N. 200 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 giugno 2015

Ordinanza dell'11 giugno 2015 della Corte d'appello  di  Brescia  nel
procedimento penale a carico di B.G.. 
 
Stupefacenti e sostanze psicotrope - Coltivazione non autorizzata  di
  piante di cannabis - Sanzione penale - Lamentata  esclusione  della
  condotta   tra   quelle   suscettibili    della    sola    sanzione
  amministrativa, qualora finalizzate al  solo  uso  personale  dello
  stupefacente  -  Violazione  del  principio  di  ragionevolezza   -
  Disparita' di trattamento tra condotte  pienamente  assimilabili  -
  Contrasto con il principio di offensivita'. 
- Decreto del Presidente della Repubblica 9  ottobre  1990,  n.  309,
  art. 75. 
- Costituzione, artt. 3, 13, comma secondo, 25, comma secondo, e  27,
  comma terzo. 
(GU n.41 del 14-10-2015 )
 
                    LA CORTE D'APPELLO DI BRESCIA 
                        Prima Sezione Penale 
 
Riunita in Camera di Consiglio nelle persone dei signori: 
        dott. Enrico Fischetti, Presidente; 
        dott. Carlo Bianchetti, Cons. Rel.; 
        dott.ssa Eleonora Babudri, Cons., 
ha pronunciato la seguente 
 
                              Ordinanza 
 
Premesso che: 
    B.G., imputato del reato di illecita detenzione di  sette  piante
di marijuana e del porto ingiustificato di un coltello a serramanico,
veniva ritenuto colpevole di entrambi  i  reati  a  lui  ascritti,  e
condannato dal giudice per l'udienza  preliminare  del  Tribunale  di
Brescia alla pena di anni uno di reclusione ed € 3.000,00  di  multa,
concessa la circostanza attenuante speciale di cui all'art. 73, comma
quinto, D.P.R. n. 309/90, di giorni venti di arresto ed  €  40,00  di
ammenda. 
    Con tempestivo appello il difensore del B. si  doleva  del  fatto
che il primo  giudice  fosse  pervenuto  ad  un  giudizio  di  penale
responsabilita', in violazione del principio di offensivita',  e  del
costante   insegnamento   della   Giurisprudenza   di   legittimita',
nonostante l'indagine tecnica non avesse accertato la percentuale  di
principio attivo contenuto nelle piantine  in  sequestro;  si  doleva
inoltre che il primo giudice avesse trascurato la circostanza che non
vi era alcuna prova della destinazione a terzi della sostanza (a tale
proposito osservava che la regola giurisprudenziale secondo la  quale
la coltivazione sarebbe punibile a prescindere  dalla  individuazione
della destinazione del prodotto, sarebbe contraria  al  principio  di
uguaglianza, creando una ingiustificata disparita' di trattamento con
colui che, pur avendo eseguito la coltivazione, abbia  gia'  eseguito
il raccolto, e quindi sia in  possesso  delle  foglie  di  cannabis);
lamentava, in via  subordinata,  che  il  primo  giudice  non  avesse
concesso all'imputato le circostanze attenuanti generiche, sulla sola
base della sussistenza di  una  precedente  remota  condanna,  e  che
avesse ingiustificatamente negato  all'imputato  il  beneficio  della
sospensione condizionale della pena. 
    La trattazione della causa  veniva  fissata  all'udienza  del  10
marzo 2015. 
    La Corte osserva in fatto e in diritto: 
La  ammissibilita'  e  rilevanza  della  questione  di   legittimita'
costituzionale 
    Contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, nessuno degli
elementi evidenziati dalla Pubblica accusa, ne'  la  quantita'  dello
stupefacente  (ricavabile  dalle  piantine   una   volta   giunte   a
maturazione), non rilevante sia quanto al valore economico sia quanto
al numero di dosi ricavabili, ne' altri parametri (tenuto  conto  che
non risulta che alcun consumatore di sostanze cannabinoidi  abbia  da
lui acquistato, a titolo oneroso o  gratuito,  e  che  non  e'  stata
reperita alcuna contabilita' di una eventuale attivita'  di  spaccio)
consentono  di  ritenere  raggiunta  la  prova  che  lo  stupefacente
derivato dalla lavorazione delle foglie fosse destinato (sia pure  in
parte) ad essere ceduto a terzi (come  lo  stesso  giudice  di  primo
grado riconosceva espressamente in sentenza). 
