N. 19 ORDINANZA 10 gennaio - 2 febbraio 2018

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Processo  amministrativo  -  Sentenze  dei  Tribunali  amministrativi
  regionali e del Consiglio di Stato - Revocazione - Rinvio ai casi e
  ai modi previsti dagli artt. 395 e 396 cod. proc. civ. 
- Decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell'articolo
  44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per
  il riordino del  processo  amministrativo),  art.  106;  codice  di
  procedura civile, artt. 395 e 396. 
-   
(GU n.6 del 7-2-2018 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giorgio LATTANZI; 
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS, Nicolo' ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
  Giovanni AMOROSO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  106  del
decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104  (Attuazione  dell'articolo
44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al  governo  per
il riordino del processo amministrativo), e degli artt. 395 e 396 del
codice di procedura civile, promosso dal Consiglio di Stato,  sezione
quarta, nel procedimento vertente tra D. P. e altri e  la  Presidenza
del Consiglio dei ministri e altro, con  ordinanza  del  17  novembre
2016, iscritta al n. 276 del registro  ordinanze  2016  e  pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale,
dell'anno 2017. 
    Visto l'atto di costituzione di D. P. e altri; 
    udito nella camera di consiglio del 10 gennaio  2018  il  Giudice
relatore Giancarlo Coraggio. 
    Ritenuto che, con ordinanza del 17 novembre 2016, il Consiglio di
Stato, sezione quarta, ha sollevato, in riferimento  agli  artt.  24,
111 e 117, primo comma, della Costituzione, questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 106 del decreto legislativo 2  luglio  2010,
n. 104 (Attuazione dell'articolo 44 della legge 18  giugno  2009,  n.
69,  recante  delega  al  governo  per  il  riordino   del   processo
amministrativo), e degli artt. 395 e  396  del  codice  di  procedura
civile, «nella  parte  in  cui  non  prevedono  un  diverso  caso  di
revocazione della sentenza  quando  cio'  sia  necessario,  ai  sensi
dell'art. 46, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo
e delle  liberta'  fondamentali,  per  conformarsi  ad  una  sentenza
definitiva della Corte europea dei diritti dell'uomo»; 
    che il rimettente, in punto di fatto, ha dedotto che: 
    -  con  sentenza  del  12  marzo  1996,  n.  175,  il   Tribunale
amministrativo  regionale  per  la  Campania,  sezione  staccata   di
Salerno, aveva accolto il ricorso proposto dai consiglieri  di  Stato
S. G., F. M.  e  F.  P.,  volto  all'accertamento  del  loro  diritto
all'allineamento  stipendiale,   con   conseguente   condanna   della
Presidenza del  Consiglio  dei  ministri  al  pagamento  delle  somme
spettanti a tale titolo, oltre accessori di legge; 
    - con sentenza 22 maggio 2006, n. 3017, il  Consiglio  di  Stato,
sezione quarta, aveva dichiarato inammissibile l'appello  avverso  la
pronuncia di primo grado per inesistenza della notificazione; 
    - i ricorrenti avevano quindi proposto  ricorso  in  ottemperanza
per  l'esecuzione  della  sentenza  passata  in  cosa   giudicata   e
l'amministrazione,   costituitasi   in   giudizio,   aveva   eccepito
l'impossibilita' di darvi esecuzione a causa  del  sopravvenuto  art.
50,  comma  4,  della  legge  23  dicembre  2000,  n.  388,   recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato (legge finanziaria 2001)», che aveva disposto la  perdita
di  efficacia  delle  decisioni   delle   autorita'   giurisdizionali
comportanti provvedimenti di allineamento stipendiale; 
    - il TAR Campania, con sentenza 28 gennaio  2008,  n.  93,  aveva
accolto il  ricorso  in  ottemperanza,  ma  la  pronuncia  era  stata
riformata dal Consiglio di Stato, sezione  quarta,  con  sentenza  16
giugno 2008, n. 2986, sul presupposto che l'art. 50, comma  4,  della
legge n. 388 del 2000 era intervenuto prima che si fosse  formato  il
giudicato sulla pretesa dei ricorrenti, il che  avrebbe  impedito  la
valida instaurazione del giudizio esecutivo; 
    - con il ricorso per revocazione la parte ricorrente (eredi di F.
