N. 700 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 marzo 2000

Ordinanza  emessa il 10 marzo 2000 tribunale amministrativo regionale
della  Campania  sul  ricorso proposto da Agresti Alessandro ed altri
contro Seconda Universita' degli studi di Napoli ed altra

Sanita'  pubblica  -  Medici docenti universitari svolgenti attivita'
assistenziali   o   con   funzioni   di   direzione  delle  strutture
assistenziali   del   S.S.N.  -  Previsione  della  cessazione  dallo
svolgimento  delle  funzioni  assistenziali  nonche'  dalla direzione
delle  strutture  stesse  al  compimento  dei  limiti massimi d'eta',
indicati  nella  legge  medesima, inferiori a quelli stabiliti per il
pensionamento  -  Rinvio  ai  protocolli d'intesa tra le regioni e le
universita' e agli accordi attuativi tra le universita' e le ASL, per
la  disciplina  delle  modalita'  e  dei  limiti di utilizzazione del
suddetto    personale    universitario   per   specifiche   attivita'
assistenziali  strettamente  correlate  all'attivita'  didattica e di
ricerca -  Incidenza  sui  principi di imparzialita' e buon andamento
della p.a. - Eccesso di delega per la mancata indicazione nella legge
di  delega  e  nel  decreto  delegato  delle  linee  essenziali della
disciplina  o  di  uniformi  requisiti  minimi  idonei  ad assicurare
omogeneita'  di  regolamentazione  sull'intero territorio nazionale -
Violazione  del  principio  della  riserva  di  legge  in  materia di
insegnamento  universitario  e  dei  principi di imparzialita' e buon
andamento della p.a.
- Legge  30  novembre  1998,  n. 419, art. 2, comma 1, lettera pp), e
  d.lgs.  30  dicembre  1992,  n. 502,  art. 15-nonies, comma 2, come
  introdotto dal d.lgs. 19 giugno 1999, n. 229, art. 13.
- Costituzione, artt. 3, 33, 34, 76 e 97.
(GU n.48 del 22-11-2000 )
                IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza sul ricorso n. 8475/1999
  reg.  gen. proposto  da  Agresti Alessandro, Amantea Luigi, Caraco'
  Antonino,   Docimo   Rocco,   Iacono  Aldo  e  D'Alessandro  Bruno,
  rappresentati  e  difesi  dagli avvocati Ermanno Bocchini ed Andrea
  Abbamonte  con  i  quali  elettivamente  domiciliano in Napoli, via
  Filangieri n. 21;
    Contro  la  Seconda Universita' degli studi di Napoli, in persona
  del  rettore  pro  tempore,  rappresentato e difeso dall'avvocatura
  distrettuale   dello  Stato  di  Napoli,  presso  cui,  ope  legis,
  domicilia alla via Diaz n. 11; l'azienda universitaria Policlinico,
  in  persona del direttore pro-tempore, non costituitosi in giudizio
  per  l'annullamento  (previa sospensione) del decreto presidenziale
  n. 689   del  21  settembre  1999,  a  mezzo  del  quale  l'azienda
  universitaria Policlinico ha posto in quiescenza i ricorrenti dalle
  funzioni  assistenziali svolte presso i rispettivi dipartimenti; se
  ed  in  quanta  possa  occorrere,  delle  successive  note  del  22
  settembre   1999  a  firma  del  medesimo  presidente  dell'azienda
  universitaria    Policlinico    di    comunicazione   del   decrete
  presidenziale di cui sub a); delle disposizioni di cui alla nota 30
  settembre  1999,  protocollo  n. 8882/A/4 del Rettore della seconda
  Universita'  degli  studi  di  Napoli  disposta  in  attuazione del
  ripetuto decreto di cui sub a);
    Visto il ricorso ed i relativi allegati;
    Visto   l'atto   di   costituzione   in  giudizio  della  Seconda
  Universita' degli studi di Napoli;
    Visti gli atti tutti di causa;
    Relatore il primo referendario, dott. Arcangelo Monaciliuni;
    Uditi, nella pubblica udienza del 23 febbraio 2000, i procuratori
  delle parti, come da verbale di udienza;
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

                              F a t t o

    Con ricorso notificato, previa abbreviazione dei termini disposta
  con  decreto  del  presidente  del  tribunale, il 22 ottobre 1999 e
  depositato  il successivo giorno 25 dello stesso mese, i ricorrenti
  -  professori  ordinari  o (di prima fascia) inseriti nei ruoli del
  personale docente della Seconda Universita' degli studi di Napoli -
  Facolta'  di  medicina  e  chirurgia,  tutti titolari di cattedra e
  direttori  di  dipartimenti  -  hanno  impugnato i provvedimenti in
  epigrafe   segnati   che  dispongono,  per  ciascuno  di  essi,  la
  cessazione,  a  decorrere  dal  1o novembre 1999, dallo svolgimento
  delle  ordinarie  attivita'  assistenziali, nonche' dalla direzione
  delle strutture assistenziali.
