N. 617 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 luglio 2000

Ordinanza  emessa  il 18 luglio 2000 dal giudice istruttore presso il
tribunale  di  Velletri nel procedimento civile vertente tra Benetton
Group S.p.a. e Fallimento di Clan Italiana S.r.l.

Fallimento  -  Opposizione  allo stato passivo da parte dei creditori
esclusi  o  ammessi  con riserva - Devoluzione al giudice delegato al
fallimento   del   potere   funzionale   di   istruire  la  causa  e,
indirettamente,   di  partecipare  alla  decisione  -  Ingiustificata
disparita'  di trattamento in danno dei creditori opponenti - Lesione
del  diritto di difesa dei medesimi - Contrasto con la soggezione dei
giudici solo alla legge, nonche' con l'autonomia e indipendenza della
funzione  giurisdizionale  -  Violazione del principio di terzieta' e
imparzialita'  del  giudice  -  Richiamo alla sent. n. 387/1999 della
Corte costituzionale.
- R.d. 16 marzo 1942, n. 267, artt. 98 e 99.
- Costituzione,  artt. 3,  24,  101  e  104;  legge costituzionale 23
  novembre 1999, n. 2, art. 1, comma 2 (recte: art. 1, nella parte in
  cui modifica l'art. 111, secondo comma, Cost.).
(GU n.44 del 25-10-2000 )
                            IL TRIBUNALE

    Sciogliendo la riserva assunta all'udienza del 11 febbraio 2000;
    Letti gli atti e le note depositate nei termini assegnati;
                         Ritenuto in fatto:
    Con  sentenza  resa  in  data  29  gennaio  1997 questo tribunale
  dichiarava il fallimento di Clan Italiana S.r.l.;
    Con  istanza  di insinuazione del 24 marzo 1997 la Benetton Group
  S.p.a.  chiedeva  di  essere ammessa al passivo di detto fallimento
  per  la  somma  di  L.  2.769.329.765  (di  cui  L.  355.635.413 in
  privilegio  per  I.V.A.  di  rivalsa,  ex  art. 2758  c.c.),  oltre
  accessori  e  spese,  in forza di decreto ingiuntivo n. 1709 emesso
  dal tribunale di Treviso in data 30 giugno 1995;
    Con  decreto depositato in data 9 luglio 1999 il giudice delegato
  al  fallimento  della  Clan  Italiana  S.r.l., in persona di questo
  stesso   giudice   persona   fisica,   formava   definitivamente  e
  depositava,  rendendolo  esecutivo  ex  art. 97  L. Fall., lo stato
  passivo  del  fallimento, nel quale la domanda proposta da Benetton
  Group  S.p.a  era  respinta con la seguente motivazione, "stante la
  pendenza  del  giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo e della
  spiegata riconvenzionale";
    In  effetti,  con citazione notificata il 2 ottobre 1995, la Clan
  Italiana  S.r.l.,  allora  in  bonis  aveva proposto opposizione al
  prefato  decreto  ingiuntivo,  chiedendo  il  rigetto della domanda
  proposta  in  via monitoria e proponendo, altresi', contro Benetton
  Group  S.p.a., domanda riconvenzionale risarcitoria; e con comparsa
  notificata  il  25  novembre  1997  la Curatela del Fallimento Clan
  Italiana S.r.l., su autorizzazione emessa da questo medesimo G.D. -
  persona  fisica,  si  era  costituita  nel  giudizio di opposizione
  facendo   proprie  tutte  le  eccezioni,  deduzioni,  confutazioni,
  istanze,  difese  e  domande gia' fatte valere da Clan Italiana nel
  giudizio pendente;
    Con  ricorso  depositato  il  27  ottobre  1999 la Benetton Group
  S.p.a.  ha  proposto  opposizione  allo  stato  passivo,  chiedendo
  l'ammissione del prefato credito;
    Il  ricorso e' stato ritualmente proposto direttamente al giudice
  delegato  al  fallimento  di  Clan  Italiana  S.p.a., che e' sempre
  tuttora  questo  giudice  -  persona fisica, siccome funzionalmente
  competente  a  riceverlo  ai  sensi del primo comma dell'art. 98 L.
