N. 438 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 luglio 2002

Ordinanza  emessa  il  18  luglio  2002  dal  tribunale di Modena sui
ricorsi  riuniti  proposti  da  A.C.E.R.  di  Modena  contro Piconese
Francesco ed altri

Edilizia  popolare,  economica  e sovvenzionata - Alloggi di edilizia
  pubblica  assegnati  in  locazione  -  Rilascio  per  morosita' del
  conduttore - Possibilita' per l'ente assegnante di avvalersi di uno
  speciale  procedimento  di  ingiunzione  e sfratto - Ingiustificata
  disparita'  di  trattamento  normativo  e  processuale in danno dei
  conduttori   di   alloggi   popolari,  rispetto  ai  conduttori  di
  abitazioni private - Violazione del diritto di agire e resistere in
  giudizio.
- Regio decreto 28 aprile 1938, n. 1165, art. 32.
- Costituzione, artt. 3 e 24.
(GU n.40 del 9-10-2002 )
                            IL TRIBUNALE

    Il  giudice  tabellarmente  preposto alla trattazione e decisione
delle  controversie  di  cui all'art. 447-bis c.p.c., previa riunione
dei  ricorsi  proposti da Azienda Casa Emilia Romagna della provincia
di  Modena  (A.C.E.R.),  contro  Piconese  Francesco, Grandi Roberta,
Piconese  Gaetano,  Celardo  Antonio,  Masullo  Fiorentina,  Cervonme
Antonietta, Conte Salvatore, Conte Barbara, Roncaglia Bruno, Dichiera
Daniele, Castaldo Giorgio e Righinolo Anna inquilini degli alloggi di
proprieta'  del  comune di Modena, tutti morosi, in misura varia, nel
pagamento  delle  rate  del  canone  di  locazione, per ingiunzione e
sfratto,  dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 32, r.d.
28 aprile 1938, n. 1165, per violazione degli articoli 3 e 24 Cost.;
    L'art. 32   r.d.  cit.  attribuisce,  per  ius  singularae,  agli
istituti  autonomi  delle  case  popolari,  "nelle ipotesi di mancato
pagamento  di  rate  di  fitto",  il  diritto  di chiedere lo sfratto
dell'inquilino  moroso  con  ricorso da rivolgere al conciliatore, al
pretore  o  al presidente del tribunale, previa attestazione da parte
del  presidente  dell'istituto  "della  morosita' dell'inquilino". Il
comma  3  prevede,  poi, che, il giudice, mediante decreto apposto in
calce al ricorso, ingiunga al debitore di pagare, entro il termine di
quaranta  giorni dalla notificazione, "trascorso il quale, in caso di
inadempienza, si procede allo sfratto".
    Preliminarmente, quanto, alla competenza per materia all'adozione
dell'ingiunzione,  sembra  che  correttamente  debba  richiamarsi  il
criterio  di  riparto  (come pure il rito) previsti dall'art. 447-bis
c.p.c.,  che  ha  introdotto  un rito uniforme per le controversie di
locazione  (o  ad  esse  assimilate)  di  immobili  urbani, c.d. rito
locatizio,  concentrandola,  dopo  la  soppressione  dell'ufficio  di
pretura  di  cui  al decreto legislativo n. 51/1998), in capo al solo
tribunale  in  formazione  monocratica;  esclusa  ogni competenza del
giudice di pace, come suggerisce la migliore dottrina.
    Non  sembra  esservi  dubbio  sul  fatto  che  il rapporto che si
instaura   dopo  l'assegnazione  dell'alloggio  tra  assegnatario  ed
istituto  autonomo,  conclusa  la  fase pubblicistica, abbia natura e
consistenza  di  locazione  e  sia  pertanto soggetto alla disciplina
sostanziale  di  tale  contratto, fatte salve le peculiarita' proprie
del  rapporto,  che  non sembrano, peraltro, in grado di alterarne la
causa.   Il  profilo  sembra  fosse  gia'  normativamente  desumibile
dall'art. 26  lettera  b)  legge  n. 392/1978 (oggi peraltro abrogato
dall'art. 14   legge   n. 431/1998),   che  esonerava  dal  campo  di
applicazione  del  capo  I  della  legge  c.d.  sull'equo  canone  le
locazioni  "relative  ad  alloggi  costruiti  a  totale  carico dello
Stato". Il principio costituisce poi il presupposto della sentenza di
rigetto di Corte costituzionale 19 novembre 1991, n. 419.
