N. 618 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 maggio 1997
N. 618 Ordinanza emessa il 14 maggio 1997 dal tribunale amministrativo regionale per il Piemonte sul ricorso proposto da Bisio Luca ed altri contro l'Azienda regionale USL n. 16 ed altro Sanita' pubblica - Regione Piemonte - Veterinari dipendenti dal servizio sanitario pubblico - Esercizio di attivita' libero-professionale - Divieto di titolarita' di strutture ambulatoriali private nonche' di svolgimento di attivita' professionali riguardo agli "animali da reddito" - Irragionevolezza - Incidenza sul diritto al lavoro e sul principio della tutela del lavoro - Eccedenza dai limiti della competenza regionale. (Legge regione Piemonte 3 gennaio 1997, n. 4, artt. 1, comma 2, 2, 3 e 4). (Cost., artt. 3, 4, 35, 117 e 120).(GU n.40 del 1-10-1997 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 887 del 1997 proposto da Bisio Luca, Gualco Vincenzo, Barale Pierangelo e Bruno Piergianni, rappresentati e difesi dall'avv. Sebastiano Zuccarello e presso il medesimo elettivamente domiciliati in Torino, via Cernaia n. 31, contro l'Azienda regionale U.S.L. n 16, non costituita in giudizio; e nei confronti della regione Piemonte, in persona del presidente della Giunta regionale pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Silvia Di Palo ed elettivamente domiciliata in Torino, piazza Castello n. 165; per l'annullamento - previa sospensione - dell'atto prot. n. 4234 del 6 febbraio 1997, con il quale il Servizio veterinario dell'Azienda regionale USL 16 Mondovi'-Ceva ha dato adempimento all'art. 1, comma secondo, della legge regionale 3 gennaio 1997 n. 4; di ogni altro atto precedente, successivo o comunque connesso con quello impugnato con il presente ricorso; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della regione Piemonte; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Nominato relatore il dott. Italo Caso; Uditi alla camera di consiglio del 14 maggio 1997 l'avv. Zuccarello per i ricorrenti e l'avv. Di Palo per la regione Piemonte. Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue: F a t t o Con atto prot n. 4234 in data 6 febbraio 1997 il Servizio veterinario dell'Azienda regionale U.S.L. n. 16 di Mondovi'-Ceva, in dichiarato adempimento dell'art. 1, comma secondo, della legge regione Piemonte 3 gennaio 1997 n. 4, invitava i medici veterinari dipendenti a segnalare, nel termine di quindici giorni, se intendessro esercitare attivita' libero-professionale, e in caso positivo quali fossero i "programmi ed i tempi di massima del proprio impegno al fine di accertare e valutare le condizioni di incompatibilita'". Avverso tale atto hanno proposto impugnativa i ricorrenti, tutti medici veterinari in servizio presso la suindicata Azienda sanitaria, deducendo: I) Questione di legittimita' costituzionale. I ricorrenti sollevano questione di legittimita' costituzionale degli artt. 1, 2, 3 e 4 della legge regione Piemonte 3 gennaio 1997 n. 4 per i seguenti motivi: 1. - Contrasto della disposizione contenuta nell'art. 2, comma 1, della legge reg. n. 4/1997 con l'art. 120, comma 3, della Costituzione. La normativa regionale, nel disciplinare l'attivita' libero-professionale dei veterinari dipendenti dal servizio sanitario nazionale, ha posto il divieto di svolgimento di tale attivita' nell'ambito territoriale dell'azienda sanitaria di appartenenza. Tuttavia, trattandosi di limitazione che non appare immediatamente riconducibile all'esigenza di evitare la riunione nella medesima persona delle figure del "controllore" e del "controllato", e quindi all'obiettivo di scongiurare situazioni di conflitto derivanti dall'esercizio delle funzioni pubbliche affidate ai veterinari, il criterio territoriale appare ingiustificato, tenuto conto dell'avviso espresso in proposito dal Consiglio di Stato in sede consultiva (Sez. I, 20 ottobre 1993 n. 985), circa la necessita' che il sistema delle compatibilita' si fondi sulla individuazione in concreto delle situazioni pregiudizievoli per i fini istituzionali del servizio sanitario nazionale, a prescindere da un generico riferimento all'ambito territoriale. Pertanto il divieto imposto dalla legge regionale risulta arbitrario e si pone in netto contrasto con il precetto di cui all'art. 120, comma 3, della Costituzione, a norma del quale la regione non puo' porre limiti di carattere territoriale al diritto dei cittadini di esercitare la loro attivita' professionale o di impiego. 