N. 371 ORDINANZA (Atto di promovimento) 1 marzo 2002
Ordinanza emessa il 1 marzo 2002 dal tribunale - sez. per il riesame di Palermo sulla richiesta proposta da Coniglio Maria Processo penale - Misure cautelari - Custodia cautelare in carcere - Obbligatorieta' in caso di precedenti penali per evasione - Possibilita' per il giudice di concedere la misura degli arresti domiciliari qualora ritenga siffatta misura adeguata a prevenire la reiterazione del reato e proporzionata all'entita' dello stesso - Esclusione - Lamentata automaticita' della misura cautelare - Irragionevolezza - Incidenza sul principio di garanzia giurisdizionale per le misure incidenti sulla liberta' personale, nonche' sul principio di tutela della salute. - Cod. proc. pen., art. 284, comma 5-bis. - Costituzione, artt. 3, 13 e 32.(GU n.35 del 4-9-2002 )
IL TRIBUNALE Vista la richiesta di riesame proposta dall'avv. Giuseppe Inzerillo nell'interesse di Coniglio Maria nata a Palermo il 12 settembre 1975; avverso l'ordinanza emessa dal Tribunale di Palermo, sez. III penale, in composizione monocratica in data 13 febbraio 2002; Udito il relatore all'udienza camerale del 20 febbraio 2002; Sciogliendo la riserva assunta all'esito della discussione; Ritenuta la propria competenza territoriale ex art. 309, comma 7, c.p.p.; Esaminati gli atti ritualmente inviati dall'a.g. procedente; Ritenuta l'ammissibilita' del gravame; Ha pronunciato la seguente ordinanza 1. - Con ordinanza del 13 febbraio 2002 il Tribunale di Palermo, sez. III penale (in composizione monocratica), ha applicato a Maria Coniglio la misura cautelare personale della custodia in carcere in presenza di gravi indizi di colpevolezza del delitto di furto aggravato, e dell'esigenza cautelare del pericolo di reiterazione criminosa specifica. Quanto alla scelta della misura da applicare, la custodia in carcere e' stata ritenuta l'unica idonea a presidiare l'anzidetta esigenza, pur a fronte della richiesta difensiva (formulata in sede di convalida dell'arresto in flagranza) di concessione degli arresti domiciliari, considerato che i precedenti penali dell'imputata per il delitto di evasione assumono carattere impeditivo, ai sensi dell'art. 284, comma 5-bis, cod. proc. pen., rispetto alla concessione della meno afflittiva misura della custodia domiciliare. Avverso tale ordinanza il difensore dell'imputata ha proposto richiesta di riesame a questo tribunale, ai sensi dell'art. 309 cod. proc. pen., chiedendo la caducazione e in subordine la riforma del provvedimento gravato. Il difensore non contesta, nei motivi di impugnazione, l'esistenza del fumus commissi delicti a carico della propria assistita per il reato contestatole, ne' pone questione alcuna circa la sussistenza del periculum libertatis ritenuto dal primo giudice, ma deduce unicamente la violazione dei principi di proporzionalita' ed adeguatezza nella scelta della misura, sanciti dall'art. 275, commi primo e secondo, del codice di rito penale, nonche' il contrasto tra la disposizione posta a fondamento della motivazione della scelta della misura carceraria (art. 284, comma 5-bis cod. proc. pen.), e gli articoli 3 e 101 della Costituzione, atteso che "l'automatismo derivante dall'obbligatoria applicazione dell'art. 284, comma 5-bis, c.p.p., che non consente al giudice della cautela di concedere gli arresti domiciliari, ancorche' ritenga siffatta misura adeguata a prevenire la reiterazione del reato e, comunque, proporzionata all'entita' del fatto commesso, obbligandolo ad infliggere la custodia cautelare in carcere al solo ricorrere di precedenti penali per il reato di evasione, costituisce un vulnus alla liberta' di apprezzamento del giudice dei requisiti di proporzionalita' ed adeguatezza, individuati dall'art. 276 c.p.p., in palese contrasto con i principi costituzionali degli artt. 3 e 101 Cost." (pag. 3 della richiesta di riesame). Deduce inoltre la difesa che "la mancata adozione di un regime cautelare modulato in ragione delle esigenze di salute dell'imputata, tossicodipendente ed affetta da H.I.V., ponendosi in contrasto con il dettato di cui all'art. 32 Cost., subordina la tutela delle stesse ad interessi certamente subvalenti ed estranei al fatto che di volta in volta viene in considerazione, essendo ugualmente precluso al giudice, quand'anche ritenesse le condizioni di salute dell'imputato incompatibili con lo stato di detenzione, l'adozione del regime degli arresti domiciliari se l'imputato e' stato condannato nel quinquennio precedente per il reato di evasione" (pag. 4 della richiesta di riesame). 