    Il  gravame  e'  affidato  a cinque mezzi di impugnazione volti a
  denunciare  la violazione degli artt. 3 e 7 della legge n. 241/1990
  (primo e secondo mezzo); l'incompetenza del presidente dell'azienda
  universitaria Policlinico ad emanare il decreto di cessazione dalle
  attivita' in discorso, che rientrerebbe nella sfera di attribuzioni
  del  consiglio  direttivo,  con  la partecipazione del consiglio di
  Facolta'  di  medicina  e  chirurgia (terzo mezzo); in via gradata,
  l'illegittimita'   costituzionale   delle   disposizioni   di   cui
  all'art. 15-nonies   del   d.lgs.   19   giugno   1999,  n. 229  in
  applicazione  delle  quali  e' stata disposta la cennata cessazione
  dalle  funzioni assistenziali (quarto mezzo), nonche', in via ancor
  piu'  gradata,  della  stessa legge delega 30 novembre 1998, n. 418
  (quinto mezzo).
    La  seconda Universita' degli studi di Napoli si e' costituita in
  giudizio  per  resistere  alla  pretesa  attorea,  concludendo, con
  memoria  depositata in data 12 febbraio 2000, per l'infondatezza di
  ciascuno   dei   mezzi  di  impugnazione  proposti  per  denunciare
  l'operato dell'amministrazione.
    Con ordinanza collegiale n. 4262 del 27 ottobre 1999 la richiesta
  sospensione  dei  provvedimenti  impugnati  e'  stata accolta nella
  ritenuta  sussistenza  dei  presupposti di cui all'art. 21 della l6
  dicembre 1971, n. 103.

                            D i r i t t o

    1.  - Il provvedimento impugnato e' stato emanato - per esplicito
  e  pacifico  richiamo  - in applicazione dell'art. 15-nonies, comma
  secondo,  del  d.lgs.  30  dicembre  1992, n. 502, quale introdotto
  dall'art. 13 del d.lgs. 19 giugno 1999, n. 229.
    La  cennata  disciplina  e'  stata  censurata  dai ricorrenti per
  violazione, da un canto, degli artt. 76 e 77 (eccesso di delega) e,
  d'altro   canto,   degli   artt. 3,   36  e  9  della  Costituzione
  (illegittima  compressione  delle funzioni docenti e dell'autonomia
  universitaria  demandata  peraltro a futuri protocolli d'intesa fra
  Regioni ed Universita').
    2. - Va premesso, ai fini della rilevanza della questione, che la
  pretesa  azionata  potrebbe  trovare  soddisfazione  solo all'esito
  dell'eventuale  declaratoria  della  illegittimita'  costituzionale
  della  norma,  in  quanto  i  primi  tre  mezzi di impugnazione non
  possono trovare ingresso.
    I  primi due (violazione artt, 3 e 7 della legge n. 241/1990), in
  quanto  alcuna  previa  comunicazione  o  ulteriore giustificazione
  oltre  l'indicazione  della  norma  applicata andava effettuata nel
  caso di specie. Difatti la cessazione dalle attivita' assistenziali
  e  dalla  direzione  delle  strutture  assistenziali  scattava come
  effetto  ex lege al maturare della data fissata dalla legge stessa,
  cosicche'  non  appare giustificato alcun contraddittorio ne' alcun
  obbligo  di  speciale motivazione (Cons. Stato, sez. IV, 18 gennaio
  1997,  n. 24  e  sez.  V,  11  ottobre 1996; C.G.A. 30 giugno 1995,
  n. 248).