P.) ha dedotto di essersi rivolta  alla  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo, lamentando che, in  forza  di  non  chiare  e  illegittime
disposizioni nazionali aventi efficacia retroattiva  e  incidenti  su
sentenze rese da autorita' giurisdizionali, la pronuncia n. 2986  del
2008 del Consiglio di Stato le aveva precluso il conseguimento di  un
diritto quesito,  in  violazione  dell'art.  6,  paragrafo  I,  della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali (CEDU), firmata a  Roma  il  4  novembre  1950,
ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848; e che la
Corte EDU, con la sentenza  1°  luglio  2014,  Guadagno  e  altri  c.
Italia, aveva  riconosciuto  la  fondatezza  delle  sue  doglianze  e
liquidato un indennizzo; 
    - i ricorrenti hanno sostenuto la  revocabilita'  della  sentenza
gravata sulla base dell'art. 106 del d.lgs. n. 104 del 2010 (d'ora in
avanti: cod.  proc.  amm.)  e,  in  via  subordinata,  hanno  chiesto
sollevarsi   questione   di   legittimita'    costituzionale    della
disposizione citata, nella parte in cui non contempla, tra le ipotesi
di revocazione, quella del contrasto della sentenza nazionale con una
successiva pronuncia della Corte EDU; 
    -  l'amministrazione  ha   eccepito   l'impossibilita'   di   una
interpretazione  costituzionalmente  orientata  delle   norme   sulla
revocazione, perche' il loro contrasto con  la  Convenzione  potrebbe
essere rimosso solo con la  declaratoria  di  incostituzionalita';  e
che, tuttavia, non potrebbe trovare miglior  sorte  la  richiesta  di
sollevare questione di costituzionalita' delle stesse norme,  poiche'
dalla sentenza della Corte EDU non potrebbe trarsi  il  convincimento
che la parte ricorrente  abbia  conseguito  il  diritto  ad  ottenere
l'adeguamento stipendiale richiesto; 
    - sempre secondo l'amministrazione, la richiesta di sollevare  la
questione di legittimita' costituzionale sarebbe da respingere  anche
perche' la Corte costituzionale non potrebbe pronunciare una sentenza
additiva, invadendo la sfera del legislatore; e, infine,  perche'  il
riconoscimento delle pretese della parte ricorrente dovrebbe  passare
in ogni caso dalla declaratoria di incostituzionalita' dell'art.  50,
comma 4, della legge n. 388  del  2000,  disposizione,  questa,  gia'
ritenuta, dalla Corte costituzionale, immune da vizi; 
    che il rimettente, in punto di rilevanza, ha osservato che: 
    -  con  l'ordinanza  4  marzo  2015,   n.   2,   «da   intendersi
integralmente richiamata e trascritta  in  questa  sede»,  l'adunanza
plenaria del Consiglio  di  Stato  ha  gia'  sollevato  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 106 cod.  proc.  amm.  e  degli
artt. 395 e 396 cod. proc. civ., in relazione agli artt.  24,  111  e
117, primo comma, Cost., nella parte in cui non prevedono un  diverso
caso di revocazione della sentenza, quando cio'  sia  necessario  per
conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte EDU; 
    - in tale ordinanza,  «pienamente  condivisa  dal  Collegio»,  si
sarebbe precisato che la questione era rilevante in quel giudizio, in
quanto dalla sua soluzione dipendeva l'ammissibilita' del ricorso per
revocazione proposto, e  che  la  situazione  sarebbe  «perfettamente
traslabile»  alla  fattispecie  esaminata  dal  rimettente,   poiche'
l'unico motivo di revocazione spiegato dalla parte ricorrente  riposa
sull'asserito contrasto della sentenza passata in  giudicato  con  la
sopravvenuta pronuncia della Corte EDU; 
    - «per  le  ragioni  gia'  chiarite  nella  ordinanza  n.  2/2015
dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato»  non  potrebbe  essere
condivisa la  prospettazione  della  parte  ricorrente,  secondo  cui
sarebbe  possibile  una  interpretazione  estensiva   dei   casi   di
revocazione previsti dal diritto positivo; 
    che il Consiglio di Stato, infine, ha  affermato  di  condividere
«il  giudizio  di  non   manifesta   infondatezza   delle   questioni
prospettate  nella  citata  ordinanza  n.  2/2015  in   quanto,   non
contemplando tra i casi di revocazione quella che si renda necessaria
per conformarsi ad una sentenza definitiva della  Corte  europea  dei
diritti dell'uomo, le norme  processuali  surrichiamate  appaiono  in
contrasto con l'art. 46 CEDU che, invece, sancisce tale  obbligo  per
gli Stati aderenti»; 
    che, con memoria depositata nella cancelleria di questa Corte  il
14 febbraio 2017, si e' costituita la parte ricorrente nel giudizio a
quo,   chiedendo   l'accoglimento   della   questione   sollevata   e
riservandosi di meglio illustrare in prosieguo la sua posizione; 
    che, con  memoria  depositata  il  20  dicembre  2017,  la  parte
costituita ha fatto  istanza  perche'  la  causa  venga  trattata  in
pubblica udienza, poiche' il caso  in  esame  sarebbe  differente  da
quello gia' esaminato dalla Corte costituzionale con la  sentenza  n.
