N. 972 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 ottobre 2001
Ordinanza emessa il 2 ottobre 2001 dal tribunale di sorveglianza di Venezia sull'istanza proposta da Autuori Sabatino Ordinamento penitenziario - Benefici penitenziari - Divieto di concessione a tutti i condannati nei cui confronti sia stata disposta la revoca di una misura alternativa - Mancata limitazione del divieto ai soli condannati per uno dei delitti previsti nel comma 1 dell'art. 4-bis della legge n. 354 del 1975 - Lesione del principio di eguaglianza per l'eguale trattamento di situazioni diverse - Contrasto con il principio di ragionevolezza - Violazione del principio della finalita' rieducativa della pena. - Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 58-quater, comma secondo. - Costituzione, artt. 3, primo comma, e 27, terzo comma.(GU n.3 del 16-1-2002 )
IL TRIBUNALE Sentito il p.g., che ha espresso parere contrario all'accoglimento, nonche' la difesa, ha pronunciato la seguente ordinanza di remissione degli atti alla Corte costituzionale, nel procedimento avente ad oggetto il reclamo, avanzato ai sensi dell'art. 30-bis o.p. da Autuori Sabatino, nato a Salerno il 3 ottobre 1938, detenuto presso la Casa di reclusione di Padova in esecuzione della pena determinata con provvedimento di cumulo della procura generale di Torino del 6 ottobre 1989, avverso i decreti nn. 1053/2001 del 12 luglio 2001 e 1190/2001 del 1 agosto 2001, con cui il magistrato di sorveglianza di Padova ha dichiarato inammissibile l'istanza dell'interessato volta alla concessione di un permesso-premio ex art. 30-ter o.p. M o t i v a z i o n e Con i due provvedimenti reiettivi indicati in epigrafe, il magistrato di sorveglianza di Padova dichiarava l'inammissibilita' delle istanze di permesso-premio, avanzate ai sensi dell'art. 30-ter legge 26 luglio 1975, n. 354 dall'Autuori, a motivo della preclusione sancita dal secondo e terzo comma dell'art. 58-quater stessa legge, in quanto l'interessato era incorso nel provvedimento di revoca della semiliberta' da meno di un triennio. Avverso tali provvedimenti interponeva tempestivo reclamo il condannato, la cui difesa ha all'odierna udienza sollevato questione di legittimita' costituzionale del secondo comma della norma in questione ove interpretata nel senso della sua applicabilita' non solo nei confronti dei condannati per uno dei delitti di cui al primo comma dell'art. 4-bis o.p., ma nei confronti di tutti i condannati, a prescindere cioe' dal titolo del reato in espiazione, che si siano per l'appunto visti revocare una delle misure alternative indicate nel secondo comma del citato art. 58-quater o.p. Ritiene anzitutto il collegio che la prospettata questione sia rilevante nel presente giudizio, giacche' - ove la norma sospettata di incostituzionalita' non fosse riferibile anche ai condannati per delitti diversi da quelli indicati nel primo comma dell'art. 4-bis o.p. - il reclamo dovrebbe senza dubbio essere accolto, pacifico essendo che l'Autuori ha gia' espiato la parte di pena riferibile ai delitti ostativi, e che dunque le proprie istanze volte alla concessione di permessi-premio sarebbero ammissibili, nel senso di produrre l'effetto di costringere il magistrato di sorveglianza ad una valutazione nel merito delle stesse. Quanto alla non manifesta infondatezza, il ragionamento della difesa non puo' che essere condiviso dal tribunale. Va anzitutto escluso che la norma possa interpretarsi nel senso della sua riferibilita' ai soli condannati per i delitti di cui al primo comma dell'art. 4-bis o.p., e che dunque un'interpretazione costituzionalmente adeguata ed orientata possa fugare i dubbi di incostituzionalita' della medesima. Detta scelta normativa e' ricavabile: 1) dall'applicazione del canone ermeneutico ubi lex voluit dixit, ubi tacuit noluit, che fa leva sulla espressa enunciazione dei reati ostativi negli altri commi dello stesso articolo, e sul silenzio sul punto nel comma sccondo; 2) dalla ricostruzione della genesi della disposizione, dalla quale risulta che il decreto-legge n. 152/1991, in origine, prevedeva un divieto generalizzato (anche per l'ipotesi ora prevista dal comma 1 dell'art. 58-quater), divieto poi corretto - con la delimitazione ai condannati per i reati di cui all'art. 4-bis - dalla legge di conversione n. 203/1991, la quale lo ha consapevolmente circoscritto ai condannati per reati del 4-bis solo nel caso di evasione, mantenendo invece generale il divieto associato alla revoca dei benefici; 3) dall'individuazione di una tendenza complessiva del sistema, ravvisabile, da ultimo, nell'art. 