2. - Contrasto degli artt. 1 (comma 2 e 3), 2, 3 e 4 della legge reg. n. 4/1997 con gli artt. 4, comma primo, e 35, comma primo, della Costituzione. Il sistema di divieti, controlli e condizioni predisposto dalla legge reg. 4/1997 esclude in concreto l'effettiva possibilita' di esercizio della libera professione da parte dei medici veterinari dipendenti dal servizio sanitario nazionale, cosi violando le norme di cui agli artt. 4 e 35 della Costituzione, che tutelano il diritto al lavoro nelle sue varie modalita' concrete di esplicazione. Ne' i limiti introdotti appaiono giustificati dall'esigenza di evitare pregiudizi all'interesse pubblico. Si consideri, infatti, che il divieto di essere titolare di struttura ambulatoriale privata e di esservi legato da rapporto di lavoro subordinato, relativamente all'attivita' sugli animali d'affezione (v. art. 2), si traduce in un divieto assoluto di svolgimento di tale attivita'; attesa la necessita' che la stessa si svolga presso un ambulatorio; senza che, poi, emergano ragioni idonee a giustificare tale preclusione, posto che i servizi assicurati dai veterinari delle aziende sanitarie sono diretti alla cura e alla profilassi delle malattie relative agli "animali da reddito", sicche' alcun pregiudizio puo' ipotizzarsi per il servizio sanitario nazionale dallo svolgimento di un'attivita' professionale che riguardi gli "animali d'affezione". Peraltro anche gli artt. 3 e 4 della normativa regionale, disciplinando la libera professione per gli "animali da reddito" e per il "cavallo sportivo", hanno l'effetto di sacrificare ingiustificatamente il diritto costituzionale all'esercizio dell'attivita' libero-professionale, ove si consideri che la stessa e' consentita solo se si verifica una "permanente o temporanea carenza di veterinari libero-professionisti" (art. 3, comma primo), e quindi e' subordinata a circostanze che non attengono all'esigenza di evitare gravi pregiudizi al servizio sanitario pubblico, quanto piuttosto a situazioni che appaiono finalizzate soprattutto alla tutela degli interessi dei veterinari libero-professionisti. 3. - Contrasto delle disposizioni contenute negli artt. 1, 2, 3 e 4 della legge reg. n. 4/1997 con l'art. 4 della legge n. 412/1991, con l'art. 47, n. 4, della legge n. 833/1978 e con l'art. 36 del d.P.R. n. 761/1979. Violazione dell'art. 117, comma primo, della Costituzione. La normativa regionale e' in contrasto con le disposizioni statali in materia, ed in particolare con l'art. 4 della legge n. 412/1991, con l'art. 47, n. 4, della legge n. 833/1978 e con l'art. 36 del d.P.R. n. 761/1979. Detta disciplina affida al legislatore regionale l'adozione di norme attuative, presupponendo che non venga escluso in concreto l'esercizio dell'attivita' libero-professionale, ma regolamentata la stessa in funzione della salvaguardia degli interessi pubblici. Ne consegue che, avendo la legge regionale piemontese introdotto limitazioni tali da precluderne in concreto lo svolgimento, non sono stati rispettati i limiti fissati dai principi fondamentali ricavabili dalle leggi statali, e quindi si ravvisa l'ulteriore contrasto con l'art. 117, comma primo, della Costituzione. 