N. 617 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 luglio 2000
Ordinanza emessa il 18 luglio 2000 dal giudice istruttore presso il tribunale di Velletri nel procedimento civile vertente tra Benetton Group S.p.a. e Fallimento di Clan Italiana S.r.l. Fallimento - Opposizione allo stato passivo da parte dei creditori esclusi o ammessi con riserva - Devoluzione al giudice delegato al fallimento del potere funzionale di istruire la causa e, indirettamente, di partecipare alla decisione - Ingiustificata disparita' di trattamento in danno dei creditori opponenti - Lesione del diritto di difesa dei medesimi - Contrasto con la soggezione dei giudici solo alla legge, nonche' con l'autonomia e indipendenza della funzione giurisdizionale - Violazione del principio di terzieta' e imparzialita' del giudice - Richiamo alla sent. n. 387/1999 della Corte costituzionale. - R.d. 16 marzo 1942, n. 267, artt. 98 e 99. - Costituzione, artt. 3, 24, 101 e 104; legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, art. 1, comma 2 (recte: art. 1, nella parte in cui modifica l'art. 111, secondo comma, Cost.).(GU n.44 del 25-10-2000 )
IL TRIBUNALE Sciogliendo la riserva assunta all'udienza del 11 febbraio 2000; Letti gli atti e le note depositate nei termini assegnati; Ritenuto in fatto: Con sentenza resa in data 29 gennaio 1997 questo tribunale dichiarava il fallimento di Clan Italiana S.r.l.; Con istanza di insinuazione del 24 marzo 1997 la Benetton Group S.p.a. chiedeva di essere ammessa al passivo di detto fallimento per la somma di L. 2.769.329.765 (di cui L. 355.635.413 in privilegio per I.V.A. di rivalsa, ex art. 2758 c.c.), oltre accessori e spese, in forza di decreto ingiuntivo n. 1709 emesso dal tribunale di Treviso in data 30 giugno 1995; Con decreto depositato in data 9 luglio 1999 il giudice delegato al fallimento della Clan Italiana S.r.l., in persona di questo stesso giudice persona fisica, formava definitivamente e depositava, rendendolo esecutivo ex art. 97 L. Fall., lo stato passivo del fallimento, nel quale la domanda proposta da Benetton Group S.p.a era respinta con la seguente motivazione, "stante la pendenza del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo e della spiegata riconvenzionale"; In effetti, con citazione notificata il 2 ottobre 1995, la Clan Italiana S.r.l., allora in bonis aveva proposto opposizione al prefato decreto ingiuntivo, chiedendo il rigetto della domanda proposta in via monitoria e proponendo, altresi', contro Benetton Group S.p.a., domanda riconvenzionale risarcitoria; e con comparsa notificata il 25 novembre 1997 la Curatela del Fallimento Clan Italiana S.r.l., su autorizzazione emessa da questo medesimo G.D. - persona fisica, si era costituita nel giudizio di opposizione facendo proprie tutte le eccezioni, deduzioni, confutazioni, istanze, difese e domande gia' fatte valere da Clan Italiana nel giudizio pendente; Con ricorso depositato il 27 ottobre 1999 la Benetton Group S.p.a. ha proposto opposizione allo stato passivo, chiedendo l'ammissione del prefato credito; Il ricorso e' stato ritualmente proposto direttamente al giudice delegato al fallimento di Clan Italiana S.p.a., che e' sempre tuttora questo giudice - persona fisica, siccome funzionalmente competente a riceverlo ai sensi del primo comma dell'art. 98 L. Fall.; Nel giudizio si e' costituita la Curatela, su autorizzazione di questo medesimo G.D., contestando il credito e facendo valere, in via di eccezione il controcredito oggetto della domanda riconvenzionale spiegata nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo pendente dinanzi al tribunale di Treviso; La causa e' stata assunta a riserva sull'istanza di parte opposta per la sospensione necessaria del processo, ex art. 295 c.p.c.; Ritenuto in diritto: La Corte costituzionale, con sentenza n. 387 del 15 ottobre 1999, ha dichiarato non fondata, ma nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 51 n. 4 e secondo comma c.p.c., nella parte in cui non prevede incompatibilita' tra le funzioni del giudice che pronuncia decreto di repressione della condotta antisindacale ex art. 28, legge n. 