N. 40 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 novembre 2017
Ordinanza del 16 novembre 2017 del Tribunale di Chieti - Sezione distaccata di Ortona nel procedimento penale a carico di S. S.. Esecuzione penale - Applicazione della disciplina del concorso formale e del reato continuato - Pluralita' di condanne intervenute per il medesimo reato permanente in relazione a distinte frazioni della condotta - Potere del giudice dell'esecuzione di rideterminare la pena. - Codice di procedura penale, art. 671.(GU n.10 del 7-3-2018 )
TRIBUNALE DI CHIETI Sezione distaccata di Ortona Ordinanza di remissione di questione di legittimita' costituzionale, articoli 23, legge n. 87/1953 e n. 671 c.p.p., con riferimento agli articoli 3 e 24 Cost. Il giudice dell'intestato Tribunale dott. Luca De Ninis, in funzione di G. E.; Visti gli atti del procedimento indicato in epigrafe nei confronti di: S. S., nato a /// il ///; Letta l'istanza depositata il 29 giugno 2017 con la quale il difensore avv. Annalisa Cetrullo ha richiesto: in via principale, ex articoli 649 e 669 c.p.p., dichiarare la pluralita' di condanne per il medesimo reato permanente in relazione alle due seguenti sentenze emesse da questo Tribunale per il reato di violazione aggravata degli obblighi di assistenza familiare (art. 570 cpv. c.p.): del dott. Di Geronimo del 22 settembre 2009, esecutiva il 4 febbraio 2010, con condanna a mesi 6 di reclusione e € 600 di multa, con sospensione condizionata al pagamento di quanto liquidato alla parte civile entro il termine di mesi 2 dal passaggio in giudicato, per fatti commessi dal 30 novembre 2005 al maggio 2007; con provvedimento del G. E. dell'8 aprile 2010 e' stato applicato l'indulto nella misura di mesi 4 di reclusione e € 400 di multa, determinando la pena residua no coperta dall'indulto in mesi 2 di reclusione e € 200 di multa; della dott.ssa Allieri del 21 aprile 2011, confermata dalla Corte di appello di L'Aquila il 10 dicembre 2015, esecutiva il 22 giugno 2017, con condanna a anni uno di reclusione e € 1.000 di multa, per fatti commessi da maggio 2007 fino al 23 marzo 2009, e per l'effetto dichiarare che i fatti contestati nel secondo dei predetti procedimenti sono coperti dal giudicato della prima sentenza di condanna, con conseguente pronuncia di non doversi procedere; Richiesta principale corretta con istanza integrativa, depositata dal difensore il 12 ottobre 2017, di revoca della sentenza di condanna della dott.ssa Allieri del 21 aprile 2011, confermata dalla Corte di appello di L'Aquila il 10 dicembre 2015, esecutiva il 22 giugno 2017; in via gradata, applicare la disciplina del reato continuato ex art. 671 c.p.p. tra i reati oggetto delle due condanne definitive sopra indicate; Sentite le parti all'udienza del 2 novembre 2016; Ritenuta la propria competenza ai sensi dell'art. 665, comma 4 c.p.p.; Osserva § 1. Proposizione della questione di legittimita' costituzionale. Ritiene il giudice che sussistano le condizioni previste dall'art. 23, legge n. 87/1953 per sollevare ex officio la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 671 c.p.p. di seguito specificata, in relazione agli articoli 3 e 24 della Costituzione, poiche' nell'attuale quadro normativo dubita della possibilita' di fornire una risposta costituzionalmente corretta all'istanza al G. E. sopra indicata. Preliminarmente evidenzia che la medesima questione di legittimita' e' stata gia' sollevata dallo scrivente nel procedimento n. 52/2016 R. Es. SIGE di questo Tribunale, nei confronti di R. C., con atto di promovimento del 9 novembre 2016 che e' stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 35 del 30 agosto 2017 e che e' in attesa della decisione. Quanto al caso in esame, si deve ribadire la rilevanza e non manifesta infondatezza della questione, per le ragioni che di seguito si espongono. 