N. 33 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 dicembre 2016

Ordinanza del 15 dicembre 2016 del Consiglio  di  Stato  sul  ricorso
proposto da Vitale Marco e altri contro Banca d'Italia e altri. 
 
Banche e istituti di credito - Riforma della disciplina delle  banche
  popolari - Adozione con decreto-legge - Trasformazione delle banche
  popolari in societa' per azioni - Disciplina del diritto di recesso
  dei soci - Poteri normativi della Banca d'Italia. 
- Decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3 (Misure urgenti per il  sistema
  bancario e gli investimenti), convertito, con modificazioni,  dalla
  legge 24 marzo 2015, n. 33, art. 1, "ovvero direttamente  [...]  di
  tale ultima legge". 
(GU n.11 del 15-3-2017 )
 
                        IL CONSIGLIO DI STATO 
               in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) 
 
    ha pronunciato la presente ordinanza 
    sul ricorso numero di registro generale 6303 del  2016,  proposto
da: Vitale Marco, Ardenghi Alfredo, Ardenghi Roberto, Dono  Patrizio,
Pedeferri Aldo, Donzelli Paolo,  Parrini  Adriano,  Cherubini  Emilio
Luigi rappresentati e difesi  dagli  avvocati  Fausto  Capelli,  c.f.
CPLFST36B10B201D, Francesco  Saverio  Marini  c.f.  MRNFNC73D28H501U,
Ulisse Corea  c.f.  CROLSS69T19C352X,  con  domicilio  eletto  presso
Ulisse Corea in Roma, via di Villa Sacchetti n.  9;  rappresentato  e
difeso dagli avvocati Ulisse Corea c.f.  CROLSS69T19C352X,  Francesco
Saverio   Marini   c.f.   MRNFNC73D28H501U,   Fausto   Capelli   c.f.
CPLFST36B10B201D, con domicilio eletto presso Ulisse Corea  in  Roma,
via di Villa Sacchetti n. 9; 
    Contro: 
    Banca d'Italia, in persona del legale rappresentante pro tempore,
rappresentata e  difesa  dagli  avvocati  Donatella  La  Licata  c.f.
LLCDTL67P49G273T,  Marino  Ottavio  Perassi  c.f.   PRSMRN60B26G691X,
Raffaele  D'Ambrosio  c.f.  DMBRFL64A04H703Q,  con  domicilio  eletto
presso Ufficio legale Banca d'Italia in Roma, via Nazionale, 91; 
    Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del  Presidente
del  Consiglio  pro  tempore,  rappresentata  e  difesa   per   legge
dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei
Portoghesi, 12; 
    nei confronti di Banca Popolare di  Sondrio,  Veneto  Banca  Spa,
Banco Popolare Societa' cooperativa, Unione di Banche  Italiane  Spa,
Codacons, Banca Popolare di Milano non costituiti in giudizio; 
    sul ricorso numero di registro generale 6424 del  2016,  proposto
da: Associazione Difesa Utenti  Servizi  Bancari  Finanziari  Postali
Assicurativi  (Adusbef),  Federazione  Nazionale  di  Consumatori  ed
Utenti  (Federconsumatori),  in   persona   dei   rispettivi   legali
rappresentanti  pro  tempore,  Giovanni   Bianchini,   Elio   Brusco,
Alessandro  Cacciavillani,  Corrado  Filangeri,  Stefania   Lassalaz,
Leonida Mosca, Gianluca Omodei, Aldo Enzo Antonio  Saccomani,  Mendes
Ramos Valente, Federico Brugnoli, Pasquale Maidecchi, Errico  Polani,
rappresentati  e  difesi  dagli  avvocati  Federico  Tedeschini  c.f.
TDSFRC48A24H501P, Lucio Golino c.f. GLNLCU65L04A271X,  con  domicilio
eletto presso Studio Tedeschini in Roma, largo Messico, 7; 
    Contro: 
    Banca d'Italia, in persona del legale rappresentante pro tempore,
rappresentato e difeso dagli avvocati  Marino  Ottavio  Perassi  c.f.
PRSMRN60B26G691X,   Raffaele   D'Ambrosio   c.f.    DMBRFL64A04H703Q,
Donatella La  Licata  c.f.  LLCDTL67P49G273T,  con  domicilio  eletto
presso Ufficio legale Banca d'Italia in Roma, via Nazionale, 91; 
    Ministero dell'economia e delle finanze, Presidenza del Consiglio
dei ministri, in persona del  rispettivi  legali  rappresentanti  pro
tempore, rappresentati e difesi per  legge  dall'Avvocatura  generale
dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12; 
    nei confronti di: 
    Banca Popolare di Vicenza Societa' Cooperativa Per Azioni, Veneto
Banca Societa' Cooperativa Per Azioni, Unione di  Banche  Italiane  -
Ubi  Banca  Societa'   cooperativa   per   azioni,   Banca   Popolare
dell'Etruria e del Lazio  Sc  in  amministrazione  straordinaria  non
costituiti in giudizio; 
    Codacons, in  persona  del  legale  rappresentante  pro  tempore,
rappresentato   e   difeso   dagli   avvocati   Carlo   Rienzi   c.f.
RNZCRL46R08H703I, Gino Giuliano c.f. GLNGNI65A02D636M, con  domicilio
eletto presso  Ufficio  legale  nazionale  Codacons  in  Roma,  viale
Giuseppe Mazzini n. 73; 
    sul ricorso numero di registro generale 6605 del  2016,  proposto
da: Piero Sergio Lonardi, Piergiovanni Rizzo, Anna Maria  Sanchirico,
Vito Morelli, Leonardo Matteo Ancona, Laura Saurgnani, Matteo  Volpi,
Ennio  Lanfranchi,  rappresentati  e  difesi  dagli  avvocati   Mario
Zanchetti  c.f.  ZNCMRA62A08E625C,  Maurizio  Allegro  Pontani   c.f.
LLGMRZ72M11I138N, Antonino Restuccia c.f. RSTNNN76A09C352U, Sergio Di
Nola c.f. DNLSRG79M26F839J, Carlo Comande' c.f. CMNCRL73B25G273O, con
domicilio eletto presso Carlo Comande' in Roma, via Pompeo  Magno  n.
23/A; 
    Contro Banca d'Italia, in persona del legale  rappresentante  pro
tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Marino Ottavio Perassi
c.f. PRSMRN60B26G691X,  Raffaele  D'Ambrosio  c.f.  DMBRFL64A04H703Q,
Donatella La  Licata  c.f.  LLCDTL67P49G273T,  con  domicilio  eletto
presso Ufficio legale Banca d'Italia in Roma, via Nazionale, 91; 
    nei confronti di: 
    Banca Popolare di Sondrio S.C.P.A., Banca Popolare di Milano  non
costituiti in giudizio; 
    Codacons Coordinamento  delle  Associazione  e  dei  Comitati  di
tutela dell'ambiente e diritti utenti e consumatori, rappresentato  e
difeso  dagli  avvocati  Carlo  Rienzi  c.f.  RNZCRL46R08H703I,  Gino
Giuliano c.f. GLNGNI65A02D636M, con domicilio eletto  presso  Ufficio
legale nazionale Codacons in Roma, viale Giuseppe Mazzini n. 73; 
    per la riforma: 
quanto al ricorso n. 6303 del 2016: 
    della sentenza del Tribunale  amministrativo  regionale  Lazio  -
Roma: Sezione III n.  06548/2016,  resa  tra  le  parti,  concernente
aggiornamento circolare recante «disposizioni  di  vigilanza  per  le
banche»; 
quanto al ricorso n. 6424 del 2016: 
    della sentenza del Tribunale  amministrativo  regionale  Lazio  -
Roma: Sezione III n.  06544/2016,  resa  tra  le  parti,  concernente
modificazione al testo unico bancario in materia di disciplina  delle
banche popolari; 
quanto al ricorso n. 6605 del 2016: 
    della sentenza del Tribunale  amministrativo  regionale  Lazio  -
Roma: Sezione III n.  06540/2016,  resa  tra  le  parti,  concernente
modifiche al testo unico  bancario  relative  alla  disciplina  delle
banche popolari. 
    Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati; 
    Visto l'art. 98 cod. proc. amm.; 
    Visti gli atti di costituzione in  giudizio  di  Banca  d'Italia,
della  Presidenza  del   Consiglio   dei   ministri   del   Ministero
dell'economia e delle finanze; 
    Visto l'atto di intervento in appello del Codacons; 
    Visto l'appello incidentale  condizionato  proposto  dalla  Banca
d'Italia; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Vista la domanda di sospensione dell'efficacia delle sentenze del
Tribunale amministrativo regionale di reiezione dei ricorsi di  primo
grado, presentate in via incidentale dalle parte appellanti; 
    Relatore nella Camera di consiglio del giorno 1° dicembre 2016 il
Cons. Roberto Giovagnoli e  uditi  per  le  parti  l'avvocato  Fausto
Capelli, l'avvocato Ulisse  Corea,  anche  per  delega  dell'avvocato
Federico  Tedeschini,  l'avvocato  Donatella  La  Licata,  l'avvocato
Raffaele D'Ambrosio, l'avvocato dello Stato Giovanna Maria De  Socio,
l'avvocato Lucio Golino, l'avvocato Gino Giuliano,  l'avvocato  Carlo
Comande' e l'avvocato Maurizio Allegro Pontani; 
    1.  Con  tre  distinti  ricorsi  proposti  innanzi  al  Tribunale
amministrativo regionale Lazio, ADUSBEF (Associazione  difesa  utenti
servizi bancari finanziari  postali  assicurativi),  Federconsumatori
(Associazione nazionale consumatori e  utenti),  nonche'  i  soci  di
alcune banche popolari (UBI Banca, Banca Popolare  di  Milano,  Banca
Popolare di Sondrio, Veneto Banca, Banco Popolare)  hanno  impugnato,
chiedendone l'annullamento, gli atti emessi dalla  Banca  d'Italia  a
seguito delle modificazioni apportate all'art.  29  del  Testo  Unico
Bancario (TUB, decreto legislativo n. 385 del 1993) dall'art.  1  del
decreto-legge n. 3 del 2015, convertito con modificazioni nella legge
n. 33 del 2015. 
    Si tratta, in particolare: 
    del 9° aggiornamento del 9 giugno 2015 apportato  alla  circolare
n. 285 del 17  dicembre  2013  («Disposizioni  di  vigilanza  per  le
banche»); 
    delle «Disposizioni di vigilanza - Banche popolari» del 9  aprile
2015, che disciplinano: 
    a) le modalita' di calcolo della  soglia  «sensibile»  pari  a  8
miliardi di  euro  di  capitale  sociale,  da  computare  secondo  le
segnalazioni di vigilanza individuali o consolidate; 
    b) il rimborso degli  strumenti  di  capitale  al  socio  che  ha
esercitato il recesso dalla societa'  dopo  la  trasformazione  della
Popolare in s.p.a., che puo'  essere  limitato  «anche  in  deroga  a
disposizioni di legge», affermando che  detta  facolta'  deve  essere
contemplata nello statuto della banca ed e' attribuita all'organo  di
gestione, fermi i poteri autorizzativi  dell'autorita'  di  vigilanza
rispetto al rimborso di fondi propri ai sensi dell'art. 77 CRR (ossia
del regolamento UE/575/2013 del 26 giugno 2013, relativo ai requisiti
prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento e che
modifica il regolamento UE/648/2012); 
    del resoconto della consultazione, pubblicato in data  11  giugno
2015; 
    del documento «Analisi impatto  della  regolamentazione»  dell'11
giugno 2015. 
    2.  Gli  atti  impugnati  sono  stati  adottati  sulla  base  del
decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3 (Misure urgenti  per  il  sistema
bancario e gli investimenti), convertito, con modificazioni, in legge
24 marzo 2015, n. 33, con cui il legislatore ha introdotto la riforma
della banche popolari. 
    2. I ricorrenti, nei giudizi di primo grado, hanno  dedotto,  fra
gli altri motivi, che i provvedimenti impugnati sarebbero affetti  da
illegittimita' derivata a  causa  dell'illegittimita'  costituzionale
della disciplina legislativa sulla cui base essi sono stati adottati. 
    3.  Sono  stati  fatti  poi  valere  anche  vizi   autonomi:   in
particolare, nel ricorso iscritto in primo grado al n. 10463/2015 del
R.G. e in appello al n.  6605/2016,  i  ricorrenti  hanno  censurato,
ritenendola affetta principalmente da vizi  autonomi,  la  disciplina
introdotta con l'aggiornamento  della  circolare  n.  285/2013  della
Banca d'Italia, che a pag. II.9 afferma che «non saranno ritenute  in
linea con la riforma operazioni in  cui  risulti  la  detenzione,  da
parte della societa' holding riveniente dalla  ex  popolare,  di  una
maggiorazione totalitaria o maggioritaria nella s.p.a.  bancaria,  o,
comunque,  tale  da  rendere  possibile  il  controllo  nella   forma
dell'influenza dominante». 
    Secondo i ricorrenti, con l'impugnato aggiornamento dell'atto  di
natura regolamentare, l'Autorita' di regolazione  avrebbe  introdotto
un divieto  privo  di  base  legislativa:  il  divieto  di  controllo
dell'istituto bancario trasformato in societa' per  azioni  ordinaria
da parte di un soggetto terzo, a sua volta controllato  dai  soci  di
una ex banca popolare nella sua versione «ante riforma». 
    Nondimeno, e' di palmare  evidenza  come  la  deduzione  di  vizi
propri  dell'impugnato   atto   di   normazione   secondaria   rilevi
esclusivamente nell'ambito del  relativo  scrutinio  di  legittimita'
devoluto a questo Consiglio, non avendo invece alcun  ruolo  rispetto
alle questioni di legittimita' costituzionale che il Collegio solleva
con la presente ordinanza (le sole  che  qui  interessano,  le  quali
percio' esauriscono l'oggetto della fase incidentale che si svolgera'
davanti alla Corte costituzionale). 
    4. Con le sentenze di estremi indicati in epigrafe, il  Tribunale
amministrativo regionale Lazio ha: 
    escluso la legittimazione al  ricorso  di  ADUSBEF  (Associazione
difesa utenti servizi bancari finanziari postali assicurativi)  e  di
Federconsumatori; 
    escluso  la  legittimazione  all'intervento   in   giudizio   del
Codacons; 
    respinto nel merito (dopo averne affermato la  legittimazione)  i
ricorsi proposti uti singuli dai soci delle banche popolari. 