300/1970, e quelle del giudice dell'opposizione a tale decreto; In particolare, il giudice delle leggi, premesso che: il principio di imparzialita'-terzieta' della giurisdizione ha pieno valore costituzionale in ogni tipo di processo; che questo non significa che detto valore debba essere preservato allo stesso modo in ogni tipo di processo, e che quindi possano estendersi al giudizio civile le regole costituzionali in materia di c.d. "prevenzione" formulate dalla stessa Corte in materia di processo penale "dovendosi ancora una volta ribadire la netta distinzione fra processo civile e processo penale: per la diversa posizione e i differenti poteri di impulso delle parti"; che "le (peraltro) insopprimibili esigenze di imparzialita' del giudice sono risolvibili nel processo civile - per le sue caratteristiche - attraverso gli istituti dell'astensione e della ricusazione....."; che peraltro "sul piano generale, presupposto imprescindibile, rispetto ad ogni tipo di processo, e' (solo) quello di evitare che lo stesso giudice, nel decidere, abbia a ripercorrere l'identico itinerario logico precedentemente seguito; sicche', condizione necessaria per dover ritenere un'incompatibilita' endoprocessuale e' la preesistenza di valutazioni che cadono sulla stessa reiudicanda"; che "nel processo civile, la previsione contenuta nell'art. 51 n. 4 c.p. c., secondo la quale il giudice ha l'obbligo di astenersi se ha conosciuto (della causa) come magistrato in altro grado del processo, trova fondamento nell'esigenza stessa di garanzia che sta alla base del concetto di revisio prioris istantiae, che postula l'alterita' del giudice dell'impugnazione"; che "la fattispecie (di cui all'art. 28 S.d.l.) rientrava all'evidenza nell'ambito della previsione dell'art. 51 n. 4 c.p.c., avuto riguardo anche alla considerazione che il provvedimento aveva una funzione decisoria idonea di per se' a realizzare un assetto dei rapporti tra le parti, non meramente incidentale o strumentale e provvisorio ovvero interinale (fino alla decisione di merito) ma anzi suscettibile in caso di mancata opposizione di assumere valore di pronuncia definitiva, con effetti di giudicato tra le parti"; che "tale espressione (magistrato in altro grado del processo) deve, infatti, intendersi alla luce dei principi che si ricavano dalla Costituzione relativi al giusto processo, come espressione necessaria del diritto ad una tutela giurisdizionale mediante azione (art. 24 Cost.), avanti ad un giudice con le garanzie proprie della giurisdizione, cioe' con la connaturale imparzialita' senza la quale non avrebbe significato ne' la soggezione dei giudici solo alla legge (art. 101 Cost.), ne' la stessa autonomia della magistratura (art. 104, primo comma, Cost"; che in altri termini l'espressione "altro grado" non puo' avere un ambito ristretto al solo diverso grado del processo secondo l'ordine degli uffici giudiziari come previsto dall'ordinamento giudiziario ma deve ricomprendere - con un'interpretazione conforme alla Costituzione - anche la fase che, in un processo civile, si succede con carattere di autonomia, avente contenuto impugnatorio caratterizzata (per la peculiarita' del giudizio di opposizione di cui si discute) da pronuncia che attiene al medesimo oggetto e alle stesse valutazioni decisorie sul merito dell'azione proposta nella prima fase, ancorche' avanti allo stesso organo giudiziario"; Ritenuto che, come immediatamente rilevato da parte della dottrina, tali principi si attagliano fedelmente ai rapporti tra decreto di approvazione ed esecutivita' dello stato passivo nel fallimento e giudizio di opposizione allo stesso ex art. 98 L. Fall., atteso che: a) e' comune opinione, condivisa da questo giudice, che il decreto di cui all'art. 97 L. Fall. ha natura giurisdizionale e contenuto decisorio riguardo all'esistenza del credito, alla sua opponibilita' alla massa dei creditori nel fallimento ed alla sua collocazione agli effetti del concorso, tanto che, in caso di mancata opposizione, gli si riconosce, in detti limiti (c.d. infrafallimentari) efficacia di giudicato formale e sostanziale (ex pluris, Cass. 