N. 618 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 maggio 1997

                                N. 618
  Ordinanza  emessa  il  14  maggio  1997 dal tribunale amministrativo
 regionale per il Piemonte sul ricorso proposto da Bisio Luca ed altri
 contro l'Azienda regionale USL n. 16 ed altro
 Sanita'  pubblica  -  Regione  Piemonte  -  Veterinari dipendenti dal
    servizio   sanitario   pubblico   -   Esercizio    di    attivita'
    libero-professionale   -   Divieto  di  titolarita'  di  strutture
    ambulatoriali  private  nonche'  di   svolgimento   di   attivita'
    professionali    riguardo    agli    "animali    da   reddito"   -
    Irragionevolezza - Incidenza sul diritto al lavoro e sul principio
    della tutela del lavoro - Eccedenza dai  limiti  della  competenza
    regionale.
 (Legge  regione Piemonte 3 gennaio 1997, n. 4, artt. 1, comma 2, 2, 3
    e 4).
 (Cost., artt. 3, 4, 35, 117 e 120).
(GU n.40 del 1-10-1997 )
                 IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n.  887  del  1997
 proposto  da  Bisio  Luca, Gualco Vincenzo, Barale Pierangelo e Bruno
 Piergianni, rappresentati e difesi dall'avv. Sebastiano Zuccarello  e
 presso  il  medesimo elettivamente domiciliati in Torino, via Cernaia
 n. 31, contro l'Azienda regionale U.S.L.  n  16,  non  costituita  in
 giudizio;  e  nei  confronti  della  regione Piemonte, in persona del
 presidente della Giunta regionale pro-tempore, rappresentata e difesa
 dall'avv. Silvia Di Palo  ed  elettivamente  domiciliata  in  Torino,
 piazza  Castello  n.  165;  per l'annullamento - previa sospensione -
 dell'atto prot. n. 4234 del 6 febbraio 1997, con il quale il Servizio
 veterinario dell'Azienda  regionale  USL  16  Mondovi'-Ceva  ha  dato
 adempimento  all'art.  1,  comma  secondo,  della  legge  regionale 3
 gennaio 1997 n.   4; di ogni  altro  atto  precedente,  successivo  o
 comunque connesso con quello impugnato con il presente ricorso;
   Visto il ricorso con i relativi allegati;
   Visto l'atto di costituzione in giudizio della regione Piemonte;
   Viste  le  memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
 difese;
   Visti gli atti tutti della causa;
   Nominato relatore il dott. Italo Caso;
   Uditi alla camera di consiglio del 14 maggio 1997 l'avv. Zuccarello
 per i ricorrenti e l'avv. Di Palo per la regione Piemonte.
   Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
                               F a t t o
   Con atto  prot  n.  4234  in  data  6  febbraio  1997  il  Servizio
 veterinario  dell'Azienda regionale U.S.L. n. 16 di Mondovi'-Ceva, in
 dichiarato  adempimento  dell'art.  1,  comma  secondo,  della  legge
 regione  Piemonte  3 gennaio 1997  n. 4, invitava i medici veterinari
 dipendenti  a  segnalare,  nel  termine  di   quindici   giorni,   se
 intendessro  esercitare  attivita'  libero-professionale,  e  in caso
 positivo quali fossero i "programmi ed i tempi di massima del proprio
 impegno  al  fine  di  accertare  e   valutare   le   condizioni   di
 incompatibilita'".  Avverso  tale  atto  hanno proposto impugnativa i
 ricorrenti, tutti medici veterinari in servizio presso la  suindicata
 Azienda sanitaria, deducendo:
   I) Questione di legittimita' costituzionale.
   I  ricorrenti  sollevano  questione  di legittimita' costituzionale
 degli artt. 1, 2, 3 e 4 della legge regione Piemonte 3  gennaio  1997
 n. 4 per i seguenti motivi:
   1.  -  Contrasto della disposizione contenuta nell'art. 2, comma 1,
 della  legge  reg.  n.  4/1997  con  l'art.  120,  comma   3,   della
 Costituzione.
   La    normativa    regionale,    nel    disciplinare    l'attivita'
 libero-professionale dei veterinari dipendenti dal servizio sanitario
 nazionale, ha posto il  divieto  di  svolgimento  di  tale  attivita'
 nell'ambito  territoriale  dell'azienda  sanitaria  di  appartenenza.
