N. 26 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 2 giugno 2000
Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il 2 giugno 2000 Referendum - Campagna per i referendum abrogativi indetti per il 21 maggio 2000 - Disciplina in materia di comunicazione politica e parita' di accesso ai mezzi di informazione - Provvedimento adottato dalla Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, in attuazione della legge 22 febbraio 2000, n. 28 - Conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dai promotori e presentatori dei referendum abrogativi - Mancata effettiva attuazione dei principi previsti nella suddetta legge - Restrizioni alla comunicazione istituzionale (intesa nel senso di informazione obiettiva e neutrale circa il significato e le modalita' di voto) - Cattivo uso del potere esercitato - Incidenza sulla formazione della volonta' dei cittadini chiamati ad esprimere il proprio voto - Lesione della sfera di attribuzioni spettante ai promotori. In linea gradata: richiesta alla Corte costituzionale di sollevare dinanzi a se stessa questione di legittimita' costituzionale degli artt. 5, comma 1, e 9 della legge 22 febbraio 2000, n. 28 (Disposizioni per la parita' di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica), nella parte in cui non prevedono misure idonee ad assicurare la presenza di forme di comunicazione istituzionale in periodo di campagna referendaria - Artt. 1, 3, comma secondo, 21, 48 e 75 Cost. - Deliberazione della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi del 29 marzo 2000, artt. 1, comma 2, 2, comma 1, lett. e) e d), 7, comma 2. - Costituzione, artt. 1, 3, secondo comma, 48 e 75(GU n.34 del 16-8-2000 )
Ricorso per conflitto di attribuzioni dei signori Daniele Capezzone, Michele De Lucia e Mariano Giustino - nella loro qualita' di promotori e presentatori dei referendum abrogativi indetti, per il 21 maggio 2000, con i decreti del Presidente della Repubblica del 29 marzo 2000 pubblicati nella Gazzetta Ufficiale del 4 aprile 2000, n. 79 - rappresentati e difesi dall'avv. prof. Nicolo' Zanon del Foro di Milano ed elettivamente domiciliati in Roma, presso lo studio dell'avv. Giandomenico Caiazza, viale Mazzini, 140, come da procura speciale del notaio Antonio Manzi di Roma, del 19 aprile 2000, allegata al presente atto; Nei confornti della commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi per l'annullamento, previa sospensione, degli artt. 1, comma 2; 2, comma 1, lett. c) e d); 7, comma 2, della deliberazione approvata in data 29 marzo 2000, intitolata "comunicazione politica, messaggi autogestiti, informazione e tribune della concessionaria del servizio radiotelevisivo pubblico per la campagna referendaria 2000" pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 1o aprile 2000, n. 77; Nei confronti dell'autorita' per le garanzie nelle comunicazioni per l'annullamento, previa sospensione, dell'art. 8 della deliberazione n. 55/00/CSP, approvata in data 29 marzo 2000, intitolata "disposizioni di attuazione della disciplina in materia di comunicazione politica e di parita' di accesso ai mezzi di informazione relative alla campagna per i referendum abrogativi della primavera 2000", pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 1o aprile 2000, n. 77. Fatto e dirirtto 1. - Con il presente ricorso per conflitto, i promotori dei sette referendum indetti per il 21 maggio 2000 lamentano la lesione della loro sfera costituzionale di attribuzioni in conseguenza degli atti (meglio specificati in epigrafe) della commissione parlamentare di vigilanza e dell'autorita' per le garanzie nelle comunicazioni, adottati in attuazione di quanto stabilito dalla legge 22 febbraio 2000, n. 28 "disposizioni per la parita' di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica". I ricorrenti ritengono che la commissione parlamentare e l'autorita' abbiano fatto cattivo uso dei poteri loro spettanti: il contenuto degli atti impugnati, infatti, non contiene la effettiva attuazione dei principi previsti nella legge, cio' che determina restrizioni allo svolgimento della campagna referendaria tali da incidere sulla formazione della volonta' di coloro che esprimono il loro voto nel referendum e, di conseguenza, nella sfera di attribuzioni garantita, ai sensi dell'art. 75 Cost., ai promotori (cfr. Corte cost., sentenza n. 161 del 1995; ordinanza n. 171 del 1997). 2. - Per meglio comprendere come nasce il presente conflitto, e' opportuno illustrare sinteticamente i contenuti della legge n. 28 del 2000. Essa contiene la nuova disciplina relativa alla cd. "comunicazione politica", sia radiotelevisiva che attraverso quotidiani e periodici, applicabile in generale e, con norme particolari, nei periodi di campagna elettorale e (cio' che qui piu' interessa) referendaria. Per "comunicazione politica" la legge intende la diffusione, nelle varie forme possibili, di "programmi contenenti opinioni e valutazioni politiche" (art. 2, comma 2), con cio' riferendosi alle diverse opzioni politico-programmatiche espresse dalle forze politiche. La legge si dichiara ispirata al criterio fondamentale (artt. 1 e 2, comma 1) di garantire la parita' di trattamento, l'imparzialita' e l'equita' rispetto a tutti i soggetti politici. La legge n. 28 del 2000 contiene, dunque, in primo luogo, la disciplina che riguarda l'accesso ai mezzi di informazione dei diversi soggetti politici, sia nei periodi di campagna elettorale o referendaria, sia