9220/1995, 404/1993, 3903/1988): esso non ha dunque valore provvisorio, ne' strumentale, ne' interinale, ne' cautelare; b) e' del pari opinione comunemente condivisa, anche dal giudicante, che il giudizio di opposizione di cui all'art. 98 L. Fall., oltre ad essere meramente eventuale, ha natura impugnatoria (Cass. 845/1993), ed il suo oggetto coincide, nei limiti del devolutum (come in tutti i giudizi impugnatori tra i quali, per primo, l'appello), con quello individuato dalla domanda di insinuazione al passivo; Ritenuto che, come e' comune opinione, le sentenze interpretative di rigetto additano, seppur indirettamente, di illegittimita' costituzionale l'interpretazione della norma censurata offerta dal giudice remittente; e che quindi non sia piu' possibile oggi interpretare l'art. 51 n. 4 c.p.c. nel senso che l'incompatibilita' da esso prevista investa solo i rapporti tra diversi gradi ordinamental-funzionali del giudizio; Ritenuto che, per converso, e come e' di comune opinione, l'interpretazione costituzionalmente conforme indicata dal giudice delle leggi non vincola il giudice del merito; ma che pur tuttavia non si vede come la disposizione in questione possa essere altrimenti interpretata, se non nel senso che il giudice che abbia partecipato ad una fase decisoria del giudizio, non possa partecipare a successiva fase decisoria dello stesso giudizio, che rivesta, rispetto alla prima, carattere eventuale ed impugnatorio; vieppiu' quando egli sia chiamato a ripensare, nell'ambito della medesima reiudicanda, valutazioni gia' esperite nella precedente fase del giudizio; Ritenuto che questo giudice (al di la' dei dubbi che possono essere stati ingenerati dalla sintetica - come per sua natura - motivazione del decreto di esecutivita' dello stato passivo) ha respinto la pretesa avanzata dalla Benetton Group S.p.a. non solo per il motivo formale dell'inopponibilita' alla massa dei creditori del fallimento del decreto ingiuntivo ottenuto, presso il tribunale di Treviso, dal ricorrente oggi opponente, siccome opposto e quindi non passato in regiudicata (per far valere il che non sarebbe stato necessario rimarcare che la Clan Italiana aveva proposto altresi', in quel giudizio, una domanda riconvenzionale); motivazione che, peraltro, non sarebbe stata sufficiente, giacche' questo giudice ben avrebbe potuto comunque riconoscere il credito sostanziale fatto valere dal ricorrente, ove lo avesse ritenuto fondato (ed infondata la domanda riconvenzionale proposta dalla societa' fallita), alla stregua del principio inquisitorio che regge pacificamente la fase di verifica dello stato passivo nel fallimento, e stante, altresi', la circostanza che tale operazione non avrebbe immutato la domanda nei suoi elementi individuatori (soggetti, "petitum" e "causa petendi"); ma ha rigettato la domanda proposta dall'odierna opponente nel merito, in un giudizio del quale si e' gia' richiamata, la natura (ancorche' per certi versi connotata da notevoli aspetti di specialita') giurisdizionale e cognitoria, avendo fatto proprie le ragioni di relezione e riconvenzionali gia' fatte valere dalla Clan Italiana "in bonis", coerentemente col fatto che aveva gia' autorizzato la Curatela della Clan Italiana a proseguire il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, anche per coltivare la domanda riconvenzionale per il titolo qui riproposto in via di eccezione; Ritenuto, per altro, ed a prescindere dalle caratteristiche e particolarita' del caso concreto, che la natura del decreto di esecutivita' dello stato passivo, quale sopra ritenuta e richiamata quale provvedimento giurisdizionale a contenuto decisorio ed atto alla regiudicata formale e sostanziale nel merito della pretesa fatta valere nel fallimento, rispetto al quale la domanda di opposizione allo stato passivo introduce un giudizio eventuale di natura impugnatoria, appare integrare di per se' gli estremi della fattispecie "costituzionalmente conforme" di cui all'art. 51 n. 4 c.p.c. quale indicata dallo stesso giudice delle leggi, e condivisa da questo giudice, alla luce della quale questo giudice sarebbe tenuto ad