 Tuttavia, trattandosi di limitazione che  non  appare  immediatamente
 riconducibile  all'esigenza  di  evitare  la  riunione nella medesima
 persona delle figure del "controllore" e del "controllato", e  quindi
 all'obiettivo   di  scongiurare  situazioni  di  conflitto  derivanti
 dall'esercizio delle funzioni pubbliche affidate  ai  veterinari,  il
 criterio territoriale appare ingiustificato, tenuto conto dell'avviso
 espresso in proposito dal Consiglio di Stato in sede consultiva (Sez.
 I,  20 ottobre 1993 n. 985), circa la necessita' che il sistema delle
 compatibilita'  si  fondi  sulla  individuazione  in  concreto  delle
 situazioni  pregiudizievoli  per  i  fini  istituzionali del servizio
 sanitario  nazionale,  a  prescindere  da  un  generico   riferimento
 all'ambito  territoriale.  Pertanto  il  divieto  imposto dalla legge
 regionale risulta arbitrario e si pone  in  netto  contrasto  con  il
 precetto  di  cui  all'art. 120, comma 3, della Costituzione, a norma
 del quale la regione non puo' porre limiti di carattere  territoriale
 al   diritto   dei   cittadini   di   esercitare  la  loro  attivita'
 professionale o di impiego.
   2. - Contrasto degli artt. 1 (comma 2 e 3), 2, 3 e  4  della  legge
 reg. n. 4/1997 con gli artt. 4, comma primo, e 35, comma primo, della
 Costituzione.
   Il  sistema  di  divieti,  controlli e condizioni predisposto dalla
 legge reg. 4/1997 esclude in  concreto  l'effettiva  possibilita'  di
 esercizio  della  libera  professione  da parte dei medici veterinari
 dipendenti dal servizio sanitario nazionale, cosi violando  le  norme
 di  cui agli artt. 4 e 35 della Costituzione, che tutelano il diritto
 al lavoro nelle sue varie modalita' concrete di esplicazione.  Ne'  i
 limiti  introdotti  appaiono  giustificati  dall'esigenza  di evitare
 pregiudizi all'interesse pubblico.  Si  consideri,  infatti,  che  il
 divieto  di  essere  titolare di struttura ambulatoriale privata e di
 esservi legato  da  rapporto  di  lavoro  subordinato,  relativamente
 all'attivita' sugli animali d'affezione (v. art. 2), si traduce in un
 divieto   assoluto  di  svolgimento  di  tale  attivita';  attesa  la
 necessita' che la stessa si svolga presso un ambulatorio; senza  che,
 poi,  emergano  ragioni idonee a giustificare tale preclusione, posto
 che i servizi assicurati dai veterinari delle aziende sanitarie  sono
 diretti  alla  cura  e  alla  profilassi delle malattie relative agli
 "animali da reddito", sicche' alcun pregiudizio puo' ipotizzarsi  per
 il  servizio  sanitario  nazionale  dallo svolgimento di un'attivita'
 professionale che riguardi gli "animali d'affezione". Peraltro  anche
 gli  artt.  3  e 4 della normativa regionale, disciplinando la libera
 professione per gli "animali da reddito" e per il "cavallo sportivo",
 hanno  l'effetto  di  sacrificare  ingiustificatamente   il   diritto
 costituzionale all'esercizio dell'attivita' libero-professionale, ove
 si  consideri  che  la  stessa  e' consentita solo se si verifica una
 "permanente o temporanea carenza di veterinari libero-professionisti"
 (art. 3, comma primo), e quindi e' subordinata a circostanze che  non
 attengono  all'esigenza  di  evitare  gravi  pregiudizi  al  servizio
 sanitario  pubblico,  quanto  piuttosto  a  situazioni  che  appaiono
 finalizzate  soprattutto  alla  tutela degli interessi dei veterinari
 libero-professionisti.
   3. - Contrasto delle disposizioni contenute negli artt. 1, 2, 3 e 4
 della  legge reg. n. 4/1997 con l'art. 4 della legge n. 412/1991, con
 l'art. 47, n. 4, della legge n. 833/1978 e con l'art. 36  del  d.P.R.
 n.   761/1979.   Violazione   dell'art.   117,   comma  primo,  della
 Costituzione.