2. - Osserva preliminarmente il collegio che, nonostante la specificita' dei richiamati motivi di impugnazione, la natura totalmente devolutiva del giudizio di riesame, il cui ambito cognitorio non e' delimitato dai motivi di gravame, impone al collegio, tanto ai fini dell'emissione di un provvedimento decisorio definitivo del giudizio, che in punto di valutazione della rilevanza delle prospettate questioni di legittimita' costituzionale, una verifica della sussistenza dei presupposti per l'applicazione della misura di cautela di cui si chiede la revoca. Quanto al fumus commissi delicti, appare preclusiva rispetto ad un sindacato nel merito da parte di questo tribunale l'intervenuta sentenza di applicazione della pena di mesi quattro di reclusione ed euro duecento di multa, pronunziata ex art. 444 cod. proc. pen. a carico dell'imputata per il fatto costituente titolo di reato nel procedimento cautelare de quo La Corte costituzionale, con la sentenza 15 marzo 1996, n. 71, ha infatti dichiarato la parziale illegittimita' degli artt. 309 e 310 c.p.p., nella parte in cui non consentono la rivalutazione dei sufficienti indizi di colpevolezza dopo il rinvio a giudizio, ma ha comunque fatto salva la preclusione derivante dall'intervento di una sentenza di condanna. Nella sentenza n. 6825 del 4 dicembre 1997 - 28 gennaio 1998, Vincenti, la I sezione della Corte di cassazione ha ulteriormente precisato che "In tema di misure cautelari personali, la rivalutazione del quadro indiziario e consentita anche dopo l'emissione del decreto che dispone il giudizio, ma non piu' dopo l'intervento di una decisione assorbente sul merito emessa dal giudice della cognizione, con la quale non potrebbe confliggere, per evidenti ragioni di certezza e di razionalita' del sistema, l'apprezzamento, eventualmente diverso, del giudice del procedimento incidentale de libertate. Non pare dubbio al collegio che la sentenza di applicazione di pena su richiesta, ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen., abbia - sotto il profilo in esame - la medesima efficacia preclusiva: sia in forza dell'espressa equiparazione normativa di cui all'art. 445, primo comma, ultima parte, cod. proc. pen., che non risulta derogata nel caso di specie; sia - sotto il profilo sostanziale - in considerazione della natura della delibazione rimessa al giudice che applica la pena, il cui onere motivatorio, pur strutturato "in negativo", non puo' prescindere dalle "prove della responsabilita'" (Corte costituzionale, sentenza 26 giugno 1990, n. 313), tanto che si spinge alla valutazione della congruita' della pena proposta rispetto ad un fatto di reato la cui sussistenza e' evidentemente presupposto implicito di tale valutazione di congruita'. Pertanto, alla luce degli indicati principi di diritto affermati dalla giurisprudenza, nel presente giudizio di riesame una nuova valutazione del fumus commissi delicti e' - prima ancora che incontestata nel merito - preclusa in rito dall'emissione della sentenza conclusiva del primo grado del giudizio di merito. 3. - Sul piano dei pericula libertatis va anzitutto rilevato che i plurimi precedenti penali - anche specifici - dell'imputata consentono di condividere il giudizio prognostico ritenuto dal primo giudice, nel senso dell'esistenza di un concreto ed attuale pericolo che l'odierna richiedente commetta delitti della stessa specie, ove non fosse a misura cautelare personale coercitiva. 4. - Il successivo passaggio del sindacato di questo tribunale riguarda la (congruita' della) scelta della misura applicata dal primo giudice. Osserva il collegio come la motivazione, sul punto, del provvedimento gravato, risulti dalla integrazione autografa, da parte dell'estensore, di un modulo prestampato di ordinanza applicativa di misure di cautela personale; in particolare il primo giudice, dopo aver cancellato la parte di motivazione (predisposta nel modulo) relativa alla riscontrata proporzionalita' della misura carceraria al fatto ed alla pena, ha aggiunto di proprio pugno il richiamo all'effetto preclusivo, rispetto alla concessione degli arresti domiciliari, del citato art. 284, comma 5-bis, cod. proc. pen. Secondo le tradizionali regole ermeneutiche, l'indicato dato testuale e' espressivo della convinzione del primo giudice circa la sproporzione tra la misura della custodia in carcere ed il reato di furto punito con una pena di quattro mesi di reclusione (che' altrimenti l'estensore non avrebbe cancellato la contraria affermazione gia' predisposta nel modulo utilizzato per la redazione del provvedimento), e ciononostante della necessita' di applicare detta misura, evidentemente sproporzionata per eccesso, stante la inapplicabilita' della meno afflittiva misura di custodia domiciliare per effetto del precedente per evasione. Al di la' della ricostruzione delle ragioni del giudizio posto a fondamento del provvedimento gravato, comunque propedeutica rispetto al sindacato sulla congruita' dello stesso, questo collegio ritiene, nel merito, di esprimere valutazioni di identico tenore. La ravvisata esigenza specialpreventiva, infatti, ben puo' essere tutelata con la misura degli arresti domiciliari, che se in assoluto puo' apparire eccessiva per prevenire il reato di furto, nel caso concreto e' invece l'unica idonea, giacche' i plurimi precedenti penali dell'imputata per il medesimo reato (furto) denotano come il rilevato pericolo sia di tale intensita' da non poter essere adeguatamente fronteggiato con obblighi non custodiali. Se, pero', misure meno afflittive appaiono inidonee a prevenire il periculum, la piu' afflittiva misura applicata (custodia cautelare in carcere), certamente idonea, e' sproporzionata per eccesso sia rispetto alla gravita' del fatto accertato, sia rispetto alla pena per esso applicata. Cionondimeno, questo tribunale non puo' procedere alla riforma del provvedimento impugnato, nel senso della sostituzione della misura della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari, che alla luce di quanto esposto sarebbe imposta dall'art. 275, secondo comma, cod. proc. pen., essendo tale opzione preclusa dalla medesima disposizione che ha vincolato il primo giudice all'applicazione di una misura ritenuta (dallo stesso giudice) non proporzionata. 