  Fall.;
    Nel  giudizio  si e' costituita la Curatela, su autorizzazione di
  questo  medesimo  G.D., contestando il credito e facendo valere, in
  via   di   eccezione   il   controcredito   oggetto  della  domanda
  riconvenzionale  spiegata  nel  giudizio  di  opposizione a decreto
  ingiuntivo pendente dinanzi al tribunale di Treviso;
    La causa e' stata assunta a riserva sull'istanza di parte opposta
  per la sospensione necessaria del processo, ex art. 295 c.p.c.;
                        Ritenuto in diritto:
    La Corte costituzionale, con sentenza n. 387 del 15 ottobre 1999,
  ha  dichiarato  non fondata, ma nei sensi di cui in motivazione, la
  questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  51  n. 4  e
  secondo   comma   c.p.c.,   nella   parte   in   cui   non  prevede
  incompatibilita'  tra le funzioni del giudice che pronuncia decreto
  di  repressione  della  condotta  antisindacale  ex  art. 28, legge
  n. 300/1970, e quelle del giudice dell'opposizione a tale decreto;
    In particolare, il giudice delle leggi, premesso che:
        il  principio  di imparzialita'-terzieta' della giurisdizione
  ha pieno valore costituzionale in ogni tipo di processo;
        che  questo  non  significa  che  detto  valore  debba essere
  preservato  allo stesso modo in ogni tipo di processo, e che quindi
  possano  estendersi  al giudizio civile le regole costituzionali in
  materia  di  c.d.  "prevenzione"  formulate  dalla  stessa Corte in
  materia  di processo penale "dovendosi ancora una volta ribadire la
  netta  distinzione  fra  processo  civile e processo penale: per la
  diversa posizione e i differenti poteri di impulso delle parti";
        che  "le  (peraltro) insopprimibili esigenze di imparzialita'
  del  giudice  sono  risolvibili  nel  processo  civile - per le sue
  caratteristiche  -  attraverso gli istituti dell'astensione e della
  ricusazione.....";
        che     peraltro    "sul    piano    generale,    presupposto
  imprescindibile,  rispetto  ad  ogni  tipo  di  processo, e' (solo)
  quello  di  evitare  che  lo  stesso giudice, nel decidere, abbia a
  ripercorrere  l'identico itinerario logico precedentemente seguito;
  sicche',     condizione     necessaria     per    dover    ritenere
  un'incompatibilita'   endoprocessuale   e'   la   preesistenza   di
  valutazioni che cadono sulla stessa reiudicanda";
        che   "nel   processo   civile,   la   previsione   contenuta
  nell'art. 51 n. 4 c.p. c., secondo la quale il giudice ha l'obbligo
  di  astenersi  se  ha  conosciuto  (della causa) come magistrato in
  altro  grado del processo, trova fondamento nell'esigenza stessa di
  garanzia  che  sta  alla  base  del  concetto  di  revisio  prioris
  istantiae, che postula l'alterita' del giudice dell'impugnazione";
        che  "la  fattispecie  (di  cui all'art. 28 S.d.l.) rientrava
  all'evidenza nell'ambito della previsione dell'art. 51 n. 4 c.p.c.,
  avuto riguardo anche alla considerazione che il provvedimento aveva
  una  funzione  decisoria  idonea di per se' a realizzare un assetto
  dei  rapporti tra le parti, non meramente incidentale o strumentale
  e  provvisorio ovvero interinale (fino alla decisione di merito) ma
  anzi suscettibile in caso di mancata opposizione di assumere valore
  di pronuncia definitiva, con effetti di giudicato tra le parti";
        che   "tale   espressione  (magistrato  in  altro  grado  del
  processo)  deve,  infatti, intendersi alla luce dei principi che si
  ricavano  dalla  Costituzione  relativi  al  giusto  processo, come
  espressione  necessaria  del  diritto ad una tutela giurisdizionale
  mediante  azione  (art.  24  Cost.),  avanti  ad  un giudice con le
  garanzie  proprie  della  giurisdizione,  cioe'  con la connaturale
  imparzialita'  senza  la  quale  non  avrebbe  significato  ne'  la
  soggezione  dei  giudici  solo  alla legge (art. 101 Cost.), ne' la
  stessa autonomia della magistratura (art. 104, primo comma, Cost";
        che  in  altri  termini  l'espressione "altro grado" non puo'
  avere  un  ambito  ristretto  al  solo  diverso  grado del processo
  secondo    l'ordine   degli   uffici   giudiziari   come   previsto
  dall'ordinamento   giudiziario   ma   deve   ricomprendere   -  con
  un'interpretazione  conforme alla Costituzione - anche la fase che,
  in  un  processo  civile,  si  succede  con carattere di autonomia,
  avente  contenuto  impugnatorio caratterizzata (per la peculiarita'
  del  giudizio  di  opposizione  di cui si discute) da pronuncia che
  attiene al medesimo oggetto e alle stesse valutazioni decisorie sul
  merito dell'azione proposta nella prima fase, ancorche' avanti allo
  stesso organo giudiziario";
    Ritenuto   che,  come  immediatamente  rilevato  da  parte  della
  dottrina,  tali  principi  si attagliano fedelmente ai rapporti tra
  decreto  di  approvazione  ed  esecutivita' dello stato passivo nel
  fallimento  e  giudizio  di  opposizione  allo stesso ex art. 98 L.
