N. 560 ORDINANZA 13 - 20 dicembre 2000

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Processo  penale - Applicazione della pena su richiesta delle parti -
Termine  per  la presentazione della richiesta - Modifica normativa -
Ritenuta applicabilita' del nuovo termine in base al principio tempus
regit  actum  -  Dedotta  lesione  del  principio di eguaglianza, per
irragionevole  eguale  trattamento  di  situazioni  diverse e diverso
trattamento  di  situazioni eguali, nonche' violazione del diritto di
difesa,  dei  principî  del giusto processo e di buon andamento della
amministrazione   della   giustizia   -  Erroneita'  del  presupposto
interpretativo - Manifesta infondatezza della questione.
- Cod. proc. pen., artt. 446, comma 1, 464, comma 3, e 557, comma 2.
- Costituzione, artt. 3, 24, 25, secondo comma, e 97. Processo penale
  -  Applicazione  della  pena  su  richiesta  delle  parti - Giudizi
  instaurati  dopo  la  data  di  entrata  in  efficacia  del decreto
  legislativo  n. 51  del  1998  e  pendenti  alla data di entrata in
  vigore della legge n. 479 del 1999 - Possibilita' per l'imputato di
  presentare  in  dibattimento richiesta di applicazione della pena -
  Ritenuta   mancata  previsione  -  Irrilevanza  della  questione  -
  Manifesta inammissibilita'.
- D.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51, artt. 223 e 224.
- Costituzione, artt. 3, 24 e 111.
(GU n.53 del 27-12-2000 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Fernando SANTOSUOSSO;
  Giudici:  Massimo  VARI,  Cesare RUPERTO, Riccardo CHIEPPA, Gustavo
ZAGREBELSKY,  Valerio  ONIDA,  Carlo  MEZZANOTTE, Guido NEPPI MODONA,
Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria
FLICK;
ha pronunciato la seguente


                              Ordinanza

nei giudizi di legittimita' costituzionale:
        dell'art.  446,  comma 1, del codice di procedura penale, nel
testo  modificato  dall'art.  33,  comma 1, lettera a) della legge 16
dicembre  1999,  n. 479 (Modifiche alle disposizioni sul procedimento
davanti al tribunale in composizione monocratica e altre modifiche al
codice di procedura penale. Modifiche al codice di procedura penale e
all'ordinamento  giudiziario.  Disposizioni in materia di contenzioso
civile  pendente,  di  indennita'  spettanti  al giudice di pace e di
esercizio   della  professione  forense),  promossi,  nell'ambito  di
diversi procedimenti penali, con ordinanze emesse il 17 febbraio 2000
dal  tribunale  di  Marsala,  il  21  marzo  e  il  6 aprile 2000 dal
tribunale  di  La  Spezia, rispettivamente iscritte ai nn. 172, 362 e
401  del  registro  ordinanze  del  2000,  pubblicate  nella Gazzetta
Ufficiale  della  Repubblica  nn.  17,  27  e  29, 1a serie speciale,
dell'anno 2000;
        dell'art.  461  del  codice  di  procedura  penale  nel testo
modificato dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479 (recte dell'art. 464,
comma  3, del codice di procedura penale come modificato dall'art. 37
della  legge  n. 479  del  1999),  promossi,  nell'ambito  di diversi
procedimenti  penali,  con ordinanze emesse il 17 (tre ordinanze), il
13,  il  10, il 25 e il 31 (due ordinanze) gennaio 2000 dal tribunale
di  Genova,  iscritte  ai  nn.  da 133 a 136, 173, 191, 192 e 382 del
registro  ordinanze  2000,  pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica nn. 15, 17, 18, e 28, 1a serie speciale, dell'anno 2000;
        dell'  art. 557, comma 2, del codice di procedura penale, nel
testo  introdotto  dall'art. 44 della legge 16 dicembre 1999, n. 479,
promossi,  nell'ambito  di diversi procedimenti penali, con ordinanze
emesse  il  14,  il  7  gennaio e il 2 febbraio 2000 dal tribunale di
Vercelli,  nonche'  il  10 marzo (quattro ordinanze) dal tribunale di
Marsala, sezione distaccata di Mazara del Vallo, iscritte ai nn. 193,
da 313 a 316, 369 e 370 del registro ordinanze 2000, pubblicate nella
Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  nn.  19,  24  e  27, 1a serie
speciale, dell'anno 2000;
        dell'art. 224 del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51
(Norme  in  materia di istituzione del giudice unico di primo grado),
promossi,  nell'ambito  di diversi procedimenti penali, con ordinanze
emesse  il  18  (due  ordinanze),  25  gennaio  e il 1o febbraio (due
ordinanze)  2000  dal  tribunale  militare di Cagliari, nonche' il 28
febbraio  2000  (due ordinanze) dal tribunale di Perugia, iscritte ai
nn.  da  143 a 147, 297 e 326 del registro ordinanze 2000, pubblicate
nella  Gazzetta  Ufficiale della Repubblica nn. 16, 23 e 25, 1a serie
speciale, dell'anno 2000;
        nonche'  degli  artt.  223  e  224 del decreto legislativo 19
febbraio  1998,  n. 51, promossi, nell'ambito di diversi procedimenti
penali,  con  ordinanze emesse il 25 febbraio 2000 (cinque ordinanze)
dal tribunale di Verona, sezione distaccata di Soave, iscritte ai nn.
da  371  a  375  del  registro  ordinanze  del 2000, pubblicate nella
Gazzetta   Ufficiale  della  Repubblica  n. 27,  1a  serie  speciale,
dell'anno 2000.