   La normativa regionale e' in contrasto con le disposizioni  statali
 in  materia,  ed in particolare con l'art. 4 della legge n. 412/1991,
 con l'art. 47, n. 4, della legge n. 833/1978  e  con  l'art.  36  del
 d.P.R.  n. 761/1979. Detta disciplina affida al legislatore regionale
 l'adozione di norme attuative, presupponendo che non venga escluso in
 concreto   l'esercizio   dell'attivita'   libero-professionale,    ma
 regolamentata   la   stessa  in  funzione  della  salvaguardia  degli
 interessi pubblici.   Ne consegue  che,  avendo  la  legge  regionale
 piemontese  introdotto limitazioni tali da precluderne in concreto lo
 svolgimento, non sono stati rispettati i limiti fissati dai  principi
 fondamentali  ricavabili  dalle  leggi  statali,  e quindi si ravvisa
 l'ulteriore  contrasto   con   l'art.   117,   comma   primo,   della
 Costituzione.
   4.  -  Contrasto degli artt. 1, 2, 3 e 4 della legge reg. n. 4/1997
 con l'art. 3, comma primo e secondo, della  Costituzione.  Disparita'
 di trattamento.
   La  normativa  regionale  viola  anche l'art. 3 della Costituzione.
 Infatti,  l'introduzione  di  limitazioni  sostanziali  all'esercizio
 dell'attivita'  professionale  dei veterinari dipendenti dal servizio
 sanitario nazionale nell'ambito della regione Piemonte ha determinato
 una evidente disparita' di trattamento tra medici pubblici  e  medici
 veterinari  pubblici,  nonche'  tra  veterinari pubblici e veterinari
 liberi professionisti, e ancora fra veterinari in servizio presso  le
 aziende sanitarie piemontesi e quelli di altre regioni. La violazione
 del    principio   di   uguaglianza   emerge   dalla   considerazione
 dell'inutilita' ed arbitrarieta' dei divieti  contenuti  nella  legge
 regionale,  i  quali  non  sono  idonei  a  salvaguardare l'interesse
 pubblico,    favorendo    esclusivamente    i    veterinari    liberi
 professionisti,  rispetto  ai quali i colleghi del servizio sanitario
 nazionale, in modo del tutto  immotivato,  si  trovano  in  posizione
 deteriore.
   II)  Merito. Violazione di legge. Eccesso di potere; illegittimita'
 derivata.
   Gli indicati profili di illegittimita'  costituzionale  viziano  in
 via  derivata  l'atto  impugnato.  La  violazione  delle  norme e dei
 principi   costituzionali   comporta   altresi   l'invalidita'    del
 provvedimento    per    eccesso   di   potere,   sotto   il   profilo
 dell'ingiustizia manifesta e della disparita' di trattamento. Inoltre
 l'applicazione  di  una  legge  che  favorisce  in  modo  del   tutto
 ingiustificato  i  veterinari liberi professionisti potrebbe altresi'
 determinare il vizio di eccesso di potere per sviamento della causa.
   I  ricorrenti  concludono  dunque  per   l'annullamento   dell'atto
 impugnato,  previa  rimessione  degli atti alla Corte costituzionale,
 che invocano venga disposta gia' nella camera  di  consiglio  fissata
 per l'esame dell'istanza cautelare.
   Si  e'  costituita  in  giudizio la regione Piemonte, resistendo al
 gravame. Con memoria del  13  maggio  1997  e'  stata  innanzi  tutto
 eccepita  l'inammissibilita'  del ricorso, in quanto proposto avverso
 atto recante un mero invito a comunicare dati, e  quindi  inidoneo  a
 ledere  un  interesse concreto e attuale, potendo la lesione derivare
 solo  da  un  successivo  provvedimento  avente  immediato  contenuto
 precettivo; si tratta quindi di atto preparatorio endoprocedimentale,
 non    autonomamente    impugnabile.        Quanto    alla    dedotta
 incostituzionalita' della normativa  regionale,  se  ne  e'  rilevata
 l'infondatezza,  atteso che il legislatore regionale si e' limitato a
 stabilire le modalita' di esercizio della libera professione da parte
 dei veterinari pubblici, in conformita' ai principi  stabiliti  dalla
 normativa  statale, e soprattutto in ossequio all'esigenza di evitare
 conflitti di interessi legati alle molteplici  funzioni  affidate  al
 personale  veterinario  del servizio sanitario nazionale, nell'ambito
 di  un'attivita'  rivolta  a  tutelare  -  attraverso  le  profilassi
 pianificate  e  il  controllo  degli alimenti di origine animale - la
 salute umana e l'economia dell'intero comparto agro-zootecnico.