4 della legge n. 165/1998, il quale, modificando l'art. 47-ter o.p. con l'introduzione della nuova misura della c.d. detenzione domiciliare generica, ha previsto che la revoca della stessa comporti l'impossibilita' di sostituire la pena residua con altra misura. E' noto del resto come la giurisprudenza - e segnatamente quella di legittimita' - si sia orientata nel senso che la disposizione in parola sia da riferirsi ai soggetti condannati per qualsiasi reato. La Corte di cassazione, con la decisione n. 4823 del 30 settembre 1996, Diofebo, I sez. penale, ha affermato a chiare lettere, infatti, che tale disposto "opera con riguardo a qualsiasi condannato, indipendentemente dal titolo del reato cui la condanna si riferisce, e non riguardo soltanto ai condannati per taluno dei reati di cui all'art. 4-bis dell'ordinamento penitenziario, cui si riferisce il comma primo del citato art. 58-quater". Tale indirizzo e' stato confermato anche successivamente, con la decisione della sez. I penale, n. 4730 del 30 giugno 2000, Mbaye, e ad esso si e' oggi uniformata anche la giurisprudenza di merito (si veda, ad esempio, l'ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Genova, n. 158 del 12 gennaio 2000, Costa). L'art 58-quater dell'ordinamento penitenziario individua invero quattro categorie di soggetti che non possono godere dei benefici extramurali: a) i condannati ad uno dei delitti indicati nel primo comma dell'art. 4-bis che abbiano posto in essere una condotta di evasione; b) i condannati che si siano visti revocare una misura alternativa ai sensi dell'art. 47, comma 11, dell'art. 47-ter, comma 6, o dell'art. 51, comma 1; c) i condannati per i reati di cui agli artt. 289-bis e 630 c.p., che abbiano cagionato la morte del sequestrato, salvo abbiano espiato i due terzi della pena espiata (o almeno ventisei, nel caso dell'ergastolo); d) i condannati ad uno dei delitti previsti nell'art. 4-bis, quando si procede o e' pronunciata una condanna per un delitto doloso punito con pena non inferiore nel massimo ai tre anni, commesso da chi ha posto in essere una condotta punibile a norma dell'art. 385 c.p. o ha compiuto il fatto di reato durante il lavoro esterno, la fruizione di un permesso premio o di una misura alternativa alla detenzione. Nei casi indicati sub-a) e sub-b), il divieto opera per tre anni (decorrenti, rispettivamente, dal momento in cui e' ripresa l'esecuzione della custodia e dalla data di revoca del beneficio); nel caso sub-c), il divieto opera, come s'e' visto, fino a che non siano stati scontati effettivamente 2/3 della pena, o 26 anni nel caso dell'ergastolo; nel caso sub-d), infine, la durata del divieto e' di cinque anni. Appare pero' al tribunale evidente che le fattispecie non sono omogenee. In tre casi, infatti, il divieto di concessione opera per i condannati a taluni gravi delitti - quelli indicati nell'art. 4-bis o.p. e negli artt. 289-bis e 630 c.p. (e, per i sequestri di persona, solo quando il colpevole abbia cagionato la morte del sequestrato) -; nel quarto, previsto dal secondo comma dell'art. 58-quater e qui descritto sub-b), la legge ricollega il divieto di concessione dei benefici al mero fatto che il condannato, indipendentemente dal reato in esecuzione, si sia visti revocati i benefici gia' concessi. Il sistema delineato dall'art. 58-quater, comma 2, si espone pero' ai pesanti dubbi di costituzionalita' sollevati dalla difesa, per sospetta violazione degli artt. 27, terzo comma, e 3, primo comma, Cost. Iniziando dal contrasto con l'art. 3, primo comma, Cost., la violazione del parametro e' ravvisabile sotto un duplice profilo. Da un lato, l'assimilazione di situazioni diverse importa violazione del principio generale di eguaglianza, che impone non soltanto di trattare in modo eguale situazioni eguali, ma anche di disciplinare in modo diverso situazioni diverse. E' chiaro che il legislatore, nel momento in cui disciplina una materia, dispone del potere di tipizzare la realta' secondo fattispecie astratte, essendo impensabile che la legge possa inseguire l'infinita varieta' dei fatti. A fronte di casi che esprimono esigenze regolative diverse, tuttavia, il legislatore non puo' limitarsi a dettare una disciplina uniforme, assimilando situazioni che pretendono una normazione differenziata. Cio' e' tanto piu' vero quanto piu' la legge va a incidere su valori costituzionali, come la liberta' personale e la funzione rieducativa della pena, i quali possono essere sacrificati solo nella misura strettamente necessaria al conseguimento degli scopi (di prevenzione generale e di difesa sociale) che la