astenersi; Ritenuto, cio' non di meno, che nella specie questo giudice non puo' astenersi; ritenuto, invero, che nella specie e' la stessa legge, che, con disposizioni chiaramente speciali (artt. 98 e 99 L. Fall. indica proprio nel giudice delegato al fallimento (nominato nella sentenza dichiarativa di fallimento ai sensi dell'art. 16, comma 2, n. 1 L. Fall., e come tale funzionalmente destinato a formare ed a rendere esecutivo lo stato passivo del fallimento ai sensi degli artt. 95 e segg. L. Fall il giudice funzionalmente destinato a ricevere il ricorso in opposizione, ad istruirlo, ed anche a partecipare alla sua decisione (art. 25 n. 1 L. Fall.) in posizione di relatore; Ritenuto, pertanto, che, alla stregua dei principi da ultimo enunciati dalla stessa Corte costituzionale, gli artt. 98 e 99 L. Fall. non possano sottrarsi, nella parte in cui devolvono funzionalmente al giudice delegato al fallimento il potere-dovere di ricevere ed istruire (nonche' di concorrere a decidere) le opposizioni allo stato passivo del fallimento ex art. 98 L. Fall.) al dubbio di legittimita' costituzionale con riferimento agli artt.: 3 della Costituzione, per l'ingiustificata disparita' di trattamento che si determina, in un caso che si ritiene ricadente nella previsione di cui all'art. 51 n. 4 L. Fall., tra gli opponenti allo stato passivo, che si trovano a dover coltivare le proprie pretese civili, in un giudizio funzionalmente retto, nel suo svolgimento (salve alcune particolarita' indifferenti alla questione della terzieta' ed imparzialita' del giudice), dal normale rito contenzioso ordinario, di fronte ad un giudice che tali pretese ha gia' disattese in un provvedimento giurisdizionale di natura decisoria ed idoneo alla regiudicata; e la generalita' dei consociati, che quello stesso giudice avrebbero diritto di ricusare, o a vedere astenersi; 24 della Costituzione, perche' la necessita' legale che il giudizio si svolga dinanzi ad un giudice privo delle garanzie di terzieta' ed imparzialita' gia' giudicate "imprescindibili" dal giudice delle leggi (giudice che peraltro dirige l'attivita' della controparte: art. 25, comma 1 L. Fall; l'autorizza a stare in giudizio: art. 25, comma 6; e sorveglia l'attivita' del suo difensore: art. 25 n. 7) menoma il diritto a difesa dell'opponente; 101 della Costituzione, perche' la menomata condizione di terzieta', imparzialita' del giudice, che abbia gia' conosciuto, nei piu' volte segnalati termini, della stessa causa ancora lui devoluta, incrina, sottoponendolo alle sue stesse gia' compiute valutazioni decisorie sulla stessa regiudicanda, la sua soggezione alla sola legge; 104, comma 1, della Costituzione, perche' la sovraesposta condizione normativa incrina l'autonomia e l'indipendenza della funzione giurisdizionale; art. 2 della legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, che afferma ormai espressamente il valore e la rilevanza costituzionale "in ogni processo" (e quindi anche in quello, civile ed in quello fallimentare) del principio della terzieta' ed imparzialita' del giudice; Rappresentato che e' noto che a questione che oggi viene riproposta all'esame del giudice delle leggi, o questioni a questa analoghe, sono state ripetutamente gia' disattese dalla Corte, anche di recente (sent. 18 novembre 1970 n. 158; sent. 29 aprile 1975 n. 94; ord. 18 luglio 1998 n. 304); Ritenuto, peraltro, che dall'ultima pronuncia, il valore costituzionale della terzieta' ed imparzialita' del giudice abbia ricevuto promozione ed ulteriore valorizzazione sia dal legislatore costituzionale (che significativamente ha ritenuto di enunciarlo espressamente novellando l'art. 111 della Costituzione, malgrado il principio fosse gia' acquisito nella "costituzione vivente" e nella giurisprudenza della Corte costituzionale); sia dalla citata sentenza n. 387/1999, la quale, a ben vedere, nell'escludere la conformita' al canone costituzionale di una interpretazione restrittiva dell'art. 51 n. 4 c.p.c. (mirante a limitare l'incompatibilita' del giudice dell'impugnazione ai soli rapporti tra gradi ordinarientali del giudizio), appare aver introdotto, nel quadro