N. 700 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 marzo 2000
Ordinanza emessa il 10 marzo 2000 tribunale amministrativo regionale della Campania sul ricorso proposto da Agresti Alessandro ed altri contro Seconda Universita' degli studi di Napoli ed altra Sanita' pubblica - Medici docenti universitari svolgenti attivita' assistenziali o con funzioni di direzione delle strutture assistenziali del S.S.N. - Previsione della cessazione dallo svolgimento delle funzioni assistenziali nonche' dalla direzione delle strutture stesse al compimento dei limiti massimi d'eta', indicati nella legge medesima, inferiori a quelli stabiliti per il pensionamento - Rinvio ai protocolli d'intesa tra le regioni e le universita' e agli accordi attuativi tra le universita' e le ASL, per la disciplina delle modalita' e dei limiti di utilizzazione del suddetto personale universitario per specifiche attivita' assistenziali strettamente correlate all'attivita' didattica e di ricerca - Incidenza sui principi di imparzialita' e buon andamento della p.a. - Eccesso di delega per la mancata indicazione nella legge di delega e nel decreto delegato delle linee essenziali della disciplina o di uniformi requisiti minimi idonei ad assicurare omogeneita' di regolamentazione sull'intero territorio nazionale - Violazione del principio della riserva di legge in materia di insegnamento universitario e dei principi di imparzialita' e buon andamento della p.a. - Legge 30 novembre 1998, n. 419, art. 2, comma 1, lettera pp), e d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 15-nonies, comma 2, come introdotto dal d.lgs. 19 giugno 1999, n. 229, art. 13. - Costituzione, artt. 3, 33, 34, 76 e 97.(GU n.48 del 22-11-2000 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 8475/1999 reg. gen. proposto da Agresti Alessandro, Amantea Luigi, Caraco' Antonino, Docimo Rocco, Iacono Aldo e D'Alessandro Bruno, rappresentati e difesi dagli avvocati Ermanno Bocchini ed Andrea Abbamonte con i quali elettivamente domiciliano in Napoli, via Filangieri n. 21; Contro la Seconda Universita' degli studi di Napoli, in persona del rettore pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocatura distrettuale dello Stato di Napoli, presso cui, ope legis, domicilia alla via Diaz n. 11; l'azienda universitaria Policlinico, in persona del direttore pro-tempore, non costituitosi in giudizio per l'annullamento (previa sospensione) del decreto presidenziale n. 689 del 21 settembre 1999, a mezzo del quale l'azienda universitaria Policlinico ha posto in quiescenza i ricorrenti dalle funzioni assistenziali svolte presso i rispettivi dipartimenti; se ed in quanta possa occorrere, delle successive note del 22 settembre 1999 a firma del medesimo presidente dell'azienda universitaria Policlinico di comunicazione del decrete presidenziale di cui sub a); delle disposizioni di cui alla nota 30 settembre 1999, protocollo n. 8882/A/4 del Rettore della seconda Universita' degli studi di Napoli disposta in attuazione del ripetuto decreto di cui sub a); Visto il ricorso ed i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della Seconda Universita' degli studi di Napoli; Visti gli atti tutti di causa; Relatore il primo referendario, dott. Arcangelo Monaciliuni; Uditi, nella pubblica udienza del 23 febbraio 2000, i procuratori delle parti, come da verbale di udienza; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: F a t t o Con ricorso notificato, previa abbreviazione dei termini disposta con decreto del presidente del tribunale, il 22 ottobre 1999 e depositato il successivo giorno 25 dello stesso mese, i ricorrenti - professori ordinari o (di prima fascia) inseriti nei ruoli del personale docente della Seconda Universita' degli studi di Napoli - Facolta' di medicina e chirurgia, tutti titolari di cattedra e direttori di dipartimenti - hanno impugnato i provvedimenti in epigrafe segnati che dispongono, per ciascuno di essi, la cessazione, a decorrere dal 1o novembre 1999, dallo svolgimento delle ordinarie attivita' assistenziali, nonche' dalla direzione delle strutture assistenziali. Il