legge si propone. Proprio in materia di esecuzione penale, la Corte costituzionale ha sottolineato piu' volte come il principio di eguaglianza imponga le necessarie differenziazioni: per esempio, nella sent. n. 418/1998 si legge che "anche se non puo' dirsi preclusa in senso assoluto al legislatore la potesta' di assumere determinate condanne come criterio per escludere l'ammissione del condannato a determinati benefici o per sancire la revoca dei benefici gia' ottenuti, occorre tuttavia che tali criteri siano sufficientemente circoscritti, in modo da non dar luogo a irragionevoli parificazioni e da non precludere, nelle ipotesi meno gravi, la funzione rieducativa della pena". Dall'altro lato, la disciplina posta dal legislatore nel secondo comma dell'art. 58-quater pare porsi in contrasto con l'imperativo di ragionevolezza o di razionalita' normativa, che la Corte costituzionale legge nello stesso art. 3, primo comma, Cost. E' lo stesso legislatore, infatti, ad incentrare il sistema del divieto dei benefici su una tipizzazione per titoli di reato, ricollegando - in tutti i casi, salvo, inspiegabilmente, quello previsto dal secondo comma dell'art. 58-quater - l'esclusione dei benefici alla commissione di fatti di reato specificamente individuati, caratterizzati da una particolare pericolosita' sociale sul presupposto dell'inserimento del soggetto in organizzazioni criminali stabili. Il collegamento tra la revoca di una misura alternativa e il divieto triennale di concessione di nuovi benefici appare allora, se esteso ai condannati per qualsiasi reato, manifestamente irragionevole e sproporzionato, potendo comportare, in molti casi, il pregiudizio della finalita' rieducativa della pena, e cio' proprio laddove, per la lieve entita' del fatto sanzionato, non sussistono esigenze di prevenzione generale e di tutela della sicurezza collettiva. Questo profilo conduce all'esame del secondo parametro invocato dalla difesa: il principio rieducativo della pena di cui all'art. 27, terzo comma, della Costituzione. La disciplina che qui si censura e' caratterizzata da un'assoluta rigidita', in quanto e' impedito al magistrato di sorveglianza, cui e' proposta la richiesta del beneficio, ogni valutazione, dovendo egli limitarsi a dichiarare l'inammissibilita' dell'istanza qualora accerti che nel triennio precedente e' stata revocata una misura alternativa. E' noto come la Corte costituzionale abbia piu' volte dichiarato illegittime disposizioni che prevedevano meccanismi di revoca automatica dei benefici concessi. Con la sentenza n. 306/1993, la Corte costituzionale ha sottolineato che in materia di benefici penitenziari vige "il principio che l'effetto della revoca di essi deve essere proporzionato (oltre che al quantum di afflittivita' che da essi e' derivato) alla gravita' oggettiva e soggettiva del comportamento che ha determinato la revoca", ed ha ritenuto che tale principio sia derivabile dagli imperativi di "proporzionalita' e individualizzazione della pena, i quali a loro volta discendono dagli artt. 27, primo e terzo comma, e 3 della Costituzione". Nella decisione n. 186/1995, relativa alla questione di legittimita' costituzionale dell'art. 54, terzo comma dell'ordinamento penitenziario, che prevedeva la revoca automatica della liberazione anticipata in conseguenza di condanna per delitto non colposo commesso nel corso dell'esecuzione della pena successivamente alla concessione del beneficio, la Corte ha ravvisato l'incostituzionalita' di un meccanismo improntato ad un rigido automatismo sanzionatorio che esclude ogni valutazione "in ordine alla compatibilita' o meno degli effetti che scaturiscono dalla liberazione anticipata rispetto al valore sintomatico che in concreto puo' assumere l'intervenuta condanna". La Corte, nella sentenza citata, ha rilevato inoltre che "tale indifferenza normativa per qualsiasi tipo di apprezzamento ... lascia quindi presupporre che al fondo di una simile rigorosa opzione stia nulla piu' che un preciso disegno volto ad assicurare, attraverso un meccanismo di tipo meramente sanzionatorio, la sola "buona condotta del soggetto in espiazione di pena, relegando cosi' nell'ombra proprio quella funzione di impulso e di stimolo ad una efficace collaborazione nel trattamento rieducativo che costituisce l'essenza stessa dell'istituto". Ancora, la medesima ratio e' alla base della sent. n. 418/1998, con la quale il giudice delle leggi ha censurato, per violazione dell'art. 27, terzo comma, Cost., il disposto dell'art. 177, comma 1, c.p., nella parte in cui prevedeva la revoca della liberazione condizionale