N. 13 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 4 agosto 2004
Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il 4 agosto 2004 (della Corte d'appello di Milano) Parlamento - Immunita' parlamentari - Deliberazione del Senato in data 31 gennaio 2001, con la quale si dichiara che i fatti per cui si procede civilmente nei confronti del sen. Marco Boato per il risarcimento del danno in conseguenza di dichiarazioni oltraggiose, diffamatorie e calunniose nei confronti del dott. Guido Salvini concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni - Conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dalla Corte d'appello di Milano per la ritenuta mancanza di nesso tra i fatti attribuiti e l'esercizio delle funzioni parlamentari. - Deliberazione del Senato del 31 gennaio 2001. - Costituzione, art. 68, primo comma.(GU n.41 del 20-10-2004 )
La Corte d'appello di Milano, seconda sezione civile, composta dai signori: dott. Roberto Odorisio, presidente; dott. Raffaella D'Antonio, consigliere relatore; dott. M. Cristina Pozzetti, consigliere, deliberando in camera di consiglio nella causa n. 439/2001 R.G. tra Marco Boato con gli avv. Erminia Gazzillo di Milano e Umberto De Luca di Verona - attore appellante e Guido Salvini, con gli avv. Marcello Giucastro di Milano e Giuseppe Bernardi di Roma - convenuto appellato e con il litisconsorte EDIT - Editoriale Italiana S.r.l. - contumace, ha pronunziato il seguente ricorso alla Corte costituzionale, ex art. 68, primo comma, della Carta costituzionale. Il giudizio in corso e' stato radicato da Guido Salvini, magistrato in Milano, per ottenere il risarcimento dei danni asseritamente subiti in conseguenza delle dichiarazioni «gravissimamente oltraggiose, diffamatorie e calunniose» (atto di citazione) rese dall'on. Boato il 23 febbraio 1990 nel corso della deposizione in qualita' di teste nel processo dinanzi alla Corte d'assise a carico di Adriano Sofri ed altri, imputati dell'omicidio Calabresi, siccome dirette ad attribuire al dott. Salvini, «nello svolgimento delle sue pubbliche funzioni, comportamenti non corretti e che potrebbero addirittura configurare ipotesi di reato»; dichiarazioni ribadite nel corso di un dibattito, e di successive interviste alla stampa. Poiche' il Senato della Repubblica, nella seduta del 31 gennaio 2001, ha deliberato a maggioranza assoluta che i fatti oggetto del processo civile concernono opinioni espresse dal deputato Boato nell'esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell'art. 68, primo comma della Costituzione, e considerato l'effetto inibitorio inevitabilmente conseguente a tale deliberazione, salvo il controllo eventualmente promosso dal giudice tramite il conflitto di attribuzione (cfr. sentenze n. 379/1996; 129/1993, etc.), reputa la Corte - investita del gravame avverso la sentenza n. 12535 del 17/20 novembre 2000 resa inter partes dal Tribunale civile in sede - di dover sollevare tale conflitto alla luce delle seguenti considerazioni. La ritenuta insindacabilita' da parte del giudice ordinario dei fatti oggetto del procedimento civile muove dalla premessa che «appare estremamente riduttivo ... collegare e limitare la tutela della insindacabilita' di un parlamentare ad una stretta connessione e pertinenza rispetto alle dichiarazioni da lui rese nell'esercizio dell'attivita' parlamentare formalmente intesa: se cosi' fosse, come si evince da una interpretazione costituzionale estremamente riduttiva, l'attivita' del parlamentare dovrebbe paradossalmente ricondursi soltanto a quella svolta negli "orari d'ufficio" e "nelle materie in calendario" e non anche a tutte quelle attivita' in occasione delle quali egli, in qualunque contesto o circostanza, ha il dovere, piu' che il diritto, di esaminare, criticare e denunciare nel senso piu' alto del termine». Nel solco di tale orientamento di base, la Giunta ritiene che «la vicenda che ha interessato l'on. Boato travalica il fatto in se' per assumere il rilievo di una denuncia dei mali della giustizia, di deprecabili comportamenti di magistrati di cui, quello in esame, non e' purtroppo l'unico ma uno dei tanti che negli ultimi anni, con frequente ricorrenza, hanno violentemente caratterizzato e condizionato l'amministrazione della giustizia nel nostro paese ... significativo episodio che rivela, in particolare, le distorsioni delle regole processuali nell'uso (e nell'abuso!) dei collaboratori di giustizia ... ». Non potrebbe quindi dubitarsi del «significato di critica politica» dell'episodio stigmatizzato «collegata alla funzione parlamentare del Boato». La