    Al rigetto dei ricorsi nel  merito  il  Tribunale  amministrativo
regionale e' giunto ritenendo manifestamente infondate  le  questioni
di legittimita' costituzionale sollevate dai ricorrenti. 
    5. Per ottenere la  riforma  di  dette  pronunce  hanno  proposto
appello  gli  originari  ricorrenti  soccombenti  in   primo   grado,
formulando anche istanza cautelare per la sospensione  degli  effetti
delle sentenze e, con esse,  dei  provvedimenti  impugnati  in  primo
grado. 
    6. Si e' costituita per resistere all'appello la Banca  d'Italia,
la quale ha anche  riproposto  l'eccezione  di  inammissibilita'  del
ricorso di primo grado  per  carenza  di  interesse  degli  originari
ricorrenti (riproposizione avvenuta nel giudizio  R.G.  n.  6605/2016
attraverso la proposizione di appello incidentale condizionato; negli
altri due giudizi con semplice memoria, alla luce del  fatto  che  in
questi due casi in primo grado il Tribunale amministrativo  regionale
ha  dichiarato  di  non  esaminare  l'eccezione   di   rito,   stante
l'infondatezza nel merito del ricorso). 
    7. Nei giudizi R.G. n. 6303/2016 e n. 6424/2016 si e'  costituita
in giudizio per resistere  agli  appelli,  anche  la  Presidenza  del
Consiglio di Ministri. 
    8. Il Codacons ha proposto intervento in appello  ad  adiuvandum,
concludendo per l'accoglimento dei ricorsi. 
    9. All'esito della Camera di  consiglio  del  1°  dicembre  2016,
fissata per la  decisione  sull'istanza  incidentale  di  sospensione
delle sentenze appellate, questo Consiglio, all'esito e nei limiti di
quella summaria  cognitio  che  e'  tipicamente  propria  della  fase
cautelare, con separata ordinanza cautelare 2 dicembre 2016, n.  5383
- alla quale, per quanto occorra, si fa rinvio recettizio  e  che  va
percio' intesa come qui integralmente ripetuta e trascritta - ha: 
    disposto la riunione degli appelli, stante l'evidente connessione
oggettiva e, parzialmente, soggettiva; 
    ritenuto sussistente la legittimazione e l'interesse  al  ricorso
rispetto ai soci (rispettivamente del  Banco  Popolare,  della  Banca
Popolare di Sondrio, della Banca Popolare  di  Milano  e  dell'UBI  -
Unione Banche Italiane), in quanto i provvedimenti  impugnati  (e  la
disciplina legislativa sulla cui base sono stati  adottati)  incidono
direttamente su prerogative relative allo status di socio della banca
popolare, cosi' presentando profili di immediata lesivita'; 
    ritenuto che, con riferimento al ricorso R.G. n.  6424/2016,  non
appare supportata da adeguati  profili  di  fumus  boni  iuris  e  di
periculum in mora la confutazione dell'affermazione  resa  dal  primo
giudice   in   punto   di    insussistenza    della    legittimazione
dell'Associazione Difesa Utenti Servizi  Bancari  Finanziari  Postali
Assicurativi (Adusbef) e della Federazione Nazionale  di  Consumatori
ed Utenti (Federconsumatori), anche in considerazione del  fatto  che
allo  stato  non  emergono,  e  comunque  non  sono  specificatamente
dedotti,  effetti  concretamente  pregiudizievoli   per   l'interesse
collettivo dei consumatori; 
    ritenuto che l'intervento in appello del Codacons puo' - in esito
alla sommaria delibazione tipica della  fase  cautelare  -  ritenersi
verosimilmente  precluso  dal  giudicato  parziale  formatosi   sulle
sentenze  appellate,  che   hanno   gia'   dichiarato   inammissibile
l'intervento spiegato in primo  grado  e  che,  in  tale  parte,  non
risultano essere stata appellata; 
    segnalato che, con  (l'odierna)  separata  ordinanza,  deliberata
all'esito della stessa  Camera  di  consiglio,  il  Collegio  solleva
questione   di   legittimita'   costituzionale   dell'art.   1    del
decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3 (Misure urgenti  per  il  sistema
bancario e gli investimenti), convertito con modificazioni  in  legge
24 marzo 2015, n. 33, per i seguenti profili: 
    a) nella parte in cui prevede che, disposta dall'assemblea  della
banca popolare la  trasformazione  in  societa'  per  azioni  secondo
quanto previsto dal  nuovo  testo  dell'art.  29,  comma  2-ter,  del
decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, il diritto al rimborso
delle azioni al socio che a fronte di tale trasformazione eserciti il
recesso possa essere limitato (anche con la possibilita', quindi,  di
escluderlo tout court),  e  non,  invece,  soltanto  differito  entro
limiti temporali predeterminati e  con  previsione  di  un  interesse
corrispettivo; 
    b) nella parte in cui, comunque, attribuisce alla Banca  d'Italia
il potere di disciplinare le  modalita'  di  tale  esclusione,  nella
misura in cui detto potere viene attribuito «anche in deroga a  norme
di legge», con conseguente attribuzione all'Istituto di vigilanza  di
un potere di delegificazione in bianco, senza la  previa  e  puntuale
indicazione, da parte del legislatore, delle  norme  legislative  che
possano essere derogate e, altresi', in ambiti verosimilmente coperti
da riserva di legge; 
        ritenuto che, in relazione ai sopra richiamati profili di non
manifesta    infondatezza    delle    questioni    di    legittimita'
costituzionale, la circolare della  Banca  d'Italia  n.  285  del  17
dicembre 2013 - 9° aggiornamento del 9 giugno 2015, appare affetta da
vizi derivati nella parte in cui disciplina l'esclusione del  diritto
al rimborso, facultizzando modifiche statutarie dirette a  introdurre
nello statuto «la clausola che attribuisce all'organo con funzione di
supervisione strategica, su  proposta  dell'organo  con  funzione  di
gestione, sentito l'organo con funzione di controllo, la facolta'  di
limitare o rinviare, in tutto o in parte, e senza limiti di tempo, il
rimborso delle azioni del socio uscente e degli  altri  strumenti  di
capitale computabili nel CET1, anche in  deroga  a  disposizioni  del
codice civile e ad altre norme di legge»; 
        ritenuto, inoltre, che la circolare della Banca  d'Italia  n.
285 del 17 dicembre 2013 - 9° aggiornamento del 9 giugno 2015, appare
affetta - almeno a livello di fumus boni iuris - anche  da  ulteriori
vizi propri - che peraltro, come si e' gia' anticipato, non  rilevano
rispetto  all'odierna  apertura  di  una  questione  incidentale   di
legittimita' costituzionale - laddove: 
          A)  attribuisce   agli   organi   della   stessa   societa'
interessata dal recesso (e quindi, in sostanza, allo stesso  soggetto
debitore del rimborso spettante al socio che  recede)  il  potere  di
decidere l'esclusione del rimborso medesimo, finendo in tal modo  per
creare una irragionevole situazione di conflitto di interesse,  nella
quale il debitore e' paradossalmente fatto arbitro  delle  sorti  del
diritto al rimborso della quota vantato dal socio creditore, il quale
intenda recedere per effetto e in diretta dipendenza  della  delibera
di trasformazione societaria; 
          B) attribuisce (esercitando una  sorta  di  sub-delega  del
potere di delegificazione) all'autonomia statutaria della societa' il
potere di introdurre «deroghe a disposizioni del codice civile  e  ad
altre norme di  legge»,  dando  cosi'  vita  a  un'inedita  forma  di
delegificazione di fonte negoziale; 
          C) dispone che  «non  saranno  ritenute  in  linea  con  la
riforma operazioni da cui  risulti  la  detenzione,  da  parte  della
societa'   holding   riveniente   dalla   ex   "popolare",   di   una
partecipazione totalitaria o maggioritaria nella s.p.a.  bancaria  o,
comunque, tale da rendere possibile l'esercizio del  controllo  nella
forma dell'influenza dominante», atteso che la  predetta  limitazione
risulta priva di base legislativa e appare, oltre che non  necessaria
per   realizzare   le   finalita'   della   riforma,    foriera    di
un'irragionevole disparita'  di  trattamento  tra  i  soci  delle  ex
popolari (privati della possibilita' di esercitare  il  controllo)  e
ogni altro soggetto che partecipi al capitale azionario (cui, invece,
tale possibilita' resta riconosciuta); 
    10. Sulla base di tale motivazione, quindi,  il  Collegio  ha  in
parte accolto interinalmente - ossia nelle more della decisione sulla
questione di legittimita' costituzionalita' che  si  solleva  con  la
presente ordinanza - l'istanza cautelare e, per l'effetto, ha sospeso
parzialmente, con le sentenze appellate,  l'efficacia  dell'impugnata
circolare della  Banca  d'Italia  n.  285  del  17  dicembre  2013  -
(Fascicolo  «Disposizioni  di   Vigilanza   per   le   banche»),   9°
aggiornamento del giugno 2015, relativamente alle seguenti parti: 
    1) il paragrafo 2 (Regime di prima  applicazione),  limitatamente
agli ultimi due capoversi (da «Operazioni nella specie» fino a «nella
forma dell'influenza dominante»); 
    2) il paragrafo 3 (Modifiche statutarie delle  banche  popolari),
quinto capoverso, prima alinea, limitatamente alle parole:  «limitare
o»; «e senza limiti di tempo»; «anche in deroga  a  disposizioni  del
codice civile e ad altre norme di legge e»;  «e  sulla  misura  della
limitazione»; 
    3)  la  Parte  III,  Capitolo  4,  Sezione  III  (Rimborso  degli
strumenti di capitale),  «1.  Limiti  al  rimborso  di  strumenti  di
capitale», integralmente per tutto il relativo testo, ma  nei  limiti
in cui tale Sezione III sia da applicarsi  alle  vicende  conseguenti
alle trasformazioni delle banche popolari in societa' per  azioni  in
conseguenza delle suindicate norme del decreto-legge 24 gennaio 2015,
n. 3, convertito in legge 24 marzo 2015, n. 33. 
    11. L'ordinanza cautelare resa  interinalmente  ha  rinviato  per
l'ulteriore trattazione della fase cautelare incidentale - ossia  per
la definizione di detta fase - ad una Camera di consiglio da fissarsi
all'esito della pronuncia della Corte costituzionale sulle  questioni
di legittimita' costituzionale sollevate con la presente ordinanza. 
    Al fine di conciliare il carattere accentrato  del  sindacato  di
costituzionalita' con  il  principio  di  effettivita'  della  tutela
giurisdizionale (articoli 24 e 113  Cost.;  articoli  6  e  13  della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali), questo Consiglio di Stato, con l'ordinanza n.
5383/2016, ha, pertanto, concesso una misura cautelare  «interinale»,
fino alla Camera di consiglio successiva alla restituzione degli atti
da parte della Corte costituzionale. 
    13. Come gia' anticipato nell'ordinanza cautelare  n.  5383/2016,
il Collegio ritiene che la questione di costituzionalita' dell'art. 1
del decreto-legge 24 gennaio  2015,  n.  3  (Misure  urgenti  per  il
sistema bancario e gli investimenti), convertito con modificazioni in
legge 24 marzo 2015, n. 33 sia, almeno sotto i profili che di seguito
si specificheranno e svilupperanno, rilevante  e  non  manifestamente
infondata. 
    14. Con riferimento al requisito della rilevanza si  osserva  che
la disposizione citata e'  certamente  applicabile  alla  fattispecie
oggetto del giudizio. 
    15.  I  provvedimenti  impugnati   -   in   particolare   il   9°
aggiornamento del 9 giugno 2015 apportato alla circolare n.  285  del
17 dicembre 2013  («Disposizioni  di  vigilanza  per  le  banche»)  -
derivano dall'esercizio del potere attuativo  attribuito  alla  Banca
d'Italia dal comma 2-quater del nuovo art. 29 del decreto legislativo
1° settembre 1993, n. 385 (T.U.B.) (quale introdotto dall'art. 1  del
citato decreto-legge n. 3 del 2015). 
    I ricorrenti, inoltre,  deducono  l'illegittimita'  derivata  dei
provvedimenti   impugnati   lamentando,   sotto   diversi    profili,
l'illegittimita' costituzionale della normativa  primaria  sulla  cui
base essi sono stati adottati. 
    La questione di costituzionalita' dell'art. 1 decreto-legge n.  3
del 2015 (sotto i profili che si andranno ad evidenziare) e', dunque,
pregiudiziale  rispetto  alla  decisione  definitiva  sulle   istanze
cautelari,  risultando  l'esito   di   queste   ultime   strettamente
dipendenti dall'esito del giudizio di costituzionalita'. 
    16. Ne' la rilevanza della questione puo'  essere  esclusa  dalla
natura cautelare del giudizio nell'ambito del quale la  questione  di
costituzionalita' viene sollevata. 
    Il  problema  dei  rapporti   tra   incidente   di   legittimita'
costituzionale e giudizio cautelare e' oggetto di  una  significativa
elaborazione giurisprudenziale e dottrinale. 
    Sul punto, la  Corte  costituzionale  e'  costante  nel  ritenere
inammissibile  la  questione  di  legittimita'  costituzionale,   per
difetto di rilevanza, qualora essa venga  sollevata  dopo  l'adozione
del definitivo provvedimento cautelare. 
    Si afferma che, in tal caso, la rimessione alla Corte e'  tardiva
in relazione al giudizio cautelare, ormai concluso,  e  prematura  in
relazione al giudizio di merito, in ordine al quale, il Collegio,  in
mancanza della fissazione della relativa udienza di  discussione,  e'
privo di potere decisorio. 
    Per   evitare,   tuttavia,   che   la   legge    sospettata    di
incostituzionalita'  possa  precludere  definitivamente   la   tutela
cautelare  mortificando  le   esigenze   di   tutela   immediata   (e
temporalmente continua) ad essa sottese - il che  si  tradurrebbe  in
una  palese  violazione  di  fondamentali   principi   costituzionali
(articoli 24 e 113 Cost.), o sovranazionali (articoli 6 e 13 CEDU)  -
la  giurisprudenza,  nel  tentativo  di   conciliare   il   carattere
accentrato del controllo  di  costituzionalita'  delle  leggi  con  i
principi   di   effettivita'   e   di   continuita'   della    tutela
giurisdizionale, anche cautelare, ha sperimentato due soluzioni. 