gravame e' affidato a cinque mezzi di impugnazione volti a denunciare la violazione degli artt. 3 e 7 della legge n. 241/1990 (primo e secondo mezzo); l'incompetenza del presidente dell'azienda universitaria Policlinico ad emanare il decreto di cessazione dalle attivita' in discorso, che rientrerebbe nella sfera di attribuzioni del consiglio direttivo, con la partecipazione del consiglio di Facolta' di medicina e chirurgia (terzo mezzo); in via gradata, l'illegittimita' costituzionale delle disposizioni di cui all'art. 15-nonies del d.lgs. 19 giugno 1999, n. 229 in applicazione delle quali e' stata disposta la cennata cessazione dalle funzioni assistenziali (quarto mezzo), nonche', in via ancor piu' gradata, della stessa legge delega 30 novembre 1998, n. 418 (quinto mezzo). La seconda Universita' degli studi di Napoli si e' costituita in giudizio per resistere alla pretesa attorea, concludendo, con memoria depositata in data 12 febbraio 2000, per l'infondatezza di ciascuno dei mezzi di impugnazione proposti per denunciare l'operato dell'amministrazione. Con ordinanza collegiale n. 4262 del 27 ottobre 1999 la richiesta sospensione dei provvedimenti impugnati e' stata accolta nella ritenuta sussistenza dei presupposti di cui all'art. 21 della l6 dicembre 1971, n. 103. D i r i t t o 1. - Il provvedimento impugnato e' stato emanato - per esplicito e pacifico richiamo - in applicazione dell'art. 15-nonies, comma secondo, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, quale introdotto dall'art. 13 del d.lgs. 19 giugno 1999, n. 229. La cennata disciplina e' stata censurata dai ricorrenti per violazione, da un canto, degli artt. 76 e 77 (eccesso di delega) e, d'altro canto, degli artt. 3, 36 e 9 della Costituzione (illegittima compressione delle funzioni docenti e dell'autonomia universitaria demandata peraltro a futuri protocolli d'intesa fra Regioni ed Universita'). 2. - Va premesso, ai fini della rilevanza della questione, che la pretesa azionata potrebbe trovare soddisfazione solo all'esito dell'eventuale declaratoria della illegittimita' costituzionale della norma, in quanto i primi tre mezzi di impugnazione non possono trovare ingresso. I primi due (violazione artt, 3 e 7 della legge n. 241/1990), in quanto alcuna previa comunicazione o ulteriore giustificazione oltre l'indicazione della norma applicata andava effettuata nel caso di specie. Difatti la cessazione dalle attivita' assistenziali e dalla direzione delle strutture assistenziali scattava come effetto ex lege al maturare della data fissata dalla legge stessa, cosicche' non appare giustificato alcun contraddittorio ne' alcun obbligo di speciale motivazione (Cons. Stato, sez. IV, 18 gennaio 1997, n. 24 e sez. V, 11 ottobre 1996; C.G.A. 30 giugno 1995, n. 248). Quanto al terzo motivo (incompetenza), l'art. 59 dello statuto della seconda Universita' di Napoli, recante la disciplina delle funzioni e dei compiti del consiglio direttivo dell'azienda Universitaria Policlinico, non attribuisce a quest'ultimo organo tale competenza, come invece dedotto in ricorso. Ne', come ancora erroneamente ritenuto dai ricorrenti, necessita l'intervento della Facolta' di medicina e chirurgia che partecipa, ex artt. 52 e 53 dello statuto, all'attivita' aziendale solo nella fase di definizione delle linee di indirizzo generale ed in quella di stipula delle convenzioni. 3. - Cio' posto, ritiene il tribunale che la questione di costituzionalita' della indicata previsione normativa, nei sensi di cui appresso, non sia manifestamente infondata. Va osservato al riguardo in via generale che l'inscindibilita' delle prestazioni afferenti all'assistenza da quelle di ricerca e di didattica o, comunque, la indispensabilita' di un livello minimo di supporto "assistenziale" all'attivita' didattica (e di ricerca) risponde ad un principio pacificamente accolto dalla legislazione di settore fin dalla legge fondamentale 17 luglio 1890, n. 6972 e poi ribadito dal r.d.l. 10 febbraio 1924, n. 549 (trasfuso negli artt. 27-35 del T.U. delle leggi sull'istruzione superiore, approvato con R.D. 31 ottobre 