fuori di questi: si tratta delle regole che disciplinano tempi e modalita' attraverso i quali tali soggetti possono essere ospitati dai mezzi di informazione per presentare i propri programmi, i propri candidati e i propri obiettivi, cioe' per far conoscere, come la legge dice, le proprie opinioni e valutazioni politiche. Tuttavia, la legge n. 28 del 2000 contiene anche alcune disposizioni, di significato assai diverso, in tema di informazione e comunicazione di carattere istituzionale, che valgono particolarmente per i periodi di campagna elettorale e referendaria. Si tratta di regole attraverso le quali i mezzi di comunicazione (e in particolare la RAI, concessionaria del servizio pubblico) sono tenuti non gia' ad offrire spazi ai diversi soggetti politici, affinche' questi possano illustrare le proprie opinioni e valutazioni politiche, ma a fornire direttamente essi stessi un'informazione obbiettiva e neutrale circa il significato e le modalita' del voto cui i cittadini sono chiamati. Oltre all'art. 5, comma 1, che ragiona di obiettivita', completezza ed imparzialita' dell'informazione, e' da ricordare soprattutto l'art. 9 (intitolato "disciplina della comunicazione istituzionale e obblighi di informazione"), il quale, al primo comma, stabilisce che "dalla data di convocazione dei comizi elettorali e fino alla chiusura delle operazioni di voto e' fatto divieto a tutte le amministrazioni pubbliche di svolgere attivita' di comunicazione ad eccezione di quelle effettuate in forma impersonale ed indispensabili per l'efficace assolvimento delle proprie funzioni". Il secondo comma precisa che "le emittenti radiotelevisive pubbliche e private, su indicazione delle istituzioni competenti, informano i cittadini delle modalita' di voto e degli orari di apertura e chiusura dei seggi elettorali". E' subito da segnalare che tale art. 9 non contiene soltanto un divieto di informazione per le amministrazioni pubbliche, come invece accadeva per l'art. 5 della legge 10 dicembre 1993, n. 515, il quale e' stato esplicitamente abrogato (cfr. art. 13 legge n. 28 del 2000). Mentre tale art. 5 della legge n. 515 del 1993 era appunto significativamente rubricato come "divieto di propaganda istituzionale", l'attuale art. 9 prevede esplicitamente, fin dalla rubrica, degli "obblighi di informazione", e contiene in ogni caso una "disciplina" (quindi una normazione in positivo) della comunicazione istituzionale, espressione che assai significativamente sostituisce quella, utilizzata in precedenza, di "propaganda istituzionale". La distinzione tra comunicazione istituzionale e propaganda istituzionale e' assai importante. Con la seconda, si fa riferimento ai casi (patologici) nei quali forze politiche di governo, in periodi di campagna di elettorale o referendaria, utilizzino mezzi e strumenti, anche finanziari, dei quali dispongano in ragione della loro posizione istituzionale e per finalita' di interesse generale, a scopi di propaganda politico-partitica, facendo cosi' valere slealmente, nella lotta politica, la loro oggettiva condizione di supremazia. Se cio' accadesse, verrebbero violati quelli che, particolarmente nella giurisprudenza del Bundesverfassungsgericht, sono definiti il principio di parita' delle chances nella competizione politico-elettorale, nonche' il principio di neutralita' dello Stato, il quale implica il divieto, per le forze politiche di governo, di utilizzare le istituzioni (e la posizione di supremazia di queste) come strumenti di lotta politica partigiana. Con l'espressione comunicazione istituzionale si intende qualcosa di profondamente diverso. In particolare, nel campo dell'informazione finalizzata al regolare svolgimento di campagne elettorali o referendarie, si ha una tal forma di comunicazione laddove le amministrazioni pubbliche forniscano ai cittadini, in forma impersonale e obiettiva, un servizio informativo che consenta loro di essere effettivamente posti nelle condizioni di poter esercitare con consapevolezza i diritti previsti e garantiti dalla Costituzione, in particolare il diritto a esprimere un voto libero e consapevole (art. 48 Cost.). Dal punto di vista delle autorita' pubbliche, quello di informare i cittadini, non e' ovviamente un diritto di liberta', ma un dovere. Dal punto di vista dei cittadini, la liberta' di voto si converte nella legittima pretesa che le autorita' intervengano con una adeguata organizzazione e con idonee misure per agevolare l'esercizio del voto da parte di tutti coloro che ne hanno diritto, rimuovendo pertanto gli ostacoli di vario ordine che potrebbero impedirlo o soltanto scoraggiarlo (cfr. E. Bettinelli, voce Diritto di voto, in Digesto delle Discipline Pubblicistiche, p. 228). Cio' significa che la disciplina legislativa in tema di comunicazione istituzionale presenta profili di obbligatorieta' costituzionale, potendo essere ricollegata, oltre che agli artt. 1, 48 e 75, all'art. 3, secondo comma, Cost. D'altra parte, e' convinzione dei ricorrenti che la comunicazione istituzionale acquisisca un ruolo costituzionale ancora piu' chiaro nel caso delle campagne referendarie. La disciplina della comunicazione politica, e percio' dell'accesso dei diversi soggetti ai mezzi di informazione, ben puo' essere comune alle campagne elettorali e alle campagne referendarie. In proposito, la Corte costituzionale, con affermazioni peraltro prudenti, ha stabilito che "nulla vieta che il legislatore, nell'esercizio