1.1. Il difensore di S. S. ha promosso ricorso al G. E. per chiedere che sia dichiarata l'unicita' del reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare (aggravato dall'aver fatto mancare i mezzi di sussistenza a moglie e i figli, tra cui un minore), per il quale il medesimo ha subito le due sentenze di condanna di questo Tribunale sopra riportate. L'istanza fonda su un presupposto corretto (l'unicita' del reato permanente per il quale e' stata riportata una pluralita' di condanne) e sull'innegabile interesse difensivo ad evitare il cumulo tra le pene irrogate dalle singole sentenze, per complessivi anni uno mesi 6 di reclusione e € 1.600 di multa (con parziale applicazione dell'indulto, nella misura di mesi 4 di reclusione e € 400 di multa). Si tratta in effetti di pene detentive originariamente sospese ma in parte gia' eseguite, in parte suscettibili di esecuzione: la prima condanna infatti risulta gia' eseguita nella misura di mesi 2 di reclusione non coperta dall'indulto (la relativa sospensione e' stata evidentemente revocata per inadempimento dell'obbligo al quale era stata condizionata), la seconda e' invece destinata all'esecuzione poiche' soggetta alla revoca della sospensione condizionale, concessa in palese violazione dei limiti previsti dall'alt 164 c.p. (S. S. risulta condannato anche per il delitto di maltrattamenti in famiglia, alla pena di anni uno mesi 9 di reclusione, con distinta sentenza del medesimo Tribunale definitiva il 4 luglio 2013). Il difensore conclude pertanto: in via principale che, riconosciuta la natura permanente del reato contestato ed oggetto delle due pronunce di condanna, il G. E. faccia applicazione degli articoli 649 e 669 c.p.p. e dichiari esecutiva la sola sentenza di condanna emessa per prima il 22 settembre 2009; in subordine che faccia applicazione della disciplina del reato continuato ex art. 671 c.p.p. e per l'effetto ridetermini la pena complessiva nel minimo di legge. 1.2. Tanto premesso, pur risultando fondato l'interesse difensivo ad una pronuncia sull'identita' del reato oggetto delle plurime condanne esecutive, l'accoglimento della domanda principale risulta pero' precluso dalla giurisprudenza consolidata in tema di divieto di secondo giudizio e di condanna per medesimo fatto, che limita l'applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 649 e 669 c.p.p. ai soli casi di identita' del fatto storico oggetto dell'imputazione, che nel caso in esame non ricorre, come meglio si dira' al § 2. 1.3. Parimenti precluso risulta l'accoglimento della domanda subordinata di applicazione dell'istituto della continuazione in executivis, non sussistendo nel caso in esame alcuna (originaria) pluralita' dei reati da unificare per la continuazione, ma solo un unico delitto di natura permanente, oggetto di due accertamenti giudiziari frazionati, in relazione a due periodi distinti e consecutivi tra loro della condotta omissiva censurata. Ne consegue che l'accoglimento dell'istanza subordinata determinerebbe una commisurazione complessiva della pena - aumentata fino al triplo della pena piu' grave irrogata per il reato commesso, o comunque fino al cumulo materiale delle condanne inflitte - che contrasta con i limiti edittali dell'unico delitto permanente commesso dal reo. 1.4. Si ritiene pertanto necessario l'intervento del giudice delle leggi perche', con pronuncia eventualmente additiva, valuti la legittimita' dell'art. 671 c.p.p. nella parte in cui non prevede, in caso di pluralita' di condanne intervenute per il medesimo reato permanente in relazione a distinte frazioni della condotta oggetto dell'imputazione, il potere del G. E. di rideterminare una pena unica, in applicazione degli articoli 132 e 133 c.p., che tenga conto dell'intero fatto storico accertato nelle plurime sentenze di condanna irrevocabili e di assumere le determinazioni conseguenti anche in tema di concessione della sospensione condizionale, ai sensi degli articoli 163 e 164 c.p. La disposizione censurata infatti - per l'analogia del fondamento che la sostiene ed a differenza di quella dell'art. 669 c.p.p., come interpretata dalla richiamata giurisprudenza costituente diritto vivente - appare l'unica suscettibile di una pronuncia additiva che consenta di realizzare l'interesse del reo alla rivalutazione in sede esecutiva del trattamento sanzionatorio complessivo derivante dai giudizi di fatto accertati nelle plurime sentenze di condanna in relazione ad un reato unico, di natura permanente, ma reso oggetto di accertamenti giudiziari frazionati in relazione alle condotte successivamente intervenute. Cio' nondimeno essa, in assenza della invocata pronuncia additiva, non puo' essere utilizzata ne' in via diretta ne' in via analogica, perche' il riferimento al cumulo giuridico