    Da tale conclusione  consegue  che  la  questione  relativa  alla
portata interpretativa della norma  del  citato  art.  75  D.P.R.  n.
309/90 assume importanza decisiva ai fini del giudizio,  dal  momento
che, escludendo l'attivita'  di  coltivazione  da  quelle  scriminate
qualora finalizzate al consumo personale del coltivatore, la condotta
del  B.  sarebbe   penalmente   illecita   (e   percio'   confermata,
limitatamente alla condotta  di  coltivazione  delle  7  piantine  di
cannabis, la  impugnata  sentenza  n.  460/7.4.2011  del  G.U.P.  del
Tribunale  di  Brescia);  che,  al  contrario,  dovendo  interpretare
estensivamente la  espressione  "comunque  detiene"  contenuta  nella
norma  citata  come  riferita  a  qualunque  condotta  descritta  nel
precedente articolo 73 D.P.R. n. 309/90 (e cosi' anche alla  condotta
di coltivazione, qualora finalizzata alla produzione di  stupefacente
destinato   all'esclusivo   consumo   personale   del   coltivatore),
l'imputato, in mancanza di  prova  della  destinazione  allo  spaccio
(anche in parte) dello stupefacente  ricavabile  dalla  coltivazione,
dovrebbe essere mandato assolto da tale imputazione, perche' il fatto
non costituisce reato. 
    Allo stesso modo  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
sollevata dalla difesa  appare  ammissibile,  dal  momento  che  deve
essere esclusa, allo stato, la possibilita' di far rifluire,  in  via
di interpretazione adeguatrice, anche la condotta della  coltivazione
per uso personale in quelle previste dall'art. 75 D.P.R. n. 309/90, e
quindi ritenerla depenalizzata, dal momento che la interpretazione da
parte della Giurisprudenza di legittimita' e'  stata  sostanzialmente
granitica per oltre un decennio ad escludere la possibilita'  di  una
tale interpretazione (cfr., fra le altre, Cass. Pen.,  Sez.  IV,  nn.
913 del 15 marzo 1995; 9984 del 6 luglio 2000; 22037  del  14  aprile
2005; 40295 del 17 ottobre 2006); che, dopo un tentativo, operato  da
un orientamento minoritario di legittimita'  (cfr.,  in  particolare,
Cass. Pen., Sez. VI, nn. 17983 del 18  gennaio  2007,  40362  dell'11
ottobre 2007 e 40712 del 21 settembre 2007), di limitare  la  nozione
di "coltivazione"  alla  sola  attivita'  gestita  con  caratteri  di
imprenditorialita',   facendo   rientrare   la   c.d.   "coltivazione
domestica" nella nozione di detenzione di cui all'art. 75  D.P.R.  n.
309/90, sono intervenute le Sezioni Unite della Cassazione (n.  28605
del 24 aprile 2008, dep. 10 luglio 2008) a riaffermare  il  principio
secondo il quale "costituisce condotta penalmente rilevante qualsiasi
attivita' non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali  sono
estraibili sostanze stupefacenti, anche quando sia realizzata per  la
destinazione del prodotto ad uso  personale"  (principio  di  diritto
nuovamente enunciato da Cass. Pen., Sez. VI, nelle due  pronunce  nn.
49523 del 9 dicembre 2009 e 51497 del 4 dicembre 2013). 