1933, n. 1592) e dal regolamento di esecuzione approvato con r.d. 24 maggio 1925, n. 1144, che trasformarono gli ospedali siti in citta' sedi di facolta' medico-chirurgiche in "ospedali clinici a seconda dei bisogni dell'insegnamento" (da ultimo, art. 27 del R.D. n. 1592), affidando al personale sanitario universitario la direzione tecnica dei singoli reparti, ferma la loro dipendenza dall'Universita' (art. 29 seguente). Congiunzione di fini riconosciuta poi dalla legge n. 132 del 1968, recante la riforma ospedaliera, che chiama anche l'Universita' (art. 1 della legge) a concorrere al fine assistenziale, in presenza di funzioni (didattica ed assistenziale) suscettibili "di ottimale collegamento o addirittura compenetrazione" (Corte costituzionale sentenza 103 del 1977 e, poi, in termini, 126 del 1981 e 136 del 1997). Collegamenti e compenetrazione di fini ancora confermati e sviluppati dalla legge 23 dicembre 1978, n. 833 e dal d.l.gs. dal d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 di riordino e razionalizzazione del servizio sanitario nazionale. Del resto, lo stesso legislatore qui in commento (legge 30 novembre 1998, n. 419 e d.lgs. 19 giugno 1999, n. 229), cui va aggiunto quello delegato ex art. 6 stessa legge, di cui al sopravvenuto d.lgs. 21 dicembre 1999, n. 517 (recante specificamente la disciplina dei rapporfi fra servizio sanitario nazionale ed Universita'), non perde occasione, nel dettare criteri direttivi e porre previsioni attuative, per richiamare "il rispetto dello stato giuridico" dei docenti universitari di medicina e "la coerenza fra attivita' assistenziale e le esigenze della formazione e della ricerca" (artt. 2 e 6 legge n. 419/1998; art. 5 d.1gs. n. 517/1999). Richiamo, quest'ultimo, connesso a quello secondo cui "le attivita' assistenziali svolte dai professori e dai ricercatori universitari si integrano con quelle di didattica e di ricerca" (art. 5, comma 2, quarto periodo d.lgs. n. 517/1999 citato). 3.1 - Conferma della insopprimibilita' della cennata correlazione si rinviene peraltro nella normativa comunitaria di settore. Questa, nell'introdurre il reciproco riconoscimento negli Stati membri dei titoli di studio universitari, richiede criteri uniformi di formazione, prescrivendo standard minimi a garanzia che i titoli medesimi attestino il possesso effettivo delle conoscenze necessarie all'esercizio delle attivita' corrispondenti. Fra dette prescrizioni vi e' quella che gli studi teorici si accompagnino necessariamente ad esperienze pratiche, acquisite attraverso attivita' cliniche o, in genere, operative, nel corso del periodo di formazione (direttive CEE nn. 686 e n. 687 del 25 luglio 1978; nn. 1026 e 1027 del l8 dicembre 1978; n. 384 del 10 giugno 1985; n. 594 del 30 ottobre 1989; n. 16 del 5 aprile 1993, recepite con dd.ll. vi 27 gennaio 1992, n. 129 e 2 maggio 1994, n. 353). In particolare, la direttiva 93/16 richiede testualmente che gli Stati membri subordinino l'accesso alle attivita' di medico al possesso di apposita certificazione comprovante, fra l'altro, che, nel corso dell'intero ciclo di formazione, l'interessato abbia acquisito, sul campo, "le conoscenze dei problemi e dei metodi clinici sotto opportuno controllo" (art. 23). dettando poi previsioni ancor piu' stringenti in riferimento alla formazione del medico specialista (art. 24). Ed il legislatore nazionale, in sede di attuazione della direttiva, recepita di recente nell'ordinamento interno con d. lgs. 17 agosto 1999, n. 368, ha quantizzato "in un minimo di 5.500 ore di insegnamento teoriche e pratiche impartite in una Universita' o sotto il controllo di una Universita'" il necessario periodo di formazione del medico chirurgo (art. 18) ed ha poi ancor piu' dettagliatamente disciplinato, sempre insistendo sul profilo dell'insegnamento pratico, le modalita' formative, in medicina generale (art. 26) e dei medici specialisti (artt. 37 e 38). 