  Fall., atteso che:
        a)  e'  comune  opinione, condivisa da questo giudice, che il
  decreto  di  cui  all'art. 97  L. Fall. ha natura giurisdizionale e
  contenuto  decisorio  riguardo  all'esistenza del credito, alla sua
  opponibilita'  alla  massa dei creditori nel fallimento ed alla sua
  collocazione  agli  effetti  del  concorso,  tanto  che, in caso di
  mancata  opposizione,  gli  si  riconosce,  in  detti  limiti (c.d.
  infrafallimentari) efficacia di giudicato formale e sostanziale (ex
  pluris,  Cass.  9220/1995, 404/1993, 3903/1988): esso non ha dunque
  valore provvisorio, ne' strumentale, ne' interinale, ne' cautelare;
        b)  e'  del  pari  opinione  comunemente condivisa, anche dal
  giudicante,  che  il  giudizio di opposizione di cui all'art. 98 L.
  Fall.,  oltre ad essere meramente eventuale, ha natura impugnatoria
  (Cass.  845/1993),  ed  il  suo  oggetto  coincide,  nei limiti del
  devolutum  (come  in  tutti  i giudizi impugnatori tra i quali, per
  primo,   l'appello),   con  quello  individuato  dalla  domanda  di
  insinuazione al passivo;
    Ritenuto che, come e' comune opinione, le sentenze interpretative
  di  rigetto  additano,  seppur  indirettamente,  di  illegittimita'
  costituzionale  l'interpretazione della norma censurata offerta dal
  giudice  remittente;  e  che  quindi  non  sia  piu' possibile oggi
  interpretare l'art. 51 n. 4 c.p.c. nel senso che l'incompatibilita'
  da  esso  prevista  investa  solo  i  rapporti  tra  diversi  gradi
  ordinamental-funzionali del giudizio;
    Ritenuto  che,  per  converso,  e  come  e'  di  comune opinione,
  l'interpretazione  costituzionalmente conforme indicata dal giudice
  delle  leggi non vincola il giudice del merito; ma che pur tuttavia
  non  si  vede  come  la  disposizione  in  questione  possa  essere
  altrimenti  interpretata, se non nel senso che il giudice che abbia
  partecipato   ad   una  fase  decisoria  del  giudizio,  non  possa
  partecipare  a successiva fase decisoria dello stesso giudizio, che
  rivesta,  rispetto alla prima, carattere eventuale ed impugnatorio;
  vieppiu'  quando  egli  sia chiamato a ripensare, nell'ambito della
  medesima  reiudicanda,  valutazioni  gia' esperite nella precedente
  fase del giudizio;
    Ritenuto  che  questo  giudice  (al  di la' dei dubbi che possono
  essere  stati  ingenerati  dalla  sintetica - come per sua natura -
  motivazione  del  decreto  di  esecutivita' dello stato passivo) ha
  respinto  la  pretesa avanzata dalla Benetton Group S.p.a. non solo
  per il motivo formale dell'inopponibilita' alla massa dei creditori
  del fallimento del decreto ingiuntivo ottenuto, presso il tribunale
  di Treviso, dal ricorrente oggi opponente, siccome opposto e quindi
  non passato in regiudicata (per far valere il che non sarebbe stato
  necessario  rimarcare che la Clan Italiana aveva proposto altresi',
  in  quel  giudizio,  una domanda riconvenzionale); motivazione che,
  peraltro,  non  sarebbe  stata sufficiente, giacche' questo giudice
