N. 19 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 7 marzo 2003

Ricorso  per  questione  di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 7 marzo 2003 (della Regione autonoma Valle d'Aosta)

Bilancio e contabilita' pubblica - Norme della legge finanziaria 2003
  -  Denunciata  previsione  da  parte dello Stato di disposizioni di
  analitico   dettaglio   sia  in  settori  di  esclusiva  competenza
  regionale,  sia  in  ambiti  propri  della  legislazione  regionale
  concorrente.
- Legge 27 dicembre 2002, n. 289, artt. 24, 28, 34 e 90.
- Costituzione,  artt.  3,  5,  114  e  117;  legge costituzionale 18
  ottobre 2001, n. 3, art. 10.
Bilancio e contabilita' pubblica - Norme della legge finanziaria 2003
  -  Acquisto  di  beni  e  servizi  da  parte  delle Amministrazioni
  pubbliche - Obbligo (a pena di nullita' del contratto) di espletare
  procedure  aperte  o ristrette per l'aggiudicazione delle pubbliche
  forniture e degli appalti pubblici di servizi di valore superiore a
  50.000  euro  - Limitazione ad ipotesi eccezionali del ricorso alla
  trattativa  privata  - Previsione di responsabilita' amministrativa
  per  la  violazione  dei  suddetti  obblighi - Denunciata invasione
  della  potesta'  legislativa residuale o della potesta' legislativa
  concorrente  delle  Regioni  -  Contraddittoria  qualificazione  di
  disposizioni   di   dettaglio   come   "norme  di  principio  e  di
  coordinamento".
- Legge 27 dicembre 2002, n. 289, art. 24.
- Costituzione,  artt.  3,  5,  114, 117, commi terzo e quarto, 118 e
  119; legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, art. 10.
Finanza  pubblica - Norme della legge finanziaria 2003 - Attribuzione
  al  Ministero dell'economia e delle finanze del potere di acquisire
  informazioni  sul  comportamento  di  organismi  ed enti pubblici -
  Obbligo  di codificazione uniforme su tutto il territorio nazionale
  degli  incassi,  dei  pagamenti  e dei dati di competenza economica
  rilevati   dalle  pubbliche  Amministrazioni,  secondo  criteri  da
  stabilirsi   con   successivi   decreti  ministeriali,  sentita  la
  Conferenza unificata - Divieto alle banche e agli uffici postali di
  accettare  disposizioni  di pagamento prive di tale codificazione -
  Denunciata  invasione  della  potesta'  legislativa residuale delle
  Regioni  in  materia  di  finanza  pubblica,  ovvero della potesta'
  legislativa  concorrente  in materia di "armonizzazione dei bilanci
  pubblici e coordinamento della finanza pubblica" - Violazione della
  potesta'  regolamentare  spettante  alle  Regioni nelle materie non
  riservate alla legislazione statale.
- Legge 27 dicembre 2002, n. 289, art. 28.
- Costituzione,  artt.  3,  5, 114, 117, commi terzo, quarto e sesto,
  118 e 119; legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, art. 10.
Impiego pubblico - Norme della legge finanziaria 2003 - Assunzioni di
  personale  e  dotazioni organiche delle amministrazioni regionali -
  Blocco  delle  assunzioni  a  tempo  indeterminato nell'anno 2003 -
  Attribuzione al Presidente del Consiglio dei ministri del potere di
  fissare  (previo accordo in sede di Conferenza unificata) criteri e
  limiti  per  l'assunzione  di  personale  a  tempo  indeterminato -
  Denunciata   invasione   di   competenze  legislative  residuali  o
  concorrenti  delle Regioni - Carattere dettagliato delle previsioni
  statali  -  Violazione  dell'autonomia  organizzativa  regionale  -
  Manifesta  irragionevolezza  e  sproporzione  del  mezzi  impiegati
  rispetto al fine perseguito - Lesione delle competenze regionali in
  ordine all'attuazione degli impegni comunitari.
- Legge  27  dicembre 2002, n. 289, art. 34, in particolare commi 4 e
  11.
- Costituzione,  artt.  3, 5, 114, 117, commi terzo, quarto e quinto,
  118 e 119; legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, art. 10.
Sport   -   Norme   della   legge   finanziaria   2003  -  Disciplina
  dell'attivita'  sportiva dilettantistica - Previsioni riguardanti i
  profili  tributari, il Fondo di garanzia per i mutui destinati alla
  provvista  di  campi  sportivi,  la costituzione e regolamentazione
  delle    societa'   e   associazioni   sportive   dilettantistiche,
  l'istituzione  presso  il  CONI  di un apposito registro nazionale,
  l'obbligo  di  iscrizione  ad  esso  per  l'accesso  ai  contributi
  pubblici,   il   potere   regolamentare   in  ordine  agli  aspetti
  organizzativi  delle  predette  associazioni  -  Denunciata lesione
  della  potesta'  legislativa  concorrente spettante alle Regioni in
  materia di ordinamento sportivo - Carattere dettagliato e analitico
  delle previsioni statali - Manifesta irragionevolezza.
- Legge 27 dicembre 2002, n. 289, art. 90.
- Costituzione, artt. 3, 5, 114, 117, 118 e 119; legge costituzionale
  18 ottobre 2001, n. 3, art. 10.
(GU n.15 del 16-4-2003 )
    Ricorso  della  Regione  autonoma  Valle  d'Aosta, in persona del
Presidente  della  regione  e legale rappresentante pro tempore dott.
Roberto  Louvin,  rappresentata e difesa, giusta delega a margine del
presente  atto  ed  in  virtu'  di  deliberazione di giunta regionale
n. 687  del  24 febbraio  2003  (all. 1) di autorizzazione a stare in
giudizio,  dall'avv.  prof.  Giuseppe  Franco  Ferrari,  e con questi
elettivamente  domiciliata  presso  l'avv. prof. Massimo Luciani, nel
suo studio in Roma, via Bocca di Leone, n. 78;
    Contro   il   Presidente   del  Consiglio  dei  ministri  per  la
dichiarazione   di   illegittimita'  costituzionale  della  legge  27
dicembre  2002,  n. 289,  pubblicata  nella  Gazzetta Ufficiale, S.O.
n. 240/L,   Serie   gen. n. 305   del   31   dicembre  2002,  recante
"Disposizioni  per  la  formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello  Stato  (legge  finanziaria 2003)", con particolare riferimento
agli  articoli 24, "Acquisto di beni e servizi", 28, "Acquisizione di
informazioni",    34,    "Organici,   assunzione   di   personale   e
razionalizzazione  di enti e organismi pubblici", e 90, "Disposizioni
per l'attivita' sportivo dilettantistica" (all. 2).