    La prima e' consistita nel concedere la sospensiva, disapplicando
dunque provvisoriamente la legge sospettata  di  incostituzionalita',
ma rinviando al giudizio di merito la rimessione della  questione  di
legittimita' costituzionale (cfr. Cons. Stato, Ad. plen. ,  ordinanza
20 dicembre 1999, n. 2; Cons. Giust. Amm., ordinanza 20 giugno  2001,
n. 458). 
    La seconda consiste, invece,  nella  scomposizione  del  giudizio
cautelare in due fasi:  nella  prima  fase  si  accoglie  la  domanda
cautelare «a termine»,  ossia  soltanto  fino  alla  decisione  della
questione  di  costituzionalita'  contestualmente  sollevata;   nella
seconda   fase,   da   differirsi   all'esito   del    giudizio    di
costituzionalita',  si   decide   «definitivamente»   sulla   domanda
cautelare, tenendo conto, per valutare la sussistenza del fumus  boni
iuris, della decisione della Corte costituzionale. 
    Tra  le  due  soluzioni  possibili,  il   Collegio   -   con   la
giurisprudenza ormai del tutto prevalente -  ritiene  preferibile  la
seconda, perche' e' quella che meno si allontana dai principi su  cui
si fonda il nostro sistema di giustizia costituzionale:  essa  evita,
infatti, che il giudice a quo possa disapplicare «definitivamente» la
legge,  sottraendosi  contestualmente  anche  all'obbligo,   di   cui
all'art. 23 della legge  11  marzo  1953,  n.  87,  di  sollevare  la
questione di costituzionalita'. 
    Tale opzione ha trovato l'avallo della Corte  costituzionale,  la
quale, con riferimento a questioni di legittimita' sollevate in  sede
cautelare, ha costantemente osservato che la potestas  iudicandi  non
puo' ritenersi esaurita quando la concessione della misura cautelare,
come nella specie, e' fondata, quanto al fumus boni iuris, sulla  non
manifesta    infondatezza    della    questione    di    legittimita'
costituzionale, dovendosi, in tal caso, la sospensione dell'efficacia
del provvedimento impugnato  ritenersi  di  carattere  provvisorio  e
temporaneo fino alla ripresa del giudizio cautelare dopo  l'incidente
di legittimita' costituzionale (ex plurimis: le sentenze n.  444  del
1990; n. 367 del 1991; n. 30 e n. 359 del 1995; n. 183 del 1997; n. 4
del 2000; le ordinanze n. 24 del 1995; n. 194 del  2006;  n.  83  del
2013; n. 200 del 2014; nonche', da ultimo, la  sentenza  n.  133  del
2016 e, ivi, in particolare il § n. 3.3. della relativa motivazione). 
    17. Sempre in ordine alla rilevanza della questione,  si  osserva
che  nel  caso  di  specie  (come  gia'  evidenziato   nell'ordinanza
cautelare 2 dicembre 2016, n. 5383), il requisito  del  periculum  in
mora ha meritato positivo apprezzamento. 
    E' evidente, infatti, che il tempo necessario  per  la  decisione
del ricorso nel merito (vieppiu' ove si tenga nel debito conto quello
occorrente per il giudizio incidentale di costituzionalita') potrebbe
arrecare ai ricorrenti (i  soci  delle  banche  popolari  interessati
dalla riforma) un pregiudizio grave  e  irreparabile,  sotto  diversi
profili. 
    17.1. In primo  luogo,  il  periculum  in  mora  sussiste  per  i
ricorrenti soci  di  banche  popolari  (come  la  Banca  popolare  di
Sondrio) che, alla data di pubblicazione  della  presente  ordinanza,
non hanno  ancora  adottato  le  decisioni  imposte  dalla  legge  in
conseguenza del superamento  della  soglia  degli  otto  miliardi  di
attivo (patrimoniale) e che, quindi, non hanno ancora  effettuato  la
scelta tra le tre opzioni previste dal  legislatore:  trasformazione,
liquidazione oppure riduzione dell'attivo. 
    Per tale gruppo di ricorrenti, in  procinto  di  votare  in  seno
all'assemblea  l'eventuale  trasformazione  in  s.p.a.  della   banca
popolare, la disciplina in esame incide immediatamente sulla liberta'
negoziale, che si esercita anche attraverso l'espressione del voto in
assemblea (nella necessaria consapevolezza delle sue conseguenze  sul
patrimonio giuridico del socio). 
    Risulta, infatti, del tutto evidente il  pregiudizio,  attuale  e
concreto, che deriva, gia' ai fini  della  formazione  della  propria
volonta'  negoziale  in  sede  di  espressione  del  suddetto   voto,
dall'eventualita' di vedersi escluso il diritto al rimborso  in  caso
di recesso conseguente alla trasformazione. 
    Tale pericolo si coglie  anche  sotto  un  diverso  profilo,  che
evidenzia ulteriormente la posizione di immediato pregiudizio in  cui
vengono a trovarsi i soci delle banche popolari. 
    La disciplina censurata, infatti, crea in seno  all'assemblea  un
immediato ed evidente conflitto di interessi tra i soci che  scelgono
di continuare l'impresa bancaria nella nuova forma societaria imposta
dal legislatore e coloro che, invece,  preferiscono  la  liquidazione
della propria quota. 
    La posizione di questi ultimi risulta immediatamente pregiudicata
dalla  possibilita'   che   la   disciplina   censurata   offre   ora
all'assemblea (e, dunque, alla maggioranza  dei  soci)  non  solo  di
decidere la trasformazione (e, quindi, la continuazione  dell'impresa
bancaria nella nuova forma della societa' per azioni), ma di adottare
tale decisione potendo fare affidamento  anche  su  quella  parte  di
capitale rappresentato dalle quote dei  soci  recedenti  escluse  dal
rimborso. 
    In termini tanto semplici, quanto chiari, la legge vigente sembra
consentire ai soci che optino per  la  trasformazione  di  finanziare
quest'ultima  (cioe'  la   prosecuzione   della   propria   attivita'
imprenditoriale) anche  con  le  risorse  economiche  di  quelli  che
vorrebbero recedere: ossia, in ultima analisi, con poste patrimoniali
(denaro) degli altri soci. 
    Neppure  si  puo'  escludere  che  tale  possibilita'   dispieghi
un'incidenza,  evidentemente  distorsiva,  sulla  stessa  valutazione
assembleare di convenienza a compiere  l'una  piuttosto  che  l'altra
delle  scelte  consentite  dalla  legge;  giacche'  quella   per   la
trasformazione potrebbe  consentire  di  convogliare  nel  patrimonio
sociale di chi  l'abbia  votata  tutte  o  parte  delle  risorse  che
spetterebbero ai soci che avrebbero voluto recedere. 
    17.2. Anche per i soci delle banche popolari che al momento della
presente ordinanza hanno gia' adottato la delibera di trasformazione,
sussistono profili di periculum in mora, che rendono la questione  di
legittimita' costituzionale rilevante gia' ai  fini  della  decisione
dell'istanza cautelare (di sospensione dell'efficacia esecutiva delle
sentenze appellate e, con essa, degli atti impugnati in primo grado). 
    La deliberata trasformazione,  invero,  non  fa  venire  meno  la
possibilita' di  esercitare  il  diritto  recesso  (concretizzandone,
anzi,  il  presupposto):  rispetto  alla  scelta   di   recedere   in
conseguenza della trasformazione, tuttavia, la  previsione  normativa
oggetto  di  censura  causa  un  pregiudizio  immediato,  perche'  la
prevista possibilita' che il rimborso sia escluso (o differito  senza
limiti di tempo, il che da un punto di vista sostanziale e' la stessa
cosa) incide  immediatamente  sulla  liberta'  di  autodeterminazione
negoziale del socio, rendendola non piu' libera, ma condizionata  dal
concreto pericolo di non avere il rimborso della quota. 
    17.3. Sempre in punto di rilevanza risulta, in ogni caso, di  per
se'  dirimente  la  considerazione  che  la  presente  questione   di
costituzionalita' viene sollevata nell'ambito di un istanza cautelare
incidentale ad un appello avverso sentenza. 
    Cio' implica che, ai sensi degli  articoli  60  e  98,  comma  2,
c.p.a., il Collegio, in sede di decisione  definitiva  sulla  domanda
cautelare - ossia alla prossima udienza camerale che, come  stabilito
nella cit. ordinanza  n.  5383/2016,  sara'  fissata  in  esito  alla
definizione della presente questione di legittimita' costituzionale -
possa definire, in Camera di consiglio, il giudizio  nel  merito  con
sentenza in forma semplificata. 
    A ben vedere, infatti, il potere  di  definire  il  merito  della
causa con sentenza in  forma  semplificata  gia'  in  sede  cautelare
rende,  per  cio'  solo,  rilevante,  anche   a   prescindere   dalle
considerazioni svolte in ordine al periculum in mora, la questione di
costituzionalita' che in questa sede si solleva. 
    La possibilita' di definire il merito (che la  legge  attribuisce
al Collegio,  il  quale  si  riserva  di  svolgere  tale  valutazione
all'esito della pronuncia  della  Corte  costituzionale  che  qui  si
richiede) sarebbe, invero, radicalmente preclusa se non venissero sin
d'ora esaminati i dubbi di legittimita' costituzionale relativi  alla
disciplina  legislativa  sulla  cui  base  sono  stati   adottati   i
provvedimenti impugnati. 
    18. La  questione  di  costituzionalita',  oltre  che  rilevante,
risulta anche non manifestamente infondata. 
    19.  I  passi  salienti  della  riforma  delle  Banche   popolari
introdotta dall'art. 1 del decreto-legge n. 3 del  2015,  per  quanto
qui  interessa,  sono  costituiti  dalle  disposizioni   di   seguito
riportate: 
    «1. Al testo unico delle leggi in materia bancaria e  creditizia,
di cui al  decreto  legislativo  1°  settembre  1993,  n.  385,  sono
apportate le seguenti modificazioni: 
    a) all'art. 28, dopo il comma 2-bis, e' aggiunto il seguente: 
    "2-ter. Nelle banche popolari il diritto al rimborso delle azioni
nel  caso  di  recesso,  anche  a  seguito  di  trasformazione  o  di
esclusione del socio, e' limitato secondo quanto previsto dalla Banca
d'Italia,  anche  in  deroga  a  norme  di  legge,  laddove  cio'  e'
necessario  ad  assicurare  la  computabilita'   delle   azioni   nel
patrimonio di vigilanza di qualita' primaria della banca. Agli stessi
fini, la Banca d'Italia puo' limitare il diritto  al  rimborso  degli
altri strumenti di capitale emessi."»; 
    b) all'art. 29: 
      1) dopo il comma 2, sono inseriti i seguenti: 
    «2-bis.  L'attivo  della  banca  popolare  non  puo'  superare  8
miliardi di euro. Se la banca e' capogruppo di un gruppo bancario, il
limite e' determinato a livello consolidato. 
    2-ter. In caso di superamento del limite di cui al  comma  2-bis,
l'organo di amministrazione convoca l'assemblea per le determinazioni
del caso. Se entro un anno dal superamento del limite l'attivo non e'
stato ridotto al di sotto della soglia ne'  e'  stata  deliberata  la
trasformazione in societa' per azioni ai  sensi  dell'art.  31  o  la
liquidazione, la Banca d'Italia, tenuto  conto  delle  circostanze  e
dell'entita'  del  superamento,   puo'   adottare   il   divieto   di
intraprendere  nuove  operazioni  ai  sensi   dell'art.   78,   o   i
provvedimenti previsti nel titolo IV, capo I, sezione I,  o  proporre
alla   Banca   centrale   europea   la   revoca   dell'autorizzazione
all'attivita' bancaria e al Ministro dell'economia e delle finanze la
liquidazione  coatta  amministrativa.  Restano  fermi  i  poteri   di
intervento e sanzionatori attribuiti alla Banca d'Italia dal presente
decreto legislativo. 
    2-quater. La Banca d'Italia detta disposizioni di attuazione  del
presente articolo.» 
    (Omissis). 
    2. In sede di prima applicazione del presente decreto, le  banche
popolari autorizzate al momento della relativa entrata in  vigore  si
adeguano a quanto stabilito ai sensi  dell'art.  29,  commi  2-bis  e
2-ter, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385,  introdotti
dal presente articolo, entro 18 mesi dalla data di entrata in  vigore
delle disposizioni di attuazione  emanate  dalla  Banca  d'Italia  ai
sensi del medesimo art. 29. (Omissis). 
    20.  Gli  atti  impugnati  derivano  dall'esercizio  del   potere
attuativo attribuito alla Banca d'Italia dal comma 2-quater del nuovo
art. 29 del T.U.B. 
    21. I  ricorrenti  assumono  che  gli  atti  impugnati  sarebbero
affetti  da  illegittimita'  derivata  a  causa   dell'illegittimita'
costituzionale della normativa primaria surrichiamata,  ed  a  questo
fine li impugnano declinando i vizi di  costituzionalita'  in  cui  a
loro  giudizio,  incorrerebbe,  sotto  piu'  profili,  l'art.  1  del
decreto-legge n. 3 del 2015. 
    22. I ricorrenti deducono l'incostituzionalita' dell'art.  1  del
decreto-legge n. 3 del 2015 sotto diversi profili che possono  essere
cosi' sintetizzati: 
    I. Violazione dell'art. 77 Cost. per carenza dei  presupposti  di
necessita' ed urgenza del decreto-legge, che sarebbe  palesata  dalla
natura di riforma ordinamentale e di sistema della  nuova  normativa,
nonche' dal fatto che, contrariamente a quanto  prescritto  dall'art.
15, comma 3,  legge  n.  400  del  1988,  la  norma  non  conterrebbe
disposizioni di immediata applicazione, prevedendo,  invece,  che  la
disciplina di dettaglio sia  fissata  da  provvedimenti  della  Banca
d'Italia. Inoltre, le disposizioni in  parola  si  inscrivono  in  un
decreto-legge  che  regola  materie  eterogenee  tra  di  loro,   non
riconducibili, in tesi, a matrice razionalmente unitaria. 
    II. Violazione degli articoli 70, 76 e 77 primo comma  Cost.  per
violazione del principio di  gerarchia  delle  fonti,  con  specifico
riferimento all'art. 1, comma 1, lettera a) del decreto-legge, che ha
introdotto nell'art. 28 TUB il nuovo comma 2-ter, in forza del  quale
la Banca d'Italia assumerebbe un «potere in bianco» di adottare norme
regolamentari  derogative   della   legge   senza   che   sia   stato
predeterminato il novero delle disposizioni legislative  suscettibili
di deroga, specie in relazione al  potere  di  rimborso  limitato  al
socio recedente. Il vizio sussisterebbe  anche  ove  si  considerasse
attuata  una  delegificazione,  non  essendo  individuate  le   norme
primarie abrogande. 