    Quanto  al  terzo  motivo (incompetenza), l'art. 59 dello statuto
  della  seconda  Universita'  di Napoli, recante la disciplina delle
  funzioni   e  dei  compiti  del  consiglio  direttivo  dell'azienda
  Universitaria  Policlinico,  non  attribuisce a quest'ultimo organo
  tale competenza, come invece dedotto in ricorso.
    Ne',  come ancora erroneamente ritenuto dai ricorrenti, necessita
  l'intervento  della Facolta' di medicina e chirurgia che partecipa,
  ex  artt. 52 e 53 dello statuto, all'attivita' aziendale solo nella
  fase  di definizione delle linee di indirizzo generale ed in quella
  di stipula delle convenzioni.
    3.  -  Cio'  posto,  ritiene  il  tribunale  che  la questione di
  costituzionalita' della indicata previsione normativa, nei sensi di
  cui appresso, non sia manifestamente infondata.
    Va  osservato  al  riguardo in via generale che l'inscindibilita'
  delle  prestazioni  afferenti all'assistenza da quelle di ricerca e
  di didattica o, comunque, la indispensabilita' di un livello minimo
  di  supporto "assistenziale" all'attivita' didattica (e di ricerca)
  risponde  ad  un principio pacificamente accolto dalla legislazione
  di  settore  fin dalla legge fondamentale 17 luglio 1890, n. 6972 e
  poi  ribadito  dal  r.d.l. 10 febbraio 1924, n. 549 (trasfuso negli
  artt. 27-35   del   T.U.  delle  leggi  sull'istruzione  superiore,
  approvato  con  R.D. 31 ottobre 1933, n. 1592) e dal regolamento di
  esecuzione   approvato  con  r.d.  24  maggio  1925,  n. 1144,  che
  trasformarono   gli  ospedali  siti  in  citta'  sedi  di  facolta'
  medico-chirurgiche  in  "ospedali  clinici  a  seconda  dei bisogni
  dell'insegnamento" (da ultimo, art. 27 del R.D. n. 1592), affidando
  al  personale  sanitario  universitario  la  direzione  tecnica dei
  singoli reparti, ferma la loro dipendenza dall'Universita' (art. 29
  seguente).
    Congiunzione  di  fini  riconosciuta  poi  dalla legge n. 132 del
  1968,   recante   la   riforma   ospedaliera,   che   chiama  anche
  l'Universita'   (art. 1   della   legge)   a   concorrere  al  fine
  assistenziale, in presenza di funzioni (didattica ed assistenziale)
  suscettibili    "di    ottimale    collegamento    o    addirittura
  compenetrazione"  (Corte  costituzionale  sentenza  103 del 1977 e,
  poi, in termini, 126 del 1981 e 136 del 1997).
    Collegamenti  e  compenetrazione  di  fini  ancora  confermati  e
  sviluppati  dalla  legge 23 dicembre 1978, n. 833 e dal d.l.gs. dal
  d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 di riordino e razionalizzazione del
  servizio sanitario nazionale.
    Del  resto,  lo  stesso  legislatore  qui  in  commento (legge 30
  novembre  1998,  n. 419  e  d.lgs.  19 giugno 1999, n. 229), cui va
  aggiunto  quello  delegato  ex  art. 6  stessa  legge,  di  cui  al
  sopravvenuto    d.lgs.    21   dicembre   1999,   n. 517   (recante
  specificamente  la  disciplina  dei rapporfi fra servizio sanitario
  nazionale ed Universita'), non perde occasione, nel dettare criteri
  direttivi e porre previsioni attuative, per richiamare "il rispetto
  dello  stato  giuridico" dei docenti universitari di medicina e "la
  coerenza fra attivita' assistenziale e le esigenze della formazione
  e  della  ricerca"  (artt. 2  e  6 legge n. 419/1998; art. 5 d.1gs.
  n. 517/1999). Richiamo, quest'ultimo, connesso a quello secondo cui
  "le attivita' assistenziali svolte dai professori e dai ricercatori
  universitari  si  integrano  con  quelle di didattica e di ricerca"
  (art. 5, comma 2, quarto periodo d.lgs. n. 517/1999 citato).
    3.1 - Conferma della insopprimibilita' della cennata correlazione
  si rinviene peraltro nella normativa comunitaria di settore.