                              F a t t o

    Nel  supplemento  ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 305 del 31
dicembre  2002  e' stata pubblicata la legge finanziaria 2003 (n. 289
del 27 dicembre 2002).
    Ove  poste  in raffronto al parametro costituzionale definito nel
nuovo  Titolo  V  della  Costituzione  dall'art. 117, le disposizioni
della  legge n. 289/2002 indicate in epigrafe ledono sotto molteplici
profili  l'ordine  costituzionale  delle competenze legislative delle
regioni,  e  segnatamente  della  ricorrente  Regione  autonoma Valle
d'Aosta.
    Di qui la necessita' della proposizione del presente ricorso, per
la dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli artt. 24, 28,
34 e 90 della citata legge alla luce dei seguenti motivi di

                            D i r i t t o

    1. - Quanto a tutte le norme censurate, violazione degli artt. 3,
5, 114 e 117 Cost. e dell'art. 10, legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3.
    In via preliminare, occorre sottolineare l'atteggiamento generale
del legislatore che emerge dalla legge finanziaria 2003: detta legge,
infatti,   rappresenta  emblematicamente  una  diffusa  tendenza  del
legislatore  statale,  vale  a dire quella di continuare a legiferare
come  se  la  riforma  costituzionale  dell'ottobre  2001  non avesse
lasciato  tracce.  Da un lato, si assiste a continue incursioni della
legge  statale  in  materie  di  esclusiva  competenza  regionale  e,
dall'altro,  si  incontrano  norme  di  analitico dettaglio anche nei
settori di legislazione concorrente.
    Entrambi  questi  atteggiamenti appaiono in netto contrasto con i
principi   enunciati  dalla  Carta  costituzionale  e,  pertanto,  le
disposizioni  normative  in  cui  essi trovano espressione sono senza
dubbio gravemente illegittime.
    La   Costituzione   del   1948,  dopo  aver  compiuto  la  scelta
fondamentale  di  riconoscere  alle  regioni  la facolta' di adottare
leggi  in  senso  formale,  aveva optato per l'esplicita enumerazione
delle   materie   di   competenza   legislativa  regionale  (elencate
nell'art. 117), con la conseguenza che la competenza a legiferare per
le  materie  non  comprese in detto elenco rimaneva in via generale e
residuale  in capo allo Stato. Essa aveva d'altro canto delimitato le
scelte  perseguibili  dalle regioni nelle materie di loro competenza,
vincolandole  a  legiferare  nei  limiti dei principi stabiliti dalla
legge  dello  Stato:  ne  risultava  una  subordinazione  della legge
regionale  alla  legge  statale che, seppure non del tutto riducibile
allo   schema   del  rapporto  gerarchico,  tuttavia  restringeva  al
dettaglio  lo  spazio  normativo  occupabile  dalla  legge regionale,
essendo riservata allo Stato la legislazione sui principi.
    La  legge  costituzionale  3/2001 ha rovesciato le due opzioni di
fondo ora ricordate, come risulta dai commi 1 e 4 del nuovo art. 117.
    Occorre  muovere  proprio  dall'art. 117,  comma  4, ai sensi del
quale  "spetta alle regioni la potesta' legislativa in riferimento ad
ogni  materia  non  espressamente  riservata  alla legislazione dello
Stato".
    Se,  quindi,  fino  alla riforma costituzionale del 2001 la legge
statale  era  fonte a competenza generale - sia pure subordinata alla
Costituzione  -,  ora  essa deve fondare la propria competenza non su
una  presunzione  generale  in  proprio  favore,  bensi'  su  uno dei
"titoli"  costituiti,  da un lato, dall'art. 117, comma 2 (materie di
esclusiva  competenza  dello  Stato) e comma 3 (materie di competenza
legislativa  concorrente),  e,  dall'altro,  dalle altre disposizioni
costituzionali   dalle   quali  sia  desumibile  una  riserva  o  una
preferenza  a  favore  della legge statale (cfr., in tal senso, Corte
cost., sent. n. 282/2002).