    III. Violazione degli articoli 3, 41, 42 e  45  e  117  Cost.  in
relazione all'art. 1 del Protocollo addizionale  Convenzione  europea
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali sulla protezione della proprieta' ed agli articoli 16  e
17 della Carta fondamentale della UE con riguardo alla  tutela  della
proprieta' ed alla liberta' di iniziativa economica e  del  legittimo
affidamento, sotto i profili che possono essere riassunti come segue: 
        a) apposizione di un limite  dimensionale  (capitale  sociale
inferiore a  8  miliardi  di  euro)  per  l'esercizio  dell'attivita'
bancaria in  forma  cooperativa  di  «banca  popolare»  e  limiti  al
rimborso della quota a seguito di recesso in caso  di  trasformazione
in s.p.a., che costituirebbero una forma di espropriazione  dei  beni
dei soci recedenti (nella nozione  intesa  dalla  Corte  europea  dei
diritti dell'uomo, che comprende anche i crediti); 
    b) violazione del principio di  legalita',  inteso,  come  fa  la
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali, nel senso dell'esistenza di una norma di legge
sufficientemente  accessibile,  precisa  e  prevedibile   alla   base
dell'intervento, che avrebbe natura sostanzialmente espropriativa; 
    c)   insussistenza   di   una   causa   di   pubblica    utilita'
dell'intervento espropriativo, prevista dall'art. 1 del I  Protocollo
addizionale Convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali,  anche  perche'  sarebbe
infondato, e comunque contestato in dottrina, il noto  assunto  -  da
cui muove la riforma -  secondo  cui  oggi  le  banche  popolari  non
avrebbero piu' sostanza di cooperative, conservandone solo  la  forma
societaria, e che le banche a  voto  capitario  si  produrrebbero  in
performances  peggiori  di  quelle  organizzate  secondo  lo   schema
ordinario di societa' per azioni; 
    d) violazione del principio di proporzionalita' e  di  quello  di
sussidiarieta' orizzontale ex art. 118 Cost., con il connesso diritto
di auto-organizzazione dei singoli, anche in forma cooperativa  (art.
45 Cost.); 
    e) indeterminatezza della delega conferita alla Banca d'Italia  e
della limitazione del  diritto  al  rimborso  per  i  recedenti,  con
conseguente  sproporzione  e  mancanza  di  equilibrio  tra  pubblico
interesse ed esigenze del singolo; 
    f) incompatibilita' con gli articoli 16  e  17  della  Carta  dei
diritti  fondamentali  della  UE  (Carta  di   Nizza),   ancora   con
riferimento alla limitazione sine die (o addirittura  all'esclusione)
del rimborso delle quote in caso di recesso,  senza  che  ve  ne  sia
ragione di pubblico interesse; 
    g) lesione dell'art. 41 Cost.  e  della  liberta'  di  iniziativa
economica, sempre  in  relazione  alla  indeterminatezza  dei  poteri
regolamentari della Banca d'Italia in materia; 
    h) ancora  violazione  della  liberta'  imprenditoriale,  ma  per
effetto della modifica dell'art. 31 del TUB, che, adesso,  invece  di
demandare agli statuti il quorum deliberativo per  le  trasformazioni
da banca in forma cooperativa a societa' per azioni o per le relative
fusioni, detta, esso stesso, le maggioranze necessarie, molto ridotte
rispetto a quanto l'art. 2545-decies del codice civile dispone per le
s.p.a. ordinarie, con conseguente spoliazione dei soci della potesta'
di auto-organizzarsi sotto questo profilo; 
    IV. Violazione degli articoli 3,  41,  45  Cost.  sub  specie  di
irragionevolezza della soglia individuata dal legislatore per imporre
la trasformazione in s.p.a., pari a 8 miliardi di euro; 
    V. Violazione degli articoli 3  e  41  Cost.  per  disparita'  di
trattamento tra le banche  popolari  cooperative  e  tutte  le  altre
cooperative, le quali ultime non incorrono in limiti di  contenimento
dell'attivo, ed inoltre: 
    i) tra soci di banche popolari «sopra soglia» e  soci  di  banche
popolari «sotto soglia» (i quali subirebbero un «annacquamento» della
propria partecipazione e l'azzeramento del relativo valore); 
    ii) tra soci di banche  popolari  che  dovranno  trasformarsi  in
s.p.a. e soci di altre s.p.a. (i quali possono deliberare quorum piu'
elevati in caso di trasformazione, facendo salvo comunque l'integrale
rimborso della quota al socio recedente); 
    iii) tra soci di banche popolari che dovranno trasformarsi e soci
di  altre  cooperative  non  a  mutualita'  prevalente  (che  possono
deliberare la trasformazione solo con i piu' elevati  quorum  di  cui
all'art. 2545-decies c.c.). 
        VI. Violazione dell'art. 3 della Costituzione per  violazione
del principio di eguaglianza e della riserva di legge,  in  relazione
alla limitazione del diritto di rimborso in caso di recesso,  in  cui
incorrerebbe il nuovo art. 28 comma 2-ter del TUB, anche nella  parte
in cui non differenza la posizione assunta dal  socio  che  recede  a
seguito di trasformazione rispetto a quella del socio che  si  avvale
del  diritto  di  ordinario  recesso,  non  connesso  all'ipotesi  di
trasformazione da banca popolare a s.p.a. bancaria; 
    VII. Violazione dell'art. 23  Cost.,  sempre  in  relazione  alla
limitazione  del  diritto  al  rimborso  in  caso  di  recesso,   che
costituirebbe una prestazione patrimoniale imposta, e che, come tale,
soggiacerebbe  a  riserva  di  legge  relativa,  e  che  dunque   non
sopporterebbe un potere amministrativo di fissazione o di delegazione
normativa «in bianco» (nella specie, alla Banca d'Italia); 
    VIII. Violazione dell'art. 117, comma II, lettere d) e l) e comma
III, e del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e
120 Cost.,  in  quanto  la  riforma  in  questione  non  involgerebbe
soltanto la materia di potesta' legislativa  statale  in  materia  di
ordinamento civile e tutela del risparmio, bensi'  anche  quella,  di
legislazione concorrente, delle casse  di  risparmio,  casse  rurali,
aziende di credito a carattere regionale,  che  ricorre  in  caso  di
ubicazione  territoriale   specifica   e   degli   interessi   locali
perseguiti; 
    IX. Violazione dell'art.  118,  comma  IV,  Cost.,  in  combinato
disposto con gli articoli 2, 18, 41, 45 e 47  Cost.,  violazione  del
principio  di  sussidiarieta'   orizzontale,   in   quanto   sia   la
comparazione che il risparmio  sono  riconosciuti  e  tutelati  dalla
Repubblica nel suo insieme (e  dunque  anche  da  regioni,  province,
comuni), e non solo dallo Stato; inoltre, sarebbero valori  che,  per
regolare    fenomeni    connotati    da     spontaneismo     sociale,
intersecherebbero altre  liberta'  costituzionali,  quali  quella  di
associazione  e  di  iniziativa  economica,  e,  in  definitiva,   di
auto-organizzazione. 
    23. Il Collegio ritiene che solo alcuni dei dubbi di legittimita'
costituzionale  prospettati  dai  ricorrenti   siano   manifestamente
infondati. 
    24. Per quanto riguarda la lamentata carenza dei  presupposti  di
necessita' e di urgenza per l'adozione del decreto-legge, il Collegio
e' ben consapevole che la giurisprudenza costituzionale ha, in alcuni
casi, ritenuto che la mancanza evidente dei  citati  presupposti  sia
sindacabile anche dopo l'intervento della legge di conversione. 
    Sul punto l'evoluzione  della  giurisprudenza  costituzionale  e'
stata complessa e articolata. 
    L'indirizzo piu' risalente negava la sindacabilita' di ogni vizio
proprio del decreto-legge  a  seguito  della  legge  di  conversione,
facendo leva sulla  configurazione  di  quest'ultima  come  forma  di
novazione (Corte cost. n. 108 del 1986, n. 243  del  1987,  nn.  808,
810, 1033, 1035 e 1060 del 1988, n. 263 del 1994). 
    Un mutamento si e' avuto con la sentenza n. 29 del 1995,  con  la
quale la Corte costituzionale,  dichiarando  di  non  condividere  il
proprio  precedente  indirizzo,  ha  per  la  prima   volta   escluso
l'efficacia sanante della legge di conversione. 
    Nella citata sentenza n. 29 del 1995, la Corte ha affermando  che
ai sensi dell'art. 77 Cost., «la pre-esistenza di una  situazione  di
fatto comportante la necessita' e  l'urgenza  di  provvedere  tramite
l'utilizzazione di uno strumento eccezionale, quale il decreto-legge,
costituisce un requisito di  validita'  costituzionale  dell'adozione
del predetto atto, di modo che l'eventuale evidente mancanza di  quel
presupposto configura tanto un vizio di  legittimita'  costituzionale
del decreto-legge, in ipotesi adottato al di fuori dell'ambito  delle
possibilita' applicative costituzionalmente previste, quanto un vizio
in procedendo della stessa legge di conversione, avendo quest'ultima,
nel caso ipotizzato, valutato erroneamente l'esistenza di presupposti
di validita' in realta' insussistenti e, quindi, convertito in  legge
un atto che non poteva  essere  legittimo  oggetto  di  conversione».
Pertanto,  prosegue  la  sentenza  in  esame,  «non   esiste   alcuna
preclusione affinche' la Corte costituzionale proceda  all'esame  del
decreto-legge e/o della legge di conversione  sotto  il  profilo  del
rispetto dei requisiti  di  validita'  costituzionale  relativi  alla
pre-esistenza dei presupposti di necessita' e  urgenza,  dal  momento
che il correlativo esame delle Camere in sede di conversione comporta
una  valutazione  del  tutto  diversa  e,   precisamente,   di   tipo
prettamente politico sia con riguardo al contenuto  della  decisione,
sia con riguardo agli effetti della stessa». 
    Tale nuovo orientamento e'  stato  successivamente  ribadito  sia
rispetto  a  decreti-legge  ancora  in  corso  di  conversione  (cfr.
sentenza n.  161  del  1995  e  n.  270  del  1996)  sia  rispetto  a
decreti-legge convertiti in legge (cfr. sentenza n.  330  del  1996),
mentre e' stato escluso rispetto a disposizioni aggiunte in  sede  di
conversione (cfr. sentenza n. 391 del 1995) e rispetto a disposizioni
di «sanatoria», che si limitano a far salvi gli  effetti  di  decreti
non convertiti (cfr. sentenza n. 84 del 1996). 
    Un ulteriore mutamento  rispetto  alla  questione  dell'eventuale
efficacia sanante da riconoscere alla  legge  di  conversione  si  e'
avuto, tuttavia, con la sentenza n. 360  del  1996,  nella  quale  la
Corte costituzionale, occupandosi del c.d. vizio di reiterazione, se,
da  un  lato,  ha  affermato  «l'illegittimita'  costituzionale,  per
violazione dell'art. 77 della Costituzione, dei decreti-legge iterati
o reiterati, quando tali decreti, considerati nel loro complesso o in
singole disposizioni, abbiano sostanzialmente riprodotto, in  assenza
di nuovi (e sopravvenuti) presupposti straordinari di  necessita'  ed
urgenza, il contenuto normativo di un decreto-legge che  abbia  perso
efficacia a seguito della mancata conversione», dall'altro lato,  ha,
tuttavia, riconosciuto che il vizio da reiterazione  «puo'  ritenersi
sanato quando le Camere, attraverso la legge  di  conversione  (o  di
sanatoria), abbiano assunto come propri i  contenuti  o  gli  effetti
della  disciplina  adottata  dal  Governo  in  sede  di  decretazione
d'urgenza». 
    Il contrasto interpretativo venuto cosi' a delinearsi, in seguito
alla  sentenza  n.  360  del   1996,   in   ordine   alla   questione
dell'efficacia sanante da riconoscere alla legge di  conversione  del
decreto-legge, e' stato negli anni immediatamente successivi composto
dalla Corte costituzionale attraverso  la  distinzione  tra  il  c.d.
vizio di reiterazione ed il  vizio  di  carenza  dei  presupposti  di
necessita' e di urgenza. 
    In particolare, la sentenza n. 398 del 1998 - esplicitando alcuni
obiter dicta gia' contenuti in precedenti decisioni  (cfr.  ordd.  n.
432 del 1996 e n. 90 del 1997 e  n.  194  del  1998)  -  ha  distinto
espressamente tra la censura per carenza dei presupposti  (che  viene
esaminata pur trattandosi di decreti-legge convertiti) e  quella  per
vizio da reiterazione (che viene invece rigettata proprio in quanto i
decreti-legge in questione sono stati convertiti). 
    Con riferimento al vizio dei presupposti, la Corte costituzionale
ne   ribadisce   la   rilevabilita'   in   sede   di   giudizio    di
costituzionalita', a prescindere dalla conversione, solo nei casi  di
«evidente mancanza», cioe' quando «essa  appaia  chiara  e  manifesta
perche' solo in questo caso il sindacato di legittimita' della  Corte
non rischia di sovrapporsi alla valutazione di opportunita'  politica
riservata al Parlamento». 
    Tale distinzione, ai fini della trasmissibilita'  alla  legge  di
conversione, tra vizio di reiterazione e carenza dei  presupposti  ha
trovato anche l'avallo di una  parte  della  dottrina,  la  quale  ha
osservato come  il  primo  sia  meno  «grave»  riguardando  solo  una
modalita' di esercizio  di  un  potere  legittimamente  attivato;  il
secondo molto di piu', attagliandosi ad una vera e propria carenza di
potere, non potendosi neanche attivare il potere di cui  all'art.  77
Cost. in assenza dei presupposti. 
    Alla sentenza n. 398 del 1998, tuttavia, hanno fatto seguito  una
serie di pronunce che hanno ora negato e ora ammesso la  possibilita'
del controllo dei presupposti del decreto-legge dopo  la  conversione
in legge, facendo nuovamente riemergere il classico  argomento  della
efficacia sanante della conversione (cfr. sentenza n. 419  del  2000;
n. 376 del 2001; e n. 16 e 29 del 2002). 