4. - Contrasto degli artt. 1, 2, 3 e 4 della legge reg. n. 4/1997 con l'art. 3, comma primo e secondo, della Costituzione. Disparita' di trattamento. La normativa regionale viola anche l'art. 3 della Costituzione. Infatti, l'introduzione di limitazioni sostanziali all'esercizio dell'attivita' professionale dei veterinari dipendenti dal servizio sanitario nazionale nell'ambito della regione Piemonte ha determinato una evidente disparita' di trattamento tra medici pubblici e medici veterinari pubblici, nonche' tra veterinari pubblici e veterinari liberi professionisti, e ancora fra veterinari in servizio presso le aziende sanitarie piemontesi e quelli di altre regioni. La violazione del principio di uguaglianza emerge dalla considerazione dell'inutilita' ed arbitrarieta' dei divieti contenuti nella legge regionale, i quali non sono idonei a salvaguardare l'interesse pubblico, favorendo esclusivamente i veterinari liberi professionisti, rispetto ai quali i colleghi del servizio sanitario nazionale, in modo del tutto immotivato, si trovano in posizione deteriore. II) Merito. Violazione di legge. Eccesso di potere; illegittimita' derivata. Gli indicati profili di illegittimita' costituzionale viziano in via derivata l'atto impugnato. La violazione delle norme e dei principi costituzionali comporta altresi l'invalidita' del provvedimento per eccesso di potere, sotto il profilo dell'ingiustizia manifesta e della disparita' di trattamento. Inoltre l'applicazione di una legge che favorisce in modo del tutto ingiustificato i veterinari liberi professionisti potrebbe altresi' determinare il vizio di eccesso di potere per sviamento della causa. I ricorrenti concludono dunque per l'annullamento dell'atto impugnato, previa rimessione degli atti alla Corte costituzionale, che invocano venga disposta gia' nella camera di consiglio fissata per l'esame dell'istanza cautelare. Si e' costituita in giudizio la regione Piemonte, resistendo al gravame. Con memoria del 13 maggio 1997 e' stata innanzi tutto eccepita l'inammissibilita' del ricorso, in quanto proposto avverso atto recante un mero invito a comunicare dati, e quindi inidoneo a ledere un interesse concreto e attuale, potendo la lesione derivare solo da un successivo provvedimento avente immediato contenuto precettivo; si tratta quindi di atto preparatorio endoprocedimentale, non autonomamente impugnabile. Quanto alla dedotta incostituzionalita' della normativa regionale, se ne e' rilevata l'infondatezza, atteso che il legislatore regionale si e' limitato a stabilire le modalita' di esercizio della libera professione da parte dei veterinari pubblici, in conformita' ai principi stabiliti dalla normativa statale, e soprattutto in ossequio all'esigenza di evitare conflitti di interessi legati alle molteplici funzioni affidate al personale veterinario del servizio sanitario nazionale, nell'ambito di un'attivita' rivolta a tutelare - attraverso le profilassi pianificate e il controllo degli alimenti di origine animale - la salute umana e l'economia dell'intero comparto agro-zootecnico. Alla camera di consiglio del 14 maggio 1997, ascoltati i rappresentanti delle parti costituite, il Collegio si e' riservata la decisione sull'istanza cautelare dei ricorrenti. D i r i t t o In servizio presso l'Azienda regionale USL n. 16 in qualita' di medici veterinari, i ricorrenti impugnano la nota con cui l'Amministrazione, fissato un termine di quindici giorni per pronunciarsi, li ha invitati a comunicare le loro intenzioni circa l'esercizio dell'attivita' libero-professionale, ed in particolare circa i "programmi ed i tempi di massima del proprio impegno al fine di accertare e valutare le condizioni di incompatibilita'". Assumono l'illegittimita' costituzionale della legge reg. Piemonte 3 gennaio 1997, n. 4, in applicazione della quale e' stata formulata la richiesta dell'Amministrazione, giacche' la sopraggiunta disciplina regionale avrebbe introdotto tali e tante limitazioni all'attivita' professionale dei veterinari titolari di rapporto di pubblico impiego da precluderne in concreto l'esercizio, in violazione degli artt 3, 4, 35, 117 e 120 della Costituzione. Nell'attuale regime giuridico ogni preclusione alla libera professione del personale veterinario dipendente pubblico dovrebbe trovare giustificazione in concrete esigenze di tutela dell'interesse alla massima funzionalita' operativa del servizio sanitario nazionale, sicche' ogni ulteriore limite determinerebbe una indebita compressione del diritto al lavoro e del diritto all'uguaglianza di trattamento rispetto al restante personale medico e al personale veterinario di altre regioni, nonche' ancora