  ben  avrebbe  potuto  comunque  riconoscere  il credito sostanziale
  fatto  valere  dal  ricorrente,  ove lo avesse ritenuto fondato (ed
  infondata   la  domanda  riconvenzionale  proposta  dalla  societa'
  fallita),   alla  stregua  del  principio  inquisitorio  che  regge
  pacificamente   la   fase  di  verifica  dello  stato  passivo  nel
  fallimento,  e stante, altresi', la circostanza che tale operazione
  non  avrebbe  immutato  la  domanda nei suoi elementi individuatori
  (soggetti, "petitum" e "causa petendi"); ma ha rigettato la domanda
  proposta  dall'odierna  opponente  nel  merito,  in un giudizio del
  quale  si  e' gia' richiamata, la natura (ancorche' per certi versi
  connotata  da  notevoli  aspetti  di specialita') giurisdizionale e
  cognitoria,   avendo  fatto  proprie  le  ragioni  di  relezione  e
  riconvenzionali  gia'  fatte valere dalla Clan Italiana "in bonis",
  coerentemente  col  fatto  che  aveva  gia' autorizzato la Curatela
  della  Clan  Italiana  a  proseguire  il  giudizio di opposizione a
  decreto  ingiuntivo, anche per coltivare la domanda riconvenzionale
  per il titolo qui riproposto in via di eccezione;
    Ritenuto,  per  altro,  ed  a prescindere dalle caratteristiche e
  particolarita'  del  caso  concreto,  che  la natura del decreto di
  esecutivita' dello stato passivo, quale sopra ritenuta e richiamata
  quale  provvedimento  giurisdizionale a contenuto decisorio ed atto
  alla  regiudicata  formale  e  sostanziale nel merito della pretesa
  fatta  valere  nel  fallimento,  rispetto  al  quale  la domanda di
  opposizione  allo  stato passivo introduce un giudizio eventuale di
  natura  impugnatoria, appare integrare di per se' gli estremi della
  fattispecie  "costituzionalmente  conforme" di cui all'art. 51 n. 4
  c.p.c. quale indicata dallo stesso giudice delle leggi, e condivisa
  da  questo  giudice,  alla  luce della quale questo giudice sarebbe
  tenuto ad astenersi;
    Ritenuto,  cio'  non di meno, che nella specie questo giudice non
  puo'  astenersi;  ritenuto,  invero,  che nella specie e' la stessa
  legge, che, con disposizioni chiaramente speciali (artt. 98 e 99 L.
  Fall.  indica  proprio nel giudice delegato al fallimento (nominato
  nella  sentenza  dichiarativa  di fallimento ai sensi dell'art. 16,
  comma  2,  n. 1  L.  Fall.,  e come tale funzionalmente destinato a
  formare  ed  a rendere esecutivo lo stato passivo del fallimento ai
  sensi  degli  artt. 95  e  segg.  L. Fall il giudice funzionalmente
  destinato  a  ricevere  il ricorso in opposizione, ad istruirlo, ed
  anche  a  partecipare alla sua decisione (art. 25 n. 1 L. Fall.) in
  posizione di relatore;
    Ritenuto,  pertanto,  che,  alla  stregua  dei principi da ultimo
  enunciati  dalla  stessa Corte costituzionale, gli artt. 98 e 99 L.
  Fall.   non   possano  sottrarsi,  nella  parte  in  cui  devolvono
  funzionalmente  al  giudice delegato al fallimento il potere-dovere
  di  ricevere  ed  istruire  (nonche'  di  concorrere a decidere) le
  opposizioni  allo stato passivo del fallimento ex art. 98 L. Fall.)