di un mutata ed accresciuta sensibilita' rispetto al valore costituzionale che qui si assume leso, un deciso superamento del primo argomento che fa portato dalla stessa Corte, nella sentenza n. 158/1970 (che ha indubbiamente svolto funzione di sentenza-stipite nella fattispecie), che ebbe, infatti, in primo luogo ad affermare che l'art. 51 n. 4 c.p.c. non si applicava al caso del riesame della pronuncia resa in altra fase dello stesso grado di giudizio; Ritenuto che, nella segnalata, incoraggiata ottica di una interpretazione piu' rigorosa del canone costituzionale, anche gli altri argomenti tradizionalmente portati a denegazione dell'illegittimita' costituzionale, in parte qua, degli artt. 98 e 99 L. Fall. mostrino "il segno dei tempi" o comunque meritino una innovata meditazione; ed invero: a) la regola, che impregna di se' l'intero procedimento fallimentare, di concentrazione dei suoi "momenti" giurisdizionali e non presso gli organi della procedura, non appare implicare imprescindibilmente (ne' a rischio della tenuta dell'intero impianto della legge fallimentare) che il giudizio di opposizione allo stato passivo del fallimento debba essere "ricevuto", istruito, e "codeciso" dal giudice delegato al fallimento, posto che il giudice della decisione dell'opposizione e' il tribunale fallimentare in senso puramente funzionale, ordinamentale e logistico (e, cioe', il tribunale - organo giurisdizionale che ha dichiarato il fallimento), sulla cui composizione nulla e' espressamente prescritto dalla legge (salvo che per la composizione collegiale). Nel giudizio di opposizione allo stato passivo il giudice delegato assume la finzione di puro e semplice giudice istruttore individuato per legge invece che attraverso il normale meccanismo di designazione (art. 168-bis c.p.c.), che non si ha motivo di dubitare subentrerebbe automaticamente in caso di accoglimento della questione, a scongiurare lacune di sorta, e l'irrisolvibilita' della quesione senza un intervento discrezionale del legislatore. I poteri ed i doveri del giudice delegato in funzione di istruttore nel giudizio di opposizione allo stato passivo (che e' un giudizio di parti) sono, quanto meno di massima (al di la' delle particolarita' inerenti al rito nella sua oggettivita', e di dubbi canoni interpretativi) gli stessi gravanti su qualunque giudice istruttore in un normale processo civile (le cui regole paiono doversi applicare totalitariamente, salve le deroghe espresse); la stessa tesi dell'esistenza, in capo al giudice delegato-istruttore, di poteri inquisitori, che gli consentirebbero di introdurre anche officiosamente nel giudizio conoscenze derivantegli dagli atti della procedura fallimentare, mediante acquisizione dei relativi documenti, non pare trovare altro fondamento ermeneutico che nella stessa investitura legale del g.d. quale giudice istruttore, e sembra dunque passibile di cadere puramente e semplicemente con essa, una volta che, come sembra, si debba riconoscere che siffatta investitura, di per se' contraria alla Costituzione, non risponda, a sua volta, ad alcuna esigenza di rango costituzionale. Ed invero, non si vede come, ed in base a che, la presunta necessita' di garantire, attraverso l'attribuzione al giudice delegato, che conosce gli atti della procedura tutta, di poteri inquisitori, un accertamento "non falsato" (che' forse il Curatore, che rappresenta e difende gli interessi della massa, introduce un pericolo di falsificazione della realta' processuale?) circa il rapporto tra il creditore ed il fallito, possa assumere rango costituzionale, e comunque prevalere sul principio costituzionale della terzieta' ed imparzialita' del giudice nel processo civile e fallimentare; e cio' in un giudizio civile di parti, di natura contenziosa ed a cognizione piena, nel quale v'e' gia' un soggetto (il Curatore) legittimato e capace di rappresentare in giudizio i diritti e gli interessi della massa, con tutti i poteri propri della parte (e peraltro sotto la vigilanza del giudice delegato, che lo autorizza ad agire e sorveglia l'operato suo e del suo difensore); ancora, e nella prospettiva generale