    Questa,  nell'introdurre  il reciproco riconoscimento negli Stati
  membri dei titoli di studio universitari, richiede criteri uniformi
  di formazione, prescrivendo standard minimi a garanzia che i titoli
  medesimi   attestino   il   possesso   effettivo  delle  conoscenze
  necessarie all'esercizio delle attivita' corrispondenti.
    Fra  dette  prescrizioni  vi  e'  quella che gli studi teorici si
  accompagnino  necessariamente  ad  esperienze  pratiche,  acquisite
  attraverso  attivita'  cliniche  o, in genere, operative, nel corso
  del  periodo  di  formazione (direttive CEE nn. 686 e n. 687 del 25
  luglio  1978;  nn. 1026  e 1027 del l8 dicembre 1978; n. 384 del 10
  giugno  1985;  n. 594 del 30 ottobre 1989; n. 16 del 5 aprile 1993,
  recepite  con  dd.ll.  vi  27 gennaio 1992, n. 129 e 2 maggio 1994,
  n. 353).
    In  particolare, la direttiva 93/16 richiede testualmente che gli
  Stati  membri  subordinino  l'accesso  alle  attivita' di medico al
  possesso  di apposita certificazione comprovante, fra l'altro, che,
  nel  corso  dell'intero  ciclo  di  formazione, l'interessato abbia
  acquisito,  sul  campo,  "le  conoscenze  dei problemi e dei metodi
  clinici   sotto   opportuno   controllo"  (art. 23).  dettando  poi
  previsioni ancor piu' stringenti in riferimento alla formazione del
  medico specialista (art. 24).
    Ed   il  legislatore  nazionale,  in  sede  di  attuazione  della
  direttiva, recepita di recente nell'ordinamento interno con d. lgs.
  17  agosto  1999, n. 368, ha quantizzato "in un minimo di 5.500 ore
  di  insegnamento teoriche e pratiche impartite in una Universita' o
  sotto  il  controllo  di  una Universita'" il necessario periodo di
  formazione  del  medico  chirurgo  (art. 18)  ed  ha poi ancor piu'
  dettagliatamente   disciplinato,   sempre  insistendo  sul  profilo
  dell'insegnamento  pratico,  le  modalita'  formative,  in medicina
  generale (art. 26) e dei medici specialisti (artt. 37 e 38).
    4.  - Orbene, sulla base di tali premesse, venendo allo specifico
  esame   dei   profili   di  costituzionalita'  della  normativa  in
  questione,  sembra.  evidente  innanzi  tutto  che  il  legislatore
  delegante  non solo abbia fatta propria questa impostazione - lo si
  e' gia' rilevato - ma abbia anche ritenuto di dover far propria una
  valutazione  di  ordine  generale  circa la indispensabilita' di un
  pieno   inserimento   funzionale   dei   docenti   nella  struttura
  assistenziale.
    Ma  se cio' e' vero, la disciplina poi in concreto delineata, che
  impone   la  "cessazione  dall'attivita'  assistenziale  ordinaria,
  nonche'    dalla    direzione    delle   strutture   assistenziali"
  anticipatamente   al   raggiungimento  dell'eta'  pensionabile  dei
  docenti  non  appare  coerente  con il principio del buon andamento
  (art. 97  Cost) sia dell'insegnamento e della ricerca universitaria
  che del sistema sanitario.
    Cio'  anzitutto  in  quanto  l'insegnamento  ed i risultati della
  ricerca  del  docente universitario che abbia raggiunto i limiti di
  eta'  diminuirebbero  di  efficacia  in  presenza di una scelta che
  inevitabilmente si connota come una sostanziale emarginazione dalle
  funzioni assistenziali.
    Quanto  al  sistema  sanitario,  poi,  la violazione dell'art. 97
  Cost.  consegue  al  fatto  che  esso  non  potrebbe  piu' giovarsi
  dell'apporti  di soggetti ai quali non e' possibile non riconoscere
  un  qualificazione  -  se  non  particolare,  in  quanto arricchita
  dall'esperienza  - certamente non inferiore; e cio' alla stregua di
  una  valutazione  che  e' implicita nella disciplina generale della
  docenza.
    5.  -  Se,  peraltro,  il  fondamento  delle  censure  dedotte va
  ricercato  nell'ambito  di un quadro pubblicistico, non puo' essere
  neanche  tralasciato  il vulnus al principio di eguaglianza, di cui
  all'art. 3 Cost., che conseguirebbe dalla nuova disciplina.