  al  dubbio  di  legittimita'  costituzionale  con  riferimento agli
  artt.:
        3  della  Costituzione,  per  l'ingiustificata  disparita' di
  trattamento  che  si determina, in un caso che si ritiene ricadente
  nella  previsione  di  cui  all'art. 51  n. 4  L.  Fall.,  tra  gli
  opponenti  allo  stato passivo, che si trovano a dover coltivare le
  proprie  pretese  civili,  in un giudizio funzionalmente retto, nel
  suo  svolgimento  (salve  alcune  particolarita'  indifferenti alla
  questione  della  terzieta'  ed  imparzialita'  del  giudice),  dal
  normale  rito  contenzioso  ordinario,  di fronte ad un giudice che
  tali  pretese ha gia' disattese in un provvedimento giurisdizionale
  di  natura  decisoria  ed idoneo alla regiudicata; e la generalita'
  dei  consociati,  che  quello  stesso  giudice avrebbero diritto di
  ricusare, o a vedere astenersi;
        24  della  Costituzione,  perche' la necessita' legale che il
  giudizio  si  svolga  dinanzi ad un giudice privo delle garanzie di
  terzieta'  ed  imparzialita'  gia'  giudicate "imprescindibili" dal
  giudice  delle leggi (giudice che peraltro dirige l'attivita' della
  controparte:  art. 25,  comma  1  L.  Fall;  l'autorizza a stare in
  giudizio:  art.  25,  comma  6;  e  sorveglia  l'attivita'  del suo
  difensore: art. 25 n. 7) menoma il diritto a difesa dell'opponente;
        101  della  Costituzione,  perche'  la menomata condizione di
  terzieta',  imparzialita'  del  giudice, che abbia gia' conosciuto,
  nei  piu'  volte  segnalati  termini, della stessa causa ancora lui
  devoluta,  incrina,  sottoponendolo  alle  sue stesse gia' compiute
  valutazioni  decisorie sulla stessa regiudicanda, la sua soggezione
  alla sola legge;
        104,  comma  1,  della  Costituzione, perche' la sovraesposta
  condizione  normativa  incrina  l'autonomia  e l'indipendenza della
  funzione giurisdizionale;
        art. 2 della legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, che
  afferma ormai espressamente il valore e la rilevanza costituzionale
  "in  ogni  processo" (e quindi anche in quello, civile ed in quello
  fallimentare)  del  principio  della terzieta' ed imparzialita' del
  giudice;
    Rappresentato  che  e'  noto  che  a  questione  che  oggi  viene
  riproposta  all'esame del giudice delle leggi, o questioni a questa
  analoghe,  sono  state  ripetutamente  gia'  disattese dalla Corte,
  anche  di  recente  (sent. 18 novembre 1970 n. 158; sent. 29 aprile
  1975 n. 94; ord. 18 luglio 1998 n. 304);
    Ritenuto,   peraltro,   che   dall'ultima  pronuncia,  il  valore
  costituzionale  della  terzieta' ed imparzialita' del giudice abbia
  ricevuto promozione ed ulteriore valorizzazione sia dal legislatore
  costituzionale  (che  significativamente  ha ritenuto di enunciarlo
  espressamente novellando l'art. 111 della Costituzione, malgrado il
  principio fosse gia' acquisito nella "costituzione vivente" e nella
  giurisprudenza   della  Corte  costituzionale);  sia  dalla  citata
  sentenza  n. 387/1999,  la  quale,  a ben vedere, nell'escludere la
  conformita'   al   canone  costituzionale  di  una  interpretazione
  restrittiva   dell'art. 51   n. 4   c.p.c.   (mirante   a  limitare
  l'incompatibilita'  del  giudice dell'impugnazione ai soli rapporti
  tra gradi ordinarientali del giudizio), appare aver introdotto, nel
  quadro  di un mutata ed accresciuta sensibilita' rispetto al valore
  costituzionale  che  qui  si assume leso, un deciso superamento del
  primo  argomento  che fa portato dalla stessa Corte, nella sentenza
  n. 158/1970    (che    ha    indubbiamente   svolto   funzione   di
  sentenza-stipite  nella  fattispecie),  che ebbe, infatti, in primo
  luogo  ad  affermare  che l'art. 51 n. 4 c.p.c. non si applicava al
  caso  del  riesame  della pronuncia resa in altra fase dello stesso
  grado di giudizio;
    Ritenuto   che,  nella  segnalata,  incoraggiata  ottica  di  una
  interpretazione  piu' rigorosa del canone costituzionale, anche gli
  altri    argomenti    tradizionalmente    portati   a   denegazione
  dell'illegittimita'  costituzionale, in parte qua, degli artt. 98 e
  99  L.  Fall. mostrino "il segno dei tempi" o comunque meritino una
  innovata meditazione; ed invero:
        a)  la  regola,  che  impregna  di  se' l'intero procedimento
  fallimentare,  di concentrazione dei suoi "momenti" giurisdizionali
  e  non  presso  gli  organi  della  procedura, non appare implicare
  imprescindibilmente   (ne'   a  rischio  della  tenuta  dell'intero
  impianto  della  legge fallimentare) che il giudizio di opposizione
  allo   stato   passivo  del  fallimento  debba  essere  "ricevuto",
  istruito,  e  "codeciso"  dal giudice delegato al fallimento, posto
  che  il  giudice  della  decisione dell'opposizione e' il tribunale
  fallimentare   in   senso  puramente  funzionale,  ordinamentale  e
  logistico  (e,  cioe', il tribunale - organo giurisdizionale che ha
  dichiarato   il   fallimento),  sulla  cui  composizione  nulla  e'
  espressamente prescritto dalla legge (salvo che per la composizione
  collegiale).  Nel  giudizio  di  opposizione  allo stato passivo il
  giudice  delegato  assume  la  finzione  di puro e semplice giudice
  istruttore  individuato  per legge invece che attraverso il normale
  meccanismo  di  designazione  (art. 168-bis  c.p.c.), che non si ha
  motivo   di  dubitare  subentrerebbe  automaticamente  in  caso  di
  accoglimento  della  questione,  a  scongiurare  lacune di sorta, e
  l'irrisolvibilita' della quesione senza un intervento discrezionale
  del legislatore.