    Visti  gli  atti  di  intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 25 ottobre 2000 il giudice
relatore Guido Neppi Modona.
    Ritenuto  che  con due ordinanze in data 21 marzo e 6 aprile 2000
(r.o. nn. 362 e 401 del 2000) il tribunale di La Spezia ha sollevato,
in  riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 25, secondo comma,
della   Costituzione,   questione   di   legittimita'  costituzionale
dell'art.  446,  comma  1, del codice di procedura penale - nel testo
modificato dall'art. 33, comma 1, lettera a), della legge 16 dicembre
1999,  n. 479, recante, tra l'altro, "Modifiche alle disposizioni sul
procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica e altre
modifiche  al  codice  di  procedura  penale"  -  nella parte in cui,
allorche'  il  decreto  che  dispone il giudizio a seguito di udienza
preliminare  sia  precedente all'entrata in vigore della legge n. 479
del  1999  (2  gennaio  2000),  non  fa salva nei giudizi in corso la
facolta'  dell'imputato  di  chiedere  l'applicazione della pena sino
alla dichiarazione di apertura del dibattimento;
        che,  in riferimento all'art. 25 Cost., il rimettente osserva
che  l'immediata applicabilita' della nuova normativa, anticipando la
scadenza   del  termine  per  la  presentazione  della  richiesta  di
applicazione  di pena al momento in cui sono formulate le conclusioni
nell'udienza   preliminare,   comporterebbe,  nei  procedimenti  gia'
pendenti  nella  fase  del  giudizio, l'introduzione di un termine di
decadenza   con   efficacia   retroattiva,   che  incide  su  aspetti
sostanziali  del  trattamento  penale, quali la quantificazione della
pena, il contenuto e gli effetti del provvedimento sanzionatorio;
        che   tale   disciplina,   rappresentando  un  ingiustificato
mutamento  delle  regole nel corso del processo, violerebbe l'art. 24
Cost.,  in  quanto l'imputato e' privato della facolta' di presentare
richiesta di applicazione della pena senza essere stato in condizione
di conoscere il termine entro il quale avrebbe dovuto formularla;
        che  la  disciplina  denunciata  violerebbe, infine, l'art. 3
Cost.,  in quanto frustra ogni affidamento sulla certezza del diritto
e determina una ingiustificata disparita' di trattamento tra imputati
a  seconda  che la prima udienza dibattimentale sia stata fissata - o
rinviata - a data precedente o successiva al 2 gennaio 2000;
        che con ordinanza del 17 febbraio 2000 (r.o. n. 172 del 2000)
il  tribunale  di Marsala ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e
24    della   Costituzione,   analoga   questione   di   legittimita'
costituzionale  dell'art.  446,  comma  1,  del  codice  di procedura
penale, nel testo modificato dall'art. 33, comma 1, lettera a), della
legge 16 dicembre 1999, n. 479, nella parte in cui non esclude che il
termine e le forme della richiesta di applicazione della pena ex art.
444  cod.  proc.  pen.  a seguito di decreto di giudizio immediato si
applichino  ai procedimenti nei quali tale decreto sia stato emesso e
notificato  all'imputato  prima della data di entrata in vigore della
legge n. 479 del 1999;
        che  il  tribunale  di  Marsala, premesso che l'imputato - al
quale  il  decreto  di  giudizio  immediato  era stato notificato nel
settembre  1999  -  ha  avanzato richiesta di applicazione della pena
nella fase degli atti introduttivi al dibattimento, rileva che l'art.
446  cod. proc. pen., come modificato dall'art. 33 della legge n. 479
del  1999, non consente piu', in assenza di una normativa transitoria
che  ne  regoli  l'applicabilita' ai procedimenti gia' pendenti prima
dell'entrata  in  vigore  della  modifica  legislativa, di presentare
richiesta di patteggiamento in dibattimento;
        che il rimettente ritiene che la nuova normativa, nella parte
in cui e' immediatamente applicabile ai procedimenti in corso, violi,
in  primo  luogo,  l'art.  24  Cost.,  in  quanto,  avendo  la  norma
condizionato   l'esperibilita'   del   patteggiamento   nel  giudizio
immediato  a  una  richiesta da effettuarsi, a pena di decadenza, nei
sette  giorni  successivi alla notifica del decreto, ed essendo detto
termine gia' spirato al momento dell'entrata in vigore della novella,
"l'imputato  e'  stato privato in itinere della facolta'" di chiedere
l'applicazione della pena;
        che,  ad avviso del tribunale, sarebbe inoltre violato l'art.