    E'  evidente,  infatti,  che  il  legislatore,  sia delegante che
  delegato,    nell'intento   di   privilegiare   l'omogeneita'   dei
  trattamenti  del  personale  del  servizio sanitario nazionale e di
  quello  universitario  ha  creato una discriminazione fra i docenti
  che  appare  non  giustificata,  laddove  si introducono differenze
  cosi'  marcate di stato giuridico in funzione dell'eta' nell'ambito
  di una categoria indubbiamente unitaria.
    Differenze  che comportano una menomazione funzionale a danno dei
  docenti  "strutturati"  allo  scoccare  di un'eta' in cui tutti gli
  altri  sono pacificamente ritenuti idonei pleno iure, di talche' il
  loro  stato  giuridico  e' delineato in modo unitario e coerente in
  tutto  lo  sviluppo  della  carriera  con  esclusione  di qualsiasi
  frattura legata all'eta'.
    Del  resto  che  esista  un  problema  di  "rispetto  dello stato
  giuridico e' questione ben presente al legislatore che, non a caso,
  tiene  ferme  sia  pur transitoriamente differenti anzianita' per i
  docenti  rispetto agli altri sanitari e quindi non ritiene di poter
  spingere fino in fondo la logica della omogeneita'.
    6.  -  Ove  poi avesse a ritenersi che la scelta di fondo operata
  sia  costituzionalmente  corretta,  verrebbe in evidenza la mancata
  predeterminazione  nella  norma  di  delega  dei  criteri  idonei a
  definire  le  "modalita' ed i termini" del nuovo assetto funzionale
  dell'attivita'   assistenziale.   E  cio'  comporta  la  violazione
  dell'art. 76 della Costituzione.
    7.  -  Tale  carenza  si  e' in fatto manifestata in tutta la sua
  portata   con   l'emanazione  della  normativa  delegata,  che  nel
  sostanziale  vuoto  di  principi  cui  attenersi  si e' limitata ad
  operare  un  ulteriore  rinvio,  il quale presenta a sua volta - ad
  avviso del collegio - una ancora piu' palese lacuna.
    Se pur vero, infatti, che la previsione costituzionale di riserva
  di  legge  consente  che  il precetto espresso dalla norma primaria
  possa  essere  integrato da atti di normazione secondaria, tuttavia
  cio'  e'  possibile  solo  previa  determinazione  di  una serie di
  criteri  idonei ad indirizzare e vincolare la normazione secondaria
  entro  confini  ben delineati o, quanto meno, previa determinazione
  delle    linee    essenziali   della   disciplina   stessa   (Corte
  costituzionale   5 febbraio   1986,   n. 34  e  giurisprudenza  ivi
  richiamata, nonche', da ultimo, in una questione in cui a venire in
  rilievo  era proprio la portata dell'autonomia delle universita' in
  relazione   alla  potesta'  di  introdurre  il  numero  chiuso  per
  l'accesso  a  determinati  corsi di laurea, Corte costituzionale 27
  novembre 1998, n. 383).
    Se  ne  deve  dedurre  che  le linee essenziali della disciplina,
  ovvero  quanto meno l'indicazione di uniformi requisiti minimi, non
  potevano  che  essere previste in sede legislativa, e dunque se non
  gia' nella legge delega di certo nella normativa delegata.
    In  questa  chiave la fissazione di detta disciplina, quanto meno
  nelle  sue  cogenti  linee  essenziali,  non  puo'  che  costituire
  l'essenza  della  pur  scarna delega conferita e in particolare del
  previsto obbligo per il delegato di rispettare "lo stato giuridico"
  del personale universitario "strutturato".
    Va  infatti  avuto  presente che qui si tratta di intervenire per
  disciplinare, sotto i profili sia quantitativi che qualitativi, non
  gia'   i   parametri   per   la   formazione  dei  medici  o  degli
  specializzandi  in  una situazione di pieno impiego del docente, ma
  per  individuare  quale  sia la parte di attivita' assistenziale da
  lasciarsi  affidata,  ai  fini  didattici  e di ricerca, al docente
  "dimidiato"  e/o  la  possibilita'  di  utilizzo,  a  tali fini, di
  reparti dei quali il docente stesso non ha piu' la direzione.