5. - L'alternativa all'applicazione di una disposizione legislativa concretamente lesiva del principio di proporzionalita' e' data dallo scrutinio della legittimita' costituzionale della disposizione medesima. Ritiene pertanto il collegio che la questione di legittimita' costituzionale prospettata dalla difesa non sia manifestamente infondata, ancorche' vada diversamente individuato il parametro. La disposizione della cui legittimita' costituzionale si dubita - art. 284, comma 5-bis, cod. proc. pen. - e' stata inserita nel codice di rito penale dal decreto-legge 24 novembre 2000, n. 341 (convertito nella legge 19 gennaio 2001, n. 4), ed e' stata successivamente modificata dall'art. 5 dalla legge 26 marzo 2001, n. 4. In sede di commento a tale ultima modifica, che ha prodotto il testo attualmente vigente, la dottrina aveva rilevato come il legislatore avesse codificato, nelle forme del meccanismo presuntivo iuris et de iure, una valutazione di inidoneita' cautelare della misura degli arresti domiciliari per ipotesi che la giurisprudenza aveva gia' ritenuto rilevanti ai fini dell'applicazione della custodia domiciliare in luogo di quella carceraria, giudicando la condotta di evasione un elemento inequivocabilmente sintomatico della pericolosita' dell'imputato nella prospettiva del rispetto volontario degli obblighi connessi a detta misura. L'attuale formulazione della disposizione, caratterizzandosi per l'aggiunta al testo originario dell'avverbio "comunque", non lascia spazio ad una interpretazione in qualche modo tesa a salvaguardare un pur minimo spazio di valutazione discrezionale che, in sede giurisdizionale (e dunque, avuto riguardo al fatto concreto), consenta di superare in qualche modo la rigida presunzione legislativa (cio' che impedisce a questo collegio di operare una esegesi della disposizione medesima compatibile con il dettato costituzionale, si da evitare di sollevare l'incidente di costituzionalita). La stessa dottrina rilevava altresi come il riferimento alla precedente condanna per evasione riportata nel quinquennio dall'imputato, quale fatto legittimante l'operativita' della richiamata presunzione assoluta, non fosse accompagnato dall'indicazione del carattere della sentenza di condanna, se definitiva o meno: con la conseguenza, nel primo caso, che qui viene in considerazione (essendo stata applicata all'imputata la pena di mesi due e giorni ventisette, e poi - in continuazione - di ulteriori giorni sei, di reclusione per due episodi avvenuti lo stesso giorno, con sentenze ormai definitive), di ancorare una prognosi di inadeguatezza presunta ad un fatto verosimilmente risalente e, dunque, in concreto privo di utilita' - anzi, fuorviante, per una valutazione della idoneita' attuale della misura. 6. - Ciononostante, il collegio non ritiene di condividere l'assunto difensivo incentrato sulla pretesa violazione, ad opera della disposizione in esame, della disposizione costituzionale che garantirebbe il principio del libero convincimento del giudice. Il legislatore, infatti, ben puo', nell'esercizio della sua discrezionalita', porre al giudice canoni legali di valutazione piu' o meno intensi, senza che cio' implichi di per se una lesione delle prerogative costituzionali della giurisdizione (rectius: del principio del libero convincimento del giudice). Si pensi, nella materia in esame, alla presunzione legale di esclusiva adeguatezza della custodia in carcere posta dall'art. 275, terzo comma, del codice di rito, in relazione ad alcuni specifici titoli di reato (delimitazione che, come meglio si dira', ha l'effetto di consentire a tale presunzione di dettare una disciplina che comunque operi all'interno di un rapporto di proporzionalita' tra misura da applicare e fatto costituente il presupposto per l'applicazione della stessa). Il limite e' pero' dato dall'esigenza che il vincolo legale alla valutazione che si compie in sede giurisdizionale sia confome a ragionevolezza: nozione, quest'ultima, intesa sia nella suo significato di proporzionalita' delle scelte conseguenti, che sotto il profilo della attitudine a provocare una irragionevole parificazione di situazioni differenti. Per tale ragione ritiene il collegio che il parametro della questione in esame debba essere individuato negli artt. 3 e 13 della Costituzione, sotto un duplice profilo. 