gia' individuata, non appare idoneo, a destituire di fondamento la questione, il rilievo che il giudice delegato si limiterebbe ad istruire la causa, raccogliendo ad uso del tribunale il materiale probatorio necessario e dirigendo e dando impulso al procedimento. La necessita' costituzionale qui implicata, e' in via generale assolta dagli artt. 51 c.p.c. e 178 disp. att. c.p.c., mediante la previsione di un obbligo di astensione immediato, non limitato alla fase decisoria; l'attivita' istruttoria si svolge mediante l'esercizio di poteri giurisdizionali che, benche' ampiamente (ma non totalitariamente) soggetti al sindacato finale del collegio non sono punto irrilevanti nell'economia della decisione della causa. Si e' gia' comunque rilevato come la posizione di istruttore implichi naturalmente che il giudice delegato partecipi alla decisione collegiale, e come relatore. Nella specie, poi, questo giudice e' chiesto di sospendere il giudizio ex art. 295 c.p.c.: una decisione, non sindacabile dal collegio, che non ha niente a che vedere con la mera funzione direttiva del procedimento verso il suo sollecito e leale svolgimento, o con la raccolta di materiale probatorio, ed in genere con quella sorta di attivita' preparatoria nella quale non consiste, e certo non si esaurisce, l'istruzione della causa in senso lato; non appare, infine, confutabile che il potere-dovere del giudice delegato-istruttore di "staccarsi" moralmente ed intellettualmente dagli atteggiamenti e dalle decisioni assunte nella verifica del passivo non possa valere di per se', a destituire di fondamento la questione: tale dovere vale sempre per il giudice. Cio' non toglie che spetti alla legge garantire l'indipendenza della funzione giurisdizionale, mettendo il giudice in condizione di poter svolgere le proprie funzioni in modo da non dover subire, e di non potersi veder dedurre a fondamento delle pretese di una parte proprie medesime valutazioni decisorie nella medesima regiudicanda, e, soprattutto, di presentarsi alle parti come giudice terzo ed imparziale, investito per la prima volta, in sede impugnatoria, di una causa non da lui stesso pregiudicata in modo decisorio in prime cure; Ritenuto che, per quanto precede, non e' manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 98 e 99 legge fallimentare, con riferimento agli artt. 3, 24, 101 e 104 della Costituzione, nonche' dell'art. 1, comma 2, legge costituzionale n. 2 del 1999, nella parte in cui designano funzionalmente il giudice delegato al fallimento a ricevere, ad istruire, ed a partecipare alla decisione dei giudizi di opposizione allo stato passivo, anche quando questo sia stato da lui stesso reso esecutivo; Ritenuto che la questione e' rilevante nel presente giudizio, perche', in caso di suo accoglimento, questo giudice non potrebbe continuare ad istruire il presente giudizio, ne' tampoco partecipare alla sua decisione, ne', attualmente, delibare sull'istanza di sospensione necessaria del processo ex art. 295 c.p.c.; Ritenuto, conseguenzialmente, che la sollevazione della questione e' pregiudiziale rispetto ad ogni altra istanza pendente;
P. Q. M. Visti gli artt. 134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87; Dichiara, d'ufficio, rilevante nel presente giudizio e non manifestamente infondata in relazione agli artt. 3, 24, 101 e 104 della Costituzione, nonche' all'art. 1, comma 2, legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 98 e 99 r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (legge fallimentare), nella parte in cui designano il giudice delegato al fallimento a ricevere e ad istruire, nonche', indirettamente, a partecipare alla decisione, nei giudizi di opposizione allo stato passivo previsti e disciplinati dalle medesime disposizioni; Sospende il presente giudizio; Ordina la trasmissione degli atti alla consulta; Manda alla cancelleria per la notificazione della presente ordinanza alle parti, al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Presidente del Senato ed al Presidente della Camera dei deputati. Velletri, addi' 18 luglio 2000. Il giudice delegato-istruttore: Conte 00C1086