    Poi questa fase  di  incertezza  e'  stata  nuovamente  superata,
riaffermandosi la  possibilita'  del  sindacato  sui  presupposti  di
necessita' e urgenza del decreto-legge - esercitabile pero' solo  nei
limiti della loro «evidente mancanza» - anche dopo la conversione  in
legge (cfr. sentenza n. 341 del 2003; nn. 6 e 178, 196, 285 e 299 del
2004; nn. 2, 62 e 272 del 2005), fino ad arrivare  alla  sentenza  n.
171 del 2007, che, per la prima volta, ha dichiarato fondata  (e  non
solamente ammissibile)  la  questione  di  incostituzionalita'  della
legge di conversione per  la  carenza  evidente  dei  presupposti  di
necessita'  e  urgenza  rispetto   all'adozione   del   decreto-legge
convertito. 
    Nella sentenza n. 171 del 2007, la Corte ha ribadito  chiaramente
che la conversione non sana i vizi propri del decreto. 
    Ricordate le oscillazioni sul punto, il giudice costituzionale ha
ritenuto  di  aderire  all'orientamento  contrario  a   quello   piu'
risalente, per due ordini di ragioni: a) innanzitutto  in  quanto  il
corretto assetto dell'impianto delle fonti «e' anche funzionale  alla
tutela dei diritti  e  caratterizza  la  configurazione  del  sistema
costituzionale  nel  suo  complesso.  Affermare  che  la   legge   di
conversione sana in ogni caso  i  vizi  del  decreto  significherebbe
attribuire in concreto al legislatore ordinario il potere di alterare
il riparto costituzionale  delle  competenze  del  Parlamento  e  del
Governo quanto alla produzione delle fonti primarie»; b)  in  secondo
luogo per il particolare legame tra decreto e legge  di  conversione,
per cui in sede di conversione «Il Parlamento si trova a compiere  le
proprie valutazioni e a deliberare con  riguardo  ad  una  situazione
modificata da norme poste da un organo cui di regola, quale  titolare
del  potere  esecutivo,  non  spetta  emanare   disposizioni   aventi
efficacia di legge» (§ 5 del «Considerato in diritto»). 
    L'orientamento del giudice  costituzionale,  teso  a  controllare
direttamente i presupposti del decreto-legge nonostante  l'intervento
della legge di conversione, e' stato ribadito nelle sentenze  n.  128
del 2008 e n. 222  del  2013,  che  pure  hanno  ritenuto  (non  solo
ammissibile ma anche) fondata la questione dell'evidente mancanza dei
presupposti di cui all'art. 77, comma 2, Cost.. 
    Negli ultimi anni, un ulteriore rafforzamento  del  sindacato  di
costituzionalita' esercitabile sulla  legge  di  conversione,  si  e'
avuto con le sentenze n. 22 del 2012 e n. 32  del  2014,  in  cui  la
Corte, pur senza occuparsi direttamente della carenza dei presupposti
di   necessita'   e   di   urgenza,   ha   circoscritto   i    limiti
dell'emendabilita'  del  decreto-legge  in   sede   di   conversione,
dichiarando  l'illegittimita'   costituzionale   delle   c.d.   norme
eterogenee  (prive  di  qualsivoglia  legame   con   la   ratio   del
decreto-legge  originario  e,  quindi,  con   i   suoi   presupposti)
introdotte in sede di conversione. 
    Secondo la Corte costituzionale, invero, «l'innesto nell'iter  di
conversione  dell'ordinaria  funzione  legislativa  puo'   certamente
essere effettuato, per ragioni di economia procedimentale, a patto di
non spezzare il legame essenziale tra decretazione d'urgenza e potere
di  conversione;  se»  pero'  «tale  legame  viene   interrotto,   la
violazione dell'art. 77, comma 2, Cost., non  deriva  dalla  mancanza
dei presupposti di necessita'  e  urgenza  per  le  norme  eterogenee
aggiunte,   che,   proprio   per   essere   estranee    e    inserite
successivamente, non possono collegarsi a tali condizioni preliminari
(sentenza n. 355 del 2010), ma per  l'uso  improprio,  da  parte  del
Parlamento, di un potere che la  Costituzione  gli  attribuisce,  con
speciali modalita' di procedura, allo scopo tipico di  convertire,  o
non, in legge un decreto-legge» (§ 4.2  del  Considerato  in  diritto
della sentenza n. 22 del 2012). 
    Alla luce  del  quadro  giurisprudenziale  appena  delineato,  la
questione di costituzionalita' dell'art. 1 del decreto-legge n. 3 del
2015 per la violazione dell'art. 77, comma  2,  Cost.,  in  relazione
alla carenza dei presupposti di necessita' e di  urgenza  non  appare
manifestamente infondata. 
    Si premette che, ad avviso di questo Collegio,  potrebbe  tuttora
ritenersi meritevole di positiva considerazione (se  non  addirittura
preferibile) la  tesi  (in  diverse  occasioni,  come  si  e'  visto,
accolta, specie in passato, dalla Corte costituzionale)  secondo  cui
la conversione in legge da parte del Parlamento  abbia  l'effetto  di
sanare - sia pure  solo  ex  nunc,  e  non  gia'  ex  tunc  (profilo,
quest'ultimo, forse non  del  tutto  compiutamente  sviscerato  dalla
citata  giurisprudenza  della  Corte  costituzionale)  -  l'eventuale
assenza dei presupposti per la decretazione d'urgenza. 
    Cio' essenzialmente in  quanto,  a  partire  dalla  promulgazione
della legge di conversione (ma non  prima  di  essa),  la  normazione
decretale potrebbe considerarsi recepita ad  ogni  effetto  dalla  (o
nella) legge di conversione che, sebbene soggetta a  un  piu'  veloce
iter di approvazione da parte del Parlamento, sembra essere  comunque
fonte primaria completamente imputabile a tale Organo costituzionale,
che costituisce il principale centro di  esercizio  della  Sovranita'
popolare di cui all'art. 1 Cost.. 
    Cio' sembrerebbe valere quantomeno  in  quei  casi,  come  quello
oggetto del presente giudizio, in cui la riserva  di  legge  prevista
dalla Costituzione richiede solo la legge in senso sostanziale e  non
esige anche (come invece, secondo parte della dottrina, accadrebbe in
altre materie,  ad  esempio  in  quella  penale)  che  la  legge  sia
approvata    attraverso     un     procedimento     di     formazione
«ordinario-parlamentare», in  grado  cioe'  di  offrire  le  maggiori
garanzie, legate  essenzialmente  alle  piu'  ampia  possibilita'  di
confronto dialettico tra maggioranza e minoranza, che  risultano,  al
contrario,  in  qualche  misura  potenzialmente   compromesse   dalla
procedura,  «speciale»  e  contingentata  nei  tempi,  prevista   per
l'approvazione della legge di conversione del decreto-legge. 
    Al contrario, nei casi in cui la Costituzione non da'  rilevanza,
nemmeno implicitamente,  al  modo  in  cui  la  legge  si  forma,  la
circostanza che essa  sia  approvata  utilizzando  impropriamente  la
speciale procedura prevista per  la  conversione  del  decreto-legge,
sembrerebbe  -  sempre  ad  avviso  di  questo  Collegio  -   perdere
pressoche' ogni rilievo nel momento  stesso  in  cui  il  Parlamento,
nell'esercizio della sua sovranita', fa proprio, sia pure  in  questo
caso soltanto con efficacia ex nunc, l'atto avente forza di legge che
era  stato  adottato  dal  Governo  in  assenza  dei  presupposti  di
necessita' ed urgenza. 
    La tesi dell'efficacia  sanante  con  effetto  ex  nunc  -  ferma
restando percio' l'originaria illegittimita' della previsione  recata
dal decreto-legge per tutto il periodo di sua vigenza anteriore  alla
conversione  in  legge  -  toglierebbe   peraltro   ogni   perdurante
rilevanza, nel caso in esame, alla  questione  di  costituzionalita',
che pur si potrebbe formalmente porre con riguardo al solo periodo di
vigenza  del  decreto  anteriore  all'approvazione  della  legge   di
conversione, atteso che nel caso di specie i provvedimenti  impugnati
si collocano in un ambito temporale successivo  alla  conversione  in
legge del decreto n. 3 del 2015 (conversione avvenuta con la legge 24
marzo 2015,  n.  33);  sicche'  e'  evidente  che  la  lesione  degli
interessi dei ricorrenti  si  sia  verificata  interamente  in  epoca
successiva a tale conversione. 
    Nondimeno - giacche'  non  spetta  certamente  a  questo  Giudice
remittente sovrapporre la propria visione  culturale  e  dogmatica  a
quella difforme che si  e'  visto  essere  stata  espressa  in  varie
occasioni anche  assai  recenti  (sebbene  non  sempre)  dalla  Corte
costituzionale - si deve necessariamente convenire che  la  questione
di legittimita' costituzionale di cui si  sta  adesso  trattando  non
possa dichiararsi manifestamente infondata. 
    E cio' anche  perche',  nella  specie,  sembrerebbero  sussistere
adeguati  indicatori  da  cui  potrebbe   evincersi   la   «manifesta
insussistenza» dei presupposti di necessita' e urgenza della  riforma
di cui trattasi,  avuto  il  debito  riguardo  alle  modalita'  anche
temporali con cui essa e' stata introdotta e portata a regime. 
    Non puo' infatti pretermettersi di considerare che i  presupposti
di necessita' e di urgenza appaiono in particolare contraddetti dalla
circostanza  che  il  decreto  introduce  norme  in  gran  parte  non
auto-applicative,  che   richiedono   ulteriori   misura   attuative,
demandate  nella  specie  alla  Banca  d'Italia,  per   la   concreta
determinazione  del  proprio  contenuto  precettivo.  E,  sotto  tale
profilo, ben piu' di  un  significativo  indizio  della  carenza  dei
citati presupposti e' fornito dallo  stesso  art.  1,  comma  2,  del
decreto-legge n. 3 del 2015, il quale prevede, appunto, che: «In sede
di prima  applicazione  del  presente  decreto,  le  banche  popolari
autorizzate al momento dell'entrata in vigore del presente decreto si
adeguano a quanto stabilito ai sensi  dell'art.  29,  commi  2-bis  e
2-ter, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385,  introdotti
dal presente articolo, entro 18 mesi dalla data di entrata in  vigore
delle disposizioni di attuazione  emanate  dalla  Banca  d'Italia  ai
sensi del medesimo art. 29». 
    Non si puo' sotto tale profilo non evocare la previsione generale
di cui all'art. 15, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400,  per
la  quale  il  decreto-legge  deve  contenere  «misure  di  immediata
applicazione»,  che,  pur  non  avendo  sul   piano   formale   rango
costituzionale,  esprime  ed  esplicita  cio'  che   deve   ritenersi
intrinseco alla natura stessa del decreto-legge  (in  questi  termini
cfr. Corte costituzionale 22/2012 e n. 220/2013). 
    Ne' la Relazione illustrativa vale a  fugare  i  dubbi  circa  la
evidente mancanza dei  presupposti  di  straordinaria  necessita'  ed
urgenza. 
    In base alla Relazione illustrativa, l'importanza di  intervenire
con urgenza si  fonderebbe  «sui  reiterati  interventi  al  riguardo
svolti dal Fondo monetario internazionale, dalla Commissione  europea
e dalla Banca d'Italia, i quali hanno piu' volte segnalato  i  rischi
che il mantenimento della forma cooperativa determina per  le  banche
popolari maggiori: scarsa partecipazione dei soci in  assemblea  (che
mina la democrazia azionaria e determina una concentrazione di potere
in favore  di  gruppi  di  soci  organizzati);  scarsi  incentivi  al
controllo  costante  sugli  amministratori  (che  si   traducono   in
situazioni di autoreferenzialita' della  dirigenza);  difficolta'  di
reperire nuovo capitale sul  mercato  e,  quindi,  di  assicurare  la
sussistenza dei fondi che potrebbero essere necessari per esigenze di
rafforzamento  patrimoniale».  Si  richiamano,  in   particolare,   i
risultati delle analisi effettuate dal Fondo monetario internazionale
in  occasione  del  Financial  Sector  AssessmentProgram   e   quelli
dell'esercizio di valutazione approfondita condotto dalla BCE i quali
mostrano che la  solidita'  delle  banche  dipende  ampiamente  dalla
qualita' del Governo societario. 
    Osserva,  tuttavia,  il  Collegio  come  i  rischi  richiamati  a
fondamento dell'urgenza appaiono, allo stato, non attuali e concreti,
ma meramente potenziali. 
    Non risultano, infatti - e,  comunque,  non  sono  specificamente
allegate o richiamate - concrete contingenze tali da rendere  attuale
ed imminente il pericolo che le  banche  popolari  interessate  dalla
riforma  si   trovassero,   nella   contingenza,   concretamente   ed
immediatamente esposte ai suddetti pericoli. 
    Nel  dettaglio,  ripercorrendo  le  motivazioni  della  Relazione
illustrativa, non risulta che vi siano attualmente (rectius:  che  vi
fossero  all'atto  dell'emanazione   del   decreto-legge)   gravi   e
straordinarie situazioni di concentrazione di potere in capo a gruppi
organizzati di soci,  ne'  forme  allarmanti  di  autoreferenzialita'
della dirigenza, ne'  straordinarie  difficolta'  patrimoniali  o  di
reperimento di capitale. 
    Non sembra, in altri  termini,  che  le  ragioni  richiamate  per
giustificare l'utilizzo dello  strumento  del  decreto-legge  trovino
(rectius: trovassero) riscontro concreto in circostanze straordinarie
tali da giustificare l'urgenza dell'intervento normativo. 
    La sussistenza dell'urgenza  risulta,  del  resto,  ulteriormente
smentita dalla considerazione che la materia disciplinata dall'art. 1
del decreto-legge n. 3 del 2015 (la riforma strutturale delle  banche
popolari) e' da lungo tempo al centro di un ampio dibattitto  che  ha
visto intervenire anche le Istituzioni dell'Unione europea ed  alcune
Organizzazioni internazionali (F.M.I. e O.C.S.E.). 
    Si tratta, quindi, di un intervento normativo che,  similmente  a
quanto accaduto in altri casi  in  cui  la  Corte  costituzionale  ha
ritenuto sussistente la  violazione  dell'art.  77,  comma  2,  Cost.