una non consentita riduzione dell'ambito territoriale in cui svolgere l'attivita' professionale (atteso il divieto in tal senso posto al legislatore regionale) e, comunque, l'esorbitanza della disciplina regionale dai limiti fissati dalla normativa di principio. Eccepisce la regione Piemonte l'inammissibilita' del ricorso, giacche' proposto avverso atto endoprocedimentale, e quindi privo di carattere immediatamente lesivo. Quanto alla presunta incostituzionalita' della disciplina regionale, se ne contesta la sussistenza, poiche' le introdotte limitazioni allo svolgimento della libera professione da parte del personale veterinario troverebbero tutte fondamento nella necessita' di scongiurare l'insorgenza di conflitti di interessi legati al contestuale esercizio di funzioni istituzionali e di attivita' professionale. Va preliminarmente respinta l'eccezione di inammissibilita' del gravame. In effetti l'atto impugnato, facendo carico ai ricorrenti di un adempimento che trae origine direttamente dalla legge reg. n. 4 del 1997 (ovvero l'obbligatoria segnalazione all'Amministrazione del tipo di attivita' professionale che si intende svolgere), rende attuali i vincoli di legge alla libera professione dei veterinari, quali si desumono dalla medesima disciplina regionale. Sussiste quindi l'interesse attuale dei destinatari di quella nota di veder rimossa la causa di un obbligo di condotta che rileva immediatamente nel rapporto di impiego, sotto il duplice profilo del dovere di comunicazione dell'attivita' professionale da esercitare e del connesso divieto di svolgerla al di la' dei limiti fissati dalla legge regionale. Nel merito, occorre innanzi tutto definire il quadro normativo in cui si inserisce la questione dedotta. Nell'ambito della disciplina di riforma sanitaria l'art. 47 della legge n. 833 del 1978 recava la delega al Governo per l'emanazione di norme idonee a "garantire con criteri uniformi il diritto all'esercizio della libera attivita' professionale per i medici e veterinari dipendenti delle unita' sanitarie locali. Con legge regionale sono stabiliti le modalita' e i limiti per l'esercizio di tale attivita'" (comma 3, n. 4). Successivamente, in attuazione della delega conferita, si stabiliva che il "personale veterinario ha la facolta' di esercitare l'attivita' libero-professionale, fuori dei servizi e delle strutture dell'unita' sanitaria locale, purche' tale attivita' non sia prestata con rapporto di lavoro subordinato, non sia in contrasto con gli interessi ed i fini istituzionali dell'unita' sanitaria locale stessa, ne' incompatibile con gli orari di lavoro, secondo modalita' e limiti previsti dalla legge regionale" (art. 36, comma primo del d.P.R. n. 761 del 1979). Indi l'art. 4, comma 7, della legge n. 412 del 1991, sancito il principio per cui "con il servizio sanitario nazionale puo' intercorrere un unico rapporto di lavoro", ha disposto che "l'esercizio dell'attivita' libero-professionale dei medici dipendenti del servizio sanitario nazionale e' compatibile col rapporto unico d'impiego, purche' espletato fuori dell'orario di lavoro all'interno delle strutture sanitarie o all'esterno delle stesse, con esclusione di strutture private convenzionate con il servizio sanitario nazionale". Da ultimo la regione Piemonte ha inteso provvedere alla "regolamentazione dell'esercizio dell'attivita' libero-professionale dei medici veterinari dipendenti dal servizio sanitario nazionale" (legge reg. 3 gennaio 1997, n. 4), ribadendone in via di principio il diritto di esplicare tale attivita' "al di fuori delle strutture pubbliche, al di fuori dell'orario di servizio, al di fuori del plus orario, al di fuori del lavoro straordinario" (art. 1, comma primo), ma subordinatamente all'adempimento dell'obbligo di segnalare al direttore generale dell'azienda sanitaria regionale (ASR) di appartenenza programmi e tempi di massima del proprio impegno perche' l'ente possa accertare e valutare l'assenza di condizioni di incompatibilita'" (art. 1, comma 2); incompatibilita' che, relativamente agli "animali d'affezione"; riguardano