   Alla  camera  di  consiglio  del  14  maggio  1997,   ascoltati   i
 rappresentanti delle parti costituite, il Collegio si e' riservata la
 decisione sull'istanza cautelare dei ricorrenti.
                             D i r i t t o
   In  servizio  presso  l'Azienda  regionale USL n. 16 in qualita' di
 medici  veterinari,  i  ricorrenti  impugnano   la   nota   con   cui
 l'Amministrazione,   fissato   un  termine  di  quindici  giorni  per
 pronunciarsi, li ha invitati a comunicare le  loro  intenzioni  circa
 l'esercizio  dell'attivita'  libero-professionale,  ed in particolare
 circa i "programmi ed i tempi di massima del proprio impegno al  fine
 di  accertare e valutare le condizioni di incompatibilita'". Assumono
 l'illegittimita' costituzionale della legge reg. Piemonte  3  gennaio
 1997,  n.  4,  in  applicazione  della  quale  e'  stata formulata la
 richiesta dell'Amministrazione, giacche' la  sopraggiunta  disciplina
 regionale  avrebbe  introdotto tali e tante limitazioni all'attivita'
 professionale dei veterinari titolari di rapporto di pubblico impiego
 da precluderne in concreto l'esercizio, in violazione degli  artt  3,
 4,  35,  117 e 120 della Costituzione.  Nell'attuale regime giuridico
 ogni preclusione alla libera professione  del  personale  veterinario
 dipendente  pubblico  dovrebbe  trovare  giustificazione  in concrete
 esigenze  di  tutela  dell'interesse   alla   massima   funzionalita'
 operativa  del  servizio  sanitario nazionale, sicche' ogni ulteriore
 limite determinerebbe una indebita compressione del diritto al lavoro
 e del diritto all'uguaglianza di  trattamento  rispetto  al  restante
 personale medico e al personale veterinario di altre regioni, nonche'
 ancora  una  non consentita riduzione dell'ambito territoriale in cui
 svolgere l'attivita' professionale (atteso il divieto  in  tal  senso
 posto  al  legislatore  regionale)  e,  comunque, l'esorbitanza della
 disciplina regionale dai limiti fissati dalla normativa di principio.
   Eccepisce  la  regione  Piemonte  l'inammissibilita'  del  ricorso,
 giacche'  proposto avverso atto endoprocedimentale, e quindi privo di
 carattere    immediatamente    lesivo.    Quanto    alla     presunta
 incostituzionalita'  della  disciplina  regionale,  se ne contesta la
 sussistenza, poiche' le introdotte limitazioni allo svolgimento della
 libera professione da parte del  personale  veterinario  troverebbero
 tutte  fondamento  nella  necessita'  di  scongiurare l'insorgenza di
 conflitti di interessi legati al contestuale  esercizio  di  funzioni
 istituzionali e di attivita' professionale.
   Va  preliminarmente  respinta  l'eccezione  di inammissibilita' del
 gravame. In effetti l'atto impugnato, facendo carico ai ricorrenti di
 un adempimento che trae origine direttamente dalla legge reg.   n.  4
 del  1997 (ovvero l'obbligatoria segnalazione all'Amministrazione del
 tipo di attivita'  professionale  che  si  intende  svolgere),  rende
 attuali  i  vincoli  di legge alla libera professione dei veterinari,
 quali si  desumono  dalla  medesima  disciplina  regionale.  Sussiste
 quindi  l'interesse  attuale  dei destinatari di quella nota di veder
 rimossa la causa di un obbligo di condotta che rileva  immediatamente
 nel  rapporto  di  impiego,  sotto  il  duplice profilo del dovere di
 comunicazione  dell'attivita'  professionale  da  esercitare  e   del
 connesso  divieto  di  svolgerla  al  di la' dei limiti fissati dalla
 legge regionale.
   Nel merito, occorre innanzi tutto definire il quadro  normativo  in
 cui si inserisce la questione dedotta.