(cfr., in particolare, Corte costituzionale n.  220  del  2013),  da'
vita ad una riforma sistematica ed ordinamentale (in questo  caso  la
trasformazione radicale dell'intero sistema delle  banche  popolari),
intervenendo su un tema su cui da tempo e' aperto un ampio dibattito,
nelle sedi politiche  e  dottrinali,  e  che  non  nasce,  nella  sua
interezza e complessita', da un «caso straordinario di  necessita'  e
d'urgenza». 
    Non valgono, quindi, a  superare  i  dubbi  di  costituzionalita'
relativi  alla  carenza  (che  nel  caso  di  specie  puo'  ritenersi
evidente) dei presupposti di straordinaria necessita'  e  urgenza  le
pur   richiamate   esigenze   di   tutela   della   concorrenza,   di
consolidamento patrimoniale  delle  banche  e  di  finanziamento  del
sistema economico, perche' il  decreto-legge,  come  affermato  dalla
Corte costituzionale, come strumento non e'  adeguato  «a  realizzare
una riforma organica  e  di  sistema,  che  non  solo  trova  le  sue
motivazioni in  esigenze  manifestatesi  da  non  breve  periodo,  ma
richiede processi attuativi necessariamente protratti nel tempo, tali
da poter rendere indispensabili sospensioni di  efficacia,  rinvii  e
sistematizzazioni   progressive,   che   mal   si   conciliano    con
l'immediatezza di effetti connaturata al  decreto-legge,  secondo  il
disegno costituzionale» (Corte cost. n. 220 del 2013). 
    Per concludere sul punto, il Collegio - pur opinando che potrebbe
essere sopravvenuta una sanatoria, sebbene con effetti solo ex  nunc,
dell'originaria carenza dei presupposti legittimanti la  decretazione
d'urgenza ex art. 77 Cost. per effetto della legge di conversione del
decreto - ritiene, comunque,  di  dover  sollevare  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 1 del decreto-legge  n.  3/2015
per originario (e manifesto)  difetto  dei  presupposti  ex  art.  77
Cost.; ovvero, secondo altra prospettazione dogmatica, della relativa
legge di conversione n. 33/2015, per avere quest'ultima convertito in
legge il predetto  decreto  pur  nell'evidente  difetto  dei  prefati
presupposti essenziali: e cio' appunto in  quanto  detti  profili  di
illegittimita' costituzionale non risultano manifestamente infondati,
ove la Corte costituzionale non ritenga di aderire  alla  tesi  della
sanatoria  sopravvenuta  (pur  se  solo  ex  nunc)  di  cui  si  gia'
ampiamente detto. 
    E' di piena evidenza come tale questione, ove giudicata  fondata,
sarebbe,  invero,   di   per   se'   dirimente,   nel   giudizio   di
costituzionalita', in quanto il suo  eventuale  accoglimento  avrebbe
l'effetto di assorbire le ulteriori  questioni  di  legittimita'  sul
«merito» della legge, che verranno sollevate infra. 
    25.  Risulta  invece  manifestamente  infondato  il   dubbio   di
costituzionalita'  che  attiene  alla  scelta  del   legislatore   di
prevedere l'incompatibilita', per le  banche  popolari,  della  forma
della societa' cooperativa in caso di superamento  del  limite  degli
otto miliardi di euro di attivo (con conseguente obbligo, in caso  di
superamento,  di  optare  per  una  tra  le   seguenti   alternative:
trasformazione in societa' per azioni; liquidazione  della  societa';
riduzione dell'attivo al di sotto degli otto miliardi di euro). 
    L'individuazione  delle   forme   giuridiche   nelle   quali   un
ordinamento ritiene che  vada  necessariamente  esercitata  l'impresa
bancaria rientra, infatti, nella  discrezionalita'  del  legislatore,
insindacabile in sede di legittimita', se non a fronte di profili  di
macroscopica irragionevolezza, indizianti di  un  eccesso  di  potere
legislativo: profili che nella specie, tuttavia, non si ravvisano. 
    26. Discorso assolutamente analogo vale per la soglia degli  otto
miliardi di euro, la fissazione della quale, sebbene  inferiore  alla
soglia dei trenta miliardi  utilizzata  ad  altri  fini  dal  diritto
dell'Unione europea (tale e' il criterio utilizzato per  identificare
le banche «significative» assoggettate  alla  vigilanza  della  Banca
centrale europea nell'ambito  del  Meccanismo  di  Vigilanza  Unico),
rientra nella discrezionalita' del legislatore e non presenta profili
di manifesta irragionevolezza. 
    27. Il Collegio - nei limiti di quanto in  questa  sede  devoluto
alla propria competenza, e dunque senza voler incidere in alcun  modo
sulle  gia'  pendenti  questioni   di   legittimita'   costituzionale
sollevate in via principale dalla Regione Lombardia, di cui si  dira'
oltre  -  ritiene  manifestamente  infondati   anche   i   dubbi   di
legittimita' costituzionali volti a lamentare, sotto diversi profili,
la lesione della competenze legislative regionali (segnatamente della
potesta' legislativa regionale concorrente in materia  di  «casse  di
risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale» di
cui all'art. 117, comma 3, Cost.). 
    Il dubbio di costituzionalita'  sembra  manifestamente  infondato
per la duplice  considerazione  che  nessuna  delle  banche  popolari
interessate dalle disposizioni legislativa in oggetto  risulta  avere
carattere regionale (trattandosi di banche che  operano  sul  mercato
nazionale e internazionale); e  che,  comunque,  in  questa  materia,
l'intervento legislativo statale trova  il  suo  titolo  legittimante
nell'art. 117, comma 2, Cost., che riserva allo Stato le materie  sia
dell'ordinamento civile (lett. l),  sia  della  «moneta,  tutela  del
risparmio e mercati finanziari» (lett. 3). 
    Su questo specifico punto, comunque, la rilevanza della questione
e',  di  fatto,  interamente  assorbita  dalla  circostanza  che  una
questione di costituzionalita' dell'art. 1 decreto-legge  24  gennaio
2015, n. 3, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2015,
n. 33, per violazione delle  competenze  legislative  regionali  gia'
pende innanzi alla Corte costituzionale in seguito al ricorso in  via
principale  proposto  dalla  Regione  Lombardia  (ricorso  depositato
presso la cancelleria della Corte costituzionale il 29 maggio 2015, e
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica  italiana,  1ª
Serie speciale - Corte costituzionale, n. 25  del  15  luglio  2015):
sicche' la Corte costituzionale risulta essere stata  gia'  investita
della questione. 
    28.  Non  sono,  invece,  manifestamente  infondati  i  dubbi  di
legittimita'  costituzionale  riguardanti  alcuni  aspetti  specifici
della disciplina avente ad oggetto il diritto al rimborso  del  socio
in caso di recesso conseguente alla  delibera  di  trasformazione  in
societa' per azioni adottata dalla banca popolare. 
    Come si e' gia' evidenziato nella succitata ordinanza cautelare 2
dicembre 2015,  n.  5383,  i  dubbi  di  legittimita'  costituzionale
riguardano l'art. dell'art. 1 del decreto-legge 24 gennaio  2015,  n.
3, convertito con modificazioni dalla legge 24  marzo  2015,  n.  33,
nella parte in cui: 
    a) prevede che, disposta dall'assemblea della banca  popolare  la
trasformazione in societa' per azioni  secondo  quanto  previsto  dal
nuovo testo dell'art. 29, comma 2-ter,  del  decreto  legislativo  1°
settembre 1993, n. 385, il diritto al rimborso delle azioni al  socio
che a fronte di tale trasformazioni eserciti il recesso sia  limitato
(con la possibilita', quindi, di escluderlo tout court), e  non  solo
differito entro limiti temporali predeterminati per legge; 
    b)  comunque,  attribuisce  alla  Banca  d'Italia  il  potere  di
disciplinare le modalita' di tale esclusione «anche in deroga a norme
di legge», con conseguente attribuzione all'Istituto di vigilanza  di
un potere di delegificazione «in bianco», senza la previa e  puntuale
indicazione, da parte del legislatore, delle  norme  legislative  che
possono essere derogate. 
    29. Sotto il primo profilo, la prevista possibilita' di escludere
il diritto al rimborso in tutto o  in  parte,  ovvero  di  differirlo
senza limiti di tempo, sembra porsi in contrasto con gli articoli  41
e 42 Cost. (nella parte in cui, rispettivamente, tutelano la liberta'
di iniziativa economica  e  la  proprieta'  privata,  prevedendo  che
quest'ultima possa essere espropriata, nei casi preveduti dalla legge
e salvo indennizzo, per motivi di interesse  generale),  nonche'  con
l'art. 117, comma 1, Cost., in relazione all'art.  1  del  Protocollo
addizionale n. 1 alla Convenzione europea per la tutela  dei  diritti
dell'uomo. 
    30.   E'   opportuno   muovere   proprio    dalla    disposizione
sovranazionale (il citato art. 1  del  Protocollo  Addizionale  n.  1
della CEDU), richiamato come parametro di costituzionalita' dall'art.
117, comma 1, Cost. (cfr. Corte costituzionale n. 348 e  n.  349  del
2007; Corte costituzionale n. 311 del 2009, n. 303 del 2011). 
    La  delimitazione  dell'ambito  di   tutela   riconosciuta   alla
«proprieta'»  dalla  Convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali  offre,  infatti,
criteri interpretativi utili per delimitare la tutela  che  i  citati
articoli 41 e  42  della  Costituzione  a  loro  volta  offrono  alla
liberta' di iniziativa economica e alla proprieta' privata. 
    L'art. 1, primo paragrafo,  del  Protocollo  n.  1,  testualmente
dispone: «Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto  dei
suoi beni. Nessuno puo' essere privato della sua  proprieta'  se  non
per causa di utilita' pubblica  e  nelle  condizioni  previste  dalla
legge e  dai  principi  generali  del  diritto  internazionale.  Ogni
persona fisica o giuridica ha diritto  al  rispetto  dei  suoi  beni.
Nessuno puo' essere privato della sua proprieta' se non per causa  di
utilita' pubblica e nelle  condizioni  previste  dalla  legge  e  dai
principi generali del diritto internazionale». 
    31. Va ricordato che nella giurisprudenza della Corte europea dei
diritti dell'uomo la nozione  di  proprieta'  ha  assunto  portata  e
significato autonomi rispetto agli ordinamenti giuridici dei  singoli
Stati contraenti, con  la  conseguenza  che  e'  irrilevante  che  il
richiedente sia o meno titolare di un diritto di  proprieta'  secondo
l'ordinamento interno; ai  fini  dell'invocazione  della  tutela  e',
infatti, sufficiente che il soggetto richiedente sia titolare  di  un
qualsiasi diritto, ovvero anche di un mero interesse, purche'  avente
valenza patrimoniale 
    La Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo,  in  particolare,  ha
ripetutamente affermato che non le compete definire la  questione  se
ci sia o meno un diritto di  proprieta'  al  livello  di  ordinamento
interno, in quanto la nozione di «biens» (in  inglese  «possessions»)
di cui all'art. 1 del Protocollo n. 1 ha una portata autonoma  (Matos
e Silva Lda et autres c. Portugal, 16 settembre 1996, § 75). Inoltre,
nella decisione Gasus Dosier - und Fordertechnik GmbH c. Pays-Bas, 23
febbraio 1995, § 53,  la  Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo  ha
precisato che la nozione autonoma di bene fa  si'  che  essa  non  si
limiti alla  proprieta'  dei  beni  corporali,  perche'  anche  altri
diritti  e  interessi  aventi  valore  patrimoniale  possono   essere
considerati «diritti di proprieta'» e dunque «biens»  ai  fini  della
citata disposizione (nello stesso senso, Brosset-Triboulet c. France,
n. 34078/02, 28 marzo 2010). 
    Il criterio utilizzato per delimitare il  campo  di  applicazione
dell'art. 1 del Protocollo addizionale e', dunque, quello del «valore
patrimoniale», senza che assuma rilevanza la qualificazione «interna»
della pretesa patrimoniale in termini di proprieta',  diritto  reale,
diritto di  credito  o  mero  interesse  patrimoniale  giuridicamente
rilevante. 
    Pertanto,  in  assenza  di  una  espressa  definizione,  in  seno
all'art. 1 Protocollo n. 1, dei limiti di applicazione  della  tutela
ivi prevista, ma in conformita' con  l'interpretazione  autonoma  del
concetto di «bene», nell'ambito del quale viene incluso,  come  sopra
ricordato, tutto cio' che abbia un valore economicamente  valutabile,
la Corte ha nel tempo sempre piu' esteso  il  campo  di  applicazione
della disposizione, ricomprendendovi non solo la proprieta'  di  beni
mobili ed immobili ed i diritti reali, ma anche, tra  gli  altri:  la
proprieta' intellettuale (Smith Kline and French Laboratories LTd  c.
Paesi Bassi, n. 12633/87, 4 ottobre 1990,  §  70);  il  diritto  alla
sfruttamento di una concessione amministrativa (Fredin c. Svezia,  n.
12033/86, 18 febbraio 1991); i  diritti  di  credito  (Tre  Traktorer
Aktiebolag c. Svezia, 7 luglio 1989; Raffinieries Grecques  Strane  t
Stratis Andreadis c. Grecia, n. 13427/87,  9  dicembre  1994,  §  61,
Kotov c. Russia, n. 54522/00, 3 aprile 2012; De Luca  c.  Italia,  n.
43870/04, 24 settembre 2013); i diritti ereditari (Inze  c.  Austria,
8695/79, 28 ottobre 1987); l'avviamento commerciale e la clientela di
uno studio professionale (Van Marle e altri c. Paesi Bassi, ricc.  n.
8543/79, 8674/79, 8675/79 e 8685/79, 26 giugno 1986);  i  crediti  da
lavoro, e, per quello che piu' rileva in questa  sede,  le  quote  di
societa' (Sovtransavto Holding c. Ucraina, 48553/99, 25 luglio  2002,
in cui la Corte afferma che «le  partecipazioni  societarie  detenute
dalla  ricorrente  hanno  indubbiamente   un   valore   economico   e
costituiscono "proprieta'", ai sensi dell'art. 1  del  Protocollo  n.
1»). 
    32. Alla luce della giurisprudenza appena richiamata, quindi, non
vi e' dubbio che sia la partecipazione societaria, sia il diritto  al
rimborso della quota rappresentino «beni» ai sensi  dell'art.  1  del
Protocollo n. 1 della Convenzione europea  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. 