7. - In primo luogo, quanto alla disciplina costituzionale dei limiti legalmente opponibili all'esercizio della liberta' personale, la disposizione in esame, determinando l'applicazione di una misura di cautela personale coercitiva sproporzionata rispetto alla gravita' della condotta ed al suo trattamento sanzionatorio, comporta una compressione della liberta' personale dell'imputato (sotto il profilo del grado di afflittivita' della misura e, dunque, del grado di privazione dello status libertatis) non bilanciata da una ragionevole giustificazione. In particolare, non delimitando in alcun modo i titoli di reato sottoponibili al regime presuntivo, si finisce coll'equiparare irragionevolmente (il trattamento giuridico di) situazioni profondamente diverse. Si noti che l'odierna imputata, condannata a pena detentiva di quattro mesi per furto, soggiace al medesimo regime, sotto il profilo della scelta della misura da applicare, previsto per gli indagati ed imputati del delitto di partecipazione ad associazione per delinquere di tipo mafioso. Invero, pur nella diversita' strutturale delle relative disposizioni (l'art. 275, terzo comma, pone una presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere che esclude l'applicabilita' di altre misure; la disposizione in esame pone una presunzione assoluta di inadeguatezza degli arresti domicliari), la circostanza che nel secondo caso manchi del tutto una delimitazione dei reati cui applicare lo speciale regime presuntivo, determina la sottoposizione al medesimo risultato (l'applicazione della misura carceraria) pur in presenza di presupposti sostanziali, afferenti la gravita' del fatto e l'entita' della pena, assai diversi. Se si ha riguardo alla strumentalita' della misura di cautela rispetto al contenuto della decisione di merito (e, dunque, alla pena ritenuta in sentenza, a sua volta espressiva della gravita' del fatto), emerge l'irragionevolezza della compressione cautelare dello status libertatis del tutto svincolata da un legame di proporzionalita' con la gravita' del fatto e con l'entita' della pena prevista od irrogata per il fatto medesimo. Il rapporto di proporzionalita' deve infatti correre tra la misura cautelare ed il fatto costituente oggetto del giudizio cautelato: non gia', dunque, tra la forma di coercizione ed altro fatto di reato, estraneo all'oggetto del giudizio di cognizione e di quello incidentale de libertate, ed evocato unicamente quale parametro di una valutazione prognostica (presuntiva). Si noti, poi, che la disposizione in esame non preclude l'applicazione di misure meno afflittive, ne' di quella - piu' afflittiva - carceraria. La conseguenza di siffatta formulazione e' dunque che, in un caso come quello in esame, il giudice e' costretto a scegliere fra l'applicazione di una misura idonea, ma sproporzionata (come ha fatto il primo giudice nel provvedimento gravato), e l'applicazione di una misura inidonea, ma proporzionata (come avverrebbe se, per superare il divieto legale, si applicassero all'imputata obblighi non custodiali: soluzione che la dottrina ammette, pur se apparentemente preclusa dalla collocazione sistematica della disposizione in esame, come unica interpretazione possibile per salvare la gia' precaria ragionevolezza della disposizione medesima). In entrambi i casi, la preclusione di (una decisione giurisdizionale conseguente ad) un bilanciamento in concreto conduce ad una soluzione irragionevole, che necessariamente sacrifica (inevitabilmente ed inutilmente) uno dei valori in conflitto, che invece potrebbero essere entrambi bilanciati ove si consentisse al giudice di decidere la misura applicabile secondo gli ordinari parametri legali di proporzionalita' e di adeguatezza (art. 275, commi primo e secondo, cod. proc. pen.). La causa di un siffatto limite, insuperabile in via interpretativa, risiede nel fatto che al giudice e' negata la delega di bilanciamento in concreto, normalmente rimessa - a garanzia della ragionevolezza della disciplina - al soggetto chiamato ad applicare la legge, sia egli il giudice (Corte costituzionale, sentenza n. 100 del 1981) o l'amministrazione (Corte costituzionale, sentenza n. 388/1992). L'impossibilita', per il legislatore, di disciplinare tutte le mutevoli situazioni di fatto e di graduare in astratto e in anticipo le "limitazioni poste all'esercizio dei diritti", e' un'affermazione contenuta in una giurisprudenza costituzionale (sentenze 2/1956 e 121/1957) definita "storica" dalla dottrina, che ha pure rilevato come il limite intrinseco alla "condizione esistenziale del legislatore", rappresentato dalla "non raggiungibile varieta' del concreto" (sentenza 644/1988), non puo' non riflettersi sul modo di operare del giudizio di legittimita': non si tratta di sovvertire, nel merito, la relazione posta dal legislatore tra gli interessi antagonisti, ma piuttosto di sostituire la regola legale censurata con una diversa regola (non creativa di un diverso ordine di valori, ma) attributiva della competenza - altrimenti esclusa dalla presunzione - ad attuare la legge. Come ha osservato la dottrina, il percorso della giurisprudenza costituzionale in tema di bilanciamento "in concreto" o "differito", quale garanzia di ragionevolezza, oscilla tra sentenze di accoglimento, e decisioni contenenti letture adeguatrici