    La  riferita  decisione, reiettiva dell'eccezione di legittimita'
costituzionale dell'art. 32 r.d. n. 1165/1938 sollevata dal tribunale
di  Roma  con  ord.  29 giugno  1990  (est. Lazzaro), ritenuta la non
perfetta  adeguatezza della normativa in questione al diritto sociale
di    abitazione,    invece,    di    convenire   sull'illegittimita'
costituzionale  sollevata  della  datata disciplina normativa, forni'
un'interpretazione costituzionalmente adeguatrice.
    Secondo la Corte, il perseguimento di scopi di pubblico interesse
da  parte  degli  istituti  autonomi  giustificava  la  diversita' di
trattamento  normativo  e  di tutela processuale tra inquilini di una
privata  abitazione  ed  inquilini non abbienti cui venivano concesse
abitazioni  a  canoni  non  remunerativi. Dato atto di cio', la Corte
indirizzava   un   monito  al  legislatore  affinche'  riformasse  la
normativa   in   oggetto  "con  altra  piu'  rispettosa  dell'odierna
rilevanza  costituzionale  del diritto di abitazione", proponendo per
intanto  la  riferita  interpretazione  adeguatrice  da  sperimentare
nell'eventuale  fase  susseguente  di  opposizione,  che  l'inquilino
moroso puo' esperire.
    Ebbene,  a  distanza  di  oltre  dieci anni dal riferito "monito"
costituzionale  al  legislatore  ordinario  per  l'adeguamento  della
disciplina  processuale,  la  situazione  non  e' stata in alcun modo
innovata,  di talche' gli Istituti autonomi case popolari ben possono
continuare  ad  avvalersi  del  procedimento speciale di che trattasi
(ben  s'intende  in alternativa agli strumenti processuali di diritto
comune)  e,  pertanto,  sembra  piu'  che  mai legittimo continuare a
dubitare  della  legittimita'  costituzionale della normativa de qua,
come gia' fece il tribunale di Roma.
    Assodato  che  il rapporto che con il procedimento di cui all'art
32  cit. l'ente pubblico vuole risolvere ha natura di locazione, v'e'
da  domandarsi  se  una diversita' di trattamento (ex articoli 3 e 24
Cost.) tra conduttori privati e conduttori pubblici sia giustificata,
bastando   a   salvare  la  procedura  in  oggetto  l'interpretazione
costituzionalmente   adeguatrice   fornita   dalla   citata  sentenza
costituzionale  e  riferita  al  giudizio  di opposizione. Secondo la
Corte,  in caso di opposizione proposta dal conduttore, "l'esecuzione
sarebbe sospesa non su istanza ma su semplice presentazione dell'atto
introduttivo, per decreto e non con ordinanza e soprattutto quando la
gravita'   concerne  non  i  motivi  ma  il  caso  inteso  nella  sua
globalita'".  Diventando necessario, secondo il pensiero della Corte,
e  non  solo  opportuno,  per il giudice dell'opposizione, sospendere
l'esecutivita'  del  decreto, che, diversamente da quanto avviene nel
procedimento  ordinario  ex  art. 649  c.p.c., diverrebbe in tal caso
ormai ordinaria regola del giudicare.
    Peraltro,  questo modo di ragionare, sembra stranamente invertire
gli  elementi  del  giudizio  (di  costituzionalita) che la Corte era
stata  chiamata  ad  effettuare.  Nel senso che, prima di fornire una
lettura  costituzionalmente  adeguata  del  giudizio  di opposizione,
successivo  alla  pronunzia  del  decreto  d'ingiunzione  e  sfratto,
sarebbe   stato   necessario  domandarsi  se,  rebus  sic  stantibus,
l'inquilino  di  un alloggio economico popolare ben potesse proporre,
appunto, opposizione a tale provvedimento esecutivo di sfratto, senza
che  alcuna lesione dei suoi diritti di difesa in giudizio rischiasse
di verificarsi.
    Ebbene, non sembra dubitarsi che quest'ultimo inquilino, in forza
proprio  della previsione dell'art. 32 r.d. cit., venga a trovarsi in
una condizione deteriore, oltre che diversa, rispetto a quella in cui
si   trovi   ogni  altro  inquilino  di  un'abitazione  privata  (con
conseguente   lesione   dell'art. 3   Cost.),   senza   che  sussista
un'adeguata  giustificazione  di tale disparita' di trattamento; come
pure,  che  il  medesimo conduttore sconti pure il rischio di neppure
potersi  difendere  contro il decreto d'ingiunzione e sfratto, per le
considerazioni che dianzi si esporranno.