   Nell'ambito  della  disciplina di riforma sanitaria l'art. 47 della
 legge n. 833 del 1978 recava la delega al Governo per l'emanazione di
 norme  idonee  a  "garantire  con   criteri   uniformi   il   diritto
 all'esercizio  della  libera  attivita'  professionale per i medici e
 veterinari  dipendenti  delle  unita'  sanitarie  locali.  Con  legge
 regionale  sono  stabiliti le modalita' e i limiti per l'esercizio di
 tale attivita'" (comma 3, n. 4). Successivamente, in attuazione della
 delega conferita, si stabiliva che il "personale  veterinario  ha  la
 facolta'  di  esercitare  l'attivita' libero-professionale, fuori dei
 servizi e delle strutture dell'unita' sanitaria locale, purche'  tale
 attivita'  non  sia  prestata con rapporto di lavoro subordinato, non
 sia  in  contrasto  con  gli  interessi  ed  i   fini   istituzionali
 dell'unita'  sanitaria locale stessa, ne' incompatibile con gli orari
 di lavoro, secondo modalita' e limiti previsti dalla legge regionale"
 (art. 36, comma primo del d.P.R.  n. 761 del 1979).  Indi  l'art.  4,
 comma  7,  della  legge n. 412 del 1991, sancito il principio per cui
 "con il servizio  sanitario  nazionale  puo'  intercorrere  un  unico
 rapporto  di  lavoro",  ha  disposto  che "l'esercizio dell'attivita'
 libero-professionale dei medici  dipendenti  del  servizio  sanitario
 nazionale  e'  compatibile  col  rapporto  unico  d'impiego,  purche'
 espletato fuori dell'orario di  lavoro  all'interno  delle  strutture
 sanitarie  o  all'esterno  delle  stesse, con esclusione di strutture
 private convenzionate con il servizio sanitario nazionale". Da ultimo
 la regione  Piemonte  ha  inteso  provvedere  alla  "regolamentazione
 dell'esercizio   dell'attivita'   libero-professionale   dei   medici
 veterinari dipendenti dal servizio sanitario nazionale" (legge reg. 3
 gennaio 1997, n.  4), ribadendone in via di principio il  diritto  di
 esplicare  tale  attivita' "al di fuori delle strutture pubbliche, al
 di fuori dell'orario di servizio, al di fuori del plus orario, al  di
 fuori   del   lavoro   straordinario"   (art.  1,  comma  primo),  ma
 subordinatamente  all'adempimento  dell'obbligo   di   segnalare   al
 direttore   generale   dell'azienda   sanitaria  regionale  (ASR)  di
 appartenenza programmi e tempi di massima del proprio impegno perche'
 l'ente  possa  accertare  e  valutare  l'assenza  di  condizioni   di
 incompatibilita'"   (art.   1,   comma   2);   incompatibilita'  che,
 relativamente  agli  "animali  d'affezione";  riguardano  l'attivita'
 professionale  esercitata  nel  territorio  di  pertinenza della "ASR
 presso la quale il medico veterinario svolge il proprio  servizio  di
 pubblico  dipendente"  (art. 2, comma primo), con contestuale divieto
 di essere "titolare di  struttura  ambulatoriale  privata"  (art.  2,
 comma  2), e che, relativamente agli "animali da reddito", comportano
 il generale  divieto  di  svolgimento  dell'attivita'  professionale,
 salvo  che  non  "si verifichi una permanente o temporanea carenza di
 veterinari libero-professionisti" (art. 3, comma 1), e  comunque  nel
 rispetto di determinati programmi operativi e subordinatamente ad una
 verifica  di  competenza del servizio veterinario regionale (art.  3,
 comma 2 e 3).
   La normativa  statale  richiamata  si  iscrive  in  quell'indirizzo
 costantemente  favorevole all'esercizio di attivita' professionali al
 di fuori dell'ordinario rapporto di lavoro,  che  -  in  deroga  alla
 disciplina  generale del rapporto di pubblico impiego, caratterizzata
 dal principio  di  esclusivita'  -  e'  stato  da  sempre  l'elemento
 peculiare  dello  status del medico dipendente dal servizio sanitario
 pubblico. Alla base vi e' la convinzione dell'influenza positiva  che
 al  pubblico  dipendente  puo'  derivare dalla pratica professionale,
 posto che l'espletamento di attivita' esterne ed aggiuntive valgono a
 potenziarne le capacita' operative,  si  da  giustificare  il  regime
 differenziato   riservato  dal  legislatore  a  talune  categorie  di
 personale abilitato a svolgere anche la libera professione (v.  Corte
 cost.  23  dicembre  1986  n. 284, relativamente al personale docente
 della scuola); per il personale medico, in  particolare,  trattandosi
 di  valorizzarne  la  professionalita',  si  persegue  al contempo un
 interesse della  stessa  struttura  sanitaria  pubblica.  L'esercizio
 dell'attivita'  professionale  non  puo' pero' incidere negativamente
 sull'osservanza del complesso dei doveri  facenti  capo  al  pubblico
 dipendente, ovvero non puo' trasformarsi in un fattore di pregiudizio
 del  corretto  assolvimento  dei  compiti  d'ufficio.  In  tal  senso
 assumono rilievo i limiti posti dall'esaminata normativa,  ovvero  il
 riferimento  al  possibile  contrasto  con  gli  interessi  e  i fini
 istituzionali dell'Amministrazione sanitaria.