nel caso di condanna per reato della stessa indole, anziche' stabilire che la liberazione condizionale e' revocata se la condotta del soggetto, in relazione alla condanna subita, appare incompatibile con il mantenimento del beneficio. E anche quando ha fatto salva la legittimita' della disciplina in materia di permessi-premio, caratterizzata dall'esclusione del beneficio per un periodo di due anni dalla commissione di altro fatto reato - commesso durante l'espiazione della pena - del quale il soggetto sia imputato (art. 30-ter, quinto comma, dell'ordinamento penitenziario), la Corte costituzionale ha argomentato con la "particolare natura" dell'istituto, "caratterizzato dall'essere parte integrante del trattamento e ancorato alla regolarita' della condotta quale delineata nell'art. 30-ter, ottavo comma" dell'ordinamento penitenziario; ma, nello stesso tempo, si e' sentita obbligata ad indirizzare un monito al legislatore affinche' questi rivedesse "l'impiego dell'assoluto automatismo ... non tanto in relazione al momento processuale che determina l'effetto preclusivo, quanto in relazione alle tipologie di delitti dolosi la cui commissione effettivamente comprometta il giudizio sulla regolarita' della condotta e, conseguentemente, faccia presumere la pericolosita' del condannato, nonche' in relazione all'indifferenziata durata del periodo di esclusione dal beneficio" (sent. n. 296/1997). L'art. 58-quater, secondo comma, che si riferisce a qualsiasi condannato, e non solo a quelli responsabili dei delitti di cui all'art. 4-bis o.p., appare dunque in contrasto con i corollari del principio rieducativo di cui all'art. 27, terzo comma, Cost. L'automatismo del divieto, infatti, non consente che sia garantita la proporzionalita' della revoca, in quanto - in primo luogo - la stessa risulta ultrattiva, per tre anni, indipendentemente dalla condotta che ha giustificato l'adozione del provvedimento di revoca. E se proporzionalita' significa commisurazione dell'effetto giuridico al fatto, una disciplina che prescinde totalmente dal fatto medesimo non puo', per definizione, apparire proporzionata (ne', per la stessa ragione, "individualizzata", come pure richiederebbe l'art. 27 Cost., terzo comma). In secondo luogo, il divieto e' sproporzionato sotto un altro profilo, in quanto la revoca di una delle misure alternative diventa ostativa alla concessione di benefici anche di natura diversa. Puo' accadere, infatti, che la revoca di un beneficio, disposta in seguito all'adozione da parte del detenuto di un comportamento che appaia incompatibile con quel beneficio, determini l'impossibilita' per il condannato di essere ammesso ad altre misure alternative, rispetto alle quali non sussiste - ne' e' indiziata dal provvedimento di revoca del diverso beneficio - alcuna incompatibilita'. In terzo luogo, 1a violazione del principio di proporzionalita' si manifesta nel fatto che il divieto triennale rischia di precludere totalmente la possibilita' di fruire nuovamente dei benefici per i condannati che abbiano subito pene detentive brevi; e quindi, la durata rigida dello stesso comporta una maggiore afflittivita' proprio per quei soggetti che hanno posto in essere condotte che esprimono una minore pericolosita' sociale. Anzi, in molti casi il divieto puo' trasformarsi in quell'esclusione assoluta e definitiva che, a detta della Corte, "compromette l'osservanza dell'art 27, terzo comma della Costituzione" (sent. n. 403/1997). La disposizione della cui legittimita' qui si dubita e' gia' stata oggetto di esame da parte della Corte costituzionale per un aspetto particolare. Con sent. n. 436/1999, infatti, il secondo comma dell'art. 58-quater e' stato dichiarato illegittimo nella parte in cui si riferisce al condannato minorenne. Le argomentazioni svolte dalla Corte a sostegno della declaratoria d'incostituzionalita', tuttavia, per quanto avessero ad oggetto la situazione del solo minorenne (tale era il thema decidendum prospettato dal giudice a quo), sembrano svolgersi su un piano piu' generale e sono riferibili anche alla condizione del condannato maggiorenne. La Corte, infatti, rileva che "un divieto generalizzato e automatico, di durata triennale, di concessione di tutti i benefici penitenziari elencati, in conseguenza della revoca di una qualunque delle misure alternative dell'affidamento in prova, della detenzione domiciliare e della semiliberta', contrasta in effetti con il criterio, costituzionalmente vincolante, che esclude siffatti rigidi automatismi, e richiede che sia resa possibile invece una valutazione individualizzata e caso per