delle pene irrogate nelle plurime sentenze esecutive non collima con la necessita' di riparametrare la pena secondo lo schema del reato unico, sia pure diversamente valutato per effetto della diversa (cioe' piu' protratta e grave) configurazione del fatto storico che deriva dall'esame complessivo di tutte le sentenze di condanna, la quale sembra quindi imporre un nuovo ricorso ai parametri di cui agli articoli 132 e 133 c.p. da parte del giudice dell'esecuzione, sostitutivo di' quello operato dai giudici della cognizione sui distinti frammenti della condotta oggetto dei rispettivi giudizi. § 2. Sulla rilevanza della questione: A) impossibile applicazione dell'art. 669 c.p.p. Richiamato l'interesse del ricorrente ad una pronuncia del G. E. sull'unificazione delle plurime sentenze di condanna emesse in relazione ad un reato unico, si deve innanzitutto evidenziare che, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimita' «in tema di reato permanente, il divieto di un secondo giudizio riguarda la condotta delineata nell'imputazione ed accertata con sentenza, di condanna o di assoluzione, divenuta irrevocabile e non anche la prosecuzione della stessa condotta o la sua ripresa in epoca successiva, giacche' si tratta di "fatto storico" diverso non coperto dal giudicato e per il quale non vi e' impedimento alcuno a procedere (fattispecie in tema di sottrazione di minore e di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice)» (cfr. Cass. Sez. 6ª del 5 marzo 2015, n. 20315). Inoltre, secondo Cass. S.U. del 28 giugno 2005, n. 34655, «ai fini della preclusione connessa al principio "ne bis in idem", l'identita' del fatto sussiste quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona.». Se dunque, nel caso in esame, e' stato legittimamente aperto e definito l'ulteriore giudizio relativo alle condotte di violazione aggravata degli obblighi familiari da maggio 2007 al 23 marzo 2009, successive rispetto a quelle oggetto del primo giudizio (dal 30 novembre 2005 al maggio 2007), ne consegue che non si tratta di condanne irrogate «per il medesimo fatto», come previste dall'art. 669 c.p.p., ma solo per il medesimo reato, in relazione a condotte frazionate e distinte tra loro, omogenee ma non coincidenti con riguardo al tempo della loro commissione. E' evidente, peraltro, che ciascuna delle commisurazioni delle pene eseguita nelle predette due sentenze di condanna ha tenuto in esame solo le condotte accertate nel singolo giudizio, mentre l'offesa complessivamente arrecata dal delitto deriva dall'effetto congiunto di tutte le condotte accertate, nella loro complessiva protrazione. Ne consegue che, nonostante l'unicita' del reato permanente accertato, certamente la questione proposta dal ricorrente non puo' liquidarsi dichiarando eseguibile la sola condanna meno grave, perche' la stessa non contempla l'effetto delle condotte esaminate nell'altro giudizio (che anzi, a differenza del primo, ha condotto ad una condanna ad una pena quasi coincidente con il massimo edittale), le quali certamente hanno determinato l'aggravamento dell'offesa penalmente rilevante e la necessita' di rideterminare la sanzione secondo tutti i parametri dell'art. 133 c.p., ed in particolare della gravita' del reato desumibile dal tempo e da ogni modalita' dell'azione. § 3. Segue: B) impossibile applicazione, diretta o analogica, dell'art. 671 c.p.p. Escluso il fondamento dell'istanza principale, ad analoga conclusione si deve pervenire in relazione all'istanza subordinata di rideterminazione delle pene ai sensi dell'art. 671 c.p.p., in applicazione dell'istituto della continuazione, sia in via diretta sia in via analogica. 3.1. Quanto all'applicazione diretta si deve osservare che nel caso in esame nessuna interruzione della permanenza si e' verificata nel corso delle condotte incriminate nei tre giudizi esecutivi. Ne consegue che non e' possibile configurare alcun delitto autonomo in relazione alle condotte oggetto dei giudizi successivi al primo, presupposto imprescindibile per scrutinare l'istanza di unificazione legale di plurimi reati, ai sensi dell'art. 671 c.p.p. Consolidata e' infatti la giurisprudenza di legittimita' secondo cui «il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare di cui all'art. 570, comma secondo, n. 2, codice penale, e' reato