battaglia ideale portata avanti con assoluta coerenza dal predetto si sarebbe trasfusa nell'episodio giudiziario, cosi' legittimando l'accusa rivolta al giudice Salvini di aver tentato di mettere in bocca ad un collaboratore di giustizia il suo nome come mandante dell'omicidio del commissario Calabresi. Orbene, il taglio dato all'argomento nella richiamata delibera stride insanabilmente con i principi affermati in ripetute pronunce dalla suprema Consulta. Costituisce infatti consolidato orientamento giurisprudenziale che la garanzia prevista dal citato art. 68, primo comma della Costituzione, in tanto si applica alle dichiarazioni rese dal parlamentare «extra moenia», in quanto sussista «una sostanziale corrispondenza di significato con opinioni gia' espresse, o contestualmente espresse, nell'esercizio di funzioni parlamentari tipiche». Non e' invece sufficiente a tal uopo «la semplice comunanza di argomenti, ne', tanto meno, la semplice riconducibilita' ad un medesimo contesto politico» (cfr. ex plurimis, Corte costituzionale sentenze 23 maggio 2002 n. 207, 20 giugno 2002 n. 257, 26 giugno 2002 n. 283, etc.) E' noto invero che l'immunita' parlamentare per i voti dati e le opinioni espresse dal parlamentare nell'esercizio delle sue funzioni concreta una garanzia di tipo «funzionale», che tende a tutelare l'attivita' parlamentare, nella considerazione del ruolo fondamentale che tale attivita' assume per la realizzazione di un sistema democratico, ed il cui valore non puo' essere compromesso da un uso distorto del potere giudiziario. Precisamente per la natura della garanzia predetta, non e' consentito estenderne la copertura ad opinioni o valutazioni che, pur di analoga matrice ideologica, travalicano l'attivita' parlamentare pur lato sensu intesa. Orbene, le dichiarazioni rese dal Boato nel richiamato procedimento penale a carico di Adriano Sofri ed altri, non possono considerarsi, ad avviso di questa Corte, quale divulgazione all'esterno di opinioni gia' espresse dal parlamentare in sede strettamente politica, bensi' rappresentano specifica accusa al dott. Salvini di aver tentato, «fuori da ogni verbale» di strumentalizzare uno o piu' pentiti onde estorcere loro il nome del Boato come mandante dell'omicidio Calabresi (cfr. trascrizioni udienza dibattimentale 23 febbraio 1990, pagg. 41 e segg. e 58 e segg). Il Boato, interrogato dal presidente, ha insistito su tale profilo, ribadendo di aver appreso il fatto dall'avv. Ceola (difensore di fiducia del detenuto), e di averne avuto conferma dallo stesso Salvini, il quale gli avrebbe telefonato per scusarsi dell'accaduto, pregandolo inoltre di avere un incontro personale con lui prima della deposizione. La circostanza che la fonte della notizia (colloquio con l'avv. Ceola) non risulta in alcun modo collegata allo svolgimento di attivita' parlamentari, il rilevante lasso cronologico intercorso tra l'acquisizione della notizia (1986, data della lettera indirizzata dal Boato al Salvini) e la sua divulgazione (1990), e precipuamente la sede prescelta per la divulgazione stessa (processo penale di scottante attualita', dove il Boato e' stato sentito in qualita' di teste, vincolato quindi all'obbligo di dire la verita', dovendosi invece astenere dall'esprimere opinioni) rendono evidente l'estraneita' delle dichiarazioni rese all'ambito delle attivita' parlamentari o politiche. Ritenuta pertanto la necessita' di sollevare conflitto attribuzione tra i poteri dello Stato, conflitto ammissibile sia sotto il profilo soggettivo - la Corte d'appello infatti e' l'organo competente a decidere in secondo grado sulla asserita illiceita' delle condotte poste in essere dal Boato ai danni del Salvini - sia sotto quello oggettivo - vertendosi, nella fattispecie, della sussistenza dei presupposti per l'applicazione dell'art. 68, primo comma della carta costituzionale.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 della Costituzione e 37 legge 11 marzo 1953, n.87; Dispone l'immediata sospensione del giudizio in corso e l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, sollevando conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato e chiedendo che la Corte: 1) dichiari che non competeva al Senato della Repubblica la valutazione della condotta attribuita all'on. Marco Boato, in quanto estranea, in tutto o in parte, alla previsione normativa dell'art. 68, primo comma della Costituzione; 2) annulli la relativa deliberazione adottata dal Senato della Repubblica nella seduta del 31 gennaio 2001. Milano, addi' 5 febbraio 2003 Il Presidente: Dott. Roberto Odorisio 04C0994