delle disposizioni censurate. Nel caso in esame la perentorieta' del dato testuale, conseguente anche al rafforzamento in tal senso operato dalla richiamata modifica, non lascia alcuno spazio ad una soluzione in via interpretativa dell'irragionevole stallo cui conduce la rigidita' della presunzione legale. La Corte costituzionale ha del resto censurato, proprio sotto l'indicato profilo della irragionevolezza dell'automatismo legale - ancorche' in relazione al (parzialmente) diverso parametro che in quel caso veniva in considerazione -, l'analoga disposizione che sanciva la sospensione automatica della detenzione domiciliare in conseguenza di una semplice denunzia per il reato di evasione a carico dell'imputato, senza che il magistrato di sorveglianza potesse delibare la fondatezza della denunzia medesima, e - soprattutto - senza che potesse bilanciare le esigenze connesse a tale sopravvenienza rispetto a quelle poste a fondamento della concessione del beneficio, di natura "umanitaria ed assistenziale", nonche' rispetto alle condizioni di salute (parametro che, come si dira', viene in considerazione anche in questo caso) del condannato (sentenza 173 del 1997). 8. - Da altra angolazione (costituente, peraltro, un differente aspetto del medesimo problema), puo' affermarsi che non appare rispettata, dalla disposizione in esame, la garanzia della riserva di giurisdizione in materia di privazione della liberta' personale. Il significato di tale riserva non e', infatti, unicamente quello di escludere l'intervento di altri poteri dello Stato dalla competenza ad emettere provvedimenti restrittivi della liberta' personale, ma e' altresi' quello di assicurare che nella concreta applicazione della disciplina legislativa che regola le restrizioni dello status libertatis si compia una valutazione relativa all'accertamento della effettiva sussistenza dei presupposti legittimanti le restrizioni medesime. Cosi' come, da autorevole dottrina, la riserva di amministrazione e' configurata come riserva di procedimento amministrativo, e dunque come necessita' che determinati atti siano preceduti dall'acquisizione di fatti ed interessi (essendo la procedimentalizzazione, cosi' intesa, garanzia di ragionevolezza dell'agire del pubblico potere), allo stesso modo puo' affermarsi che la riserva di giurisdizione, specie in materia di restrizioni della liberta' personale, non possa e non debba essere intesa come mera riserva di competenza formale ad emettere provvedimenti dal contenuto predeterminato per legge, senza possibilita' alcuna di riempire tale contenuto attraverso una valutazione concreta e sostanziale dei fatti e degli interessi, dovendo essere piuttosto intesa come riserva di procedimento giurisdizionale, nel quale il giudice possa acquisire i fatti e gli interessi rilevanti per la decisione, eventualmente orientata - ma non rigidamente prederminata - da parametri legali. Gia' nella sentenza n. 11 del 1956 la Corte costituzionale chiariva che il provvedimento dell'autorita' giudiziaria - in materia di riserva di giurisdizione ex art. 13, secondo comma, Cost. - ha la funzione di indicare le ragioni che legittimano la privazione della liberta' personale: ragioni che non puo' indicare un giudice che, pur riconoscendo che non v'e' motivo reale e concreto per disporre la massima forma di restrizione, sia tuttavia obbligato dalla legge a disporla (come ha fatto nel caso in esame il primo giudice). Che la garanzia della riserva di giurisdizione copra anche l'adozione di provvedimenti che comportino una sostanziale modificazione nel grado di privazione della liberta' personale (e, dunque, nel caso in esame, nella scelta della misura coercitiva da applicare), e' chiaramente affermato dalla sentenza n. 349 del 1993. La violazione della riserva di giurisdizione costituisce dunque il secondo profilo della questione, incentrata sulla irragionevole compressione della liberta' personale per effetto della presunzione legale assoluta posta dalla disposizione in esame. 9. - Infine, appare non manifestamente infondato pure il dubbio di costituzionalita' relativo al parametro costituito dall'art. 32 della Costituzione. In dottrina si e' rilevato come la disposizione censurata lasci insoluto il problema del rapporto tra la presunzione legale di inadeguatezza degli arresti domiciliari ed il trattamento da riservare alle categorie di soggetti di cui all'art. 275, commi 4 e 4-bis cod. proc. pen., fra i quali le persone affette da A.I.D.S., cui non puo' essere applicata (salvo, anche qui, un bilanciamento in concreto con esigenze cautelari di eccezionale rilevanza) la custodia cautelare in carcere. Orbene, essendo il citato art. 275 disposizione di carattere generale in materia di scelta delle misure cautelari da applicare, non pare che si possano configurare come norme speciali (rispetto all'art. 284, comma 5-bis) le disposizioni in esso contenute a tutela della salute di alcune categorie di persone: con la conseguenza che la presunzione legale in esame dovrebbe assumere valore assoluto - in quanto non derogata da norme speciali - anche nell'ipotesi in cui il