della sua discrezionalita', possa di massima regolare elezioni e referendum in termini identici, una volta constatata, rispetto al profilo della parita' di trattamento cui sono tenuti i mezzi di informazione di massa nei confronti dei soggetti politici, l'unitarieta' della ratio della disciplina da adottare" (Corte cost., sentenza n. 161 del 1995). In altri termini, la particolarita' della consultazione referendaria non rende costituzionalmente dovuta una disciplina differenziata dell'accesso dei diversi soggetti politici ai mezzi d'informazione (comunicazione politica). Cio' non vale, ad avviso dei ricorrenti, per quanto concerne la comunicazione istituzionale. Salve le indispensabili informazioni sulla data e sulle modalita' tecniche del voto, nel caso delle campagne elettorali (politiche o amministrative che siano) il formarsi della libera e consapevole volonta' dell'elettore puo' essere sufficientemente garantito dalla presenza, sui mezzi di informazione, di forme di comunicazione politica, in contraddittorio tra i diversi soggetti o autogestite da ciascuno di questi. L'intervento normativo pubblico, in tali casi, puo' limitarsi ad assicurare alcune chiare regole procedurali, che disciplino l'accesso dei diversi soggetti ai mezzi di informazione, garantendo rigorose condizioni di parita'. Nel caso del referendum, invece, l'intervento normativo pubblico non puo' limitarsi alla regolazione di aspetti procedurali, ma deve predisporre le misure che consentano agli elettori di ottenere un'adeguata informazione sui contenuti dei quesiti, sul significato del si e del no all'abrogazione, sul significato della stessa astensione (cui l'art. 75 Cost. assicura un ruolo costituzionalmente significativo). Non depone in senso contrario la struttura binaria del quesito, con la conseguente (apparente) semplificazione dei messaggi e della propaganda politica (rectius, della comunicazione politica): lo stesso carattere abrativo del referendum, la tecnicita' delle materie sulle quali insistono i quesiti, le eventuali conseguenze peculiari dell'abrogazione, sono aspetti di difficolta' oggettivamente presenti nel tipo di consultazione prevista dall'art. 75 Cost., e impongono, affinche' il diritto di voto dei cittadini non sia frustrato, compiti informativi neutrali e istituzionali differenziati. Ne' si potrebbe ritenere che tali oggettive complicazioni siano ascrivibili al numero dei quesiti referendari, ovvero al modo nel quale i quesiti sono formulati. Se una eventuale disciplina limitatrice del numero dei quesiti appartiene alle scelte discrezionali del legislatore (non potendosi comunque dedurre dall'art. 75 Cost. nessuna volonta' in tal senso), e' la giurisprudenza della Corte costituzionale, come e' noto, ad imporre l'omogeneita', la chiarezza e la semplicita' dei quesiti referendari, a pena di inammissibilita', in modo tale da garantire la liberta' e la consapevolezza del voto (in nome degli artt. 1 e 48 Cost.: cfr. le sentenze "capostipite" n. 16 del 1978 e n. 27 del 1981). Ma l'assolvimento, da parte dei promotori, di tale onere preliminare, cui consegue la dichiarazione di ammissibilita' del referendum, non elimina affatto gli obblighi costituzionali di comunicazione istituzionale e di informazione neutrale, perche' le oggettive difficolta' di comprensione dei quesiti, e percio' del significato del voto richiesto, possono permanere indipendentemente dalla presenza, nei quesiti stessi, delle qualita' tecniche che facciano ritenere soddisfatti, dal punto di vista giuridico, i requisiti di omogeneita', chiarezza e semplicita'. La stessa convinzione dell'opportunita' dell'astensione, al cospetto del voto referendario, ha bisogno di informazione, per potersi consapevolmente formare: altrimenti, e' plausibile che un'informazione insufficiente o squilibrata induca a comportamenti astensionistici non spontanei e non genuini (cfr. E. Bettinelli, voce Propaganda elettorale, in Digesto delle Discipline Pubblicistiche, p. 91). In altri paesi di democrazia matura, nei quali lo strumento referendario e' frequentemente utilizzato, la disciplina della comunicazione istituzionale e' particolarmente sviluppata. Emerge dal diritto comparato che in Svizzera, paese di grandi tradizioni referendarie, in occasione dei referendum il Parlamento puo' formulare delle raccomandazioni di voto al popolo e il governo federale e' incaricato di redigere un prospetto ufficiale, distribuito a tutti gli elettori, nel quale e' riprodotto il testo dell'iniziativa e viene spiegato il punto di vista dei fautori dell'iniziativa e delle autorita' (si allegano nel fascicolo alcuni opuscoli illustrativi distribuiti nel Canton Ticino in occasione delle votazioni del 6 febbraio e 12 marzo 2000). Da ricordare la legge cantonale ticinese sull'esercizio dei diritti politici (del 7 ottobre 1998) la quale prevede, all'art. 25, che in caso di referendum l'autorita' competente metta a disposizione una breve ed oggettiva spiegazione dei testi in votazione, e all'art. 26 stabilisce anche i tempi di invio al domicilio di ogni cittadino del materiale relativo. Negli Stati Uniti, ove pure gli istituti di democrazia diretta hanno larga fortuna, il ballot pamphlet, pur non riproducendo l'opinione delle autorita', comporta un'esposizione sistematica del punto di vista dei partigiani e degli oppositori dell'iniziativa referendaria. E' da notare che il legislatore italiano gia' in altri casi ha dimostrato di aver presenti le esigenze peculiari di informazione e chiarezza che caratterizzano la consultazione referendaria: in tal senso e' da valutare l'art. 1 della legge 17 maggio 1995, n. 173, in base al quale l'ufficio centrale presso la Corte di cassazione stabilisce la denominazione della richiesta di referendum da riprodurre nella parte interna delle schede di votazione, al fine della piu' facile identificazione dell'oggetto del referendum. Anche questa disposizione fa a buon titolo parte della complessiva disciplina, costituzionalmente necessaria, che assicura una corretta comunicazione istituzionale in tema di consultazioni referendarie. Tutto cio' premesso, risulta chiaro, ad avviso dei ricorrenti, il significato di norma costituzionalmente necessaria, con riferimento alle campagne referendarie, dell'art. 9 della legge n. 28 del 2000. Esso prevede che le amministrazioni pubbliche debbano svolgere attivita' di comunicazione in forma impersonale (cioe' con carattere di neutralita' ed obiettivita') in tutte le circostanze in cui cio' risulti indispensabile per l'efficace assolvimento delle proprie funzioni. Alla luce di quanto detto, non c'e' dubbio che lo svolgersi di una campagna referendaria configura proprio quella circostanza che rende indispensabile una comunicazione e un'informazione adeguata, onde assicurarne il regolare svolgimento e garantire la consapevole formazione della volonta' dell'elettore. Il comma 2 dell'articolo in questione indica inoltre, tra gli obblighi cui sono tenute le emittenti radiotelevisive pubbliche e private, l'informazione ai cittadini non solo circa gli orari di apertura e chiusura dei seggi, ma anche circa le modalita' di voto, espressione che, nel caso della campagna referendaria, deve essere intesa in senso lato, in modo da ricomprendere anche il significato oggettivo del voto, positivo o negativo, nel referendum abrogativo ex art. 75 Cost. Si deve anche sottolineare che lo stesso comma 2 dell'art. 9 ragiona di "indicazioni delle istituzioni competenti" quanto alla identificazione degli obblighi di informazione delle emittenti private e pubbliche, con cio' chiarendo che obblighi di informare, o comunque di fornire criteri e indicazioni in materia, gravano in primo luogo in capo a tali istituzioni. Va infine notato che la predisposizione, da parte della commissione parlamentare e dell'autorita' garante, di regole e criteri che consentano l'applicazione dei principi della legge n. 28 del 2000, vale anche con riguardo alla parte della suddetta legge dedicata non gia' a disciplinare l'accesso dei soggetti politici ai mezzi di informazione (comunicazione politica), ma a disciplinare le modalita' di svolgimento della comunicazione istituzionale. Cio' e' reso esplicito nello stesso atto della commissione parlamentare (nelle premesse, lett. o) ove si considera "l'opportunita' che la concessionaria pubblica garantisca il massimo di informazione e conoscenza su ciascun quesito referendario, anche nelle trasmissioni che non rientrano nei generi della comunicazione e dei messaggi politici". 3. - Ad avviso dei ricorrenti, la deliberazione 29 marzo 2000 della commissione parlamentare di vigilanza e la deliberazione in pari data dell'autorita' per le garanzie nelle comunicazioni non hanno dato attuazione alle ricordate norme della legge n. 28 del 2000 che impongono obblighi di informazione di carattere istituzionale, neutrale ed obbiettivo. Anche ad un primo e superficiale sguardo, e' facile osservare come, al cospetto di una minuziosa e dettagliata disciplina degli aspetti relativi alla comunicazione politica, e quindi degli spazi di accesso dei diversi soggetti politici presso i mezzi di informazione, risultano invece del tutto generiche e insufficienti, in entrambi gli atti richiamati, le regole dettate in tema di comunicazione istituzionale. Questa genericita' e' anzi tale da indurre a qualificare le regole appena citate, per la parte relativa alla comunicazione istituzionale, come strutturalmente inidonee alla funzione, che pur dovrebbe essere loro propria, di concretizzazione dei principi contenuti nella legge n. 28 del 2000. Per quanto concerne l'atto della commissione parlamentare, l'unica disposizione che si puo' ritenere (pretesamente) attuativa dei principi legislativi in tema di comunicazione istituzionale e' l'art. 4. Esso stabilisce che, a partire dal giorno di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dei decreti di indizione dei referendum, "la Rai cura l'illustrazione dei quesiti referendari, e informa sulle modalita' di votazione, sulla data e gli orari della consultazione". Ben lungi dall'essere una disposizione di concretizzazione e di attuazione di quanto previsto dall'art. 9 della legge n. 28 del 2000, tale art. 4 si presenta largamente generico e insufficiente. Basti solo confrontare tale disposizione con le minuziose regole stabilite al successivo art. 5, dedicato a "tribune referendarie e trasmissioni di comunicazione politica" nelle quali l'atto di indirizzo scende a predisporre la programmazione sulle tre reti televisive e radiofoniche nella varie fasce di ascolto, cosi' vincolando la determinazione dei palinsesti Rai (cfr. art. 5, n. 6). La medesima considerazione (strutturale inidoneita' a presentarsi come attuazione e concretizzazione dei principi legislativi in tema di comunicazione istituzionale) puo' farsi per l'art. 7, comma 2, dell'atto della commissione, il quale si limita a parafrasare l'art. 9 della legge, stabilendo che "le trasmissioni di cui al presente articolo forniscono per i referendum un'informazione di carattere istituzionale, intesa a illustrare imparzialmente la data, le modalita' e i contenuti dei quesiti referendari". Di nessun pregio appare poi, allo scopo di assicurare una sufficiente comunicazione istituzionale, l'art. 2, comma 1, lett. c) dell'atto della commissione, il quale parla genericamente di un'informazione assicurata mediante i notiziari e i relativi approfondimenti: qualora si riferiscano specificamente ai temi propri dei referendum, tali trasmissioni sono infatti ricondotte (o meglio: abbandonate), senza indicazione di alcun principio o criterio direttivo, alla responsabilita' della specifica testata giornalistica. Che non si diano ulteriori possibilita' di assicurare la necessaria informazione sui temi dei quesiti e' fatto del resto palese dall'art. 1, comma 2, dell'atto di indirizzo, il quale testualmente stabilisce che in tutte le trasmissioni che operano riferimenti ai temi propri del referendum (e percio' sia trasmissioni di comunicazione politica, sia trasmissioni di comunicazione istituzionale), gli spazi sono ripartiti in misura uguale fra i favorevoli ed i contrari ai relativi quesiti. Ben vero che tale disposizione e' attuazione di quanto disposto dall'art. 4, comma 2, lettera d), legge n. 28 del 2000: ma, negli intendimenti della commissione, risulta che attraverso tale attuazione del principio (riferito alla comunicazione politica), lo spazio concesso ai soggetti favorevoli e contrari all'abrogazione dovrebbe esaurire ogni possibilita' di comunicazione in tema di referendum. Per la commissione parlamentare, in sostanza, solo favorevoli e contrari possono dividersi la scena delle possibili opzioni in tema di referendum. Ma e' chiaro come in tal modo si finisca per vanificare qualunque forma di comunicazione e informazione istituzionale, che invece l'art. 9 della legge n. 28 del 2000 esplicitamente richiede. Prima di presentare all'elettorato ogni valutazione politica sui quesiti referendari. e' infatti indispensabile fornirgli informazione su tali quesiti. La medesima considerazione vale per l'art. 2, comma 1, lett. d) (in tema di tipologia della programmazione Rai durante la campagna referendaria), che addirittura stabilisce che non possono aver luogo riferimenti specifici ai quesiti referendari al di fuori delle specifiche tipologie di trasmissione previste nell'articolo (trasmissioni in contraddittorio, messaggi politici autogestiti, generici notiziari e approfondimenti): a parte il puntuale contrasto con l'auspicio contenuto nella lett. o) delle "premesse" all'atto, tutto cio' e' stabilito sul presupposto che alcune (poche) trasmissioni di propaganda delle diverse opzioni possano giustificare l'imposizione del silenzio sui temi referendari, che invece abbisognano di informazione. Tale disposizione, gravemente lesiva della sfera di attribuzioni dei ricorrenti, non e' certo in grado di superare quel rigoroso scrutinio di ragionevolezza e proporzionalita' che la Corte costituzionale evoca in presenza di norme che, limitando l'informazione, abbiano ricadute negative sull'esercizio di un diritto politico fondamentale quale il diritto di voto (Corte cost. sent. n. 161 del 1995). Del resto, il calendario delle tribune referendarie approvato dalla Rai conferma tali assunti. Sulle reti nazionali, e' assente qualunque trasmissione di informazione e approfondimento reale, e i confronti e i dibattiti sui sette referendum sono confinati in orari palesemente inidonei a raggiungere la generalita' degli elettori: le fasce orarie prescelte per la messa in onda di tali trasmissioni (intorno alle 14 e intorno alle 23) sembrano pensate per una minoranza di non lavoratori o di nottambuli. 4. - La delibera n. 55/00/CSP dell'autorita' per le garanzie nelle comunicazioni, per parte sua, si presta alle stesse censure. Anch'essa contempla soltanto trasmissioni e messaggi nei quali si presentano le opzioni dei favorevoli e dei contrari all'abrogazione, mortificando la comunicazione di carattere istituzionale. L'unica disposizione esplicitamente dedicata a questo tipo di comunicazione e' infatti l'art. 8, al cui cospetto non si puo' che ripetere, con qualche aggravante, quanto gia' detto per le impugnate disposizioni dell'atto della commissione parlamentare di vigilanza: tale articolo, strutturalmente inidoneo a presentarsi quale atto di concretizzazione e attuazione dei principi legislativi, non solo si limita a parafrasare, in forma ancor piu' generica, quanto stabilito dall'art. 9 della legge n. 28 del 2000, ma addirittura rende del tutto facoltativa l'informazione di carattere istituzionale. Esso prevede infatti che nei programmi di comunicazione politica puo' altresi' essere fornita, per i referendum una informazione di carattere istituzionale, intesa a illustrare imparzialmente la data, le modalita' di voto e i contenuti dei quesiti referendari". Il comma 2 dell'art. 8 in questione conferma poi, come gia' previsto nell'atto della commissione parlamentare, che "in qualunque trasmissione radiotelevisiva diversa da quelle di comunicazione politica e dai messaggi, e' vietato fornire, anche in forma indiretta, indicazioni o preferenze di voto relative ai referendum". Il timore che qualche informazione in piu' possa spezzare l'equilibrio, o la pari condizione, tra le diverse opzioni, comporta una sorta di assurda censura. Il diritto alla par condicio vantato dai diversi soggetti quanto all'accesso alla comunicazione politica, si converte cosi', paradossalmente, in un obbligo al silenzio della comunicazione istituzionale, altrettanto (se non piu') importante per i cittadini chiamati al voto referendario. 