4. - Orbene, sulla base di tali premesse, venendo allo specifico esame dei profili di costituzionalita' della normativa in questione, sembra. evidente innanzi tutto che il legislatore delegante non solo abbia fatta propria questa impostazione - lo si e' gia' rilevato - ma abbia anche ritenuto di dover far propria una valutazione di ordine generale circa la indispensabilita' di un pieno inserimento funzionale dei docenti nella struttura assistenziale. Ma se cio' e' vero, la disciplina poi in concreto delineata, che impone la "cessazione dall'attivita' assistenziale ordinaria, nonche' dalla direzione delle strutture assistenziali" anticipatamente al raggiungimento dell'eta' pensionabile dei docenti non appare coerente con il principio del buon andamento (art. 97 Cost) sia dell'insegnamento e della ricerca universitaria che del sistema sanitario. Cio' anzitutto in quanto l'insegnamento ed i risultati della ricerca del docente universitario che abbia raggiunto i limiti di eta' diminuirebbero di efficacia in presenza di una scelta che inevitabilmente si connota come una sostanziale emarginazione dalle funzioni assistenziali. Quanto al sistema sanitario, poi, la violazione dell'art. 97 Cost. consegue al fatto che esso non potrebbe piu' giovarsi dell'apporti di soggetti ai quali non e' possibile non riconoscere un qualificazione - se non particolare, in quanto arricchita dall'esperienza - certamente non inferiore; e cio' alla stregua di una valutazione che e' implicita nella disciplina generale della docenza. 5. - Se, peraltro, il fondamento delle censure dedotte va ricercato nell'ambito di un quadro pubblicistico, non puo' essere neanche tralasciato il vulnus al principio di eguaglianza, di cui all'art. 3 Cost., che conseguirebbe dalla nuova disciplina. E' evidente, infatti, che il legislatore, sia delegante che delegato, nell'intento di privilegiare l'omogeneita' dei trattamenti del personale del servizio sanitario nazionale e di quello universitario ha creato una discriminazione fra i docenti che appare non giustificata, laddove si introducono differenze cosi' marcate di stato giuridico in funzione dell'eta' nell'ambito di una categoria indubbiamente unitaria. Differenze che comportano una menomazione funzionale a danno dei docenti "strutturati" allo scoccare di un'eta' in cui tutti gli altri sono pacificamente ritenuti idonei pleno iure, di talche' il loro stato giuridico e' delineato in modo unitario e coerente in tutto lo sviluppo della carriera con esclusione di qualsiasi frattura legata all'eta'. Del resto che esista un problema di "rispetto dello stato giuridico e' questione ben presente al legislatore che, non a caso, tiene ferme sia pur transitoriamente differenti anzianita' per i docenti rispetto agli altri sanitari e quindi non ritiene di poter spingere fino in fondo la logica della omogeneita'. 6. - Ove poi avesse a ritenersi che la scelta di fondo operata sia costituzionalmente corretta, verrebbe in evidenza la mancata predeterminazione nella norma di delega dei criteri idonei a definire le "modalita' ed i termini" del nuovo assetto funzionale dell'attivita' assistenziale. E cio' comporta la violazione dell'art. 76 della Costituzione. 7. - Tale carenza si e' in fatto manifestata in tutta la sua portata con l'emanazione della normativa delegata, che nel sostanziale vuoto di principi cui attenersi si e' limitata ad operare un ulteriore rinvio, il quale presenta a sua volta - ad avviso del collegio - una ancora piu' palese lacuna. Se pur vero, infatti, che la previsione costituzionale di riserva di legge consente che il precetto espresso dalla norma primaria possa essere integrato da atti di normazione secondaria, tuttavia cio' e' possibile solo previa determinazione di una serie di criteri idonei ad indirizzare e vincolare la normazione secondaria entro confini ben delineati o, quanto meno, previa determinazione delle linee essenziali della disciplina stessa (Corte costituzionale 5 febbraio 1986, n. 34 e giurisprudenza ivi richiamata, nonche', da ultimo, in una questione in cui a venire in rilievo era proprio la portata dell'autonomia delle universita' in relazione alla potesta' di introdurre il numero chiuso per l'accesso a determinati corsi di laurea, Corte costituzionale 27 novembre 1998, n. 