3  Cost.,  in  quanto  la  disciplina  censurata  determinerebbe  una
irragionevole  diversita'  di trattamento tra coloro che hanno potuto
usufruire  della  facolta'  di chiedere l'applicazione della pena nel
dibattimento fissato prima del 2 gennaio 2000, e coloro che, citati a
giudizio per un'udienza successiva, si vedono preclusa tale facolta';
        che con otto ordinanze - in data 10 gennaio 2000 (r.o. n. 135
del  2000),  13  gennaio 2000 (r.o. n. 134 del 2000), 17 gennaio 2000
(r.o.  nn. 133, 136 e 191 del 2000), 25 gennaio 2000 (r.o. n. 173 del
2000)  e 31 gennaio 2000 (r.o. nn. 192 e 382 del 2000) - il tribunale
di Genova ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione,
questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 461 del codice di
procedura  penale  nel testo modificato dalla legge 16 dicembre 1999,
n. 479   (recte  dell'art.  464,  comma  3,  cod.  proc.  pen.,  come
modificato  dall'art. 37 della legge n. 479 del 1999), nella parte in
cui  non  esclude  che  nei  procedimenti  instaurati  a  seguito  di
opposizione  a  decreto di condanna, nei quali l'opposizione e' stata
presentata  precedentemente  all'entrata in vigore della legge n. 479
del  1999, ma il dibattimento risulta fissato in una data successiva,
l'imputato  debba chiedere, a pena di decadenza, l'applicazione della
pena ex art. 444 cod. proc. pen. con l'atto di opposizione al decreto
penale;
        che  il  tribunale  di  Genova  premette  che  in udienza gli
imputati  hanno  presentato  richiesta di applicazione della pena, ma
che  la richiesta deve ritenersi tardiva, in quanto l'art. 464, comma
3,  cod.  proc. pen., come modificato dall'art. 37 della legge n. 479
del  1999,  non  consente  piu',  in assenza di norme transitorie, di
chiedere l'applicazione di pena in dibattimento;
        che,  a parere del tribunale, tale indiscriminata preclusione
in  tutti  i  procedimenti  pendenti  alla  data  del  2 gennaio 2000
determinerebbe   una   irragionevole   omologazione  del  trattamento
dell'imputato  che  ha formulato opposizione a decreto penale durante
la  vigenza  della  precedente  normativa  rispetto  all'imputato che
presenta  invece  opposizione  sotto il vigore della nuova normativa,
"poiche'  ad ambedue non e' concesso proporre istanza di applicazione
pena  dinanzi  al  giudice del dibattimento, benche' il primo potesse
prima farlo ed ora soltanto tale facolta' gli e' preclusa";
        che il tribunale di Vercelli, con tre ordinanze in data 7, 14
gennaio  e  2  febbraio  2000  (r.o. nn. 370, 193 e 369 del 2000), in
riferimento  agli  artt. 3 e 24 della Costituzione, e il tribunale di
Marsala,   sezione  distaccata  di  Mazara  del  Vallo,  con  quattro
ordinanze  in data 10 marzo 2000 (r.o. nn. da 313 a 316 del 2000), in
riferimento  agli  artt.  3  e 97 della Costituzione, hanno sollevato
questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 557, comma 2, del
codice  di  procedura penale (nel testo introdotto dall'art. 44 della
legge  16 dicembre 1999, n. 479), nella parte in cui non esclude che,
nei procedimenti instaurati a seguito di opposizione a decreto penale
di  condanna  presentata  prima  dell'entrata  in  vigore della legge
n. 479  del  1999,  l'imputato  debba  chiedere, a pena di decadenza,
l'applicazione  della  pena ex art. 444 cod. proc. pen. con l'atto di
opposizione;
        che   in   tali  ordinanze  le  situazioni  processuali  sono
sostanzialmente analoghe a quelle esposte dal tribunale di Genova;
        che entrambi i rimettenti denunciano, in riferimento all'art.
3  Cost.,  l'irragionevole  disparita'  di  trattamento  che  viene a
determinarsi   tra   imputati   a   seconda   che  la  prima  udienza
dibattimentale  cada  precedentemente  o successivamente al 2 gennaio
2000;
        che  il tribunale di Vercelli ritiene violato anche l'art. 24
Cost.,  in  quanto  la  immediata applicabilita' del nuovo termine di
decadenza  priverebbe  l'imputato della possibilita' di patteggiare e
di godere dei benefici (sostanziali) connessi;
        che a parere del tribunale di Marsala la disciplina impugnata
lederebbe  inoltre l'art. 97 Cost., perche' "per il principio di buon
andamento della pubblica amministrazione [...] non appare ragionevole
addossare  al  cittadino-imputato  le  conseguenze  dei ritardi della
definizione dei processi penali";
        che  con cinque ordinanze - in data 18 gennaio 2000 (r.o. nn.