divieto di arresti domiciliari da essa stabilito comporti l'applicazione della misura carceraria a chi e' in condizione di salute incompatibili con il regime detentivo, senza che peraltro sussistano esigenze di cautela (che il giudice non puo' evidentemente apprezzare) tali da imporre tale sacrificio. Del resto, ubi lex voluit, dixit: l'art. 276, comma 1-bis, cod. proc. pen., in tema di applicazione della custodia in carcere in caso di trasgressione delle prescrizioni inerenti gli arresti domicliari, spezza l'automatismo dell'analoga presunzione legale (introdotta anch'essa dal d.l. n. 341/2000) proprio per le categorie di soggetti di cui all'art. 275, comma 4-bis. E', questo, oltre che un argomento per escludere l'esistenza nel caso in esame di una disposizione speciale a tutela della salute, anche un evidente, ulteriore profilo di disparita' di trattamento fra situazioni assolutamente identiche, atteso che un bilanciamento fra esigenze di cautela (del processo e) della collettivita' ed esigenze di salute dell'imputato e' possibile ove questi abbia effettivamente trasgredito le prescrizioni inerenti gli arresti domicliari (in altre parole: sia evaso), ma non anche quando si valuti (preventivamente e presuntivamente) che egli potra' in futuro trasgredirle per essere stato in precedenza (e nell'ambito di diverso procedimento) condannato per evasione: dunque il bilanciamento con il diritto alla salute e' possibile nel caso di trasgressione accertata, ma non in quello (in cui meno forte e' l'esigenza sottesa alla tutela dell'interesse antagonista) di trasgressione presunta. Orbene, risulta dagli atti che in sede di udienza di convalida dell'arresto la difesa ha prodotto certificazione medica a sostegno dell'affermazione relativa alle condizioni di salute dell'imputata, affetta da sindrome da H.I.V. Il collegio non puo' tuttavia vagliare la compatibilita' tra le condizioni di salute dell'imputata ed il regime carcerario, ne' puo' valutare il grado delle esigenze di cautela in un ottica di bilanciamento con le esigenze di salute della predetta, essendogli preclusi entrambi i piani d'indagine dall'assolutezza della formulazione della disposizione censurata. 10. - Cio' detto in relazione al requisito della non manifesta infondatezza della questione, in punto di rilevanza si e' gia' chiarito come la disposizione censurata abbia, nella concreta fattispecie in esame, efficacia direttamente impeditiva dell'applicazione della misura cautelare degli arresti domicliari, ritenuta da questo collegio idonea a tutelare le esigenze di cautela ravvisate e proporzionata al fatto di reato per cui si procede (ed alla pena per esso applicata). L'applicazione di tale disposizione e' pertanto imprescindibile nel presente giudizio, non potendosi applicare una misura meno afflittiva perche' - come gia' osservato - priva del requisito della idoneita' (essendo inadeguata per difetto), ne' potendosi confermare quella piu' afflittiva della custodia in carcere, sproporzionata per eccesso. Analogamente, il presupposto della rilevanza si pone pure rispetto alla (documentata) presenza di una delle condizioni di salute tutelate dalla disposizione generale di cui all'art. 275 cod. proc. pen., ma non considerate dalla disposizione in esame, che preclude un bilanciamento delle esigenze di cautela con quelle (documentate) connesse alla tutela della salute dell'imputata, con conseguente violazione dell'art. 32 della Costituzione. 11. - Occorre pero' porsi il problema della rilevanza anche in una prospettiva diacronica, legata all'efficacia della misura in atto applicata al tempo della decisione della questione. Detta misura potrebbe infatti, nelle more del giudizio di costituzionalita', perdere efficacia o perche' modificata o revocata dall'a.g. procedente, o per effetto proprio della sospensione del procedimento di riesame conseguente alla instaurazione dell'incidente di costituzionalita'. Puo' anzi affermarsi con ragionevole sicurezza che allorche' la questione dovesse essere decisa nel merito, l'imputata non si trovera' piu' in regime di custodia cautelare. In questo senso milita anzitutto il rilievo che il termine massimo previsto in relazione al titolo di reato ritenuto in sentenza e' considerevolmente inferiore alla media della durata dei giudizi di legittimita' costituzionale in via incidentale. D'altra parte, come si e' detto, l'a.g. procedente potrebbe dichiarare inefficace l'ordinanza applicativa della misura carceraria per effetto del decorso del termine ex art. 309, commi 9 e 10, cod. proc. pen. La giurisprudenza di legittimita' e' infatti divisa, circa la sorte della misura di cautela in atto, fra un orientamento che intende la sospensione del procedimento conseguente alla proposizione di un giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale come riferita anche al termine di cui all'art. 309, commi 9 e 10, cod. proc. pen. (Cass., sez. I, 3 giugno - 3 luglio 1992, Gelli; Cass., sez. VI, 5 giugno - 7 luglio 1992, Ribatti; Cass., sez. I, 15 ottobre - 3 dicembre 1993, Dona'; Cass., sez. I, 17 maggio - 16 giugno 1994, Prina), ed un indirizzo secondo cui