    Trattasi,  quindi, di materia che involge i principi fondamentali
  relativi  all'istruzione  con  riferimento  sia  all'organizzazione
  scolastica  (art. 33  Cost.), della quale le universita' sono parte
  (Corte  costituzionale sentenze n. 195 del 1972 e n. 383 del 1998),
  sia  ai  diritti  di accedervi e di usufruire delle prestazioni che
  essa  e' chiamata a fornire (art. 34 Cost.). E cio' avendo presente
  che  organizzazione  e  diritti  sono aspetti seculari della stessa
  materia,   l'una   e   gli  altri  implicandosi  e  condizionandosi
  reciprocamente.
    Alla stregua di quanto sopra considerato, deve concludersi per la
  violazione   della   riserva  di  legge  prevista  dalla  normativa
  richiamata.
    8. - Va soggiunto che lo strumento convenzionale prescelto per la
  definizione della disciplina esecutiva presenta l'ulteriore difetto
  di  non  essere  idoneo  a  garantirne  la  uniformita' sull'intero
  territorio  nazionale,  poiche'  in  ogni caso si resta nell'ambito
  delle  singole  realta' in cui si opera: realta' condizionate dalle
  scelte  anche  finanziarie  delle  singole  regioni.  E cio' appare
  sufficiente  a far dubitare della legittimita' costituzionale della
  norma  con  riferimento  sia  alla riserva di legge esistente nella
  materia universitaria, sia, ancora una volta, all'art. 97 Cost.
    Ne'  in  questa  prospettiva  puo'  aver  rilievo determinante la
  circostanza   che   i   protocolli   d'intesa  vanno  stipulati  in
  conformita' alle linee guida fissate (oggi) dal Governo.
    Se  pur  vero,  infatti,  che il sopravvenuto decreto legislativo
  n. 517/1999  -  uniformandosi  al  dettato  del giudice delle leggi
  secondo  cui  l'esercizio  in via non legislativa della flmzione di
  indirizzo e coordinamento nei confronti delle regioni deve far capo
  all'organo  collegiale di Governo (Corte costituzionale 14 dicembre
  1998,  n. 408  e  poi,  in  termini,  15 febbraio 2000, n. 63) - ha
  abrogato  i  commi  1  degli artt. 6 e 6-bis del d.1gs. n. 502/1992
  (che  affidavano  ai  decreti ministeriali l'emanazione delle linee
  guida   per   la   stipulazione  dei  ripetuti  protocolli)  ed  ha
  individuato nel Consiglio dei Ministri l'organo a tanto competente,
  ancora  vero  che  i "criteri ed i principi direttivi" recati dalla
  norma  delegata  (art. 1, comma 2) appaiono privi di quei contenuti
  definiti  e  di  quella  diretta  ed  immediata  incisivita' invece
  richiesti   dalla  ripetuta  portata  della  materia  -  istruzione
  universitaria - di pertinenza dello Stato.
    Mancano,  cioe', "quelle norme specifiche di legge che delimitino
  sostanzialmente  il  potere  governativo, indicando l'oggetto degli
  atti  di indirizzo e dettando "criteri sufficienti a indirizzarne a
  loro  volta  il  contenuto", in tal modo violandosi il principio di
  legalita'  sostanziale  affermato  dalla giurisprudenza del giudice
  delle  leggi  della (Corte costituzionale, sentenza n. 408 citata e
  restanti ivi richiamate).
    Nell'ottica  ermeneutica di questo giudice, qui tesa a verificare
  il   rispetto   del   buon   andamento  dell'amministrazione  e  la
  sussistenza  delle  condizioni  di  salvaguardia  dell'insegnamento
  quali  richieste  nell'interesse  dei discenti, non puo' convenirsi
  con  la replica della difesa erariale secondo cui l'incisione sullo
  status  del  personale  docente  sanitario  di  che trattasi e' dal
  legislatore  riferita  alla  "preminente  esigenza  di tutela della
  salute pubblica e non invece rispetto al miglior espletamento della
  funzione  docente".  L'affermazione,  oltre a non apparire coerente
  con  il quadro generale tracciato, e' intimamente contraddittoria e
  fondata  su  di  una  visione  riduttiva  della stessa tutela della
  salute  pubblica, collocata in un ambito concettuale contingente ed
  immediato   che   non  considera  come  questa  presupponga  medici
  idoneamente  formati ed in possesso gia' all'atto del conseguimento
  del   diploma   universitario,   ed   ancor   piu'   di  quello  di
  specializzazione,   della   formazione   sia  teorica  che  pratica
  necessaria   per   l'espletamento  della  professione,  ovvero  per
  tutelare la salute pubblica.