145 e 146 del 2000), 1o febbraio 2000 (r.o. nn. 143 e 144 del 2000) e
25  gennaio  2000  (r.o.  n. 147 del 2000) - il tribunale militare di
Cagliari  ha  sollevato,  in  riferimento  agli  artt. 3, 24, secondo
comma,   e   111,  primo  comma,  della  Costituzione,  questione  di
legittimita'  costituzionale dell'art. 224 del decreto legislativo 19
febbraio  1998,  n. 51  (Norme  in materia di istituzione del giudice
unico  di primo grado), nella parte in cui non prevede che l'imputato
possa presentare in dibattimento richiesta di applicazione della pena
ex   art.   444   cod.   proc.  pen.  anche  nei  giudizi  instaurati
successivamente al 2 giugno 1999 - data di entrata in efficacia dello
stesso  decreto  -  e pendenti al 2 gennaio 2000 - data di entrata in
vigore  della  legge  16  dicembre 1999, n. 479 - allorche' l'udienza
preliminare   sia  stata  celebrata  nella  vigenza  della  normativa
precedente;
        che  con due ordinanze in data 28 febbraio 2000 (r.o. nn. 297
e  326  del  2000),  la  medesima  questione  e'  stata sollevata, in
riferimento  agli  artt.  3 e 24 della Costituzione, dal tribunale di
Perugia;
        che  i  giudici  rimettenti,  premesso che gli imputati hanno
avanzato  richiesta  di applicazione della pena nella fase degli atti
preliminari  al dibattimento, rilevano che l'art. 446 cod. proc. pen.
-  come  modificato  dall'art.  33,  comma 1, lettera a), della legge
n. 479  del  1999  -  non  consente  piu'  di presentare richiesta di
applicazione   di  pena  in  dibattimento  quando  questo  sia  stato
preceduto  dall'udienza  preliminare  e  che tale possibilita' non e'
consentita  neppure  dall'art.  224  del  d.lgs. n. 51 del 1998, che,
ampliando  in  via  transitoria  la  facolta' di patteggiare nei soli
giudizi di primo grado in corso alla data di efficacia del decreto (2
giugno  1999),  non  e'  applicabile  ai  procedimenti, come quelli a
quibus  in  cui  prima  di  tale  data  era  stata  formulata la sola
richiesta  di  rinvio  a giudizio, ma non emesso il provvedimento che
dispone il giudizio;
        che  la  ristretta  sfera  di applicazione della disposizione
provocherebbe,  secondo  i  rimettenti,  la paradossale situazione di
precludere,  a  seguito dell'entrata in vigore della legge n. 479 del
1999,  l'esercizio  della  facolta'  di  presentare  in  dibattimento
richiesta  di  applicazione  di pena in tutti i casi in cui l'udienza
preliminare  e'  stata celebrata tra il 3 giugno 1999 e il 1o gennaio
2000  e  le  parti  non  hanno  chiesto  il patteggiamento in udienza
preliminare,  confidando nella possibilita' di presentare la relativa
richiesta  in dibattimento ai sensi del previgente disposto dell'art.
446 cod. proc. pen;
        che  pertanto  - per effetto di una "smagliatura legislativa"
che  i  rimettenti  ritengono sia conseguente al fatto che l'art. 224
del  d.lgs.  n. 51 del 1998 e' entrato in efficacia il 2 giugno 1999,
mentre   la   normativa   sul  giudice  unico  e'  divenuta  efficace
complessivamente  il  2 gennaio 2000 - sarebbe violato l'art. 3 della
Costituzione  per la disparita' di trattamento riservata a situazioni
processuali      sostanzialmente      equipollenti,     in     quanto
ingiustificatamente  la  richiesta di applicazione della pena sarebbe
consentita in processi anche in avanzata fase dibattimentale, purche'
pendenti  al  2  giugno 1999, mentre sarebbe preclusa in dibattimenti
ancora  da iniziare e con riferimento ai quali sino al 2 gennaio 2000
l'imputato non era decaduto dal diritto di chiedere l'applicazione di
pena;
        che  sarebbe  altresi'  violato  l'art.  24  Cost., in quanto
all'imputato  verrebbe  improvvisamente preclusa una scelta difensiva
comportante   una   consistente  riduzione  di  pena,  in  precedenza
attivabile sino all'apertura del dibattimento di primo grado;
        che  con  cinque ordinanze in data 25 febbraio 2000 (r.o. nn.
da  371 a 375 del 2000) il tribunale di Verona, sezione distaccata di
Soave,  ha  sollevato,  in  riferimento  agli  artt.  3  e  24  della
Costituzione,  questione  di  legittimita' costituzionale degli artt.
223  e  224  del  decreto  legislativo 19 febbraio 1998, n. 51, nella
parte   in   cui  non  prevedono  la  possibilita'  di  accedere  "ad
applicazione  di  pena  anche  per  l'imputato  che,  avendo proposto
opposizione  a  decreto  penale di condanna dopo la data del 2 giugno
1999,  ma  prima  della  data  del 2 gennaio 2000, non ne abbia fatta
espressa richiesta con l'atto di opposizione";
        che il tribunale di Verona premette che, prima del compimento
delle  formalita'  di apertura del dibattimento, gli imputati avevano
avanzato   in  udienza,  con  il  consenso  del  pubblico  ministero,
richiesta di applicazione della pena;
        che  ad  avviso  del  tribunale  di  Verona  le  richieste di
patteggiamento   sono   inammissibili   in   quanto,  in  assenza  di
disposizioni transitorie e in virtu' del principio tempus regit actum
nei  dibattimenti  celebrati  dopo  il  2  gennaio  2000 deve trovare
applicazione il sistema di preclusioni introdotto dagli artt. 33, 37,
comma  4,  e  44  della legge n. 479 del 1999, a modifica degli artt.