    I  poteri  ed  i  doveri  del  giudice  delegato  in  funzione di
  istruttore  nel  giudizio di opposizione allo stato passivo (che e'
  un giudizio di parti) sono, quanto meno di massima (al di la' delle
  particolarita'  inerenti al rito nella sua oggettivita', e di dubbi
  canoni  interpretativi)  gli  stessi  gravanti su qualunque giudice
  istruttore  in  un  normale  processo  civile (le cui regole paiono
  doversi  applicare totalitariamente, salve le deroghe espresse); la
  stessa tesi dell'esistenza, in capo al giudice delegato-istruttore,
  di  poteri inquisitori, che gli consentirebbero di introdurre anche
  officiosamente  nel  giudizio  conoscenze  derivantegli  dagli atti
  della  procedura  fallimentare,  mediante acquisizione dei relativi
  documenti,  non pare trovare altro fondamento ermeneutico che nella
  stessa  investitura  legale  del  g.d.  quale giudice istruttore, e
  sembra  dunque  passibile  di  cadere puramente e semplicemente con
  essa, una volta che, come sembra, si debba riconoscere che siffatta
  investitura,  di per se' contraria alla Costituzione, non risponda,
  a sua volta, ad alcuna esigenza di rango costituzionale.
    Ed  invero,  non si  vede  come,  ed  in  base a che, la presunta
  necessita'  di  garantire,  attraverso  l'attribuzione  al  giudice
  delegato,  che  conosce  gli  atti della procedura tutta, di poteri
  inquisitori, un accertamento "non falsato" (che' forse il Curatore,
  che  rappresenta  e difende gli interessi della massa, introduce un
  pericolo  di  falsificazione  della  realta' processuale?) circa il
  rapporto  tra  il  creditore  ed  il  fallito, possa assumere rango
  costituzionale,  e  comunque prevalere sul principio costituzionale
  della  terzieta' ed imparzialita' del giudice nel processo civile e
  fallimentare;  e  cio'  in  un  giudizio civile di parti, di natura
  contenziosa  ed a cognizione piena, nel quale v'e' gia' un soggetto
  (il  Curatore)  legittimato e capace di rappresentare in giudizio i
  diritti  e  gli  interessi  della  massa, con tutti i poteri propri
  della  parte  (e  peraltro sotto la vigilanza del giudice delegato,
  che  lo  autorizza  ad  agire  e  sorveglia l'operato suo e del suo
  difensore);  ancora, e nella prospettiva generale gia' individuata,
  non  appare  idoneo,  a  destituire  di fondamento la questione, il
  rilievo  che  il  giudice  delegato  si  limiterebbe ad istruire la
  causa,  raccogliendo  ad  uso del tribunale il materiale probatorio
  necessario e dirigendo e dando impulso al procedimento.
    La  necessita'  costituzionale  qui implicata, e' in via generale
  assolta  dagli artt. 51 c.p.c. e 178 disp. att. c.p.c., mediante la
  previsione di un obbligo di astensione immediato, non limitato alla
  fase   decisoria;   l'attivita'   istruttoria  si  svolge  mediante
  l'esercizio  di  poteri giurisdizionali che, benche' ampiamente (ma
  non totalitariamente) soggetti al sindacato finale del collegio non
  sono punto irrilevanti nell'economia della decisione della causa.