   Cio' posto, deducono  i  ricorrenti  che  l'intervenuta  disciplina
 regionale   si   caratterizza  per  una  indebita  restrizione  delle
 possibilita'  di  esercizio  dell'attivita'  libero-professionale  da
 parte  dei  veterinari  addetti  al  servizio sanitario nazionale, in
 contrasto con varie norme costituzionali.
   La questione e' rilevante e non manifestamente infondata.
   La  rilevanza  ai  fini  del  presente   giudizio   consegue   alla
 circostanza  che  il  provvedimento  impugnato  e'  stato adottato in
 diretta  applicazione  della  normativa   regionale   sospettata   di
 incostituzionalita',    e    in    riferimento    alla    complessiva
 regolamentazione     dalla     stessa     impressa      all'attivita'
 libero-professionale  dei  veterinari  dipendenti  pubblici,  sicche'
 l'eventuale  espunzione  dall'ordinamento  della  predetta  normativa
 comporterebbe  l'accoglimento  del ricorso e la caducazione dell'atto
 lesivo.
   Quanto alla non manifesta  infondatezza  della  questione  dedotta,
 rileva   il  Collegio,  in  linea  con  l'orientamento  espresso  dal
 Consiglio di Stato in sede consultiva (v. Sez. I, 20 ottobre 1993  n.
 985/1993),      che      la      regolamentazione      dell'attivita'
 libero-professionale dei veterinari dipendenti del servizio sanitario
 nazionale implica l'individuazione di "specifiche situazioni idonee a
 determinare un grave e comprovato pregiudizio al  servizio  sanitario
 pubblico,  vietando  ai medici veterinari quei comportamenti idonei a
 realizzarli". Non operando nel settore il principio generale  secondo
 cui  e'  interdetta  qualsiasi  attivita'  professionale  estranea al
 rapporto di lavoro (giacche' suscettibile di dar luogo  ad  interessi
 conflittuali   con   quelli   inerenti   la   posizione  di  pubblico
 dipendente),  ogni  deroga  alla  regola  che  consente   la   libera
 professione  medica  deve  trovare fondamento in ragioni direttamente
 connesse alla primaria esigenza di garantire un  efficiente  servizio
 assistenziale  pubblico,  ovvero  deve  tendere  ad  evitare  che sia
 negativamente condizionato l'assolvimento dei doveri d'ufficio, senza
 tuttavia porre limiti ulteriori, e soprattutto senza tradursi  in  un
 sostanziale annullamento delle effettive possibilita' di esercizio di
 tali  attivita'  aggiuntive,  attraverso  l'adozione di misure che in
 concreto vanifichino il diritto astrattamente riconosciuto. In quanto
 voluto espressamente dall'ordinamento  come  uno  dei  contenuti  del
 rapporto  di  impiego  del personale medico, il diritto all'esercizio
 della libera  professione  e'  riconducibile  al  diritto  al  lavoro
 costituzionalmente  protetto  (artt.  4  e  35  Cost.),  sicche' ogni
 limitazione a tale facolta' si  giustifica  solo  per  la  tutela  di
 valori  costituzionali  concorrenti (v. Corte costituzionale 2 giugno
 1977 n. 103 e 23 dicembre 1993 n. 457).