446, comma 1, 464, comma 3, e 557 cod. proc. pen., vigente al momento
della  decisione  sulla tempestivita' della richiesta di applicazione
della pena;
        che,  a  parere  del  rimettente,  l'immediata applicabilita'
della  nuova  disciplina  a  procedimenti  instaurati  a  seguito  di
opposizione  a  decreto  penale presentata prima della sua entrata in
vigore  si pone in contrasto con l'art. 3 Cost., per l'ingiustificata
diversita'  di  trattamento  riservata  a imputati che hanno proposto
opposizione  a decreto penale di condanna prima del 2 gennaio 2000, a
seconda  che  tale  opposizione sia precedente ovvero successiva al 2
giugno 1999;
        che  l'arbitraria  modificazione,  in  corso  di  causa e con
effetto  retroattivo,  delle  regole  relative  alla  possibilita' di
accedere ai riti alternativi, cui conseguono consistenti riduzioni di
pena,  comporta  la menomazione del diritto di difesa dell'imputato e
sarebbe quindi in contrasto anche con l'art. 24 Cost;
        che  nei  giudizi  e' intervenuto il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  chiedendo  che  le questioni siano dichiarate inammissibili o
infondate;
        che,  in  particolare,  in  relazione alla questione relativa
alla illegittimita' costituzionale dell'art. 446, comma 1, cod. proc.
pen.,  sollevata  dal  tribunale  di  Marsala (r.o. n. 172 del 2000),
l'Avvocatura  osserva che l'interpretazione del rimettente verrebbe a
sottrarre  all'imputato  una possibilita' di scelta - gia' maturata e
sulla  quale  egli  ha  potuto  legittimamente contare - posto che la
nuova  ed imprevedibile disciplina riporta il termine di esercizio di
quella facolta' ad un momento temporale anteriore alla sua entrata in
vigore;
        che,  al  contrario,  proprio  una  corretta applicazione del
principio   tempus   regit  actum  dimostrerebbe  l'erroneita'  della
premessa  interpretativa  del  giudice  rimettente, risultando, nella
fattispecie  in  esame,  ancora applicabile la "vecchia" disposizione
contenuta nell'art. 446, comma 1, cod. proc. pen;
        che,    in   relazione   alle   questioni   di   legittimita'
costituzionale   dell'art.  464,  comma  3,  cod.  proc.  pen.,  come
modificato  dall'art.  37  della legge n. 479 del 1999, sollevate dal
tribunale   di  Genova,  nonche'  in  relazione  alle  questioni  che
investono  l'art.  557,  comma  2,  cod.  proc.  pen.  sollevate  dal
tribunale  di Vercelli e dal tribunale di Marsala, sezione distaccata
di  Mazara  del  Vallo,  e  a quelle degli artt. 223 e 224 del d.lgs.
n. 51 del 1998, sollevate dal tribunale di Verona, sezione distaccata
di Soave, l'Avvocatura rileva che i rimettenti erroneamente ritengono
"diritto  vivente"  una  sola  delle  possibili interpretazioni della
normativa  che  prima  della  legge  n. 479  del 1999 disciplinava la
richiesta  di  applicazione della pena a seguito di decreto penale di
condanna,  e  cioe'  quella  secondo  la quale tale richiesta, se non
formulata  in sede di opposizione, poteva comunque essere riformulata
al  giudice  del  dibattimento  ai sensi del previgente art. 446 cod.
proc. pen;
        che  invece,  ove  si ritenesse che il tenore letterale degli
artt.  461,  comma  3,  e 565, comma 2, cod. proc. pen. imponeva gia'
prima  di formulare la richiesta di applicazione della pena nell'atto
di  opposizione,  non  sussisterebbe la denunciata "discontinuita' di
disciplina"   in   quanto   la   presentazione   della  richiesta  di
patteggiamento  in  sede  dibattimentale  sarebbe stata inammissibile
anche alla stregua del precedente testo della disposizione censurata;
        che,    in   relazione   alla   questione   di   legittimita'
costituzionale  dell'art. 224 del d.lgs. n. 51 del 1998 sollevata dal
tribunale di Perugia, l'Avvocatura osserva che il problema dei limiti
temporali  di  applicabilita'  dei  nuovi termini di decadenza per la
richiesta  di  applicazione  di pena nei giudizi instaurati a seguito
dell'udienza  preliminare, introdotti dall'art. 33 della legge n. 479
del  1999,  deve  essere  risolto  secondo  "i  principi  generali di
efficacia  delle  norme  processuali  nel  tempo  (cfr.  tempus regit
actum)"  dovendosi  percio'  fare  riferimento alle leggi vigenti nei
rispettivi momenti processuali;
        che  di  conseguenza, secondo l'Avvocatura, poiche' il citato
articolo 33 ha anticipato i termini di proponibilita' della richiesta
di  patteggiamento  al  momento della presentazione delle conclusioni
nell'udienza  preliminare, "l'efficacia di tale disposizione dovrebbe
essere  limitata solo ai procedimenti nei quali l'udienza preliminare
- cui si riferisce il nuovo termine - deve ancora concludersi, mentre
per  le  precedenti  udienze preliminari la valutazione deve operarsi
con riferimento alle norme all'epoca vigenti, per le quali il termine
per  la proposizione del patteggiamento era scadente all'apertura del
dibattimento".
