N. 283 SENTENZA 19 - 26 giugno 2002

Giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato.

Parlamento  -  Immunita'  parlamentari  -  Opinioni  proferite  da un
  deputato  nel  corso  di una manifestazione politica - Procedimenti
  penali a suo carico per il reato di diffamazione - Deliberazione di
  insindacabilita'  della  Camera  di appartenenza del parlamentare -
  Ricorso  per  conflitto  di  attribuzione della Corte di appello di
  Roma  Fondatezza  -  Esclusione  nelle  espressioni  oggetto  delle
  imputazioni  del  carattere  divulgativo  di  opinione parlamentare
  insindacabile   -   Lesione   delle   attribuzioni   dell'autorita'
  giudiziaria    ricorrente    -   Conseguente   annullamento   della
  deliberazione parlamentare.
- Deliberazione della Camera dei deputati 23 marzo 1999.
- Costituzione, art. 68, primo comma.
(GU n.26 del 3-7-2002 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Cesare RUPERTO;
  Giudici:  Massimo  VARI,  Riccardo  CHIEPPA,  Gustavo  ZAGREBELSKY,
Valerio ONIDA, Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA,
Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria
FLICK, Francesco AMIRANTE;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  per  conflitto  di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto a seguito della delibera della Camera dei deputati del 23 marzo
1999  relativa  alla  insindacabilita'  delle  opinioni  espresse dal
deputato  Vittorio  Sgarbi nei confronti del dott. Giancarlo Caselli,
promosso  con  ricorso  della  Corte di appello di Roma notificato il
15 gennaio  2001,  depositato  in  Cancelleria  il  29  successivo ed
iscritto al n. 6 del registro conflitti 2001.
    Visto l'atto di costituzione della Camera dei deputati;
    Udito   nell'udienza  pubblica  del  23 aprile  2002  il  giudice
relatore Giovanni Maria Flick;
    Udito l'avvocato Roberto Nania per la Camera dei deputati.

                          Ritenuto in fatto

    1. - Nel  corso  del  giudizio  di  appello  proposto  avverso la
sentenza del Tribunale di Roma in data 28 ottobre 1998 - con la quale
il  deputato  Vittorio  Sgarbi era stato condannato alla pena di mesi
due  di  reclusione  per  il  reato di diffamazione aggravata a mezzo
stampa  ai  danni  del  dott.  Giancarlo  Caselli, con riferimento ad
alcune  espressioni ("Soltanto la mente perversa di alcuni magistrati
puo'  pensare  di  attribuire a Berlusconi l'associazione mafiosa 416
bis.  Loro  si'  mafiosi,  che  sequestrano  la Sicilia, arrivano dal
Piemonte  per  inquisire  i siciliani, corrompere la loro dignita!"),
pronunciate  in  occasione  di un comizio tenutosi il 27 marzo 1996 e
riportate  dalla  stampa  -  la Corte di appello di Roma ha sollevato
conflitto  di  attribuzione  fra poteri dello Stato in relazione alla
deliberazione della Camera dei deputati assunta il 23 marzo 1999. Con
tale  deliberazione  l'Assemblea, in accoglimento del parere espresso
dalla  Giunta  per  le  autorizzazioni  a  procedere  (doc. IV-quater
n. 65),   ha   dichiarato  che  i  fatti  per  i  quali  il  suddetto
parlamentare  era  sottoposto  al  procedimento  penale  in questione
concernevano  opinioni  espresse  dal  deputato Sgarbi nell'esercizio
delle  sue  funzioni,  ai  sensi  del  primo comma dell'art. 68 della
Costituzione.