    9. - Resta infine fermo, in via ulteriormente subordinata, che un
  vulnus all'art. 97 della Costituzione appare residuare in ogni caso
  in    riferimento   alla   previsione   di   immediata   cessazione
  dall'attivita'  assistenziale  in  difetto  comunque  della  previa
  regolamentazione del residuo di attivita' assistenziale a svolgersi
  ai  fini di didattica (e di ricerca) che viene cosi' rinviata ad un
  termine incertus quando.
    La  difesa  erariale  nega  ogni  frattura temporale nell'assunto
  della  vigenza,  nelle  more,  di  un  idoneo  regime  transitorio,
  costituito  dalle  linee  guida  dettate  dai dd.mm. 31 luglio 1997
  (recante le linee guida per la stipula dei ripetuti protocolli); 17
  dicembre 1997 (recante i requisiti di idoneita' delle strutture per
  le  scuole di specializzazione dell'area medica); 24 settembre 1997
  (recante  i  requisiti  di  idoneita' delle strutture per i diplomi
  universitari dell'area medica).
    L'assunto  non convince il collegio per la evidente ragione che i
  contenuti  dei  cennati decreti (e dei protocolli attuativi vigenti
  allo  Stato) non disciplinano - ne' l'avrebbero potuto - l'utilizzo
  dei  docenti  universitari per le attivita' di che trattasi, stante
  la  loro  preesistenza  rispetto  all'introduzione nell'ordinamento
  della norma che detto utilizzo e' sopravvenuta a prevedere.
    Ne'  ai  fini  invocati potrebbe soccorrere la considerazione che
  l'art. 1,  comma 5, del d.lgs. 21 dicembre 1999, n. 517 ha previsto
  la  ultravigenza dei cennati decreti ministeriali fino alla data di
  entrata  in  vigore  dell'atto  di  indirizzo  e  di  coordinamento
  previsto  dal  comma 2 dello stesso articolo, attesa la inidoneita'
  anche di questi sotto i profili gia' indicati.
    Peraltro,  il  d.m. 31 luglio 1997, recante le linee guida per la
  stipula  dei  protocolli  di  intesa,  prevede testualmente che "le
  attivita'    assistenziali   del   personale   universitario   sono
  inscindibili da quelle di didattica e di ricerca. Non e' consentito
  al    personale    universitario    di    recedere   dall'attivita'
  assistenziale". (art. 5, comma 3).
    10.  -  In conclusione, il collegio, rinviata ex art. 279, quarto
  comma,  c.p.c.,  alla  sede  del  merito  le complessive definitive
  statuizioni,  ritiene  di  dover  investire la Corte costituzionale
  delle questioni di costituzionalita' innanzi precisate, disponendo,
  in  conseguenza,  la  sospensione  del presente giudizio nella more
  della pronuncia a rendersi dal giudice delle leggi.
                              P. Q. M.
    Dichiara   rilevante   per  la  decisione  e  non  manifestamente
  infondata  nei  sensi  di  cui innanzi la questione di legittimita'
  costituzionale  dell'art. 2,  comma  1,  lettera pp) della legge 30
  novembre  1998, n. 419 e dell'art. 15-nonies, comma due, del d.lgs.
  30  dicembre 1992, n. 502, quale introdotto dall'art. 13 del d.lgs.
  19 giugno 1999, n. 229.
    Sospende,  in  conseguenza,  il  giudizio  in  corso e dispone la
  immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, a cura
  della segreteria del tribunale.
    Ordina  che,  a  cura  della  medesima  segreteria,  la  presente
  ordinanza venga notificata alle parti in causa ed al Presidente del
  Consiglio dei Ministri, nonche' comunicata al Presidente del Senato
  della Repubblica ed al Presidente della Camera dei deputati.
    Cosi'  deciso  in  Napoli,  addi'  10  marzo  2000,  in Camera di
  consiglio.
                       Il Presidente: Coraggio
Il primo referendario, esterno: Monaciliuni
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