La non manifesta infondatezza della questione di legittimita' 
    Questa Corte di Appello non ignora che il Giudice delle leggi  si
e' gia' pronunciato, con sentenza n. 360 del 1995 (pubblicata su G.U.
n. 34 del 16 agosto  1995)  nel  senso  della  non  fondatezza  della
questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  75  D.P.R.  n.
309/90, con riferimento ai parametri costituzionali di uguaglianza ed
offensivita'. 
    Si ritiene peraltro che la questione meriti un  nuovo  vaglio  di
costituzionalita',   alla   luce   non    solo    della    evoluzione
giurisprudenziale nella individuazione della ratio  della  disciplina
in tema di stupefacenti, ma anche della  legislazione  sovranazionale
sopravvenuta. 
    In particolare la disciplina risultante  dal  combinato  disposto
degli artt. 73 e 75  D.P.R.  n.  309/90,  cosi'  come  risulta  dalla
interpretazione restrittiva e ormai consolidata della  Giurisprudenza
di legittimita', appare in contrasto con alcuni principi  di  rilievo
costituzionale. 
    In primo luogo dal tenore letterale della norma di  cui  all'art.
75 D.P.R. (che considera meri illeciti amministrativi le condotte  di
"chiunque, per farne uso personale, illecitamente  importa,  esporta,
acquista, riceve a  qualsiasi  titolo  o  comunque  detiene  sostanze
stupefacenti  o  psicotrope")  discende  che   la   legge   considera
penalmente irrilevante la condotta di chi detenga stupefacente, quale
che  sia  il  comportamento  pregresso  che  abbia   originato   tale
detenzione (non solo cioe' la condotta di chi detenga in quanto abbia
precedentemente  importato,  esportato,  acquistato  o   ricevuto   a
qualsiasi titolo);  solo  in  tal  modo  puo'  infatti  interpretarsi
l'espressione "comunque detiene"; che', ove la voluntas  legis  fosse
stata diversa, il tenore della  disposizione  avrebbe  dovuto  essere
radicalmente diverso (ad esempio: "ovvero detiene in  conseguenza  di
una di tali condotte"). 
    Cio' significa che rientra nell'ambito della penale  irrilevanza,
in forza della formula di  chiusura  del  comma  primo  dell'art.  75
D.P.R. n. 309/90, la condotta di chi detenga sostanza stupefacente da
lui precedentemente coltivata o altrimenti prodotta (dopo la fine del
ciclo produttivo, quando lo stupefacente  sia  pronto  all'utilizzo),
sempre ovviamente a condizione che detto stupefacente  sia  destinato
esclusivamente al consumo personale del soggetto agente. 
    A  diversa  soluzione  dovra'  invece  necessariamente  giungersi
allorche' il soggetto sia sorpreso nell'atto di coltivare (ovvero  di
produrre) stupefacente destinato al proprio  personale  consumo,  dal
momento che in tal caso, in forza del combinato disposto degli  artt.
73 e 75 D.P.R.  n.  309/90,  nell'unica  interpretazione  legittimata
dalla Giurisprudenza di legittimita', la condotta  resta  nell'ambito
del penalmente rilevante, e sanzionabile con  una  pena  detentiva  e
pecuniaria. 
    Orbene tale disciplina appare, oltre che irragionevole, contraria
al  principio  di  uguaglianza  di  cui  all'art.   3   della   carta
Costituzionale (che, come noto, e' violato sia dal trattamento uguale
di comportamenti umani diversi, sia - come  nel  nostro  caso  -  dal
trattamento diverso di comportamenti umani uguali, o almeno del tutto
assimilabili). 