    Innanzitutto,  ogni  altro  conduttore  moroso  nel pagamento dei
canoni,  prima  di  essere  sfrattato,  ossia  prima  della pronuncia
dell'ordinanza di convalida, beneficia di congrue garanzie difensive,
peraltro,  recentemente  potenziate  ed  accresciute, dopo le riforme
processuali degli anni 90-95.
    Innanzitutto,  lo  stesso viene convenuto in giudizio (provocatio
ad  opponendum)  con citazione per intimazione ad un'udienza che deve
essere  stata  fissata  dal difensore dell'intimante nel rispetto del
termine  a  comparire  di venti giorni dalla notificazione (art. 660,
comma 4,   introdotto   dalla   legge   n. 534/1995),   e   non  piu'
nell'"incivile"  termine  di  tre giorni (di cui all'art. 313 c.p.c.,
oggi  abrogato);  ne'  si  trova  a dovere opporre un decreto, in tal
caso, reso inaudita altera parte, senza previo contraddittorio.
    All'udienza  del  procedimento  di sfratto, il convenuto-intimato
ha,  poi,  la  possibilita'  di  opporsi  alla  domanda  del locatore
costituendosi  in  giudizio  con  comparsa  di  risposta (e, percio',
tramite   difensore),   oppure,   puo,   alternativamente,  comparire
personalmente   per   svolgere,   senza  bisogno  del  difensore,  ma
personalmente  e  senza  spese, le attivita' difensive previste dalla
fase   speciale  per  convalida  (art. 660,  comma  5  e  6,  c.p.c.,
introdotti  dalla  legge n. 534/1995). Viceversa, l'inquilino di casa
popolare ha solo la possibilita' di difendersi proponendo opposizione
(evidentemente)  con  ricorso  in  opposizione  a  decreto ingiuntivo
tramite il difensore tecnico. Disciplina quest'ultima, a quanto pare,
poco  giustificabile  (sempre  per  i  denunciati profili) se solo si
consideri che siffatti inquilini, economicamente bisognosi, in quanto
titolari  di  modesti  redditi  annui che proprio in quanto tali sono
assegnatari  di  immobili  costruiti con finanziamenti pubblici e che
beneficiano di canoni sociali, nel breve termine di opposizione (oggi
di quaranta giorni dalla notificazione del decreto) ben difficilmente
potrebbero   fruire  del  gratuito  patrocinio,  la  cui  commissione
difficilmente  farebbe  in tempo a riunirsi in un cosi' breve spatium
deliberandi  per  valutare  le  condizione  di  ammissione. Cio' che,
appunto,  determina concretamente, il rischio, per siffatte categorie
"protette",  di  non  poter  tempestivamente  esercitare  il  diritto
costituzionale  di difesa in giudizio, sub specie di opposizione allo
sfratto.
    Senza contare, poi, che, per scongiurare il rischio del passaggio
in  giudicato  del  decreto  ingiuntivo ex art. 32 r.d. cit., neppure
viene  concessa  la possibilita' di proporre opposizione tardiva, che
pure  e' consentita all'inquilino di abitazione privata (articoli 650
e 668 c.p.c.).
    Anche  nel  caso  in cui, poi, il conduttore intenda mantenere un
atteggiamento remissivo, di non opposizione alla domanda di rilascio,
desiderando  conservare  la  validita' e l'efficacia del contratto di
locazione  e  volendo, comunque, sanare la morosita' (banco iudicis o
in  un concedendo termine di grazia; art. 55 legge n. 392/1978), tali
facolta'  sono  riconosciute  al  solo  conduttore  delle  abitazioni
private,  non  anche a quello assegnatario di un immobile di edilizia
popolare.  In questo ultimo caso, mancando qualsivoglia provocatio ad
opponendum  da  parte  sua,  non  sembra  in  alcun modo tecnicamente
configurabile  la  sanataria  della morosita' secondo le due indicate
modalita',  dal  momento  che  la  stessa  puo' estrinsecarsi solo in
udienza.