l'attivita' professionale esercitata nel territorio di pertinenza della "ASR presso la quale il medico veterinario svolge il proprio servizio di pubblico dipendente" (art. 2, comma primo), con contestuale divieto di essere "titolare di struttura ambulatoriale privata" (art. 2, comma 2), e che, relativamente agli "animali da reddito", comportano il generale divieto di svolgimento dell'attivita' professionale, salvo che non "si verifichi una permanente o temporanea carenza di veterinari libero-professionisti" (art. 3, comma 1), e comunque nel rispetto di determinati programmi operativi e subordinatamente ad una verifica di competenza del servizio veterinario regionale (art. 3, comma 2 e 3). La normativa statale richiamata si iscrive in quell'indirizzo costantemente favorevole all'esercizio di attivita' professionali al di fuori dell'ordinario rapporto di lavoro, che - in deroga alla disciplina generale del rapporto di pubblico impiego, caratterizzata dal principio di esclusivita' - e' stato da sempre l'elemento peculiare dello status del medico dipendente dal servizio sanitario pubblico. Alla base vi e' la convinzione dell'influenza positiva che al pubblico dipendente puo' derivare dalla pratica professionale, posto che l'espletamento di attivita' esterne ed aggiuntive valgono a potenziarne le capacita' operative, si da giustificare il regime differenziato riservato dal legislatore a talune categorie di personale abilitato a svolgere anche la libera professione (v. Corte cost. 23 dicembre 1986 n. 284, relativamente al personale docente della scuola); per il personale medico, in particolare, trattandosi di valorizzarne la professionalita', si persegue al contempo un interesse della stessa struttura sanitaria pubblica. L'esercizio dell'attivita' professionale non puo' pero' incidere negativamente sull'osservanza del complesso dei doveri facenti capo al pubblico dipendente, ovvero non puo' trasformarsi in un fattore di pregiudizio del corretto assolvimento dei compiti d'ufficio. In tal senso assumono rilievo i limiti posti dall'esaminata normativa, ovvero il riferimento al possibile contrasto con gli interessi e i fini istituzionali dell'Amministrazione sanitaria. Cio' posto, deducono i ricorrenti che l'intervenuta disciplina regionale si caratterizza per una indebita restrizione delle possibilita' di esercizio dell'attivita' libero-professionale da parte dei veterinari addetti al servizio sanitario nazionale, in contrasto con varie norme costituzionali. La questione e' rilevante e non manifestamente infondata. La rilevanza ai fini del presente giudizio consegue alla circostanza che il provvedimento impugnato e' stato adottato in diretta applicazione della normativa regionale sospettata di incostituzionalita', e in riferimento alla complessiva regolamentazione dalla stessa impressa all'attivita' libero-professionale dei veterinari dipendenti pubblici, sicche' l'eventuale espunzione dall'ordinamento della predetta normativa comporterebbe l'accoglimento del ricorso e la caducazione dell'atto lesivo. Quanto alla non manifesta infondatezza della questione dedotta, rileva il Collegio, in linea con l'orientamento espresso dal Consiglio di Stato in sede consultiva (v. Sez. I, 20 ottobre 1993 n. 985/1993), che la regolamentazione dell'attivita' libero-professionale dei veterinari dipendenti del servizio sanitario nazionale implica l'individuazione di "specifiche situazioni idonee a determinare un grave e comprovato pregiudizio al servizio sanitario pubblico, vietando ai medici veterinari quei comportamenti idonei a realizzarli". Non operando nel settore il principio generale secondo cui e' interdetta qualsiasi attivita' professionale estranea al rapporto di lavoro (giacche' suscettibile di dar luogo ad interessi conflittuali con quelli inerenti la posizione di pubblico dipendente), ogni deroga alla regola che consente la libera professione medica deve trovare fondamento in ragioni direttamente connesse alla primaria esigenza di garantire un efficiente servizio assistenziale pubblico, ovvero deve tendere ad evitare che sia negativamente