilita', le disposizioni censurate discriminano ingiustificatamente in danno dei lavoratori di entrambi i sessi tra le ipotesi di assenza dal servizio per "ferie, festivita' ed infortuni" (le uniche utili quali "lavoro effettivamente prestato") e quella di assenza in tutti gli altri casi di sospensione dal rapporto (tra cui anche quella correlata alla gravidanza o al puerperio); b) degli artt. 3, primo e secondo comma, e 37, primo comma, della Costituzione perche' specificamente la lavoratrice donna - alla quale non e' riconosciuto, al fine suddetto, il periodo di assenza dal servizio per gravidanza e puerperio come periodo di "lavoro effettivamente prestato" - si trova in una piu' marcata situazione di discriminazione rispetto agli altri lavoratori e non le viene consentito di adempiere alla sua funzione familiare di genitrice. 2. - Preliminarmente va affermata l'inidoneita' di fatti successivi all'emissione dell'ordinanza con cui e' stata sollevata la questione di costituzionalita' ad incidere sulla rilevanza della stessa, ancorche' potenzialmente conducenti a comportare nel giudizio a quo il sopravvenuto venir meno dell'interesse ad agire della parte attrice con conseguente cessazione della materia del contendere. 3. - Nel merito la questione non e' fondata sotto il primo profilo dedotto dal giudice rimettente (da esaminarsi prioritariamente in ragione della sua piu' ampia ed assorbente portata rispetto al secondo profilo). Va premesso che l'art. 7 della citata legge n. 223 del 1991 riconosce il beneficio dell'indennita' di mobilita' ove ricorrano determinati presupposti soggettivi ed oggettivi, tra cui, in particolare, il requisito di anzianita' del lavoratore, espressamente prescritto dal successivo art. 16; disposizione questa che richiede che il lavoratore possa far valere un'anzianita' aziendale di almeno dodici mesi, di cui almeno sei di "lavoro effettivamente prestato, ivi compresi i periodi di sospensione del lavoro derivanti da ferie, festivita' e infortuni". Nel calcolo di tale particolare requisito di anzianita' minima e' posta quindi un'equiparazione al "lavoro effettivamente prestato" soltanto per le ipotesi di ferie, festivita' ed infortuni, con esclusione di ogni altra situazione di sospensione dello svolgimento della prestazione lavorativa, genericamente considerata a prescindere dalle ragioni specifiche dell'interruzione della prestazione. Tale differenziazione di disciplina trova pero' una sufficiente giustificazione nella peculiarita' delle ipotesi considerate, atteso che da una parte ferie e festivita' attengono alle ordinarie pause periodiche nella prestazione lavorativa (non meno del riposo settimanale), d'altra parte l'infortunio (da intendersi - con interpretazione sistematica della norma - come riferito all'ipotesi dell'infortunio sul lavoro e non anche a quello dell'infortunio extra-lavorativo) ha una sua specificita' in ragione del fatto che la sospensione del lavoro trova la sua causa proprio nel (precedente) svolgimento della prestazione lavorativa, sicche' si giustifica un atteggiamento di maggior favore per il lavoratore che, non solo senza sua colpa, ma proprio per adempiere agli obblighi derivantigli dal rapporto di lavoro, si ritrova impedito a proseguire nell'espletamento delle sue mansioni. 4. - La medesima questione e' invece fondata sotto il secondo (piu' limitato) profilo evocato dal giudice rimettente, profilo che fa riferimento ad una particolare ipotesi esclusa, quella della lavoratrice in gravidanza o puerperio. Non senza aver preliminarmente rilevato che la questione non puo' essere risolta - come richiede la difesa della parte privata costituita - in via interpretativa in ragione dell'inequivocabile tenore letterale delle disposizioni censurate da cui si desume l'esclusione dell'equiparabilita' del periodo di sospensione dal lavoro per gravidanza e puerperio dal "lavoro effettivamente prestato", puo' affermarsi che se da una parte e' consentito ripetere analoga valutazione di giustificatezza della disciplina differenziata per ferie e festivita', a diverse conclusioni deve invece pervenirsi se si considera l'ipotesi dell'infortunio sul lavoro e la si pone in comparazione con