   Ne   consegue   che   l'impossibilita'   di   svolgere    attivita'
 professionale   per   gli   "animali   d'affezione"   nel  territorio
 dell'azienda sanitaria di  pertinenza,  con  contestuale  divieto  di
 essere  titolare  di  struttura  ambulatoriale  privata (art. 2 della
 legge reg. Piemonte  3  gennaio  1997,  n.  4>,  determina  un  grave
 affievolimento  delle  facolta'  professionali  del veterinario senza
 raccordarsi funzionalmente  a  specifiche  esigenze  della  struttura
 sanitaria  pubblica.  La titolarita' di funzioni inerenti al servizio
 sanitario  nazionale  non  puo'  evidentemente  dar   luogo   ad   un
 generalizzato  divieto  di  esercizio  di  attivita' private, benche'
 limitato ad un determinato ambito territoriale, in quanto si viene in
 tal  modo  a  contraddire  il  principio  che  ammette  alla   libera
 professione il veterinario dipendente pubblico. Va piuttosto ribadito
 che  i  vincoli  devono  essere  dimensionati in relazione al tipo di
 attivita' svolte nell'ambito della struttura pubblica, e non anche in
 riferimento al  luogo  in  cui  opera  il  veterinario.  Il  criterio
 territoriale  non  soddisfa di per se' le esigenze che sono alla base
 della  necessita'  di  disciplina  dell'attivita'  professionale  del
 personale  medico,  giacche'  ne  vanifica  di fatto il diritto senza
 razionalmente  ricondursi  all'obiettivo  di  assicurare   l'ottimale
 funzionalita'   del   servizio   sanitario   pubblico.   Nell'attuale
 ordinamento prevale il  criterio  sostanzialistico  della  potenziale
 situazione   di   conflitto,   e   quindi   occorre   procedere  alla
 individuazione in concreto delle  situazioni  pregiudizievoli  per  i
 fini   istituzionali   del   servizio  sanitario  nazionale,  che  va
 considerato nella sua globalita'  e  non  nell'ambito  delle  singole
 strutture  in  cui  si  articola (v. Cons. Stato, Sez. I, n. 985/1993
 cit.). Ne' e' decisivo il richiamo alle varie competenze  in  materia
 di  controllo  e  vigilanza, facenti capo ai servizi veterinari delle
 aziende sanitarie, che indurrebbero i  medici  veterinari  ad  essere
 controllori  di  se stessi, posto che - una volta ammesso l'esercizio
 della libera professione - non se  ne  puo'  poi  escludere  in  toto
 l'ammissibilita', ma occorre piuttosto individuare le misure utili ad
 evitare  la  sovrapposizione di ruoli nella medesima persona, tenendo
 conto delle mansioni effettivamente assolte e dei  settori  operativi
 cui  si  e'  assegnati,  ed  in  tale ottica trarne le conseguenze in
 ordine  alle  modalita'  e  ai  limiti  di  esercizio  dell'attivita'
 professionale.
   Allo  stesso  modo,  il  generale  divieto  di  svolgere  attivita'
 professionale per gli "animali da reddito" (salvo il caso di  carenza
 di  veterinari  libero-professionisti;  art.  3  della  legge reg. n.
 4/1997) implica la soppressione di  ogni  possibilita'  di  esercizio
 della  libera professione, e quindi sovverte quel principio che si e'
 piu' volte indicato come canone informatore del rapporto  di  impiego
 del  personale medico.   Anziche' individuare le ipotesi di conflitto
 con le competenze dei veterinari quali dipendenti pubblici, la  norma
 preclude  in  toto l'ammissibilita' della libera professione. Difetta
 quindi ogni ponderato  collegamento  con  le  esigenze  del  servizio
 sanitario pubblico.
   In conclusione, la questione appare non manifestamente infondata in
 relazione agli artt. 4 e 35 della Costituzione, giacche' la normativa
 regionale  piemontese  (ed  in  particolare  gli artt. 2 e 3, nonche'
 l'art. 4,  che  estende  la  predetta  disciplina  al  c.d.  "cavallo
 sportivo",  nonche' per connessione l'art. 1, comma 2, che fa obbligo
 ai veterinari di segnalare alla propria  azienda  sanitaria,  per  le
 dovute  verifiche,  l'attivita'  libero-professionale  che  intendono
 svolgere)  risulta  ingiustificatamente  preclusiva  delle   concrete
 possibilita'  di  esercizio  della  libera  professione  da parte dei
 veterinari dipendenti pubblici, e quindi lesiva del diritto al lavoro
 costituzionalmente protetto.