    Neppure  puo'  dirsi,   a   giustificare   tale   disparita'   di
trattamento,  che  la  condotta   di   detenzione   sia   collegabile
immediatamente  e   direttamente   (a   differenza   di   quella   di
coltivazione) al successivo consumo personale (finalita'  questa  che
sola giustifica la "esimente" ex art. 75 D.P.R. n.  309/90),  perche'
tale  maggiore  o  minore  distanza  rispetto  alla   condotta/evento
dell'utilizzo finale della producenda sostanza  stupefacente  attiene
al problema (di fatto)  di  una  maggiore  o  minore  difficolta'  ad
accertare la effettiva finalita' (penalmente irrilevante) di consumo,
ma non  appare  invece  idoneo  alla  individuazione  di  un  diverso
disvalore delle condotte, tale da fondare un  differente  trattamento
della condotta (antecedente)  di  coltivazione,  una  volta  che  sia
accertato (superate le maggiori  difficolta'  probatorie)  che  detta
coltivazione  sia  effettivamente  finalizzata  alla  produzione   di
stupefacente  destinato  esclusivamente  al  consumo  personale   del
coltivatore. 
    Peraltro la ingiustificata disparita' di trattamento tra condotte
tra loro pienamente assimilabili non costituisce l'unico  profilo  di
contrasto della disciplina con i principi costituzionali. 
    Ed in particolare la sottoposizione a sanzione  penale  di  colui
che  coltivi  allo   scopo   di   produrre   stupefacente   destinato
esclusivamente al  proprio  consumo  personale  appare  contraria  al
principio di offensivita', quale ricavabile  dal  combinato  disposto
degli artt. 13, comma secondo, 25, comma secondo, e 27, comma  terzo,
Cost. 
    Deve invero ritenersi che, ancor piu' dopo la modifica del quadro
normativo successiva all'esito referendario del 1993, la tutela della
salute dei singoli sia estranea alla ratio della  disciplina  di  cui
agli artt. 73 e 75 D.P.R. n. 309/90. 
    A tale proposito infatti la fondamentale decisione delle  Sezioni
Unite della Corte di Cassazione n. 9973 del 24 giugno 1998  (dep.  21
settembre 1998) ha individuato la ratio della norma incriminatrice di
cui all'art. 73 D.P.R. n. 309/90  nella  necessita'  di  tutelare  la
salute pubblica, la sicurezza e l'ordine pubblico (nonche' il normale
sviluppo delle giovani generazioni)  attraverso  il  contrasto  della
circolazione della droga. 
    In particolare nella pronuncia citata il Supremo collegio afferma
che "scopo dell'incriminazione delle condotte previste  dall'art.  73
D.P.R. n. 309/90 e' quello di  combattere  il  mercato  della  droga,
espellendolo dal circuito nazionale, poiche', proprio  attraverso  la
cessione al consumatore viene realizzata la circolazione della  droga
e viene alimentato il mercato di  essa,  che  mette  in  pericolo  la
salute pubblica, la sicurezza e l'ordine pubblico, nonche' il normale
sviluppo delle giovani generazioni". 
    Da cio' consegue che la incriminazione di una condotta  che,  non
essendo  finalizzata  alla  cessione  a  terzi   dello   stupefacente
coltivato (bensi' alla produzione  di  stupefacente  per  l'esclusivo
consumo personale del coltivatore)  appare  del  tutto  estranea  sia
all'evento  che  la  norma  intende  scongiurare  (la   cessione   al
consumatore, e cioe' la circolazione della droga, che ne alimenta  il
mercato), sia alla lesione o alla messa in pericolo dei valori che la
norma intende tutelare (la salute pubblica, anche sotto la specie del
normale sviluppo delle giovani generazioni, nonche'  la  sicurezza  e
l'ordine pubblico, che da tale  circolazione/mercato  sono  messi  in
pericolo), si pone in contrasto con il principio di offensivita',  in
quanto  stabilisce  una  sanzione  penale,  sotto   specie   di   una
restrizione della liberta' personale, come risposta ad  una  condotta
inidonea  a  ledere  il  bene  giuridico  sotteso  al  sistema  della
legislazione in tema di stupefacenti. 