    La  Corte  di  appello  -  dopo aver richiamato la giurisprudenza
costituzionale  relativa all'oggetto del conflitto di attribuzione ed
al  nesso  funzionale,  che  deve  intercorrere  tra  le  opinioni  e
l'attivita'  parlamentare - ha rilevato come, nel caso di specie, non
possa   ravvisarsi   alcun  nesso  di  tal  genere,  "stante  la  non
riscontrabilita'  di  connessione  con  atti  tipici  della  funzione
parlamentare,  in  quanto  non e' possibile individuare ...un intento
divulgativo  di  una  scelta  o,  piu'  in generale, di una attivita'
politico-parlamentare".  Al  contrario,  le dichiarazioni incriminate
avrebbero  "natura  di  insulto  personale" e sarebbero scollegate ed
estranee  rispetto  a  qualunque  valutazione  politica, come sarebbe
dimostrato  "dalla  loro genericita' e dalla carenza di riferimenti a
fatti   concreti,   specifici,   determinati".   La   Giunta  per  le
autorizzazioni  a  procedere  e  la Camera - ad avviso delle quali le
opinioni  sarebbero da ricondurre ad un contesto prettamente politico
ed  al  legittimo  diritto  di  critica  del  parlamentare,  sia pure
espresso  "in  forma paradossale e forse non conveniente" - avrebbero
omesso  di  considerare  che  "non  si puo' ricondurre nella funzione
parlamentare l'intera attivita' politica svolta dal deputato, perche'
tale  interpretazione  vanificherebbe  il  nesso  funzionale  di  cui
all'art. 68,  primo  comma,  della  Costituzione  e  comporterebbe il
rischio  di  trasformare  la prerogativa in un privilegio personale".
Invece,  "il fatto che si tratti di argomento politicamente rilevante
e  trattato in piu' occasioni da un deputato, non comporta di per se'
che ci si trovi in presenza di esercizio della funzione parlamentare,
da  ravvisare  solo  quando  tale  attivita'  sia  correlabile ad uno
specifico  atto  tipico".  Pertanto,  secondo  la  Corte  di  appello
ricorrente,  la  deliberazione della Camera esorbiterebbe dall'ambito
derogatorio   consentito  dall'art. 68  della  Costituzione:  con  la
conseguente  violazione  degli  artt. 101,  secondo comma, 102, primo
comma,  e 104, primo comma, Cost., che assegnano la titolarita' della
funzione  giurisdizionale alla magistratura e tutelano la legalita' e
l'indipendenza del suo esercizio; nonche' degli artt. 3, primo comma,
per   la  disparita'  di  trattamento  che  verrebbe  introdotta  tra
cittadini  e  parlamentari,  e 24, primo comma, della medesima Carta,
per   l'impossibilita'  della  parte  lesa  di  fruire  della  tutela
giurisdizionale, solo perche' e' stata offesa da un parlamentare.
    2. - Il  conflitto  e' stato dichiarato ammissibile con ordinanza
n. 9  del  2001  (depositata  il 4 gennaio 2001). Le notificazioni di
rito  sono  state  eseguite  il  15 gennaio  2001  ed  il conseguente
deposito e' stato effettuato il 29 gennaio 2001.
    3. - Nel  giudizio  si  e'  costituita  la  Camera  dei deputati,
depositando  documenti  e  svolgendo  deduzioni,  a conclusione delle
quali  ha  chiesto dichiararsi che spetta ad essa Camera affermare la
insindacabilita',  a  norma  dell'art. 68,  primo comma, Cost., delle
opinioni espresse dal deputato Vittorio Sgarbi in data 27 marzo 1996,
come  deliberato  dalla  Assemblea  della  Camera  medesima  in  data
23 marzo 1999.