caso, in presenza delle condizioni generali costituenti i presupposti per l'applicazione della misura, della idoneita' di questa a conseguire le preminenti finalita' di risocializzazione che debbono presiedere all'esecuzione penale minorile"; ma, se si tiene conto che la finalita' della risocializzazione e' costituzionalmente prescritta per l'esecuzione penale in genere, e non soltanto per quella minorile, la portata universale dell'affermazione della Corte puo' essere agevolmente apprezzata. Anche le considerazioni, contenute nella sentenza citata, secondo le quali "puo' ben essere ... che, nonostante la revoca della misura alternativa, intervenuta in quanto il comportamento sia apparso "incompatibile con la prosecuzione della prova (art. 47, comma 11) o "incompatibile con la prosecuzione delle misure (art. 47-ter, comma 6) ovvero in quanto il soggetto non si sia palesato "idoneo al trattamento di semiliberta' (art. 51, primo comma) - a seguito dunque di valutazioni inerenti alla compatibilita' della singola misura revocata -, la situazione concreta del giovane condannato faccia ritenere utile ed adatta l'applicazione di una od altra delle misure previste dall'ordinamento al fine di favorire il reinserimento sociale dei detenuti, che sarebbero invece precluse, per un lungo periodo, dall'operare della norma censurata in questa sede", non possono considerarsi limitate al solo "giovane condannato", valendo - dal punto di vista logico - per il condannato di qualsiasi eta'. Razionalita' ed uguaglianza nella commisurazione della qualita' della pena da irrogare in concreto imporrebbero dunque che l'automatismo del divieto fosse applicabile soltanto a quei soggetti i quali, nel sistema dell'esecuzione quale risulta dalle innovazioni legislative del 1991, sono sottoposti a periodi di osservazione piu' lunghi rispetto alla generalita' dei condannati. L'ammissione alla semiliberta', per esempio, e' riconosciuta dopo che sono stati espiati 2/3, e non la meta', della pena (art. 50, comma 2, o.p.); la concessione dei permessi premio e' prevista dopo meta', e non un quarto, di pena espiata (art. 30-ter, comma 4). Nei confronti delle persone che si sono rese responsabili dei reati di cui all'art. 4-bis il legislatore dispone una prognosi di pericolosita' che puo' essere corretta qualora sia dimostrato che il condannato ha collaborato con la giustizia ovvero che non ha collegamenti in atto con la criminalita' organizzata (art. 4-bis, primo comma, o.p.): e configurare un periodo di osservazione di una certa entita' dopo la revoca dei benefici appare non irragionevole, se tale scelta e' limitata solo a questi soggetti. Cosi' circoscritto, il meccanismo dell'art. 58-quater, secondo comma, non potrebbe dirsi incostituzionale, perche' esso si innesta su una valutazione compiuta direttamente dal legislatore con riguardo ad una tipologia determinata di reati precisamente individuati, valutazione che la stessa Corte costituzionale non ha mai ritenuto illegittima. Non si puo', del resto, ignorare che la disposizione in questione e' stata introdotta dal decreto-legge 12 gennaio 1991 n. 5 (piu' volte reiterato fino alla conversione nella legge 12 luglio 1991, n. 203), che recava "Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalita' organizzata e di trasparenza e buon andamento dell'attivita' amministrativa" e che si salda, pertanto, ad una serie di misure adottate per fronteggiare l'allarme sociale destato dalla recrudescenza del crimine organizzato nella contingenza in cui il decreto fu adottato (come la Corte costituzionale, nella sent. n. 306/1993, non ha mancato di osservare).
P. Q. M. Visti gli artt. 1 legge 9 febbraio 1948, n. 1, 23 legge 11 maggio 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata - per violazione degli artt. 3, primo comma e 27, terzo comma della Costituzione - la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 58-quater, secondo comma legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della liberta) nella parte in cui estende il divieto di concessione dei benefici penitenziari a tutti i condannati nei cui confronti e' stata disposta la revoca di una misura alternativa, anziche' limitare tale divieto ai soli condannati per uno dei delitti previsti nel comma 1 dell'art. 4-bis della stessa legge. Ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso. Manda la cancelleria per le (previe: art. 1 Delib. Corte cost. 16 marzo 1953) notificazioni e comunicazioni di cui all'art. 23, quarto comma, legge n. 87/1953. Padova, addi', 2 ottobre 2001 Il Presidente: Fiscon Il magistrato estensore: Pavarin 02C0004