    Considerato che alcune delle ordinanze di rimessione sottopongono
a  scrutinio  di  legittimita'  costituzionale  la  mancanza di norme
transitorie  relative  alla nuova disciplina dei termini di decadenza
per  la  presentazione  della  richiesta  di applicazione della pena,
introdotta dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479, con riferimento alle
ipotesi  di  rinvio  a giudizio a seguito di udienza preliminare e di
decreto  di  giudizio  immediato  (art.  446  del codice di procedura
penale),  nonche'  di citazione a giudizio a seguito di opposizione a
decreto  penale  di condanna (artt. 464 e 557 del codice di procedura
penale,   relativi,   rispettivamente,  al  procedimento  davanti  al
tribunale in composizione collegiale e monocratica);
        che  altre  ordinanze  investono  le norme transitorie di cui
agli artt. 223 e 224 del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51,
in materia di istituzione del giudice unico di primo grado;
        che  i  rimettenti con il primo gruppo di questioni lamentano
che  i  nuovi  termini  di  decadenza  -  in  assenza  di un'apposita
disciplina  transitoria  -  si applicano, in base al principio tempus
regit  actum,  indiscriminatamente  ad ogni situazione processuale in
corso  e  hanno,  quindi,  efficacia  retroattiva, malgrado i termini
stessi  si  siano  gia'  consumati  quando  era  ancora  in vigore la
normativa  precedente;  mentre  con  il  secondo  gruppo di questioni
denunciano  che  nulla  prevedono al riguardo gli artt. 223 e 224 del
decreto legislativo n. 51 del 1998;
        che, ad avviso dei rimettenti, l'immediata operativita' della
nuova disciplina si pone in contrasto con l'art. 3 della Costituzione
per  la  sua  intrinseca  irragionevolezza  e  perche'  determina una
ingiustificata  diversita'  di trattamento tra imputati a seconda che
il  dibattimento  sia  stato  fissato prima o dopo il 2 gennaio 2000,
data  di  entrata  in  vigore  della legge n. 479 del 1999, recante i
nuovi  termini  di  decadenza  per la richiesta di applicazione della
pena;  con  l'art. 24 Cost., perche' preclude all'imputato una scelta
difensiva,  comportante,  tra  l'altro,  una consistente riduzione di
pena,  non esercitata in precedenza in quanto la normativa vigente ne
legittimava  l'esercizio  sino  all'apertura  del  dibattimento;  con
l'art.  25 Cost., perche' determina appunto con efficacia retroattiva
la  perdita  di  un  diritto  che  incide sulla quantita' della pena,
nonche'  sulla  natura  e  sugli  effetti  penali della condanna; con
l'art. 97 Cost., perche' fa ricadere sull'imputato le conseguenze del
ritardo della celebrazione dei processi penali; con l'art. 111 Cost.,
perche' viola i principi del giusto processo;
        che,  malgrado  la diversita' delle norme censurate, identica
e'  la  sostanza  di  tutte le questioni, che si riferiscono al nuovo
sistema  dei termini di presentazione della richiesta di applicazione
della  pena,  per  cui  deve essere disposta la riunione dei relativi
giudizi;
        che  in particolare, con riferimento alla ipotesi di rinvio a
giudizio  a  seguito  di  udienza preliminare, alla stregua del testo
originario  dell'art. 446, comma 1, cod. proc. pen. le parti potevano
formulare   la   richiesta  di  applicazione  della  pena  sino  alla
dichiarazione  di  apertura  del dibattimento di primo grado, mentre,
dopo le modifiche introdotte alla disposizione in esame dall'art. 33,
comma  1,  lettera a), della legge n. 479 del 1999, la richiesta deve
essere  formulata  sino  alla  presentazione  delle  conclusioni  del
pubblico  ministero e dei difensori nell'udienza preliminare, a norma
degli artt. 421, comma 3, e 422, comma 3, cod. proc. pen;
        che  anche  nella  ipotesi  di decreto di giudizio immediato,
prima  della  riforma  il  termine coincideva con la dichiarazione di
apertura  del dibattimento, sempre in forza della generale previsione
dell'art.  446,  comma  1, cod. proc. pen., mentre alla stregua della
nuova  formulazione di tale disposizione, ove viene operato un rinvio
al  termine  e  alle  forme  stabilite  per  la richiesta di giudizio
abbreviato  (art.  458,  comma  1,  cod. proc. pen.), la richiesta di
applicazione della pena deve essere proposta entro sette giorni dalla
notificazione del decreto di giudizio immediato;
        che,  con  riferimento alle ipotesi di decreto che dispone il
giudizio  a  seguito  di  opposizione  a  decreto penale di condanna,
secondo  l'originaria  formulazione  degli artt. 464 e 565 cod. proc.