    Viene  anzitutto ritenuta erronea la tesi della Corte ricorrente,
secondo  la  quale  la  sede "extraparlamentare e politica" in cui le
dichiarazioni  sono  state  rese renderebbe inoperante la prerogativa
sancita  dall'art. 68  Cost.: tesi in contrasto con la giurisprudenza
costituzionale  e  con  il  diverso  testo che compariva nell'art. 51
dello  Statuto.  Altro  assunto reputato erroneo e' quello secondo il
quale  non sarebbe dato di ravvisare nella specie un collegamento tra
un   pur   minimo   intento  divulgativo  e  un  "comportamento"  del
parlamentare, giacche' - osserva la Camera resistente - una "indagine
che  pretendesse  di  sindacare le motivazioni soggettive che abbiano
mosso  il  parlamentare a rendere le proprie dichiarazioni, resta del
tutto   ininfluente   ai   fini  della  applicazione  della  garanzia
costituzionale   della   insindacabilita'",  come  d'altra  parte  e'
possibile  desumere dalla stessa giurisprudenza costituzionale. E' al
contrario  corretta  -  sottolinea  la Camera - l'osservazione svolta
dalla  Giunta per le autorizzazioni a procedere, laddove segnala come
il   deputato   Sgarbi   abbia   rivolto   una  costante  attenzione,
nell'esercizio   del   sindacato   ispettivo  proprio  della  carica,
sull'operato  della  Procura  della Repubblica di Palermo; sicche' le
dichiarazioni  sub  iudice  vengono  a  porsi  "con tale attivita' in
rapporto  di conseguenzialita' logica e contenutistica", come d'altra
parte  testimoniano "le svariate interrogazioni avanzate dal medesimo
deputato",  che  la  stessa  Camera ha depositato ed illustrato. Come
emergerebbe  dalla  rassegna delle interrogazioni riportata nell'atto
di  costituzione, tra le dichiarazioni di cui alla impugnata delibera
di  insindacabilita'  e  le  prese  di posizione formalizzate in sede
ispettiva, non intercorrerebbe soltanto - ad avviso della Camera - un
"piu'  che  trasparente rapporto di comunanza tematica, ma una vera e
propria  identita'  di  impostazione  e  di  svolgimento dei medesimi
contenuti   critici".  Cio'  anche  in  riferimento  alla  "perifrasi
provocatoria, ossia quella che ricorre all'appellativo "mafiosi", che
peraltro  non  e'  di uso infrequente nella tecnica argomentativa del
parlamentare,  tant'e'  che  figura negli stessi atti ispettivi". Che
poi   non   vi   sia  perfetta  coincidenza  testuale  tra  gli  atti
parlamentari tipici e le dichiarazioni, e' circostanza non dirimente,
avendo  la  giurisprudenza  costituzionale  gia'  chiarito  come  sia
sufficiente  ai  fini  della garanzia della immunita' la "sostanziale
corrispondenza  di  significati".  Ne'  viene reputata convincente la
deduzione  della  Corte ricorrente, secondo la quale le dichiarazioni
in  questione  si  porrebbero  al di fuori della menzionata garanzia,
perche'  avrebbero  "natura  di  insulto personale": ove una siffatta
impostazione  fosse  condivisa,  sarebbero  introdotte  nel conflitto
"valutazioni  di  merito, relative cioe' alla fondatezza o meno delle
accuse  rivolte  al  parlamentare,  che devono restarvi rigorosamente
estranee". In ogni caso, osserva la Camera, non puo' ritenersi che la
forma  attraverso  la  quale  il  parlamentare ha espresso la propria
opinione   possa   precludere  la  garanzia  costituzionale,  ove  ne
ricorrano   i   presupposti,  giacche'  cio'  aprirebbe  il  varco  a
valutazioni  del  tutto soggettive ed opinabili. Ne' puo' convenirsi,
infine,   con   la   tesi  secondo  la  quale  la  estraneita'  delle
dichiarazioni  dalla  sfera  di  protezione  costituzionale,  sarebbe
dimostrata  "dalla  loro genericita' e dalla carenza di riferimenti a
fatti  concreti,  specifici, determinati": sia perche' il rinvio alle
denunce  operate  in  sede  ispettiva  deve  ritenersi implicito; sia
perche'  e'  proprio  la  prospettata  "genericita'"  delle  opinioni
espresse  -  conclude  la  Camera  -  a  "comprovarne,  ictu oculi il
carattere della insindacabilita'".