    33. Nel caso di  specie,  la  disciplina  legislativa  introdotta
dall'art. 1 del decreto-legge n. 3 del 2015,  prevede,  da  un  lato,
l'obbligo per le banche popolari di trasformazione  in  societa'  per
azioni (in alternativa agli obblighi di liquidazione o di dismissione
di parte delle attivita') in caso di superamento della  soglia  degli
otto miliardi di euro di attivo patrimoniale; e, dall'altro lato,  la
possibilita'  (demandata,   come   si   vedra'   infra,   al   potere
regolamentare della Banca d'Italia, esercitabile  peraltro  anche  in
deroga alle norme di legge) di escludere in tutto o in  parte,  o  di
rinviare  senza  limiti  di  tempo  e   senza   alcun   corrispettivo
compensatorio, il diritto al rimborso del socio che,  in  conseguenza
di tale trasformazione, abbia esercitato il diritto al recesso. 
    Il  risultato  finale  derivante  da  tale  duplice  e  congiunta
previsione   solleva,   a   giudizio   del   Collegio,   dubbi   (non
manifestamente infondati) di legittimita' costituzionale  proprio  in
relazione al rispetto del citato art. 1, del Protocollo n.  1,  oltre
che in relazione agli articoli 41 e 42 Cost. 
    Per un verso, infatti, la trasformazione in societa'  per  azioni
(deliberata  dall'assemblea  dei  soci:  ma  in  una  situazione   di
sostanziale semi-vincolativita' normativa) modifica sensibilmente  in
senso riduttivo i diritti «amministrativi» del socio (basti  pensare,
ad esempio, gia' solo al fatto che viene  meno  la  regola  del  voto
capitario). 
    Per altro verso, la limitazione totale o parziale del diritto  al
rimborso incide sui diritti  patrimoniali  del  socio,  ponendolo  di
fronte ad  un'alternativa  tra  due  opzioni  entrambe  penalizzanti:
accettare il nuovo status di socio «ridimensionato» per effetto della
deliberata trasformazione in societa' per  azioni,  ovvero  recedere;
con il concretissimo rischio pero' di perdere, in tutto o  in  parte,
la quota versata e subendo cosi' una  definita  perdita  patrimoniale
(senza alcun corrispettivo o indennita'). 
    Il  duplice  contestuale  effetto   derivante   dall'obbligo   di
trasformazione  (alternativo  alla  liquidazione  o  alla   riduzione
dell'attivo) previsto in capo alla banca popolare e  dalla  possibile
esclusione, totale o parziale, del diritto al rimborso da' cosi' vita
ad un meccanismo che, complessivamente considerato, presenta  profili
di contrasto con la  tutela  garantita  dall'art.  1  del  Protocollo
addizionale n. 1; nonche', sul piano  costituzionale  interno,  anche
dagli articoli 41 e 42 della Costituzione. 
    L'esclusione  del  diritto  al  rimborso  in  caso   di   recesso
conseguente alla trasformazione finisce, invero, per tradursi in  una
sorta   di   esproprio   senza   indennizzo   (o    con    indennizzo
ingiustificatamente ridotto) della quota societaria. 
    La trasformazione (imposta dal  legislatore  al  di  sopra  della
soglia degli otto miliardi di euro di attivo patrimoniale,  sia  pure
con  la  previsione  di  obblighi  alternativi  in  capo  alla  banca
popolare)  modifica  in  senso  peggiorativo   il   contenuto   della
partecipazione sociale e, quindi, alla luce della nozione sostanziale
di proprieta' di cui prima si  e'  detto,  riduce  il  contenuto  del
diritto di proprieta' spettante al socio. 
    Il socio, tuttavia, non ha la garanzia di  ottenere  il  rimborso
della quota, nel caso cui ritenga di rinunciare, con il recesso, alla
diversa  e  diminuita   «forma   di   proprieta'»   derivante   dalla
trasformazione (imposta ex lege) della  banca  popolare  da  societa'
cooperativa in societa' per azioni. 
    In base alla norma censurata,  pertanto,  il  socio  puo'  essere
privato di un «bene» che  gli  appartiene  (lo  status  di  socio  di
societa'  cooperativa,  con  i  connessi  diritti),  senza  avere  la
garanzia  del  diritto  al   rimborso   (e,   quindi,   in   sostanza
all'indennizzo)  nel  caso  in  cui  legittimamente  ritenga  di  non
accettare il diverso «bene» (lo  status  di  socio  in  societa'  per
azioni) che deriva dalla trasformazione. 
    34. Non vale a fugare i dubbi di legittimita'  costituzionale  la
considerazione  secondo  cui  l'esclusione  del  diritto  al  recesso
troverebbe  una  giustificazione   nell'esigenza   di   tutelare   un
contrapposto  interesse  pubblico   di   rilievo   costituzionale   e
comunitario, quale e'  quello  rappresentato,  per  usare  la  stessa
formula utilizzata dal legislatore, dalla necessita' di assicurare la
«computabilita'  delle  azioni  nel  patrimonio  di  vigilanza  delle
banche». 
    Sotto tale profilo, la Banca d'Italia nelle sue difese  evidenzia
che la riforma limita il diritto al rimborso in caso di recesso  solo
nel caso in cui cio' sia necessario a trattenere fondi nel patrimonio
della societa' per  non  violare  la  disciplina  prudenziale  e,  in
particolare, per non intaccare  il  capitale  di  qualita'  primaria,
cosi' da pregiudicare la sana e prudente gestione della banca. 
    35. L'obiezione, tuttavia, non coglie pienamente nel segno,  alla
luce delle seguenti considerazioni. 
    E' vero che nel caso  oggetto  del  presente  giudizio  viene  in
rilievo un conflitto tra opposti interessi aventi entrambi  rilevanza
costituzionale: da un  lato,  la  tutela  della  proprieta'  privata,
nell'accezione  ampia  accolta  dalla  Corte  europea   dei   diritti
dell'uomo; dall'altro  l'interesse  generale  alla  sana  e  prudente
gestione dell'impresa bancaria, correlato alla tutela del  credito  e
del risparmio. 
    Ed e', altresi', altrettanto vero che il bilanciamento  tra  tali
opposti  interessi  e'  rimesso,  in   linea   di   principio,   alla
discrezionalita' del legislatore. 
    Nondimeno, nell'operare il bilanciamento, la discrezionalita'  di
cui gode il legislatore incontra il limite del  c.d.  «principio  del
minimo mezzo»: che trova, a sua volta, il proprio fondamento nei piu'
generali principi di ragionevolezza e proporzionalita'. 
    36. Il principio del minimo mezzo esclude che un bene di  rilievo
costituzionale possa essere sacrificato - anche se sull'altare di  un
confliggente  interesse  di   rango   costituzionale,   e   pur   ove
quest'ultimo risulti prevalente - al di la' dei limiti  in  cui  tale
sacrificio sia strettamente  necessario  per  assicurare  un'adeguata
tutela dell'interesse, a sua volta costituzionalmente rilevante,  che
sia ritenuto prevalente nel giudizio di bilanciamento. 
    Si puo', quindi,  convenire  sul  fatto  che  l'esigenza  di  non
intaccare il capitale di qualita' primaria (al fine di assicurare  la
sana  e  prudente  gestione  dell'impresa  bancaria)  giustifichi  un
sacrificio per gli interessi patrimoniali dei soci. 
    Il  profilo  che,  tuttavia,  suscita   dubbi   di   legittimita'
costituzionale  riguarda  proprio  il  rispetto,  in  concreto,   del
principio dei minimo mezzo da parte della disposizione legislativa de
qua: che appare violato nella misura in cui la norma stessa  consente
che il diritto al  rimborso  possa  essere  limitato  (anche  con  la
possibilita', quindi, di  escluderlo  tout  court),  e  non,  invece,
soltanto differito entro limiti temporali  predeterminati  e  con  la
previsione di  un  interesse  corrispettivo  correlato  al  ritardato
rimborso della quota. 
    La previsione legislativa censurata, nella parte in  cui  prevede
l'esclusione del rimborso (o il  suo  differimento  senza  limiti  di
tempo e senza interessi), si fonderebbe sul presupposto che una banca
possa trovarsi in condizioni patrimoniali tali  da  impedirle,  senza
intaccare il c.d. capitale di qualita' primaria, di far fronte, anche
in via  differita  (entro  un  termine  dato  rimesso  alla  prudente
valutazione del legislatore) e con  corresponsione  di  un  interesse
corrispettivo  parametrato  ai   tassi   di   mercato   (e,   quindi,
nell'attuale   contesto   economico,   superiore   allo   zero,    ma
potenzialmente prossimo ad esso), alle richieste di rimborso dei soci
recedenti (in conseguenza della trasformazione). 
    In base alla previsione legislativa qui controversa  tale  banca,
comunque, meriterebbe di continuare ad operare sul mercato,  anche  a
scapito degli interessi patrimoniali dei  soci  recedenti  cui  viene
negato il rimborso (con la possibilita' di utilizzare  una  quota  di
capitale altrui, perche' conferita da ex soci, e quindi  da  soggetti
ormai estranei alla societa'). 
    Tale  ipotesi,  che  in  base  alla  norma   censurata   potrebbe
legittimamente avversarsi, conferma i  sospetti  di  irragionevolezza
della previsione legislativa sotto il profilo  della  violazione  del
principio del minimo mezzo. 
    Invero, il fatto che, anche  in  situazioni  come  quella  appena
descritta,   il   legislatore   consenta   il    sacrificio    totale
dell'interesse patrimoniale dei soci recedenti e' il sintomo di come,
nel bilanciamento degli interessi, la norma sia andata oltre a quanto
strettamente necessario per tutelare l'interesse pubblico alla sana e
prudente gestione dell'attivita' bancaria. 
    Cio' anche in base alla considerazione  che  appare  in  se'  non
rispettosa dei principi della sana e prudente  gestione  un'attivita'
bancaria  svolta  da  un'impresa   che,   come   nell'esempio   sopra
richiamato, non sia ritenuta in grado, neanche nel futuro  (ma  entro
un tempo dato), di ripristinare  il  capitale  di  qualita'  primaria
senza ricorrere alle quote di capitale degli  ex  soci  recedenti  in
conseguenza della trasformazione. 
    37. Ritiene pertanto il Collegio che l'esigenza di assicurare  la
sana  e  prudente  gestione   dell'attivita'   bancaria   non   possa
giustificare la perdita definitiva del diritto  al  rimborso;  bensi'
solo il suo differimento nel tempo (con la previsione di  un  termine
massimo prestabilito, rimessa alla discrezionalita' del  legislatore)
e salva la corresponsione di un interesse corrispettivo. 
    La previsione di un  interesse  corrispettivo  (parametrabile  al
tasso di riferimento della BCE che e' attualmente pari allo 0,00%  e,
quindi, a sua volta potenzialmente anche  prossimo  allo  0,  purche'
comunque positivo) e' anch'essa imposta dalla necessita'  di  evitare
che il sacrificio derivante dal differimento del rimborso della quota
- sebbene intrinsecamente  minore  di  quello  conseguente  alla  sua
limitazione parziale o, a fortiori, totale - risulti del tutto  privo
di  qualsivoglia  compensazione,  determinandosi,  altrimenti,  anche
sotto  tale  profilo,   una   forma   (sebbene   piu'   larvata)   di
espropriazione senza indennizzo. 
    L'art. 1, decreto-legge n. 3 del 2015, anche nella parte  in  cui
non prevede, per il caso di differimento  del  diritto  al  rimborso,
alcuna  forma  di  corresponsione  di  un   interesse   corrispettivo
presenta,    quindi,    profili    sufficientemente    evidenti    di
incostituzionalita'. 
    38. Non vale ad escludere i dubbi di legittimita'  costituzionale
neanche  l'obiezione  secondo  cui  la  previsione  legislativa   che
consente di escludere il diritto al rimborso troverebbe fondamento  e
copertura nelle norme del diritto dell'Unione europea, e segnatamente
nel regolamento delegato UE  n.  241/2014  della  Commissione  del  7
gennaio  2014  (che  integra  il  regolamento  UE  n.  575/2013   del
Parlamento europeo e del Consiglio). 
    La disposizione del Regolamento  che  si  occupa  dei  limiti  al
rimborso degli strumenti di capitale e' l'art. 10, il  quale  prevede
alternativamente la  possibilita'  sia  di  rinviare  il  diritto  al
rimborso sia di escluderlo (in tutto o  in  parte).  In  particolare,
l'art. 10,  paragrafo  2,  dispone  testualmente  che  «La  capacita'
dell'ente di limitare il rimborso conformemente alle disposizioni che
regolano gli strumenti di capitale, di cui all'art. 29, paragrafo  2,
lettera b), e all'art. 78,  paragrafo  3,  del  regolamento  (UE)  n.
575/2013, riguarda sia il diritto di  rinviare  il  rimborso  che  il
diritto di limitare l'importo rimborsabile». 
    Il regolamento UE non prevede, quindi,  l'obbligo  incondizionato
di escludere il diritto  al  rimborso  degli  strumenti  di  capitale
primario di classe 1. 
    Al contrario, l'art. 10 consente sia di escludere, sia (solo)  di
rinviare il diritto al rimborso dei predetti strumenti di capitale. 
    L'esclusione del diritto al rimborso per il  diritto  dell'Unione
non  e',  dunque,  un  obbligo,  ma  una  facolta',   consentita   in
alternativa al differimento temporale. 
    Il riconoscimento da parte del regolamento UE  di  tale  facolta'
non  e'  sufficiente,  tuttavia,  a  dare  una  adeguata   «copertura
comunitaria» alla norma introdotta dall'art. 1 decreto-legge n. 3 del
2015. 
    E' evidente, infatti, che il legislatore nazionale, a  fronte  di
piu' «opzioni» comunitariamente consentite, ha l'obbligo di scegliere
quella che meglio assicuri il rispetto  dei  principi  costituzionali
nazionali. 
    E  si   e'   gia'   visto   (alla   luce   delle   considerazioni
precedentemente svolte) come, in caso  di  recesso  conseguente  alla
trasformazione in societa' per azioni delle banche popolari,  l'unica
soluzione che appare  costituzionalmente  compatibile  -  perche'  in
linea col principio del minimo mezzo - sia  quella  del  differimento
(ad un tempo dato: ossia per un numero massimo  di  mesi  o  di  anni
predeterminato dalla legge) del rimborso, con  corresponsione  di  un
interesse corrispettivo per il ritardo (con tasso  positivo,  sebbene
anche minimo). 