123  del  2017,  non   essendovi   controinteressati,   ne'   essendo
configurabile una  violazione  dei  diritti  dei  terzi  in  caso  di
revocazione della sentenza nazionale contraria  alla  sentenza  della
Corte EDU. 
    Considerato che la questione puo'  essere  decisa  in  camera  di
consiglio, sussistendo le condizioni per una pronuncia  di  manifesta
inammissibilita'; 
    che, infatti, in  ordine  alla  non  manifesta  infondatezza,  il
rimettente si limita ad affermare  che  dall'art.  46,  paragrafo  1,
della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali (CEDU), firmata a  Roma  il  4  novembre  1950,
ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, discende
un obbligo di riapertura del processo interno,  e  a  richiamare  «le
considerazioni in diritto illustrate» nella ordinanza di rimessione 4
marzo 2015, n. 2, dell'adunanza  plenaria  del  Consiglio  di  Stato,
considerazioni  «da  ritenersi   integralmente   ritrascritte   nella
presente ordinanza collegiale»; 
    che la motivazione sul  punto  e'  carente,  perche'  si  risolve
unicamente  nel  richiamo  per  relationem  ad  altra  ordinanza  del
Consiglio di Stato; 
    che la consolidata giurisprudenza di questa Corte  «esclude  che,
nei giudizi incidentali di costituzionalita' delle leggi, sia ammessa
la cosiddetta motivazione per relationem. Infatti,  il  principio  di
autonomia  di  ciascun   giudizio   di   costituzionalita'   in   via
incidentale,  quanto  ai  requisiti  necessari  per  la  sua   valida
instaurazione,  e  il  conseguente  carattere  autosufficiente  della
relativa ordinanza di rimessione,  impongono  al  giudice  a  quo  di
rendere espliciti, facendoli propri, i  motivi  della  non  manifesta
infondatezza, non potendo limitarsi ad un  mero  richiamo  di  quelli
evidenziati  dalle  parti  nel  corso  del  processo  principale  (ex
plurimis, sentenze n. 49, n. 22 e n. 10 del 2015; ordinanza n. 33 del
2014), ovvero anche in altre ordinanze di  rimessione  emanate  nello
stesso o in altri giudizi (sentenza n. 103 del 2007; ordinanze n. 156
del 2012 e n. 33 del 2006)» (sentenza n. 170 del 2015). 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87 e 9, comma 2, delle Norme integrative per i giudizi  davanti  alla
Corte costituzionale. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara  la  manifesta  inammissibilita'  della   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 106 del decreto  legislativo  2
luglio 2010, n. 104  (Attuazione  dell'articolo  44  della  legge  18
giugno 2009, n. 69, recante delega al governo  per  il  riordino  del
processo amministrativo), e degli artt.  395  e  396  del  codice  di
procedura civile, sollevata, in riferimento agli artt. 24, 111 e 117,
primo comma, della Costituzione,  dal  Consiglio  di  Stato,  sezione
quarta, con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 gennaio 2018. 
 
                                F.to: 
                    Giorgio LATTANZI, Presidente 
                    Giancarlo CORAGGIO, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 2 febbraio 2018. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA