N. 316 ORDINANZA 11 - 20 luglio 2000

Ordinanza 11-20 luglio 2000
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Imposta  sul  valore  aggiunto  (IVA)  -  Prestazioni professionali -
Prestazioni   difensive   nel   processo   penale  -  Assoggettamento
all'imposta  - Azione in via di rivalsa sul beneficiario del servizio
-  Mancata  esenzione dall'imposta, a differenza di altre prestazioni
sottratte all'imposizione "per motivi di rilevante utilita' culturale
e  sociale",  in  conformita'  della delega legislativa - Denuncia di
contrasto  con  i  principî  della  legge  delega,  con disparita' di
trattamento nella garanzia di diritti inviolabili, e nella specie del
diritto  di  difesa  - Censure dirette a una norma priva di rilevanza
nel  giudizio  a  quo  -  Assenza  di  censure  specifiche  all'unica
disposizione  che  potrebbe  essere rilevante nello stesso giudizio -
Manifesta inammissibilita'.
- D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 1, 3, 10 e 18.
- Costituzione,  artt.  2,  3, 24 e 76 (in relazione all'art. 5 della
  legge 9 ottobre 1971, n. 825).
(GU n.31 del 26-7-2000 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Cesare MIRABELLI;
  Giudici:  Francesco  GUIZZI,  Fernando  SANTOSUOSSO,  Massimo VARI,
Riccardo   CHIEPPA,   Gustavo   ZAGREBELSKY,   Valerio  ONIDA,  Carlo
MEZZANOTTE,   Fernanda  CONTRI,  Guido  NEPPI  MODONA,  Franco  BILE,
Giovanni Maria FLICK;
ha pronunciato la seguente


                              Ordinanza

nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 1, 3, 10 e 18
del   d.P.R.  26  ottobre  1972,  n. 633  (Istituzione  e  disciplina
dell'imposta  sul  valore aggiunto), promosso con ordinanza emessa il
15  aprile  1999  dal giudice di pace di Bari nel procedimento civile
vertente  tra  Salani Silvano e Cazzolla Vito, iscritta al n. 348 del
registro  ordinanze  1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell'anno 1999.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
Ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 7 giugno 2000 il giudice
relatore Fernanda Contri.
    Ritenuto  che  il  giudice  di  pace  di  Bari  - investito della
decisione  di una causa civile promossa da un avvocato che ha chiesto
la  condanna  del  convenuto  al pagamento della somma corrispondente
alla  rivalsa  per  l'imposta  sul  valore  aggiunto,  relativa  alle
prestazioni  professionali  svolte  a suo favore quale imputato in un
giudizio penale - con ordinanza emessa il 15 aprile 1999 ha sollevato
questione  di  legittimita'  costituzionale degli artt. 1, 3, 10 e 18
del   d.P.R.  26  ottobre  1972,  n. 633  (Istituzione  e  disciplina
dell'imposta  sul valore aggiunto) in riferimento agli artt. 2, 3, 24
e 76 della Costituzione;
        che  secondo  il  giudice  rimettente  la  questione  sarebbe
rilevante  nel  giudizio  a  quo  in  quanto,  a fronte della domanda
dell'attore,   il   convenuto   avrebbe  contestato  la  legittimita'
costituzionale  della  rivalsa  per  l'IVA  e della mancata esenzione
delle  prestazioni  del difensore nel processo penale dall'imposta ed
inoltre   perche'  la  risoluzione  della  controversia  dipenderebbe
dall'accoglimento  dell'eccezione,  non  avendo  il convenuto dedotto
altri  motivi a sostegno della sua richiesta di rigetto della domanda
attrice;
        che,   riguardo   alla   non   manifesta  infondatezza  della
questione,  il  rimettente osserva che l'art. 5 della legge 9 ottobre
1971,  n. 825  (Delega legislativa al Governo della Repubblica per la
riforma  tributaria)  aveva  stabilito,  quale criterio direttivo cui
avrebbe  dovuto  ispirarsi  il  legislatore  delegato, l'applicazione
dell'imposta  sul  valore  aggiunto  alle  prestazioni di servizi "ad
eccezione  di  quelle  espressamente esentate per motivi di rilevante
utilita' culturale e sociale", mentre il legislatore delegato avrebbe
previsto l'esenzione dall'imposta per le prestazioni effettuate dagli
esercenti  la professione sanitaria, ma non per quelle effettuate dal
difensore  dell'imputato nel processo penale, necessarie a tutela del
bene  della  liberta'  personale  e  riferibili a "diritti essenziali
della persona, costituzionalmente garantiti";
        che  il giudice a quo - ricordato che il diritto di difesa e'
tra  quelli  che  la Costituzione definisce inviolabili e che esso si
sostanzia,   anche   in   forza  della  Convenzione  europea  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, nel
diritto  al  "giusto  processo ed al contraddittorio" - assume che il
difensore  nel  processo  penale  sarebbe  "investito di una funzione
pubblica  essenziale" e la sua opera dovrebbe percio' essere definita
come  "prestazione  di  servizi  rivestenti  carattere  di  rilevante
utilita'  sociale";  da  cio' deriverebbe un contrasto con i principi
della legga delega, con conseguente violazione dell'art. 76 Cost.;
        che  il  rimettente  ritiene che la norma violi anche l'art 3
Cost.,  dal momento che essa creerebbe "una disparita' di trattamento
nella  garanzia  di  diritti  inviolabili  dell'uomo,  assicurata dal
precedente    art. 2",    ed    ancora   l'art. 24   Cost.,   perche'
l'assoggettamento    ad    imposta    delle   prestazioni   difensive
"penalizzerebbe"    le   garanzie   assicurate   dalla   Costituzione
all'imputato;
        che  e'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio
dei  Ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo alla Corte di dichiarare la questione infondata;
        che  la  difesa  erariale,  per quanto riguarda la violazione
dell'art. 76  Cost.,  ricorda  che  la  legislazione  sull'IVA  e' la
conseguenza della partecipazione dell'Italia all'Unione europea e che
la  materia  delle  esenzioni  dall'imposta  e' stata disciplinata in
conformita'  alle  disposizioni  comunitarie  ed  in particolare alla
sesta  Direttiva  del Consiglio delle comunita' europee del 17 maggio
1977,  n. 388,  che  indica all'art. 13, in modo tassativo, i casi di
cessione  di  beni  e  prestazioni di servizi ai quali non si applica
l'imposta;
        che l'Avvocatura ricorda ancora come tra le operazioni esenti
in  base  alla  Direttiva  vi  sono  alcune prestazioni sanitarie, di
assistenza  e sicurezza sociale, protezione dell'infanzia, educazione
ed  insegnamento,  nonche'  altre  prestazioni  erogate  da organismi
culturali  e  senza  fini  di lucro, con esclusione quindi dell'opera
prestata dagli avvocati nel processo penale;
        che,  secondo l'Avvocatura, sarebbero insussistenti anche gli
ulteriori  profili  di  illegittimita'  costituzionale  sollevati dal
rimettente, non essendo configurabile, riguardo alle norme impugnate,
la violazione di diritti dell'uomo e del principio di eguaglianza ne'
alcuna compressione del diritto di difesa delle parti.
    Considerato  che  il  giudice  di  pace di Bari risulta investito
della decisione di una controversia di diritto privato promossa da un
avvocato, che ha effettuato prestazioni professionali assoggettate ad
imposta  sul  valore  aggiunto, il quale agisce in via di rivalsa sul
beneficiario  del  servizio  ai  sensi  dell'art. 18  del  d.P.R.  26
ottobre 1972,  n. 633  (Istituzione  e  disciplina  dell'imposta  sul
valore aggiunto);
        che  il  rapporto  civilistico intercorrente tra colui che ha
prestato  il servizio o ha ceduto il bene, quale titolare del credito
di rivalsa, ed il beneficiario della prestazione o il cessionario del
bene,  debitore ex lege dell'importo corrisposto a titolo di imposta,
risulta  del  tutto  distinto  ed  autonomo  da  quello,  di  diritto
tributario,  intercorrente  tra il primo soggetto e l'Amministrazione
finanziaria,   come  risulta  chiaramente  dalla  struttura  e  dalla
funzione  dell'art. 18  d.P.R.  n. 633  del  1972  e  come  e'  stato
affermato dalla costante giurisprudenza della Corte di cassazione;
        che  per  questa  ragione  il  giudice  rimettente, mentre e'
competente  a  decidere  sulla domanda relativa al credito di rivalsa
dell'attore per l'IVA esposta nella fattura, non ha alcuna competenza
in  ordine  alla  cognizione del rapporto tributario sottostante, sul
quale la giurisdizione appartiene alle Commissioni tributarie;
        che  le  norme  relative  all'assoggettamento  ad  IVA  delle
prestazioni  effettuate  dal  difensore  nel  processo  penale  e, in
generale,  al  regime  delle  esenzioni  da  tale  imposta  non hanno
percio', ne' possono avere, alcuna rilevanza nel giudizio a quo;
        che  nessuna specifica censura di legittimita' costituzionale
e'  stata  mossa dal rimettente riguardo all'art. 18 d.P.R. n. d.P.R.
n. 633  del  1972,  unica norma, tra quelle impugnate, avente rilievo
nel giudizio in corso;
        che percio' la questione sollevata risulta sotto ogni profilo
manifestamente inammissibile.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi

                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta  inammissibilita'  della  questione  di
legittimita'  costituzionale  degli artt. 1, 3, 10 e 18 del d.P.R. 26
ottobre  1972,  n. 633  (Istituzione  e  disciplina  dell'imposta sul
valore  aggiunto)  sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 24 e 76
della  Costituzione,  dal  giudice  di  pace  di Bari con l'ordinanza
indicata in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta l'11 luglio 2000.
                      Il Presidente: Mirabelli
                        Il redattore: Contri
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 20 luglio 2000.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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