    Che la  tutela  della  salute  e/o  della  incolumita'  personale
dell'agente da comportamenti auto-lesivi sia  estranea  non  solo  al
sistema normativo in esame, ma anche  all'intero  nostro  ordinamento
penale,  lo  prova  il  fatto  che  non  solo   altri   comportamenti
notoriamente lesivi della propria salute (come  il  tabagismo  ovvero
l'abuso di sostanze alcoliche) non sono penalmente rilevanti  ex  se,
ma  persino  la  piu'  grave  delle  condotte  auto-lesive,  e  cioe'
tentativo di suicidio, non costituisce condotta punibile. 
    Si noti peraltro che tale definizione  della  ratio  del  sistema
delle  norme  incriminatrici  in  tema   di   sostanze   stupefacenti
ricavabile dagli artt. 73 e 75 D.P.R.  n.  309/90  appare  confermata
dalla successiva normativa comunitaria, dal momento che la  decisione
quadro del Consiglio  dell'Unione  Europea  n.  2004/757/GAI  del  25
ottobre 2004, nel delimitare le  condotte  connesse  al  traffico  di
stupefacenti  in  relazione  alle  quali  gli  Stati  membri  debbano
prevedere la punibilita' (e nell'enumerare a tale fine la produzione,
la fabbricazione, l'estrazione, l'offerta, la commercializzazione, la
distribuzione, la vendita, la consegna  a  qualsiasi  condizione,  la
mediazione, la spedizione, la spedizione in transito,  il  trasporto,
l'importazione o l'esportazione, la coltura del  papavero  da  oppio,
della  pianta  di  coca  o  della  pianta  della   cannabis,   etc.),
espressamente esclude dal campo di applicazione  della  decisione  le
condotte sopra descritte (tra le quali, appunto, la  coltivazione  di
piante dalle quali si ricava lo  stupefacente)  se  tenute  dai  loro
autori soltanto ai fini del loro consumo  personale,  quale  definito
dalle rispettive legislazioni nazionali. 
    Per  tutto  quanto  esposto  le  disposizioni  di   legge   sopra
illustrate (segnatamente quella di cui all'art. 75 D.P.R. n.  309/90,
nella parte in cui esclude  tra  le  condotte  suscettibili  di  sola
sanzione amministrativa la condotta  di  coltivazione  di  piante  di
cannabis,  qualora  finalizzate   al   solo   uso   personale   dello
stupefacente dalle stesse ricavabile) appaiono  in  contrasto  con  i
principi di ragionevolezza, di uguaglianza e di  offensivita',  quali
ricavabili dagli artt. 3, 13, comma secondo, 25, comma secondo e  27,
comma terzo, Carta Cost. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza; 
    Rimette gli atti di causa alla  Corte  Costituzionale,  affinche'
voglia esaminare la questione di  legittimita'  costituzionale  delle
disposizioni dell'art. 75  D.P.R.  n.  309/90,  nella  parte  in  cui
escludono   tra   le   condotte   suscettibili   di   sola   sanzione
amministrativa, qualora  finalizzate  al  solo  uso  personale  dello
stupefacente, la condotta di coltivazione di piante di  cannabis,  in
relazione  ai  principi  di  ragionevolezza,  di  uguaglianza  e   di
offensivita', quali ricavabili dagli artt. 3, 13, comma secondo,  25,
comma secondo e 27, comma terzo, Carta Cost., nei termini indicati  e
argomentati nella parte motiva; 
    Sospende  il  giudizio  in  corso  fino  all'esito  del  giudizio
incidentale di legittimita' costituzionale; 
    Dispone che, a cura della Cancelleria: 
        gli  atti   siano   immediatamente   trasmessi   alla   Corte
Costituzionale; 
        la  presente  ordinanza  sia  notificata  al  Presidente  del
Consiglio dei ministri; 
        la presente ordinanza sia comunicata ai Presidenti delle  due
Camere del Parlamento, 
dando atto che la comunicazione in udienza al Pubblico Ministero e al
difensore equivale, per loro, a notificazione. 
    Brescia, 11 giugno 2015 
 
                      Il Presidente: Fischetti