permanente, che non puo' essere scomposto in una pluralita' di reati omogenei, essendo unico ed identico il bene leso nel corso della durata dell'omissione, ne deriva che le cause di estinzione del reato operano non in relazione alle singole violazioni, ma solo al cessare della permanenza, che si verifica o con l'adempimento dell'obbligo eluso o, in difetto, con la pronuncia della sentenza di primo grado» (cfr. Cass. Sez. 6ª del 20 ottobre 2015, n. 45462). Orbene la prima sentenza di primo grado e' quella emessa dal dott. Di Geronimo il 22 settembre 2009, posteriore all'ultima delle condotte contestate anche nel secondo giudizio (fino al 23 marzo 2009). Quanto all'ipotesi di adempimento intermedio dell'obbligo eluso, essa dev'essere esclusa sulla base dell'accertamento di fatto eseguito dal secondo giudizio di cognizione, vincolante per il G. E. Infatti, secondo la motivazione della sentenza della dott.ssa Alfieri (la quale, in assenza di costituti difensivi alternativi, si dichiara fondata sulle dichiarazioni della persona offesa costituita parte civile e sul riscontro costituito da accertamenti della Guardia di finanza inerenti il ricevimento da parte dell'imputato, con bonifico da € 270.000 ed assegni da € 76.000, di un risarcimento assicurativo di ben € 346.000, in relazione a sinistro stradale del 29 marzo 2007), «lo S. non ha mai provveduto a corrispondere l'assegno di mantenimento stabilito dal Tribunale di Chieti con ordinanza del 19 aprile 2005». Inoltre la parte civile I. L. «veniva a conoscenza, pochi giorni prima della querela, che lo S. avendo perso entrambi i genitori in un incidente stradale, aveva ricevuto ed incassato dalla compagnia assicuratrice il relativo indennizzo pari a € 270.000. Di tale somma nulla veniva dato ai figli o alla moglie dello S. (i predetti percepivano la loro quota parte dall'assicurazione)». In mancanza di interruzione della permanenza per l'intero periodo incriminato nelle due imputazioni, ne consegue l'unicita' del delitto per il quale lo S. ha riportato le due condanne esecutive sopra richiamate e l'impossibilita' di operare una valutazione unitaria del trattamento penale attraverso l'istituto della continuazione. 3.2. Tale valutazione unitaria, pur necessaria, non puo' essere perseguita neppure attraverso l'applicazione analogica in bonam partem dell'art. 671 c.p.p. Si e' gia' detto infatti che il riferimento al cumulo giuridico delle pene irrogate nelle plurime sentenze esecutive non collima con la necessita' di' riparametrare la pena secondo lo schema del reato unico, sia pure diversamente valutato per effetto della diversa configurazione e protrazione del fatto storico che deriva dall'esame complessivo delle due sentenze di condanna, ed in particolare non collima con il reato unico il criterio di commisurazione della pena dettato dall'art. 671 (aumento fino al triplo della condanna per il reato piu' grave), apparendo invece necessaria una nuova commisurazione sanzionatoria attraverso il ricorso ai parametri di cui agli articoli 132 e 133 c.p. da parte del giudice dell'esecuzione. Tale attivita' non e' del resto preclusa dal vincolo di intangibilita' del giudicato e non esorbita dai poteri del G. E., come dimostra l'analogo principio stabilito dalla sentenza delle S.U. del 26 febbraio 2015, n. 37107, in materia di illegittimita' costituzionale della norma penale che modifichi il trattamento sanzionatorio della fattispecie incriminatrice, ed in generale la recente piu' ampia configurazione dei poteri attribuiti al G. E. dalla giurisprudenza di legittimita', finalizzata alla tutela della legalita' della pena anche in funzione degli arresti della giurisprudenza della CEDU, che ha portato a parlare di «crisi del giudicato penale». § 4. Sulla non manifesta infondatezza della questione. 