la sospensione del procedimento per la proposizione di una questione di legittimita' costituzionale non e' idonea ad impedire la decorrenza dei termini perentori previsti dal citato art. 309, con la conseguenza che va dichiarata la perdita di efficacia della misura applicata allo scadere del suddetto termine, in assenza di una tempestiva decisione sul merito del riesame (Cass., sez. I, 18 ottobre - 19 novembre 1993, Mamone; Cass., sez. II, 14 febbraio - 10 aprile 1996, Abruzzese; Cass., sez. I, 4 aprile - 23 maggio 1996, De Fino; Cass., sez. I, 4 aprile 1996, Zoffreo, non massimata). Ove invece si aderisse al (relativamente) piu' risalente - e piu' rigoroso (per la tutela delle esigenze specialpreventive della collettivita) - orientamento che estende al termine di (in) efficacia della misura di cautela gravata la sospensione conseguente all'incidente di costituzionalita', le cose non muterebbero, considerato che la durata media dei tempi di quest'ultimo giudizio e', come detto, comunque superiore al termine massimo di durata previsto in relazione al commesso reato. Nello specifico caso in esame, poi, essendo stata l'indagata condannata a pena detentiva pari a mesi quattro di reclusione, e non potendo la misura di cautela personale avere durata maggiore della pena irrogata, la rilevanza verrebbe comunque meno (ove non si considerasse l'interesse ulteriore, parimenti tutelato dall'impugnazione de libertate, di cui si sta per dire) nelle more del giudizio di costituzionalita', che difficilmente potrebbe concludersi nei quattro mesi dall'applicazione della misura, con la conseguenza che anche ove si sospendesse il termine ex art. 309, commi 9 e 10, cod. proc. pen., lo stato detentivo verrebbe comunque meno prima del giudizio di costituzionalita' della norma censurata. Occorre allora interrogarsi circa l'interesse dell'imputata al giudizio di riesame (nel quale dovra' applicarsi la disposizione censurata), e sulla conseguente rilevanza perdurante della questione sollevata, pur a seguito della (eventuale) declaratoria di inefficacia della misura applicata, per effetto della proposizione del giudizio incidentale di legittimita' costituzionale, ovvero per scadenza del termine massimo, da parte dell'A.G. procedente. Secondo un primo indirizzo giurisprudenziale, la regola "espressa dall'art. 568 c.p.p., applicabile, per il suo carattere generale, anche al regime delle impugnazioni avverso provvedimenti de libertate, implica che solo un interesse pratico, concreto ed attuale della parte impugnante e' idoneo a legittimare la richiesta di riesame di una misura cautelare personale, con la inevitabile conseguenza che e' da ritenere insussistente l'interesse predetto quando la misura stessa, per scadenza del termine o per revoca successiva, abbia perduto la sua efficacia, venendo, in tal caso, a mancare l'attualita' dell'interesse, che e' cosa diversa dalla mera possibilita', futura ed eventuale, che la parte impugnante possa invocare, in altra sede, la riparazione per ingiusta detenzione" (Cass. sez. V, 29 novembre 1994 - 10 gennaio 1995, Di Vita; nello stesso senso Cass., sez. VI, 20 settembre 1995 - 13 ottobre 1995, Di Benedetto). Si sostiene poi, da un punto di vista di teoria generale, che un interesse di carattere meta-processuale alla pronunzia giurisdizionale (nella misura in cui l'impugnazione miri ad evitare conseguenze extrapenali pregiudizievoli ovvero ad assicurarsi effetti extrapenali piu' favorevoli), fondato sul principio di unitarieta' dell'ordinamento giuridico (Cass., sez. VI, 30 marzo 1995 - 17 giugno 1995, Stella), in tanto puo' rivestire giuridica rilevanza in quanto abbia ad oggetto il giudizio di merito, essendo quello cautelare un giudizio incidentale strutturalmente condizionato dalla clausola rebus sic stantibus, oltreche' da una cognizione necessariamente sommaria, dal quale non puo' derivare quell'efficacia di giudicato necessaria affinche' il richiamato principio possa operare, ma unicamente un giudicato endoprocedimentale del tutto irrilevante sul piano extraprocessuale. Tuttavia, va rilevato il superamento, ad opera della piu' recente giurisprudenza di legittimita', dell'orientamento giurisprudenziale poc'anzi richiamato, e la conseguente affermazione che in materia di misure cautelari personali coercitive l'interesse dell'indagato alla riparazione per ingiusta detenzione legittima il riconoscimento in capo al medesimo di una posizione soggettiva, giuridicamente tutelata, al gravame avverso il provvedimento applicativo, anche ove gli effetti di questo siano cessati, quando si deduca la sussistenza delle condizioni generali di applicabilita' della misura (Cass., sez. VI, 25 gennaio - 11 febbraio 1999, Carelli; Cass., sez. VI, 23 febbraio27 aprile 1999, Tacchini; Cass., sez. IV, 15 dicembre 1999-22 gennaio 2000, Girardi). Ovviamente, l'interesse ad una simile pronunzia non puo' che investire anche il profilo della scelta della misura (custodiale o meno) applicata, essendo il grado di afflittivita' della misura direttamente proporzionale alla corrispondente compressione dello status libertatis. D'altra