condizionato l'assolvimento dei doveri d'ufficio, senza tuttavia porre limiti ulteriori, e soprattutto senza tradursi in un sostanziale annullamento delle effettive possibilita' di esercizio di tali attivita' aggiuntive, attraverso l'adozione di misure che in concreto vanifichino il diritto astrattamente riconosciuto. In quanto voluto espressamente dall'ordinamento come uno dei contenuti del rapporto di impiego del personale medico, il diritto all'esercizio della libera professione e' riconducibile al diritto al lavoro costituzionalmente protetto (artt. 4 e 35 Cost.), sicche' ogni limitazione a tale facolta' si giustifica solo per la tutela di valori costituzionali concorrenti (v. Corte costituzionale 2 giugno 1977 n. 103 e 23 dicembre 1993 n. 457). Ne consegue che l'impossibilita' di svolgere attivita' professionale per gli "animali d'affezione" nel territorio dell'azienda sanitaria di pertinenza, con contestuale divieto di essere titolare di struttura ambulatoriale privata (art. 2 della legge reg. Piemonte 3 gennaio 1997, n. 4>, determina un grave affievolimento delle facolta' professionali del veterinario senza raccordarsi funzionalmente a specifiche esigenze della struttura sanitaria pubblica. La titolarita' di funzioni inerenti al servizio sanitario nazionale non puo' evidentemente dar luogo ad un generalizzato divieto di esercizio di attivita' private, benche' limitato ad un determinato ambito territoriale, in quanto si viene in tal modo a contraddire il principio che ammette alla libera professione il veterinario dipendente pubblico. Va piuttosto ribadito che i vincoli devono essere dimensionati in relazione al tipo di attivita' svolte nell'ambito della struttura pubblica, e non anche in riferimento al luogo in cui opera il veterinario. Il criterio territoriale non soddisfa di per se' le esigenze che sono alla base della necessita' di disciplina dell'attivita' professionale del personale medico, giacche' ne vanifica di fatto il diritto senza razionalmente ricondursi all'obiettivo di assicurare l'ottimale funzionalita' del servizio sanitario pubblico. Nell'attuale ordinamento prevale il criterio sostanzialistico della potenziale situazione di conflitto, e quindi occorre procedere alla individuazione in concreto delle situazioni pregiudizievoli per i fini istituzionali del servizio sanitario nazionale, che va considerato nella sua globalita' e non nell'ambito delle singole strutture in cui si articola (v. Cons. Stato, Sez. I, n. 985/1993 cit.). Ne' e' decisivo il richiamo alle varie competenze in materia di controllo e vigilanza, facenti capo ai servizi veterinari delle aziende sanitarie, che indurrebbero i medici veterinari ad essere controllori di se stessi, posto che - una volta ammesso l'esercizio della libera professione - non se ne puo' poi escludere in toto l'ammissibilita', ma occorre piuttosto individuare le misure utili ad evitare la sovrapposizione di ruoli nella medesima persona, tenendo conto delle mansioni effettivamente assolte e dei settori operativi cui si e' assegnati, ed in tale ottica trarne le conseguenze in ordine alle modalita' e ai limiti di esercizio dell'attivita' professionale. Allo stesso modo, il generale divieto di svolgere attivita' professionale per gli "animali da reddito" (salvo il caso di carenza di veterinari libero-professionisti; art. 3 della legge reg. n. 4/1997) implica la soppressione di ogni possibilita' di esercizio della libera professione, e quindi sovverte quel principio che si e' piu' volte indicato come canone informatore del rapporto di impiego del personale medico. Anziche' individuare le ipotesi di conflitto con le competenze dei veterinari quali dipendenti pubblici, la norma preclude in toto l'ammissibilita' della libera professione. Difetta quindi ogni ponderato collegamento con le esigenze del servizio sanitario pubblico. In conclusione, la questione appare non manifestamente infondata in relazione agli artt. 4 e 35 della Costituzione, giacche' la normativa regionale piemontese (ed in particolare gli artt. 2 e 3, nonche' l'art. 4, che estende la predetta disciplina