    La  mancata  previsione  di  tali  modalita' di sanatoria, in tal
caso,  risulta,  poi,  doppiamente  lesiva  dei  diritti del debitore
moroso,  in quanto, da un canto, la stessa non risulta prevista dalla
legge   per   un  caso  simile  (quello,  appunto,  delle  abitazioni
assegnate)  e,  poi,  perche', invece, la stessa sarebbe piu' che mai
opportuna ed anzi doverosa in questo settore, stante il fatto che "le
condizioni  di  difficolta'  (economica;  n.d.est.)  del  conduttore"
(ex art. 55   legge   n. 392/1978),   tenuto   conto   della   esigua
redditivita' degli assegnatari, in tal caso, potrebbero probabilmente
ritenersi presenti "in re ipsa", senza cioe' doverle dimostrare, come
avviene  nel  regime  ordinario, dove invece le stesse debbono essere
"comprovate".  L'impossibilita'  di  far godere a siffatti conduttori
economicamente  deboli  di  un  beneficium  che,  in caso di positiva
previsione,  sarebbe probabilmente sempre concesso dal giudice, rende
ancor  piu'  manifesta la carica di lesivita' di cui e' portatrice la
disciplina dell'art. 32. Senza dire, da ultimo, che, nel procedimento
("ordinario")  di  sfratto,  la  data  del rilascio viene fissata dal
giudice della cognitio nei successivi sessanta giorni dalla pronuncia
(art. 56  legge  n. 392/1978);  viceversa,  nel  procedimento  di cui
all'art. 32 r.d.  cit.  all'esecuzione  forzata  potrebbe farsi luogo
immediatamente,  ossia,  una  volta  trascorso il termine di quaranta
giorni per l'adempimento o l'opposizione.
    E  anche questa e' una significativa ed ingiustificata differenza
tra  le  due  procedure  di  rilascio  ed  un  beneficium  di  cui il
conduttore "debole" non e' ammesso a godere.
    Non  sembra,  in  definitiva,  consentito, almeno in uno stato di
diritto,  che  l'ordinamento  attribuisca  una  particolare tutela di
natura  sostanziale  alle  persone  bisognose, che in ragione di cio'
possono  accedere al "bene casa" a condizioni agevolate rispetto alla
generalita'  dei  consociati, in considerazione delle loro condizioni
di difficolta' economica, nel contempo, privandole, peraltro, di ogni
valida  tutela sul versante processuale per spiegare opposizione alle
pretese di rilascio fatte valere dall'ente assegnante.
    Ne'  sembrano,  poi,  in  alcun  modo  giustificati  i profili di
pubblico  interesse  (indicati  da  Corte  costituzionale 22 dicembre
1969, n. 159) che sarebbero insiti nella censurata procedura speciale
di  rilascio; cio' va escluso tutte le volte in cui l'esplicazione di
potesta'  di  natura  pubblicistica  da  parte  dell'ente pubblico si
risolva (o rischi di risolversi) nella lesione dei diritti soggettivi
spettanti   agli   attuali  titolari  di  assegnazione.  Rappresenta,
infatti,  un  indiscutibile  salto  logico  quello di ritenere che un
eccesso  di  tutela  da  parte degli assegnatari morosi, costituisca,
come  pure  si e' scritto, "un arrogante licenza in danno degli altri
aventi  diritto all'abitazione", se solo si considera che la riferita
prospettazione di un utilizzo strumentale e defatigatorio del diritto
di  difesa da parte degli attuali assegnatari della casa popolare che
siano  morosi  sia  tutta  da  dimostrare. Peraltro, se il rilevo, in
astratto,  fosse fondato dovrebbe condurre, per paradosso, a negare a
tutti  indistintamente  i  debitori il correlativo diritto di agire o
resistere in giudizio (ex art. 24 Cost.), in quanto la loro posizione
soggettiva,    in    quanto   assistita   da   una   presunzione   di
defatigatorieta'    non   sarebbe   meritevole   di   alcuna   tutela
giurisdizionale.  Si  tratta,  a  quanto  sembra,  di  una  posizione
insostenibile.
    In  sostanza,  per  gli  evidenziati  profili (ex articoli 3 e 24
Cost.),  sembra  doveroso  dubitare della legittimita' costituzionale
della  disposizione  prevista  dall'art. 32  r.d.  cit.,  invocata da
A.C.E.R.. La questione prospettata, oltre a non essere manifestamente
infondata,  per  le  considerazioni  dianzi  esposte,  risulta essere
rilevante,  avendo  A.C.E.R.  invocato la tutela offerta dall'art. 32
r.d.  cit.,  e  va,  di  consguenza,  rimessa al giudizio della Corte
costituzionale,   previa   sospensione   dei   giudizi  d'ingiunzione
(riuniti) in corso.
                              P. Q. M.
    Dispone  che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia
comunicata  ad  A.C.E.R.,  al  Presidente del Consiglio dei ministri,
nonche' ai Presidenti delle due Camere del Parlamento, con successiva
trasmissione  degli  atti  alla  Corte costituzionale (art. 23, legge
11 marzo 1953, n. 87).
        Modena, addi' 17 luglio 2002
                         Il giudice: Masoni
02C0917