    Si  e'  gia'  comunque  rilevato  come la posizione di istruttore
  implichi  naturalmente  che  il  giudice  delegato  partecipi  alla
  decisione collegiale, e come relatore.
    Nella  specie,  poi,  questo  giudice e' chiesto di sospendere il
  giudizio  ex  art. 295  c.p.c.:  una decisione, non sindacabile dal
  collegio,  che  non  ha  niente  a  che vedere con la mera funzione
  direttiva   del   procedimento  verso  il  suo  sollecito  e  leale
  svolgimento,  o  con  la  raccolta  di  materiale probatorio, ed in
  genere  con  quella sorta di attivita' preparatoria nella quale non
  consiste,  e  certo  non  si esaurisce, l'istruzione della causa in
  senso  lato;  non  appare, infine, confutabile che il potere-dovere
  del   giudice  delegato-istruttore  di  "staccarsi"  moralmente  ed
  intellettualmente  dagli  atteggiamenti  e  dalle decisioni assunte
  nella  verifica  del  passivo  non  possa  valere  di  per  se',  a
  destituire  di fondamento la questione: tale dovere vale sempre per
  il giudice.
    Cio'  non  toglie  che spetti alla legge garantire l'indipendenza
  della  funzione  giurisdizionale, mettendo il giudice in condizione
  di  poter svolgere le proprie funzioni in modo da non dover subire,
  e  di  non  potersi veder dedurre a fondamento delle pretese di una
  parte   proprie   medesime  valutazioni  decisorie  nella  medesima
  regiudicanda,  e,  soprattutto,  di  presentarsi  alle  parti  come
  giudice  terzo ed imparziale, investito per la prima volta, in sede
  impugnatoria,  di  una causa non da lui stesso pregiudicata in modo
  decisorio in prime cure;
    Ritenuto che, per quanto precede, non e' manifestamente infondata
  la  questione  di  legittimita'  costituzionale degli artt. 98 e 99
  legge  fallimentare,  con  riferimento  agli artt. 3, 24, 101 e 104
  della   Costituzione,   nonche'   dell'art. 1,   comma   2,   legge
  costituzionale   n. 2  del  1999,  nella  parte  in  cui  designano
  funzionalmente  il  giudice  delegato  al fallimento a ricevere, ad
  istruire,   ed   a   partecipare  alla  decisione  dei  giudizi  di
  opposizione  allo  stato  passivo, anche quando questo sia stato da
  lui stesso reso esecutivo;
    Ritenuto  che  la  questione  e' rilevante nel presente giudizio,
  perche',  in  caso di suo accoglimento, questo giudice non potrebbe
  continuare   ad   istruire   il   presente  giudizio,  ne'  tampoco
  partecipare   alla   sua   decisione,  ne',  attualmente,  delibare
  sull'istanza  di  sospensione  necessaria  del processo ex art. 295
  c.p.c.;
    Ritenuto, conseguenzialmente, che la sollevazione della questione
  e' pregiudiziale rispetto ad ogni altra istanza pendente;
                              P. Q. M.
    Visti  gli artt. 134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo
  1953 n. 87;
    Dichiara,  d'ufficio,  rilevante  nel  presente  giudizio  e  non
  manifestamente  infondata  in relazione agli artt. 3, 24, 101 e 104
  della    Costituzione,   nonche'   all'art. 1,   comma   2,   legge
  costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, la questione di legittimita'
  costituzionale  degli  artt. 98  e  99  r.d.  16 marzo 1942, n. 267
  (legge  fallimentare),  nella  parte  in  cui  designano il giudice
  delegato   al   fallimento  a  ricevere  e  ad  istruire,  nonche',
  indirettamente,  a  partecipare  alla  decisione,  nei  giudizi  di
  opposizione  allo  stato  passivo  previsti  e  disciplinati  dalle
  medesime disposizioni;
    Sospende il presente giudizio;
    Ordina la trasmissione degli atti alla consulta;
    Manda  alla  cancelleria  per  la  notificazione  della  presente
  ordinanza  alle parti, al Presidente del Consiglio dei Ministri, al
  Presidente del Senato ed al Presidente della Camera dei deputati.
        Velletri, addi' 18 luglio 2000.
                Il giudice delegato-istruttore: Conte
00C1086