al c.d. "cavallo sportivo", nonche' per connessione l'art. 1, comma 2, che fa obbligo ai veterinari di segnalare alla propria azienda sanitaria, per le dovute verifiche, l'attivita' libero-professionale che intendono svolgere) risulta ingiustificatamente preclusiva delle concrete possibilita' di esercizio della libera professione da parte dei veterinari dipendenti pubblici, e quindi lesiva del diritto al lavoro costituzionalmente protetto. Per quanto concerne poi l'asserito contrasto con l'art. 3 della Costituzione, nega il Collegio che possa ipotizzarsi una disparita' di trattamento con i medici dipendenti pubblici da una parte e con i veterinari libero-professionisti dall'altra, attesa l'evidente diversita' delle situazioni poste a raffronto; quanto, invece, alla ipotizzata disparita' di trattamento con il personale veterinario di altre regioni, e' da escludersi che altre normative regionali (o anche l'assenza delle stesse) possano essere assunte a riferimento per desumerne un'eventuale violazione del principio di uguaglianza. Per contro, si deve dichiarare d'ufficio la non manifesta infondatezza della questione, in relazione all'art. 3 Cost., sotto il profilo della irragionevolezza di una normativa regionale che prima ammette i veterinari all'esercizio dell'attivita' libero-professionale (v. art. 1, comma primo) e poi ne restringe contraddittoriamente le possibilita' di esplicazione del diritto fino a vanificarlo. L'assenza di una ratio giustificativa legata alla tutela della funzionalita' operativa del servizio sanitario pubblico induce a ritenere non manifestamente infondata anche la questione di costituzionalita' dell'art. 2 della legge regionale in esame, in riferimento all'art. 120, comma 3, della Costituzione, giacche' il divieto di esercizio dell'attivita' professionale per gli "animali d'affezione" nell'ambito del territorio dell'azienda sanitaria di appartenenza, privo come e' di fondamento in norme di rango costituzionale, viene a determinare un indebito limite di spazio allo svolgimento della libera professione. Vanno infine ritenuti sussistenti i presupposti per investire la Corte costituzionale della cognizione della normativa regionale in riferimento all'art. 117 Cost., atteso che l'intervenuta disciplina dell'attivita' libero-professionale dei veterinari dipendenti pubblici appare discostarsi dai principi fondamentali in materia, quali si desumono dalla normativa statale esaminata, che - come si e' visto - ha inteso consentire in linea di massima l'esercizio della libera professione, salvo regolamentarne le modalita' di esplicazione in relazione all'obiettivo di impedire l'insorgenza di situazioni di pregiudizio al servizio sanitario pubblico. L'aver gravemente compromesso il diritto allo svolgimento dell'attivita' professionale, senza alcun ragionevole raccordo con le esigenze della struttura pubblica, integra quindi l'inosservanza degli indirizzi fissati dal legislatore statale, con conseguente violazione dell'art. 117 Cost. Cio' stante, si deve disporre l'immediata trasmissione alla Corte costituzionale degli atti del giudizio, dichiarandone nelle more la sospensione. Con separata ordinanza e' stata pronunciata la temporanea sospensione dell'atto impugnato, con rinvio dell'ulteriore corso del processo cautelare alla conclusione del giudizio di costituzionalita'.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 1, secondo comma, 2, 3 e 4 della legge reg. Piemonte 3 gennaio 1997, n. 4, in relazione agli artt. 3, 4, 35, 117 e 120 della Costituzione, nei sensi di cui in motivazione; Sospende il giudizio cautelare fino alla camera di consiglio immediatamente successiva alla comunicazione dell'esito del giudizio di costituzionalita', e ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che, a cura della segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al presidente della Giunta regionale del Piemonte e sia comunicata al presidente del Consiglio regionale del Piemonte. Cosi deciso in Torino, nella camera di consiglio del 14 maggio 1997. Il presidente: Bonifacio Il referendario, est.: Caso 97C1049