parte, e' evidente che, ove si riconoscesse - per effetto dell'abrogazione della norma censurata - l'esistenza del potere discrezionale del giudice di applicare una misura levior rispetto a quella della custodia domiciliare, in quanto piu' adeguata ab initio al caso concreto nonche' meglio proporzionalita' al fatto ed alla pena, si ammetterebbe - in considerazione della natura del giudizio di riesame che la meno afflittiva misura (non custodiale) avrebbe dovuto essere applicata gia' dal primo giudice. Non essendo quello della permanenza in vinculis il metro della rilevanza, bensi' quello dell'interesse ad una decisione sulla sussistenza ab initio delle condizioni di applicabilita' della misura di cautela (non ultima, quella dell'adeguatezza e della proporzionalita' incidente sulla scelta della misura medesima), deve concludersi per la rilevanza della questione anche a seguito della declaratoria di inefficacia della custodia cautelare in carcere conseguente - direttamente od indirettamente - alla proposizione della questione di legittimita' costituzionale. Diversamente argomentando, peraltro, mai una questione di legittimita' costituzionale, relativa ad una disposizione regolante i presupposti di applicabilita' delle misure di cautela personale, potrebbe essere sollevata - per difetto strutturale di rilevanza - nell'ambito di un giudizio di riesame. Si verificherebbe, in altre parole, un fenomeno di sottrazione al controllo di costituzionalita' analogo a quello riscontrato in materia di norme penali di favore: "Norme sicuramente applicabili nel giudizio a quo, in ordine alle quali si producessero dubbi di legittimita' costituzionale, non ritenuti dal giudice manifestamente infondati, rischierebbero di sfuggire ad ogni sindacato della Corte, non essendo mai pregiudiziale la loro impugnazione; e la Corte stessa verrebbe in tal senso privata - quanto meno nei giudizi instaurati in via incidentale - di ogni strumento atto a garantire la preminenza della Costituzione sulla legislazione statale ordinaria" (Corte costituzionale, sentenza 148 del 1983). Sussistono pertanto le condizioni per sollevare, nei termini indicati, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 284, comma 5-bis del codice di procedura penale, in relazione agli artt. 3, 13 e 32 della Costituzione. 12. - Quanto alle statuizioni relative allo status libertatis dell'imputata, nessuna decisione deve essere allo stato presa da questo collegio, atteso che, come gia' osservato, spetta all'A.G. procedente valutare la sussistenza o meno delle condizioni di validita' e di efficacia del titolo cautelare, anche in relazione all'eventuale inefficacia conseguente dalla mancata decisione, nel merito, del riesame entro il termine di dieci giorni dalla ricezione degli atti, a causa della proposizione dell'incidente di costituzionalita' (Cass., SS.UU., 17 aprile 1996, Vernengo)
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Solleva la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 284, comma 5-bis del codice di procedura penale, in relazione agli artt. 3, 13 e 32 della Costituzione; Dispone la sospensione del procedimento e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Mantiene ferma a carico di Coniglio Maria la misura cautelare della custodia in carcere; Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata all'imputata, al difensore e al pubblico ministero, nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri, e che venga altresi comunicata al Presidente della Camera dei deputati e al Presidente del Senato della Repubblica. Cosi' deciso in Palermo, nella camera di consiglio del 20 febbraio 2002. Il Presidente facente funzioni-estensore: Tulumello IL TRIBUNALE Vista la richiesta di riesame proposta dall'avv. Giuseppe Inzerillo nell'interesse di Coniglio Maria, nata a Palermo il 12 settembre 1975, avverso l'ordinanza emessa dal Tribunale di Palermo - III sezione penale, in composizione monocratica, in data 13 febbraio 2002; Udito il relatore all'udienza camerale del 20 febbraio 2002; Sciogliendo la riserva assunta all'esito della discussione; Ritenuta la propria competenza territoriale ex art. 309, comma 7, c.p.p.; Esaminati gli atti ritualmente inviati dall'a.g. procedente; Ritenuta l'ammissibilita' del gravame; Ha pronunciato il seguente dispositivo: Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Solleva la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 284, comma 5-bis del codice di procedura penale, in relazione agli artt. 3, 13 e 32 della Costituzione; Dispone la sospensione del procedimento e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Mantiene ferma a carico di Coniglio Maria la misura cautelare della custodia in carcere; Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata all'imputata, al difensore e al pubblico ministero, nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri, e che venga altresi' comunicata al Presidente della Camera dei deputati e al Presidente del Senato della Repubblica. Cosi' deciso in Palermo, nella camera di consiglio del 20 febbraio 2002.; Il Presidente facente funzioni-estensore: Tulumello 02C0821