5. - Non contenendo la effettiva attuazione dei principi previsti nella legge n. 28 del 2000, le ricordate disposizioni degli atti della commissione parlamentare e dell'autorita' per le garanzie nelle comunicazioni determinano restrizioni allo svolgimento della campagna referendaria, tali da incidere sulla formazione della volonta' di coloro che esprimono il loro voto nel referendum e, di conseguenza, nella sfera di attribuzioni garantita, ai sensi dell'art. 75 Cost., ai promotori (cfr. Corte cost., sentenza n. 161 del 1995; ordinanza n. 171 del 1997). L'identificazione della sfera di attribuzioni costituzionali lesa dagli atti impugnati si appalesa insieme alla legittimazione soggettiva dei promotori a stare in giudizio in un conflitto del tipo di quello qui sollevato. Oltre ai precedenti gia' richiamati, puo' ricordarsi l'ordinanza n. 118 del 1995 (in sede di giudizio preliminare sull'ammissibilita' del conflitto poi risolto con la citata sentenza n. 161 dello stesso anno), in cui la Corte costituzionale ha attribuito la qualifica di potere dello Stato al comitato promotore, che aveva presentato un ricorso per conflitto di attribuzioni contro il Governo e contro l'autorita' garante per la radiodiffusione e l'editoria, autori di provvedimenti restrittivi delle possibilita' di comunicazione politica nell'ambito della campagna referendaria. In quella circostanza, la Corte riconobbe esplicitamente che vi era materia di un conflitto costituzionale, attinente alla lesione delle attribuzioni di rilievo costituzionale spettanti ai promotori nello svolgimento della campagna referendaria ai sensi dell'art. 75 Cost. e dell'art. 52 della legge 25 maggio 1970, n. 352. Ancora di recente, nella sentenza n. 49 del 1998, la Corte costituzionale ha ribadito la competenza dei promotori della richiesta di referendum abrogativo a dichiarare definitivamente la volonta' della frazione del corpo elettorale titolare del potere di iniziativa referendaria ex art. 75 Cost. anche in relazione alle attivita' preordinate all'esercizio del voto referendario. 6. - La giurisprudenza costituzionale richiamata dimostra chiaramente come anche nell'ipotesi di restrizioni all'informazione istituzionale apportate in campagna referendaria, dovute al cattivo uso dei poteri spettanti alla commissione parlamentare e all'autorita' garante, sussista l'interesse a ricorrere dei promotori a tutela della propria sfera di attribuzioni. Per giustificare la sussistenza di tale interesse non e' necessario ricorrere ad ulteriori ricostruzioni, quali quelle che qualificano il comitato promotore del referendum abrogativo - ente esponenziale della frazione degli elettori firmatari della richiesta - come "organo di tutto il popolo", incaricato di compiti di tutela di valori funzionali agli interessi dell'intera comunita', che percio' non puo' essere ridotto a "rappresentante" degli elettori favorevoli all'abrogazione della legge. Per vero, in dottrina, e' stato da tempo chiarito (C. Mezzanotte, procedimento di referendum e innovazioni legislative sopravvenute, in Giur. cost., 1978, I, 734) come non sia possibile escludere, in un sistema in cui la sottoscrizione della richiesta di referendum e' formalmente priva di motivazione, che alcuni dei cinquecentomila firmatari, anziche' avversione ad una data scelta legislativa, intendano esprimere dissenso solo circa le peculiari modalita' attraverso le quali quella scelta (in principio condivisa) si e' concretamente tradotta in legge, e come non sia possibile escludere a priori addirittura richieste di referendum con finalita' conservative, ove alcuno dei cinquecentomila firmatari speri che i principi legislativi gia' presenti nella normativa soggetta a referendum vengano ulteriormente rafforzati. Ed e' ulteriormente da notare come nella stessa giurisprudenza costituzionale emerga tale possibile non univocita' di posizione dei sottoscrittori, laddove si ragiona dei promotori come di soggetti "di norma favorevoli all'abrogazione" (Corte cost., sentenza n. 49 del 1998, punto n. 4 del considerato in diritto). Ma, lo si ripete, l'interesse a ricorrere del comitato promotore sussiste indipendentemente da queste ricostruzioni e deriva dalla giurisprudenza costituzionale ricordata. Ne' vi e' bisogno di affermare che il ruolo del comitato riassorbe in se', organicisticamente, le posizioni di coloro che sostengono il "si" e il "no": il ruolo del comitato, quale desumibile dalle sentenze ricordate, si situa a un livello distinto rispetto alle concrete scelte di merito relative a ciascun quesito, che ovviamente possono essere validamente rappresentate da enti esponenziali del tutto diversi dai promotori (i comitati per il "si" e per il "no"). L'unica ricostruzione certa del ruolo di potere dello Stato attribuito al comitato promotore e' quella che lo configura quale organo di garanzia del referendum, destinato a curare che la richiesta giunga alla consultazione popolare, attraverso una campagna di informazione idonea a consentire una consapevole scelta degli elettori. Dopo il giudizio di ammissibilita' della Corte costituzionale, e prima che il referendum si svolga, il