    Con  successiva memoria, depositata in prossimita' della udienza,
la Camera dei deputati ha riassunto e ribadito le argomentazioni gia'
svolte nell'atto di costituzione.

                       Considerato in diritto

    1. - La  Corte  di  appello  di  Roma  ha  sollevato conflitto di
attribuzione  fra  poteri  dello Stato nei confronti della Camera dei
deputati, in relazione alla delibera assunta il 23 marzo 1999, con la
quale  l'Assemblea,  in accoglimento del parere espresso dalla Giunta
per   le  autorizzazioni  a  procedere  (doc.  IV-quater  n. 65),  ha
dichiarato  che  i  fatti  per  i quali pendevano alcuni procedimenti
penali, promossi nei confronti del deputato Vittorio Sgarbi a seguito
di  querela  proposta dal dott. Giancarlo Caselli - fra i quali anche
il  procedimento  sottoposto  al  giudizio  della  Corte ricorrente -
concernevano   opinioni   espresse   da   un  membro  del  Parlamento
nell'esercizio  delle  sue  funzioni,  ai  sensi  dell'art. 68, primo
comma,  della  Costituzione. Come emerge dalla relazione della Giunta
per  le  autorizzazioni  a  procedere,  la  deliberazione  oggetto di
impugnativa  si  riferisce  ad  una  complessa  vicenda  processuale,
originata  da  alcune  frasi  - riportate nell'esposizione in fatto -
proferite  dal  deputato  Sgarbi  nel  corso  di  una  manifestazione
politica  svoltasi  il 27 marzo 1996 in Milano: frasi che, diffuse da
agenzie  di  stampa,  vennero  pubblicate da alcuni quotidiani, dando
origine   -   a  seguito  di  querela  proposta  dal  dott.  Caselli,
procuratore  della Repubblica presso il Tribunale di Palermo - a vari
procedimenti  penali  per il reato di diffamazione, pendenti anche in
gradi  diversi.  La  stessa  Giunta  non  manco'  di sottolineare, al
riguardo, come, pur nella varieta' delle singole vicende processuali,
le  stesse si riferissero al medesimo accadimento storico, costituito
dal  comizio  tenuto  dal deputato Sgarbi il 27 marzo 1996; sicche' -
indipendentemente   dalle   conseguenze   di   natura  processuale  o
sostanziale  che  a  tale  "fatto storico" erano ricollegate, in base
alla  normativa  vigente,  da  parte della autorita' giudiziaria - la
proposta formulata dalla stessa Giunta (poi approvata dall'Assemblea)
doveva "intendersi attinente a tutti i procedimenti pendenti", che da
quel  fatto  avevano  tratto  origine.  Fatto,  dunque,  che  restava
enucleato  dalle espressioni riprodotte sulla stampa e recepite nelle
imputazioni  elevate  a  carico  del deputato Sgarbi nel procedimento
pendente  dinnanzi  alla  Corte  ricorrente,  investita  a seguito di
gravame  interposto  avverso  la sentenza di condanna in primo grado,
allegata agli atti qui trasmessi dalla stessa Corte.