383). Se ne deve dedurre che le linee essenziali della disciplina, ovvero quanto meno l'indicazione di uniformi requisiti minimi, non potevano che essere previste in sede legislativa, e dunque se non gia' nella legge delega di certo nella normativa delegata. In questa chiave la fissazione di detta disciplina, quanto meno nelle sue cogenti linee essenziali, non puo' che costituire l'essenza della pur scarna delega conferita e in particolare del previsto obbligo per il delegato di rispettare "lo stato giuridico" del personale universitario "strutturato". Va infatti avuto presente che qui si tratta di intervenire per disciplinare, sotto i profili sia quantitativi che qualitativi, non gia' i parametri per la formazione dei medici o degli specializzandi in una situazione di pieno impiego del docente, ma per individuare quale sia la parte di attivita' assistenziale da lasciarsi affidata, ai fini didattici e di ricerca, al docente "dimidiato" e/o la possibilita' di utilizzo, a tali fini, di reparti dei quali il docente stesso non ha piu' la direzione. Trattasi, quindi, di materia che involge i principi fondamentali relativi all'istruzione con riferimento sia all'organizzazione scolastica (art. 33 Cost.), della quale le universita' sono parte (Corte costituzionale sentenze n. 195 del 1972 e n. 383 del 1998), sia ai diritti di accedervi e di usufruire delle prestazioni che essa e' chiamata a fornire (art. 34 Cost.). E cio' avendo presente che organizzazione e diritti sono aspetti seculari della stessa materia, l'una e gli altri implicandosi e condizionandosi reciprocamente. Alla stregua di quanto sopra considerato, deve concludersi per la violazione della riserva di legge prevista dalla normativa richiamata. 8. - Va soggiunto che lo strumento convenzionale prescelto per la definizione della disciplina esecutiva presenta l'ulteriore difetto di non essere idoneo a garantirne la uniformita' sull'intero territorio nazionale, poiche' in ogni caso si resta nell'ambito delle singole realta' in cui si opera: realta' condizionate dalle scelte anche finanziarie delle singole regioni. E cio' appare sufficiente a far dubitare della legittimita' costituzionale della norma con riferimento sia alla riserva di legge esistente nella materia universitaria, sia, ancora una volta, all'art. 97 Cost. Ne' in questa prospettiva puo' aver rilievo determinante la circostanza che i protocolli d'intesa vanno stipulati in conformita' alle linee guida fissate (oggi) dal Governo. Se pur vero, infatti, che il sopravvenuto decreto legislativo n. 517/1999 - uniformandosi al dettato del giudice delle leggi secondo cui l'esercizio in via non legislativa della flmzione di indirizzo e coordinamento nei confronti delle regioni deve far capo all'organo collegiale di Governo (Corte costituzionale 14 dicembre 1998, n. 408 e poi, in termini, 15 febbraio 2000, n. 63) - ha abrogato i commi 1 degli artt. 6 e 6-bis del d.1gs. n. 502/1992 (che affidavano ai decreti ministeriali l'emanazione delle linee guida per la stipulazione dei ripetuti protocolli) ed ha individuato nel Consiglio dei Ministri l'organo a tanto competente, ancora vero che i "criteri ed i principi direttivi" recati dalla norma delegata (art. 1, comma 2) appaiono privi di quei contenuti definiti e di quella diretta ed immediata incisivita' invece richiesti dalla ripetuta portata della materia - istruzione universitaria - di pertinenza dello Stato. Mancano, cioe', "quelle norme specifiche di legge che delimitino sostanzialmente il potere governativo, indicando l'oggetto degli atti di indirizzo e dettando "criteri sufficienti a indirizzarne a loro volta il contenuto", in tal modo violandosi il principio di legalita' sostanziale affermato dalla giurisprudenza del giudice delle leggi della (Corte costituzionale, sentenza n. 408 citata e restanti ivi richiamate). Nell'ottica ermeneutica di questo giudice, qui tesa a verificare il rispetto del buon andamento dell'amministrazione e la sussistenza delle condizioni di salvaguardia dell'insegnamento quali richieste nell'interesse dei discenti, non puo' convenirsi con