pen.,  relativi,  rispettivamente, al giudizio davanti al tribunale e
al  pretore,  se  entro  il termine di quindici giorni l'opponente si
fosse  limitato  a  proporre  opposizione,  senza  presentare  alcuna
specifica   richiesta,   il  giudice  emetteva  decreto  di  giudizio
immediato  e l'opponente avrebbe quindi potuto formulare richiesta di
applicazione  della  pena  sino  alla  dichiarazione  di apertura del
dibattimento  (v.  sentenza  n. 114  del 1997), mentre il nuovo testo
degli  artt.  464 e 557 cod. proc. pen. - modificati dagli artt. 37 e
44  della  legge  n. 479  del  1999  e  relativi, rispettivamente, al
giudizio   davanti   al   tribunale   in  composizione  collegiale  e
monocratica - prevede che, ove tale richiesta non sia stata formulata
entro  il  termine  di  quindici  giorni  con  l'atto di opposizione,
all'opponente  sia  precluso  presentarla  nel  giudizio  conseguente
all'opposizione;
        che,   con   riguardo   a  tutte  le  ipotesi  normative  ora
menzionate,  dalle ordinanze di rimessione emerge che le questioni di
legittimita'  costituzionale  si riferiscono a situazioni di fatto in
cui,  nei  procedimenti  a  quibus  la nuova disciplina e' entrata in
vigore  (il  2  gennaio  2000) in un momento compreso tra la data del
rinvio a giudizio, nelle varie forme sopra descritte, e la data della
celebrazione del dibattimento;
        che,  in  base all'interpretazione che i rimettenti riservano
al  principio tempus regit actum da tale situazione deriverebbe che i
nuovi  termini  di  decadenza  per la formulazione della richiesta di
applicazione   della   pena,   anticipati  a  momenti  precedenti  la
dichiarazione  di apertura del dibattimento, si erano gia' consumati,
con   conseguente   preclusione  per  gli  imputati  di  accedere  al
procedimento speciale;
        che il presupposto interpretativo dei rimettenti, secondo cui
la  disciplina  in  vigore  al  momento  della  decisione  ha effetti
retroattivi,  comporterebbe  la conseguenza paradossale che imputati,
rinviati a giudizio in presenza di un quadro normativo che consentiva
loro  di  formulare  richieste  di  applicazione della pena sino alla
dichiarazione  di  apertura  del  dibattimento,  si troverebbero, nel
momento     della     celebrazione     del    dibattimento    stesso,
nell'impossibilita'  di  formulare  tali richieste, in quanto in base
alla  nuova  disciplina  i  relativi  termini  finali  sarebbero gia'
scaduti,   essendo   collocati   in   fasi,   comunque  anteriori  al
dibattimento,  che  si  sono  esaurite  in  epoca nella quale i nuovi
termini di decadenza non erano ancora venuti ad esistenza;
        che  una  simile  conseguenza  si  porrebbe effettivamente in
contrasto  con gli artt. 3 e 24 Cost., perche' sarebbe manifestamente
irragionevole   una   disciplina   che   escludesse  retroattivamente
l'imputato  dall'esercizio  di  un diritto il cui termine, scaduto in
base  alla nuova legge, e' ancora in corso secondo le norme in vigore
al  momento  in  cui  e'  stato  disposto  il  rinvio  a  giudizio, e
sacrificasse  cosi'  il  diritto  di  difesa, privando l'imputato dei
vantaggi    processuali    e    sostanziali   connessi   all'istituto
dell'applicazione della pena su richiesta;
        che  peraltro, con riferimento a tutte le questioni sollevate
in  relazione  alla  disciplina dei nuovi termini entro cui formulare
richiesta  di  applicazione  della  pena, e' sufficiente ad escludere
ogni   dubbio   di   incostituzionalita'  porre  mente  alla  ragione
giustificativa  della  diversa  collocazione temporale dei termini di
decadenza nel procedimento speciale in esame;
        che,  nell'originaria  impostazione  codicistica,  il termine
finale  per  la  presentazione  della richiesta di applicazione della
pena  era individuato nel momento della dichiarazione di apertura del
dibattimento,  ritenuto  dal  legislatore  un  soddisfacente punto di
mediazione tra l'esigenza di incentivare il ricorso al patteggiamento
e  quella di evitare il dispendio delle risorse personali e materiali
necessarie per la celebrazione del dibattimento;
        che  le  profonde  innovazioni della legge n. 479 del 1999 in
tema  di  rapporti  tra  indagini  preliminari, udienza preliminare e
giudizio, con particolare riferimento, per quanto qui interessa, alle
modalita'  introduttive  e alla sede di celebrazione dei procedimenti
speciali,  hanno  comportato  una  radicale  trasformazione anche del
sistema  dei termini di decadenza per la formulazione della richiesta
di  applicazione  della  pena,  anticipati  a  momenti  precedenti il
dibattimento,   nell'ottica   di   un   diverso   bilanciamento   tra
incentivazione  dei  riti alternativi ed esigenze di piu' economica e
razionale utilizzazione delle risorse processuali;
        che quindi, anche in mancanza di qualsiasi norma transitoria,
il  nuovo  equilibrio  delineato  dal  legislatore  tra le fasi delle
indagini   preliminari,   dell'udienza  preliminare  e  del  giudizio
dibattimentale,  cui  e'  strettamente collegata la mutata disciplina
dei procedimenti speciali, conduce necessariamente ad escludere che i
nuovi  termini di decadenza possano riguardare procedimenti nei quali
tali termini sarebbero oramai scaduti, essendo gia' stato disposto il
rinvio  a  giudizio  al  momento  dell'entrata  in vigore della legge
n. 479 del 1999;
        che, pertanto, tutte le questioni sollevate in relazione agli
artt.  446,  comma  1,  464, comma 3, e 557, comma 2, cod. proc. pen.
vanno dichiarate manifestamente infondate;
        che, per quanto concerne le ordinanze che investono gli artt.