   Per quanto concerne poi l'asserito contrasto  con  l'art.  3  della
 Costituzione,  nega  il Collegio che possa ipotizzarsi una disparita'
 di trattamento con i medici dipendenti pubblici da una parte e con  i
 veterinari   libero-professionisti   dall'altra,   attesa  l'evidente
 diversita' delle situazioni poste a raffronto; quanto,  invece,  alla
 ipotizzata  disparita' di trattamento con il personale veterinario di
 altre regioni, e' da escludersi  che  altre  normative  regionali  (o
 anche  l'assenza  delle  stesse) possano essere assunte a riferimento
 per desumerne un'eventuale violazione del principio  di  uguaglianza.
 Per   contro,   si   deve   dichiarare  d'ufficio  la  non  manifesta
 infondatezza della questione, in relazione all'art. 3 Cost., sotto il
 profilo della irragionevolezza di una normativa regionale  che  prima
 ammette      i      veterinari      all'esercizio      dell'attivita'
 libero-professionale (v.  art. 1, comma primo)  e  poi  ne  restringe
 contraddittoriamente le possibilita' di esplicazione del diritto fino
 a vanificarlo.
   L'assenza  di  una  ratio  giustificativa  legata alla tutela della
 funzionalita' operativa del  servizio  sanitario  pubblico  induce  a
 ritenere   non   manifestamente   infondata  anche  la  questione  di
 costituzionalita' dell'art. 2 della  legge  regionale  in  esame,  in
 riferimento  all'art.   120, comma 3, della Costituzione, giacche' il
 divieto di esercizio dell'attivita' professionale  per  gli  "animali
 d'affezione"  nell'ambito  del  territorio  dell'azienda sanitaria di
 appartenenza,  privo  come  e'  di  fondamento  in  norme  di   rango
 costituzionale, viene a determinare un indebito limite di spazio allo
 svolgimento della libera professione.
   Vanno  infine  ritenuti  sussistenti i presupposti per investire la
 Corte costituzionale della cognizione della  normativa  regionale  in
 riferimento  all'art.  117 Cost., atteso che l'intervenuta disciplina
 dell'attivita'   libero-professionale   dei   veterinari   dipendenti
 pubblici  appare  discostarsi  dai  principi fondamentali in materia,
 quali si desumono dalla normativa statale esaminata, che - come si e'
 visto - ha inteso consentire in linea di  massima  l'esercizio  della
 libera professione, salvo regolamentarne le modalita' di esplicazione
 in  relazione all'obiettivo di impedire l'insorgenza di situazioni di
 pregiudizio  al  servizio  sanitario  pubblico.   L'aver   gravemente
 compromesso il diritto allo svolgimento dell'attivita' professionale,
 senza  alcun  ragionevole  raccordo  con  le esigenze della struttura
 pubblica, integra quindi l'inosservanza degli indirizzi  fissati  dal
 legislatore statale, con conseguente violazione dell'art. 117 Cost.
   Cio'  stante,  si deve disporre l'immediata trasmissione alla Corte
 costituzionale degli atti del giudizio, dichiarandone nelle  more  la
 sospensione.   Con   separata   ordinanza  e'  stata  pronunciata  la
 temporanea sospensione dell'atto impugnato, con rinvio dell'ulteriore
 corso  del  processo  cautelare  alla  conclusione  del  giudizio  di
 costituzionalita'.
                               P. Q. M.
   Visto  l'art.  23  della  legge  11  marzo  1953,  n.  87, dichiara
 rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita'
 costituzionale degli artt. 1, secondo comma, 2, 3  e  4  della  legge
 reg. Piemonte 3 gennaio 1997, n. 4, in relazione agli artt. 3, 4, 35,
 117 e 120 della Costituzione, nei sensi di cui in motivazione;
   Sospende  il  giudizio  cautelare  fino  alla  camera  di consiglio
 immediatamente successiva alla comunicazione dell'esito del  giudizio
 di  costituzionalita', e ordina la trasmissione degli atti alla Corte
 costituzionale;
   Dispone che, a cura della segreteria,  la  presente  ordinanza  sia
 notificata alle parti in causa e al presidente della Giunta regionale
 del  Piemonte  e sia comunicata al presidente del Consiglio regionale
 del Piemonte.
   Cosi deciso in Torino, nella camera  di  consiglio  del  14  maggio
 1997.
                       Il presidente: Bonifacio
                                           Il referendario, est.: Caso
 97C1049