    Nel   merito   delle   doglianze,  la  ricorrente  sottolinea  in
particolare  come - al lume tanto della giurisprudenza costituzionale
che   di  quella  di  legittimita'  -  non  possano  essere  attratte
nell'alveo    della   prerogativa   della   insindacabilita'   quelle
manifestazioni   del  pensiero  che,  espresse  "in  comizi,  cortei,
trasmissioni  radiotelevisive  o durante lo svolgimento di scioperi",
non   presentino   alcun   collegamento  funzionale  con  l'attivita'
parlamentare,  se  non sul piano "meramente soggettivo" rappresentato
dal  fatto  di  provenire  da  persona fisica che e' anche membro del
Parlamento.  Nella  specie  -  afferma la ricorrente - le espressioni
contestate  al  deputato  Sgarbi  come  diffamatorie  non  potrebbero
ritenersi    collegate   funzionalmente   alla   sua   attivita'   di
parlamentare:   sia  per  l'occasione  ed  il  luogo  in  cui  furono
pronunciate;  sia  perche'  non sarebbe possibile individuare in tale
comportamento  "un sia pur minimo intento divulgativo di una scelta o
di  un'attivita' politico-parlamentare, quale una proposta di legge o
un'interrogazione o interpellanza, eccetera". La Camera dei deputati,
dunque,  accogliendo  la  proposta  della  Giunta  avrebbe  omesso di
considerare  che  non  si  puo' ricondurre alla funzione parlamentare
l'intera  attivita'  politica,  giacche',  altrimenti, la prerogativa
costituzionale   rischierebbe   di  trasformarsi  in  un  "privilegio
personale".   Le   dichiarazioni   del   deputato   Sgarbi,   quindi,
resterebbero  estranee  alla  sfera  della  insindacabilita',  avendo
natura  di  "insulto  personale" scollegato all'esercizio di funzioni
parlamentari, come sarebbe dimostrato "dalla loro genericita' e dalla
carenza di riferimenti a fatti concreti, specifici, determinati".
    2. - La  Camera  resistente reputa, al contrario, che dalle varie
interrogazioni   parlamentari   formulate   dal   deputato  Sgarbi  e
depositate  in  sede  di costituzione, emerga la fondatezza di quanto
gia'  osservato  dalla  Giunta  per  le autorizzazioni a procedere, a
proposito  della  "costante  attenzione" manifestata dal parlamentare
per  le  vicende  relative  alla procura della Repubblica di Palermo;
sicche',  tra  le  dichiarazioni  oggetto della impugnata delibera di
insindacabilita'  e  le  prese  di  posizione  formalizzate  in  sede
ispettiva,  non sarebbe ravvisabile soltanto un rapporto di comunanza
tematica,  ma  sarebbe possibile cogliere una identica impostazione e
lo  svolgimento  "dei  medesimi  contenuti critici". Ne' - sottolinea
ancora  la  Camera  -  potrebbe  farsi  leva, come argomenta la Corte
ricorrente,  sulla pretesa genericita' delle affermazioni per dedurne
la  non  riferibilita'  all'esercizio  della  funzione  parlamentare,
giacche',   per  un  verso,  cio'  riproporrebbe  l'esigenza  di  una
inaccettabile  "identita' burocraticamente testuale tra dichiarazioni
esterne  ed  atti parlamentari interni"; mentre, sotto altro profilo,
vi  sarebbe  da chiedersi se non sia proprio la pretesa "genericita'"
delle  opinioni espresse a dimostrare, di per se', il carattere della
loro  insindacabilita',  perche' intese a manifestare "il significato
essenziale  dell'impegno  svolto  in  sede  di  esercizio del mandato
parlamentare".
    3. - Il ricorso e' fondato.