4.1. Non potendo il G. E. fare applicazione, per quanto illustrato, ne' dell'art. 669 ne' dell'art. 671 c.p.p., rispetto all'istanza difensiva si configura un vuoto di tutela giurisidizionale che pone il dubbio della compatibilita' della seconda disposizione del codice di rito indicata, quella rispondente alla medesima ratio della pronuncia additiva invocata, sia con l'art. 3, primo comma sia con l'art. 24 della Carta costituzionale, per rimanere l'istante S. S. soggetto al cumulo di una pluralita' di condanne emesse per un unico reato. Si rimarca sul punto: che il reo ha diritto ad una valutazione unitaria delle condotte oggetto delle due sentenze di condanna la quale, da un lato, eviti il cumulo delle condanne frazionate irrogate in relazione ad un reato unico, dall'altro commisuri la sanzione all'effettiva e complessiva offesa arrecata con tutte le condotte oggetto dei giudizi; che il cumulo derivante dall'occasionale pluralita' di condanne per un reato unico non fonda su alcuna giustificazione razionale, ma anzi determinerebbe un trattamento deteriore anche rispetto ai casi disciplinati dall'art. 671 c.p.p., che non possono essere ritenuti meno gravi rispetto a quello in esame, della pluralita' di reati avvinti dal concorso formale o dall'esecuzione del medesimo disegno criminoso; che tale pluralita' di condanne risulta determinata da eventi indipendenti dalla condotta e dalle scelte del reo, riconducibili essenzialmente alle modalita' ed ai tempi con i quali sono stati esercitati il diritto di querela e l'azione penale per le singole frazioni della condotta contestata ed al mancato raccordo dei procedimenti penali cosi' incardinati, finalizzato alla loro riunione. Si configura pertanto il dubbio sulla legittimita' costituzionale dell'art. 671 c.p.p. nella parte in cui non prevede, in caso di pluralita' di condanne intervenute per il medesimo reato permanente in relazione a distinte frazioni della condotta, il potere del G. E. di rideterminare una pena unica, in applicazione degli articoli 132 e 133 c.p., che tenga conto dell'intero fatto storico accertato nelle plurime sentenze irrevocabili. 4.2. Tale dubbio si presenta ulteriormente aggravato nell'ipotesi in cui piu' condanne per il medesimo reato permanente siano state emesse, in relazione a condotte distinte, con pene condizionalmente sospese. Tale ipotesi, a ben vedere, non riguarda caso in esame, in cui il primo beneficio risulta gia' revocato, mentre quello concesso nell'ultimo giudizio esecutivo appare erroneo e suscettibile di revoca, per la mancata considerazione dei precedenti ostativi a carico dell'istante. Ma certamente riguarda il caso, configurabile in astratto, di benefici correttamente concessi (e non revocati per inadempimento della condizione) in uno o piu' dei giudizi esecutivi per il medesimo reato permanente. In tale caso infatti, in assenza del potere di unificazione delle condanne frazionate da parte del G. E., l'istante rimarrebbe esposto non solo al cumulo delle condanne ma anche alla revoca delle sospensioni condizionali gia' concesse (nelle stesse plurime sentenze per il medesimo reato permanente o anche in un'altra precedente o successiva eventualmente irrogata) senza la possibilita' di beneficiare di una rivalutazione analoga a quella prevista dall'art. 671, comma terzo c.p.p., risultando indebitamente fruitore di piu' sospensioni condizionali per il medesimo reato. Si configura pertanto l'ulteriore dubbio sulla legittimita' costituzionale dell'art. 671 c.p.p. nella parte in cui non prevede, in caso di pluralita' di' condanne intervenute per il medesimo reato permanente in relazione a distinte frazioni della condotta, il potere del G. E. di valutare l'unicita' del reato ed assumere le determinazioni conseguenti in tema di concessione o revoca della sospensione condizionale, ai sensi degli articoli 163 e 164 c.p.
P.Q.M. Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87; Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale perche' si pronunci sulla legittimita' costituzionale dell'art. 671 c.p.p., in relazione agli articoli 3 e 24 della Costituzione, nella parte in cui non prevede, in caso di pluralita' di condanne intervenute per il medesimo reato permanente in relazione a distinte frazioni della condotta, il potere del G. E. di rideterminare una pena unica, in applicazione degli articoli 132 e 133 c.p., che tenga conto dell'intero fatto storico accertato nelle plurime sentenze irrevocabili, e di assumere le determinazioni conseguenti in tema di concessione o revoca della sospensione condizionale, ai sensi degli articoli 163 e 164 c.p. Sospende il giudizio di esecuzione in corso. Manda la cancelleria per le notifiche e le comunicazioni previste dall'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87. Ortona, 16 novembre 2017 Il Giudice: De Ninis