    39. L'art. 1 decreto-legge n. 3 del 2015 presenta ulteriori dubbi
di  legittimita'  costituzionale  altresi'   nella   parte   in   cui
attribuisce  alla  Banca  d'Italia  il  potere  di  disciplinare   le
modalita' dell'esclusione del diritto  al  rimborso,  giacche'  detto
potere viene attribuito «anche in  deroga  a  norme  di  legge»:  con
conseguente attribuzione all'Istituto di vigilanza di  un  potere  di
delegificazione «in bianco», senza la previa e puntuale  indicazione,
da parte del legislatore, delle norme legislative che possano  essere
derogate e, altresi', in ambiti verosimilmente coperti da riserva  di
legge. 
    Nel nostro  ordinamento  il  regolamento  di  delegificazione  e'
espressamente previsto dall'art. 17, comma 2, legge 23  agosto  1988,
n. 400, con attribuzione del relativo potere al Governo. 
    L'art. 17, comma 2, legge n. 400 del 1988,  peraltro,  accompagna
l'attribuzione al Governo  del  potere  di  adottare  regolamenti  di
delegificazione  con  una  serie   di   garanzie,   di   ordine   sia
procedimentale (il parere obbligatorio del Consiglio di Stato e delle
Commissioni parlamentari), sia sostanziale (l'individuazione da parte
della fonte primaria delle norme generali regolatrici della materia),
oltre a ribadire il limite, gia' desumibile dalla  Costituzione,  che
esclude tale tipologia regolamentare in materie  coperte  da  riserva
assoluta di legge. 
    40. Nel caso oggetto del presente giudizio, invece, tali garanzie
risultano mancanti, in quanto il legislatore si limita ad  attribuire
un potere  di  delegificazione  in  bianco,  senza  prevedere  alcuna
modalita' procedimentale,  senza  dettare  alcun  principio  o  norma
regolatrice cui attenersi  nell'adozione  dei  regolamenti,  e  senza
individuare le norme primarie suscettibili di essere abrogate. 
    41. La previsione di un cosi' ampio potere di delegificazione  in
capo alla Banca d'Italia solleva dubbi di legittimita' costituzionale
sotto diversi profili. 
    42. In primo luogo, il dubbio  di  costituzionalita'  investe  in
radice  l'attribuzione  del  potere  di   adottare   regolamenti   di
delegificazione  (con  capacita',  quindi,  di  derogare  alle  norme
legislative) a soggetti diversi dal Governo  e,  per  quel  che  piu'
rileva in questa sede, alla Banca d'Italia,  ovvero  ad  un  soggetto
estraneo al circuito politico dei rapporti Parlamento-Governo,  priva
di    legittimazione    democratica    e,    dunque,    politicamente
irresponsabile:  ossia,  in  ultima  analisi,  ad  un  soggetto   non
riconducibile neppure mediatamente -  come  accade  per  il  Governo,
tramite l'istituto della fiducia parlamentare di cui  deve  godere  -
alla sovranita' popolare,  ex  art.  1,  Cost.,  da  cui  promana  il
fondamento  della  funzione   normativa   generale   nell'ordinamento
giuridico repubblicano. 
    Invero,  le  ragioni  che  vengono  tradizionalmente  invocate  a
sostegno del potere regolamentare  delle  Autorita'  indipendenti  in
generale  e  della  Banca  d'Italia  in  particolare  (la  necessita'
desumibile  dalla  stessa  Costituzione  o  dal  diritto  dell'Unione
europea che la regolazione di determinati mercati sia affidata, anche
per la natura politicamente «sensibile» degli  interessi  pubblici  e
privati  coinvolti,   a   soggetti   politicamente   indipendenti   e
tecnicamente qualificati) non sembrano risultare risolutive nel  caso
di specie. 
    Qui, infatti, il legislatore non si  limita  ad  attribuire  alla
Banca  d'Italia  il  potere  di  regolamentare  materie  tecnicamente
complesse e  specialistiche  che  la  legge  (o  le  fonti  normative
«tipiche») non sono in grado di regolare in maniera  ottimale  o  che
richiedono, per la particolare natura degli interessi  in  gioco,  il
regolatore indipendente. 
    In questo caso, il potere regolamentare  incide  su  materie  (il
diritto al rimborso della quota in caso  di  recesso)  gia'  regolate
dalla legge (dal codice civile in particolare) e, soprattutto,  prive
di quei connotati di particolare tecnicita' o settorialita'  tali  da
giustificare l'intervento del regolatore indipendente. 
    In  quest'ottica,  la  previsione  di  un  cosi'   ampio   potere
delegificante (e, quindi, della possibilita' di dettare regole che si
sostituiscono a quelle previste del legislatore) risulta in contrasto
con le ragioni che normalmente giustificano la previsione  di  poteri
normativi in capo alle Autorita' indipendenti. 
    La delegificazione, infatti, presuppone che la materia sia stata,
prima   dell'intervento   della   fonte   secondaria   delegificante,
disciplinata dalla legge (nel caso  di  specie,  come  si  e'  detto,
principalmente dal codice civile).  La  stessa  preesistenza  di  una
disciplina di rango primario dettata dal legislatore conferma che qui
si e'  al  di  fuori  da  quegli  ambiti  di  mercato,  settoriali  e
tecnicamente complessi,  in  presenza  dei  quali  le  fonti  tipiche
promananti da soggetti democraticamente legittimati  e  politicamente
responsabili (essenzialmente  la  legge  o  gli  atti  normativi  del
Governo) diventano inidonee a dettare la  relativa  regolamentazione,
creando cosi' i presupposti,  anche  di  natura  costituzionale,  per
l'intervento del regolatore indipendente. 
    Risultano,  quindi,  non  manifestamente  infondati  i  dubbi  di
compatibilita' con il sistema  costituzionale  delle  fonti  e  della
rappresentativita' istituzionale (quale desumibile dagli articoli  1,
95 e 97 Cost.) l'affidamento (ancorche' per  legge)  ad  un'autorita'
priva di legittimazione democratica  (nel  senso  di  direttamente  o
indirettamente promanante dalla sovranita' popolare, ex art. 1 Cost.)
del compito di limitare il diritto al rimborso in caso di recesso per
mezzo dell'adozione di un atto atipico e asistematico, abilitato,  in
bianco, a derogare alle norme legislative vigenti. 
    Si   tratta,   peraltro,   di   un   potere   regolamentare    di
delegificazione caratterizzato da un'inedita latitudine,  in  quanto,
come si e' detto, il legislatore  non  detta  alcuna  norma  generale
regolatrice  della  materia  cui   attenersi   nell'esercizio   della
delegificazione e non individua neanche le norme legislative  di  cui
e' consentita l'abrogazione ad opera della fonte regolamentare. 
    43.  I  dubbi  di   costituzionalita'   sono   rafforzati   dalla
considerazione che tale  potere  regolamentare  atipico  con  effetto
delegificante e'  attribuito  in  materie  che  appaiono  coperte  da
riserva di legge ai sensi degli articoli 23 e 42 Cost.. 
    L'esclusione  del  diritto  al  rimborso  che  si  demanda   alla
regolamentazione della Banca d'Italia  si  traduce,  invero,  in  una
prestazione patrimoniale imposta al socio  recedente,  rispetto  alla
quale la riserva di legge prevista dall'art. 23  Cost.  preclude  una
delegificazione regolamentare di cosi' ampia portata. 
    Le considerazioni gia'  svolte  in  merito  all'interferenza  tra
l'esclusione del diritto al rimborso e  la  tutela  della  proprieta'
privata consentono, infine, di richiamare, ad ulteriore supporto  dei
dubbi di costituzionalita', la riserva di legge prevista dall'art. 42
Cost. e dall'art. 1, paragrafo 1, del  Protocollo  addizionale  n.  1
alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e
delle liberta' fondamentali. 
    E' appena il caso di aggiungere che le riserve di legge  previste
dalla  citate  norme  costituzionali   non   sembrerebbero,   invece,
precludere che la legge, previa fissazione  di  un  limite  temporale
predeterminato e  di  un  tasso  di  interesse  indennitario  minimo,
demandi ad una fonte di rango secondario (o  eventualmente  anche  al
potere  regolatorio  della  Banca  d'Italia)  l'individuazione  o  la
specificazione,  sotto  il   profilo   eminentemente   tecnico,   dei
presupposti  economici,  finanziari  o  patrimoniali,   che   possono
concretamente giustificare il differimento del  diritto  al  rimborso
della quota del socio recedente. 
    In presenza, invero, di una disciplina legislativa puntuale,  che
preveda  il  termine  massimo  del  differimento  e  l'interesse   da
corrispondere per il ritardo, la successiva  concreta  individuazione
delle situazioni economiche, finanziarie o patrimoniali  che  rendono
possibile il differimento del  diritto  al  rimborso  si  traduce  in
un'attivita' quasi amministrativa, o al piu'  di  specificazione,  in
chiave meramente tecnica, dei presupposti di legge. 
    44. Alla luce delle considerazioni che precedono appare rilevante
e  non  manifestamente  infondata  la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 1 dell'art. 1 del decreto-legge  24  gennaio
2015,  n.  3  (Misure  urgenti  per  il  sistema   bancario   e   gli
investimenti), convertito con modificazioni in legge 24  marzo  2015,
n. 33 - ovvero direttamente di quest'ultima, nei sensi indicati nella
superiore motivazione - per i seguenti profili: 
    a) per contrasto con l'art. 77, comma 2, Cost., in relazione alla
evidente  carenza  dei  presupposti  di  straordinaria  necessita'  e
urgenza legittimanti il ricorso allo  strumento  decretale  d'urgenza
(ove non ritenuta sanata, seppure soltanto ex nunc,  dalla  legge  di
conversione); 
    b) per contrasto con gli articoli 41, 42 e 117, comma  1,  Cost.,
in  relazione  all'art.  1  del  Protocollo  Addizionale  n.  1  alla
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali, nella  parte  in  cui  prevede  che,  disposta
dall'assemblea della banca popolare la trasformazione in societa' per
azioni secondo quanto previsto dal nuovo testo  dell'art.  29,  comma
2-ter, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, il  diritto
al rimborso delle azioni al socio che a fronte di tale trasformazione
eserciti il recesso possa essere limitato (anche con la possibilita',
quindi, di escluderlo tout court), e non, invece, soltanto  differito
entro limiti temporali predeterminati dalla legge  e  con  previsione
legale di un interesse corrispettivo; 
    c) per contrasto con gli articoli 1, 3, 95, 97, 23  e  42  Cost.,
nella parte in cui, comunque,  attribuisce  alla  Banca  d'Italia  il
potere di disciplinare le modalita' di tale esclusione, nella  misura
in cui detto potere viene attribuito «anche  in  deroga  a  norme  di
legge», con conseguente attribuzione all'Istituto di vigilanza di  un
potere di delegificazione in  bianco,  senza  la  previa  e  puntuale
indicazione, da parte del legislatore, delle  norme  legislative  che
possano essere derogate e, altresi', in ambiti coperti da riserva  di
legge. 
    45. Ai sensi dell'art. 23, secondo comma, della  legge  11  marzo
1953, n. 87, il presente giudizio davanti al Consiglio  di  Stato  e'
sospeso fino alla definizione dell'incidente di costituzionalita'. 
    46. Ai sensi dell'art. 23, quarto comma,  della  legge  11  marzo
1953, n. 87,  la  presente  ordinanza  sara'  comunicata  alle  parti
costituite e notificata al Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
nonche' comunicata ai Presidenti della  Camera  dei  deputati  e  del
Senato della Repubblica. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Il Consiglio di Stato in sede  giurisdizionale  (Sezione  Sesta),
dichiara rilevante e non manifestamente  infondata  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 1 del decreto-legge 24  gennaio
2015,  n.  3  (Misure  urgenti  per  il  sistema   bancario   e   gli
investimenti), convertito con modificazioni in legge 24  marzo  2015,
n. 33 - ovvero direttamente di tale ultima legge  -  per  i  seguenti
profili, per come piu' analiticamente dedotta nella  superiore  parte
motiva: 
    a) per contrasto con l'art. 77, comma 2, Cost. in relazione  alla
evidente  carenza  dei  presupposti  di  straordinaria  necessita'  e
urgenza legittimanti il ricorso allo strumento decretale d'urgenza; 
    b) per contrasto con gli articoli 41, 42 e 117, comma  1,  Cost.,
in  relazione  all'art.  1  del  Protocollo  Addizionale  n.  1  alla
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali, nella  parte  in  cui  prevede  che,  disposta
dall'assemblea della banca popolare la trasformazione in societa' per
azioni secondo quanto previsto dal nuovo testo  dell'art.  29,  comma
2-ter, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, il  diritto
al rimborso delle azioni al socio che a fronte di tale trasformazione
eserciti il recesso possa essere limitato (anche con la possibilita',
quindi, di escluderlo tout court), e non, invece, soltanto  differito
entro limiti temporali predeterminati dalla legge  e  con  previsione
legale di un interesse corrispettivo; 
    c) per contrasto con gli articoli 1, 3, 95, 97, 23  e  42  Cost.,
nella parte in cui, comunque,  attribuisce  alla  Banca  d'Italia  il
potere di disciplinare le modalita' di tale esclusione, nella  misura
in cui detto potere viene attribuito «anche  in  deroga  a  norme  di
legge», con conseguente attribuzione all'Istituto di vigilanza di  un
potere di delegificazione in  bianco,  senza  la  previa  e  puntuale
indicazione, da parte del legislatore, delle  norme  legislative  che
possano essere derogate e, altresi', in ambiti coperti da riserva  di
legge. 
    Dispone la sospensione del presente giudizio davanti al Consiglio
di Stato e ordina alla segreteria l'immediata trasmissione degli atti
alla Corte costituzionale. 
    Ordina che, a cura della segreteria, la  presente  ordinanza  sia
comunicata alle parti  costituite  e  notificata  al  Presidente  del
Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai Presidenti della Camera
dei deputati e del Senato della Repubblica. 
    Cosi' deciso in Roma nella Camera  di  consiglio  del  giorno  1°
dicembre 2016 con l'intervento dei magistrati: 
        Ermanno de Francisco, Presidente; 
        Roberto Giovagnoli, consigliere, estensore; 
        Bernhard Lageder, consigliere; 
        Marco Buricelli, consigliere; 
        Francesco Mele, consigliere. 
 
                     Il Presidente: de Francisco 
 
 
                                              L'estensore: Giovagnoli