comitato promotore ha insomma l'attribuzione costituzionale di cooperare a garantire che tutti gli elettori, vogliano essi esprimersi per il "si" per il "no", siano posti nelle condizioni di poter consapevolmente maturare la propria scelta. D'altra parte, verrebbe fatto di domandarsi, quale organo o ente, nell'attuale diritto positivo, potrebbe mai svolgere tale ruolo, se esso non venisse in qualche misura riconosciuto al comitato, quanto meno attraverso lo strumento del conflitto di attribuzioni? La Corte costituzionale ha insomma compiuto una scelta di sistema non casuale, laddove ha riconosciuto che il comitato promotore e' titolare di attribuzioni di rilievo costituzionale in relazione al corretto svolgimento della campagna referendaria, e ha percio' titolo a vigilare su ogni indebita restrizione all'informazione sui temi referendari. 7. - Nessun dubbio puo' essere nutrito circa il tono costituzionale del conflitto di attribuzioni prospettato in relazione all'atto della commissione parlamentare di vigilanza. La Corte costituzionale ha stabilito che gli atti di indirizzo delle Camere nei confronti del servizio pubblico radiotelevisivo sono intesi ad assicurare, in tale servizio, la realizzazione del principio del pluralismo (cfr. sentenze n. 420 del 1994, n. 112 del 1993, n. 49 del 1998). Gli atti della commissione sono pertanto espressione di una attribuzione di livello costituzionale, che nel caso di specie non e' stata correttamente esercitata. E la grave limitazione delle possibilita' di informazione e di comunicazione imparziale sui temi del referendum, che essi comportano, lede l'integrita' delle attribuzioni costituzionali che la giurisprudenza costituzionale affida ai comitati promotori. E' da notare, inoltre, che l'impugnazione di tali atti attraverso il conflitto risulta l'unica strada praticabile, alla luce della giurisprudenza che, da un lato, sottrae le delibere della commissione parlamentare al sindacato del giudice amministrativo, e dall'altro e' riluttante a configurare un diritto soggettivo in tema di accesso dei soggetti politici al mezzo radiotelevisivo (cfr. Corte di cassazione, sez. unite civili, 25 novembre 1983, n. 7072, in Foro it., 1984, I, 1328). Allo stesso modo, nessun dubbio puo' riguardare la possibilita' che parte passiva legittimata al conflitto sia la commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, essendo essa legittimata a dichiarare definitivamente la volonta' della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, in materia che attiene, da un lato, agli indirizzi per l'informazione e la propaganda attraverso il servizio pubblico radiotelevisivo (Corte cost., sentenza n. 49 del 1998), e, dall'altro, all'informazione e alla propaganda in relazione ai procedimenti di referendum abrogativo (Corte cost., ordinanza n. 171 del 1997). 8. - Per cio' che concerne l'autorita' per le garanzie nelle comunicazioni, dira' la Corte se essa puo' considerarsi potere dello Stato, legittimata passiva al conflitto, anche in relazione all'ampia produzione dottrinale che sostiene come tutte le autorita' indipendenti siano configurabili quali poteri dello Stato. Ben vero che nell'ordinanza n. 226 del 1995, con riferimento al garante per la radiodiffusione per e l'editoria, la Corte osservo': a) che le attribuzioni del garante, disciplinate da legge ordinaria, non assumevano uno specifico rilievo costituzionale; b) ne' erano tali da giustificare - nonostante la particolare posizione di indipendenza riservata all'organo nell'ordinamento - il riferimento all'organo stesso della competenza a dichiarare in via definitiva la volonta' di uno dei poteri dello Stato. E tuttavia, quanto alla prima delle due argomentazioni, ben potrebbe obiettarsi che il fondamento costituzionale delle attribuzioni dell'autorita' per le garanzie nelle comunicazioni sta nelle norme costituzionali attinenti al settore "sensibile" cui l'attivita' dell'organo si riferisce (e, in particolare, per quel che qui piu' interessa, negli artt. 3 comma 2, 21, 48, 75). D'altra parte, nulla impedisce di ritenere che nella Costituzione risieda la attribuzione dell'autorita' che qui interessa evidenziare, cioe' la funzione di garanzia dell'imparzialita' e della completezza dell'informazione relativa al voto referendario, mentre nella legge ordinaria si rinvengano le regole relative alle modalita' del funzionamento dell'autorita', cioe' l'identificazione in concreto della sua competenza, ovvero la misura dell'attribuzione (cfr., anche se con riferimento alla figura del precedente garante, M. Passaro, Il garante per la radiodiffusione e l'editoria come potere dello Stato, in Giur. cost., 1995, p. 1687). Quanto alla seconda argomentazione, l'impostazione che la Corte sembra abbracciare risente dell'incertezza che circonda l'equazione tra definitivita' dell'atto e sua non rimovibilita'. Ma se si intende per definitivita' dell'atto l'impossibilita' che l'atto sia rimosso o annullato da altri organi dello stesso potere, non si dovrebbe negare tale qualita' agli atti del garante, a nulla rilevando che essi siano suscettibili di annullamento o di non applicazione in sede giudiziaria, cioe' da parte di altro e diverso potere dello Stato. Del resto, l'annullabilita' o la non applicabilita' in sede giudiziaria degli atti del C.S.M. o dell'esecutivo non impedisce certo a C.S.M. e Governo di esser qualificati poteri dello Stato, legittimati a stare in giudizio nei conflitti di attribuzione (cfr. S. Niccolai, Quando nasce un potere, in Giur. cost., 1995, p. 1677). 