l'ipotesi della sospensione del lavoro per essere la lavoratrice in congedo per maternita' o puerperio. Cio' implica di verificare, in un complessivo bilanciamento di valori (richiesto per essere la questione di costituzionalita' posta non solo sotto il profilo dell'asserita disparita' di trattamento ex art. 3 della Costituzione, ma anche dell'insufficiente protezione della donna lavoratrice ex art. 37, primo comma, della Costituzione), se a fronte delle particolari ragioni che giustificano una speciale tutela del lavoratore che abbia subito un infortunio sul lavoro non siano rinvenibili altre ragioni che implichino una non minor tutela della lavoratrice nella fattispecie comparata. Soccorre a tal proposito la giurisprudenza di questa Corte che ha piu' volte sottolineato il rilievo costituzionale del valore rappresentato dal ruolo di madre della lavoratrice (sentenze n. 181 del 1993, nn. 61 e 132 del 1991); rilievo che comporta che, nel rapporto di lavoro, non possono frapporsi ne' ostacoli, ne' remore, alla gravidanza e alla cura del bambino nel periodo di puerperio, dovendo essere assicurata una "speciale adeguata protezione" al bambino e alla madre, la quale deve esser posta in condizioni (di lavoro) tali da poter adempiere alla sua essenziale funzione familiare. In particolare si e' affermato che il principio posto dall'art. 37 della Costituzione - collegato al principio di eguaglianza - impone alla legge di impedire che possano, dalla maternita' e dagli impegni connessi alla cura del bambino, derivare conseguenze negative e discriminatorie (sentenza n. 61 del 1991). Tale speciale esigenza di tutela e' gia' espressa in via generale dal disposto degli artt. 6 e 7 della legge n. 1204 del 1971 che prevedono la computabilita' nell'anzianita' di servizio della lavoratrice in gravidanza o puerperio sia dei periodi di astensione obbligatoria sia di quelli di astensione facoltativa dal servizio, seppur i primi soltanto (e non altresi' i secondi) anche agli effetti della tredicesima mensilita' (o gratifica natalizia) e delle ferie. Tale computabilita' e' invece contraddetta dalla disposizione censurata che esclude la rilevanza di qualsiasi periodo di astensione per gravidanza o puerperio al fine dell'integrazione del requisito dei sei mesi di "lavoro effettivamente prestato"; contraddittorieta' che - pur risolvendosi in termini di prevalenza della disciplina speciale rispetto a quella generale - svela l'inadeguata tutela della maternita', atteso che la lavoratrice risulterebbe inammissibilmente penalizzata potendo venire indotta ad evitare la gravidanza al fine di maturare il requisito che, in caso di collocamento in mobilita', condiziona l'erogazione dell'indennita' di mobilita', la cui eventuale perdita non sarebbe sufficientemente compensata dalla spettanza della (meno favorevole) indennita' di disoccupazione.
PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara l'illegittimita' costituzionale del combinato disposto degli artt. 7, comma 1, e 16, comma 1, della legge 23 luglio 1991, n. 223 (Norme in materia di cassa integrazione, mobilita', trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunita' europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro), nella parte in cui non prevedono che i periodi di astensione dal lavoro della lavoratrice per gravidanza o puerperio siano computabili al fine del raggiungimento del limite minimo di sei mesi di lavoro effettivamente prestato per poter beneficiare dell'indennita' di mobilita'; Dichiara non fondata la questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto degli artt. 7, comma 1, e 16, comma 1, della legge 23 luglio 1991, n. 223 (Norme in materia di cassa integrazione, mobilita', trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunita' europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro) sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione dal Pretore di Torino con l'ordinanza indicata in epigrafe. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 settembre 1995. Il Presidente: BALDASSARRE Il redattore: GRANATA Il cancelliere: DI PAOLA Depositata in cancelleria il 12 settembre 1995. Il direttore della cancelleria: DI PAOLA 95C1197