    Come  questa  Corte ha avuto modo di affermare piu' volte - nella
ormai  consolidata giurisprudenza formatasi sul tema dei conflitti di
attribuzione  fra  autorita'  giudiziaria  e  Camere,  in ordine alla
applicazione   dell'art. 68,   primo   comma,  della  Costituzione  -
allorche'  le dichiarazioni, per le quali il parlamentare e' chiamato
a  rispondere  in  sede giurisdizionale, siano state rese, come nella
specie,   "del   tutto   al   di  fuori  di  un'attivita'  funzionale
riconducibile alla qualita' di membro della Camera, e del tutto al di
fuori  delle  possibilita'  di  controllo  e  di  intervento  offerte
dall'ordinamento  parlamentare,  l'unico punto da verificare riguarda
l'eventualita' che la dichiarazione medesima non rappresenti altro se
non  la  divulgazione all'esterno ... di un'opinione gia' espressa, o
contestualmente espressa, nell'esercizio della funzione parlamentare"
(v.,  fra  le  tante,  la sentenza n. 289 del 2001). Per poter dunque
ricondurre le dichiarazioni extra moenia al panorama delle "opinioni"
per    le    quali    opera    la   garanzia   costituzionale   della
irresponsabilita',  non  bastano - ha sottolineato questa Corte - ne'
la  semplice  comunanza  di argomenti, ne' l'identita' del "contesto"
politico  tra  quelle  dichiarazioni  ed  atti  tipici della funzione
parlamentare.  "Occorre,  invece,  che  la dichiarazione possa essere
qualificata  come  espressione  di  attivita'  parlamentare;  il  che
normalmente   accade   se  ed  in  quanto  sussista  una  sostanziale
corrispondenza  di  significati tra le dichiarazioni rese al di fuori
dell'esercizio   delle   attivita'  parlamentari  tipiche  svolte  in
Parlamento  e le opinioni gia' espresse nell'ambito di queste ultime"
(v., tra le altre, la sentenza n. 76 del 2001).
    Nella specie deve escludersi che alle dichiarazioni, per le quali
pende  il  procedimento penale davanti all'organo giurisdizionale che
ha  sollevato  il  conflitto,  possa  attribuirsi  siffatto carattere
divulgativo  di  una opinione parlamentare insindacabile. Gli atti di
sindacato ispettivo evocati e prodotti dalla difesa della Camera, non
evidenziano,  infatti, profili di sostanziale corrispondenza rispetto
alle  espressioni che formano oggetto delle imputazioni, per le quali
e'  stata  pronunciata  condanna  in  primo  grado  nei confronti del
deputato Sgarbi ed e' in corso di celebrazione il giudizio di appello
davanti  alla Corte ricorrente; essi esprimono - come ha sottolineato
la  relazione  della  Giunta  per  le  autorizzazioni  a  procedere -
null'altro che "il sintomo di una costante attenzione manifestata dal
deputato  Sgarbi,  nell'esercizio dell'attivita' ispettiva propria di
un  parlamentare,  sull'operato  della  Procura di Palermo", restando
invece  esclusa qualsiasi diretta attinenza con le "esternazioni" per
le  quali  pende  il  procedimento  in  questione. Tali esternazioni,
dunque,  sono  riconducibili  ad  un "contesto prettamente politico",
come  la  Giunta  riconosce;  ma  sono  prive  di un intimo raccordo,
contenutistico  e  funzionale,  con  l'esercizio  delle  attribuzioni
parlamentari,  le  quali  sole  legittimano e giustificano, sul piano
costituzionale, la garanzia della insindacabilita' che, erroneamente,
la Camera resistente ha nella specie ritenuto di affermare.
    Deve  dunque  concludersi  che la Camera dei deputati, nel votare
per  la insindacabilita' delle dichiarazioni di cui qui si tratta, ha
violato  l'art. 68,  primo  comma,  della Costituzione, e leso in tal
modo le attribuzioni della autorita' giudiziaria ricorrente.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara che non spetta alla Camera dei deputati deliberare che i
fatti  per  i quali e' in corso davanti alla Corte di appello di Roma
il  procedimento penale a carico del deputato Vittorio Sgarbi, di cui
al ricorso in epigrafe, concernono opinioni espresse da un membro del
Parlamento  nell'esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell'art. 68,
primo   comma,   della   Costituzione;  conseguentemente  annulla  la
deliberazione  in  tal senso adottata dalla Camera dei deputati nella
seduta del 23 marzo 1999.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 19 giugno 2002.
                       Il Presidente: Ruperto
                         Il redattore: Flick
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 26 giugno 2002.
               Il direttore della cancelleria:Di Paola
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