9. - In subordine, i ricorrenti prendono in considerazione l'evenienza in cui la Corte costituzionale ritenga che gli atti impugnati costituiscano una coerente e idonea attuazione e concretizzazione delle disposizioni contenute nella legge n. 28 del 2000, anche in tema di comunicazione istituzionale. Se cosi' la Corte ritenesse, non c'e dubbio che la lesione dei principi di cui agli artt. 1, 3 secondo comma, 48 e 75 Cost. dovrebbe essere direttamente imputata alla legge stessa, nelle disposizioni specificamente dedicate alla comunicazione di carattere istituzionale, le quali dovrebbero allora considerarsi viziate in quanto non contengono una disciplina sufficiente ad assicurare l'esistenza, costituzionalmente necessaria, di una reale ed efficace comunicazione istituzionale in campagna referendaria. La Corte, sospendendo il giudizio per conflitto, dovrebbe allora sollevare di fronte a se' questione di legittimita' costituzionale degli artt. 5, comma 1, e 9 della legge 22 febbraio 2000, n. 28, per violazione degli artt. 1, 3 secondo comma, 21, 48 e 75 Cost., nella parte in cui non prevedono le misure legislative minime atte ad assicurare la presenza e l'efficacia di una simile forma di comunicazione. Essendosi in presenza di materia da coprire tramite disciplina legislativa costituzionalmente necessaria, che non puo' difettare ma il cui contenuto specifico e' determinabile solo dalla discrezionalita' del legislatore, la Corte potrebbe cosi' accogliere la questione con una sentenza cd. "additiva di principio", somministrando al legislatore il principio da attuare, ma lasciandogli la scelta quanto alle modalita' di concretizzazione di esso. Istanza di sospensione Nella sentenza n. 161 del 1995, la Corte costituzionale osservo' che la decisione del conflitto di attribuzioni nel merito, intervenuta in tempi rapidissimi e tali da soddisfare le pretese dei ricorrenti, assorbiva ogni pronuncia in ordine alla sospensione dell'atto impugnato. Nell'ordinanza n. 171 del 1997, la Corte costituzionale, pur lasciando formalmente impregiudicata la valutazione in ordine alla configurabilita' dell'istituto della sospensione dell'atto impugnato nel giudizio sui conflitti tra poteri dello Stato, concretamente rispose (sia pur negativamente) all'istanza cautelare avanzata dai ricorrenti. Tali due pronunce dimostrano la ritualita' della richiesta di sospensione degli atti impugnati, che in questa sede esplicitamente si presenta. Il fondamento della istanza di sospensione delle impugnate disposizioni, contenute negli atti della commissione parlamentare e dell'autorita' per le garanzie nelle comunicazioni, e' del resto insito nell'approssimarsi della consultazione referendaria, e nell'effetto di stimolo a provvedere alla comunicazione istituzionale che l'accoglimento dell'istanza potrebbe avere sulle autorita' competenti. L'inidoneita' delle disposizioni impugnate a dare attuazione ai principi legislativi in tema di comunicazione istituzionale, per le gravi conseguenze che comporta sulla regolarita' della campagna referendaria, configura del resto una "oggettiva situazione di carattere eccezionale, capace di determinare un'effettiva menomazione dell'esercizio del diritto di voti referendario" (Corte cost., ordinanza n. 131 del 1997). Vi e' estrema urgenza dell'intervento del giudice costituzionale, a pena della vanificazione sostanziale della garanzia costituzionale rappresentata dalla tutela, ottenibile in sede di conflitto tra poteri, delle attribuzioni del comitato promotore. Per questo, sussistono le condizioni di necessita' e di rischio di gravissimo danno che giustificano l'emissione di un'ordinanza cautelare, in applicazione analogica degli artt. 40 legge n. 87 del 1953 e 28 delle norme integrative del 1956, immediatamente dopo l'emissione dell'ordinanza che decidera' sull'ammissibilita' del ricorso, o contestualmente ad essa.
P. Q. M. I ricorrenti chiedono che l'ecc.ma Corte costituzionale voglia: Dichiarare ammissibile il conflitto di attribuzioni sollevato nei confronti della commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza, e dell'autorita' per le garanzie nelle comunicazioni; Sospendere gli artt. 1 comma 2; 2 comma 1 lett. c) e lett. d); 7 comma 2, dell'atto di indirizzo approvato dalla commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza; sospendere l'art. 8 della delibera dell'utorita' per le garanzie nelle comunicazioni; Dichiarare che non spetta alla commissione parlamentare e all'utorita' per le garanzie nelle comunicazioni disporre restrizioni, in violazione della legge, alla comunicazione istituzionale costituzionalmente necessaria in campagna elettorale e, conseguentemente, annullare le citate disposizioni che tali restrizioni comportano, in quanto lesive della sfera costituzionale di attribuzioni del comitato promotore; In subordine, ritenuta l'ammissibilita' del conflitto, sollevare di fronte a se' medesima, sospendendo il giudizio, questione di legittimita' costituzionale degli artt. 5, comma 1, e 9 della legge 22 febbraio 2000, n. 28, per violazione degli artt. 1, 3 comma 2, 21, 48 e 75 Cost., nella parte in cui non prevedono le indispensabili misure legislative atte ad assicurare la presenza di forme di comunicazione istituzionale in periodo di campagna referendaria. Milano-Roma, addi' 21 aprile 2000. Avv. prof. Nicolo' Zanon 00C0567