la replica della difesa erariale secondo cui l'incisione sullo status del personale docente sanitario di che trattasi e' dal legislatore riferita alla "preminente esigenza di tutela della salute pubblica e non invece rispetto al miglior espletamento della funzione docente". L'affermazione, oltre a non apparire coerente con il quadro generale tracciato, e' intimamente contraddittoria e fondata su di una visione riduttiva della stessa tutela della salute pubblica, collocata in un ambito concettuale contingente ed immediato che non considera come questa presupponga medici idoneamente formati ed in possesso gia' all'atto del conseguimento del diploma universitario, ed ancor piu' di quello di specializzazione, della formazione sia teorica che pratica necessaria per l'espletamento della professione, ovvero per tutelare la salute pubblica. 9. - Resta infine fermo, in via ulteriormente subordinata, che un vulnus all'art. 97 della Costituzione appare residuare in ogni caso in riferimento alla previsione di immediata cessazione dall'attivita' assistenziale in difetto comunque della previa regolamentazione del residuo di attivita' assistenziale a svolgersi ai fini di didattica (e di ricerca) che viene cosi' rinviata ad un termine incertus quando. La difesa erariale nega ogni frattura temporale nell'assunto della vigenza, nelle more, di un idoneo regime transitorio, costituito dalle linee guida dettate dai dd.mm. 31 luglio 1997 (recante le linee guida per la stipula dei ripetuti protocolli); 17 dicembre 1997 (recante i requisiti di idoneita' delle strutture per le scuole di specializzazione dell'area medica); 24 settembre 1997 (recante i requisiti di idoneita' delle strutture per i diplomi universitari dell'area medica). L'assunto non convince il collegio per la evidente ragione che i contenuti dei cennati decreti (e dei protocolli attuativi vigenti allo Stato) non disciplinano - ne' l'avrebbero potuto - l'utilizzo dei docenti universitari per le attivita' di che trattasi, stante la loro preesistenza rispetto all'introduzione nell'ordinamento della norma che detto utilizzo e' sopravvenuta a prevedere. Ne' ai fini invocati potrebbe soccorrere la considerazione che l'art. 1, comma 5, del d.lgs. 21 dicembre 1999, n. 517 ha previsto la ultravigenza dei cennati decreti ministeriali fino alla data di entrata in vigore dell'atto di indirizzo e di coordinamento previsto dal comma 2 dello stesso articolo, attesa la inidoneita' anche di questi sotto i profili gia' indicati. Peraltro, il d.m. 31 luglio 1997, recante le linee guida per la stipula dei protocolli di intesa, prevede testualmente che "le attivita' assistenziali del personale universitario sono inscindibili da quelle di didattica e di ricerca. Non e' consentito al personale universitario di recedere dall'attivita' assistenziale". (art. 5, comma 3). 10. - In conclusione, il collegio, rinviata ex art. 279, quarto comma, c.p.c., alla sede del merito le complessive definitive statuizioni, ritiene di dover investire la Corte costituzionale delle questioni di costituzionalita' innanzi precisate, disponendo, in conseguenza, la sospensione del presente giudizio nella more della pronuncia a rendersi dal giudice delle leggi.
P. Q. M. Dichiara rilevante per la decisione e non manifestamente infondata nei sensi di cui innanzi la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 1, lettera pp) della legge 30 novembre 1998, n. 419 e dell'art. 15-nonies, comma due, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, quale introdotto dall'art. 13 del d.lgs. 19 giugno 1999, n. 229. Sospende, in conseguenza, il giudizio in corso e dispone la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, a cura della segreteria del tribunale. Ordina che, a cura della medesima segreteria, la presente ordinanza venga notificata alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonche' comunicata al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei deputati. Cosi' deciso in Napoli, addi' 10 marzo 2000, in Camera di consiglio. Il Presidente: Coraggio Il primo referendario, esterno: Monaciliuni 00c1207