223  e  224 del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51, relativo
all'istituzione  del  giudice  unico  di  primo  grado,  i rimettenti
lamentano  che  tali  norme  transitorie non prevedono che l'imputato
possa presentare in dibattimento richiesta di applicazione della pena
anche  nei  giudizi  instaurati  successivamente  alla data (2 giugno
1999)  di entrata in efficacia del decreto legislativo n. 51 del 1998
e  pendenti  alla  data  (2  gennaio 2000) di entrata in vigore della
legge  n. 479  del  1999,  allorche'  l'udienza preliminare sia stata
celebrata   nella   vigenza   della   normativa   precedente,  ovvero
l'imputato,  avendo  proposto  opposizione a decreto penale dopo il 2
giugno  1999,  ma  prima  del  2  gennaio  2000,  non abbia formulato
espressa richiesta di patteggiamento con l'atto di opposizione;
        che  gli  artt.  223  e 224 del decreto legislativo n. 51 del
1998  prevedono  che, nei giudizi in corso alla data di efficacia del
decreto  stesso,  le parti possono presentare richiesta di accesso ai
riti   alternativi  nella  prima  udienza  successiva  a  tale  data,
definitivamente   fissata,   grazie   a   successivi  interventi  del
legislatore,  al  2  giugno  1999  e,  cioe',  in momento antecedente
all'approvazione  della  legge  16  dicembre  1999,  n. 479,  che  ha
modificato   la   disciplina   dei   termini   di  decadenza  per  la
presentazione della richiesta di patteggiamento;
        che  le  norme  transitorie contenute nel decreto legislativo
n. 51  del  1998  non  hanno  - ne' avrebbero potuto avere, stante la
successione  cronologica  dei  due  provvedimenti legislativi - alcun
collegamento  con  la  disciplina  dell'istituto  del  patteggiamento
introdotta dalla legge n. 479 del 1999;
        che,  pertanto,  le  disposizioni  censurate sono irrilevanti
rispetto  all'applicazione  dei  nuovi  termini  di  decadenza  della
richiesta di applicazione della pena, per il motivo assorbente che la
legge  che  ha  modificato  tali  termini  non  era  ancora venuta ad
esistenza,   sicche'   le   relative   questioni   vanno   dichiarate
manifestamente inammissibili.
    Visti  gli  artt.  26,  secondo comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi

                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Riuniti i giudizi:
    Dichiara   la   manifesta   infondatezza   delle   questioni   di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  446,  comma 1, del codice di
procedura  penale,  sollevate,  in riferimento agli artt. 3, 24 e 25,
secondo  comma,  della Costituzione, dal tribunale di La Spezia e dal
tribunale di Marsala, con le ordinanze in epigrafe;
    Dichiara   la   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  464,  comma 3, del codice di
procedura   penale,   sollevata,  in  riferimento  all'art.  3  della
Costituzione, dal tribunale di Genova, con le ordinanze in epigrafe;
    Dichiara   la   manifesta   infondatezza   delle   questioni   di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  557,  comma 2, del codice di
procedura  penale,  sollevate,  in  riferimento agli artt. 3, 24 e 97
della  Costituzione,  dal  tribunale  di  Vercelli e dal tribunale di
Marsala,  sezione distaccata di Mazara del Vallo, con le ordinanze in
epigrafe;
    Dichiara   la   manifesta  inammissibilita'  delle  questioni  di
legittimita'  costituzionale dell'art. 224 del decreto legislativo 19
febbraio  1998,  n. 51  (Norme  in materia di istituzione del giudice
unico  di  primo grado), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24 e
111  della  Costituzione,  dal  tribunale  militare di Cagliari e dal
tribunale di Perugia, con le ordinanze in epigrafe;
    Dichiara   la   manifesta  inammissibilita'  della  questione  di
legittimita'  costituzionale  degli  artt.  223  e  224  del  decreto
legislativo  19 febbraio 1998, n. 51 (Norme in materia di istituzione
del  giudice  unico  di  primo grado), sollevata, in riferimento agli
artt.  3  e  24  della Costituzione, dal tribunale di Verona, sezione
distaccata di Soave, con le ordinanze in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 13 dicembre 2000.
                     Il Presidente: Santosuosso
                     Il redattore: Neppi Modona
                      Il cancelliere: Fruscella
    Depositata in cancelleria il 20 dicembre 2000.
                      Il cancelliere: Fruscella
00C1440