    La  competenza  generale  della legge regionale, che definisce la
linea di riparto orizzontale fra le materie di competenza dello Stato
e  quelle di competenza della regione, si affianca alla ridefinizione
del  riparto  verticale  tra  i due rnti nelle varie materie. Secondo
l'art. 117,  comma  1,  "la  potesta' legislativa e' esercitata dallo
Stato  e  dalle  regioni nel rispetto della Costituzione, nonche' dei
vincoli  derivanti  dall'ordinamento  comunitario  e  dagli  obblighi
internazionali".
    Tale  disposizione,  se da un lato individua i limiti generali di
ogni  competenza  legislativa,  sia statale che regionale, dall'altro
sancisce la piena equiordinazione tra legge statale e regionale.
    Le due regole generali circa il riparto (orizzontale e verticale)
della  funzione  legislativa  vanno poi lette in combinazione con gli
elenchi  di  materie  di  cui  ai commi 2 e 3 dell'art. 117 Cost.: il
comma  2  elenca  le  materie  di  competenza  esclusiva  della legge
statale;  la competenza concorrente riguarda invece le materie di cui
all'art. 117, comma 3, cui va aggiunta quella relativa al "sistema di
elezione  e  i  casi  di  ineleggibilita'  e  di incompatibilita' del
presidente  e  degli  altri componenti della giunta regionale nonche'
dei  consiglieri  regionali"  di  cui  all'art.  122,  comma  1 (come
modificato con legge costituzionale 1/1999).
    Nel  modello  della  competenza concorrente, il riparto verticale
delle  competenze e' affidato alla distinzione tra norme di principio
e norme di dettaglio, le prime riservate allo Stato e le seconde alle
regioni. In altre parole, nei settori di cui al comma 3 dell'art. 117
Cost.,  il  legislatore  statale  deve  limitarsi  a  fissare  larghe
direttive  di principio e non puo', viceversa, spingersi a legiferare
in  maniera  completa  e  dettagliata,  dovendo lasciare alle regioni
ambiti  di  manovra  compatibili  con  la  natura  regolativa - e non
meramente attuativa - della loro competenza.
    Cio'  vale  anche per le regioni a statuto speciale, per le quali
l'art. 10,  legge cost. 3/2001, precisa che "sino all'adeguamento dei
rispettivi    statuti,   le   disposizioni   della   presente   legge
costituzionale  si applicano anche alle regioni a statuto speciale ed
alle  Province  autonome  di  Trento  e  Bolzano  per le parti in cui
prevedono  forme  di  autonomia  piu'  ampie  rispetto  a quelle gia'
attribuite".
    Alla  luce  di  quanto sin qui rilevato, non puo' che concludersi
per  l'inammissibilita'  di  un  intervento legislativo statale nelle
materie  di  competenza  regionale  che consista nell'enunciazione di
norme  di  dettaglio,  per  quanto  cedevoli possano essere. Ne' tale
normazione di dettaglio potrebbe trovare fondamento e giustificazione
nella  ravvisabilita'  di un "interesse nazionale": se nel vigore del
precedente   testo   costituzionale   codesta   ecc.ma   Corte  aveva
acconsentito in casi eccezionali a che si ricorresse a tale argomento
per  legittimare  una  normazione statale di dettaglio nei settori di
competenza   regionale,   oggi   esso  potrebbe  al  piu'  consentire
l'esercizio dei poteri sostitutivi ex art. 120, comma 2, Cost.
    Non   e'  invece  ammissibile  l'adozione  di  norme  statali  di
dettaglio nelle materie elencate nell'art. 117, comma 3, Cost., ne' -
a  maggior  ragione - in materie non espressamente indicate nel testo
costituzionale  (per  le  quali  vale il principio della esclusivita'
delle  prerogative  regionali), a prescindere da un'accertata inerzia
regionale. Tuttavia, quello che si riscontra con tutta evidenza nella
legge  qui  impugnata  e'  proprio l'adozione da parte dello Stato di
norme  di analitico dettaglio vuoi in settori di esclusiva competenza
regionale, vuoi in ambiti di legislazione concorrente.
    Tutte  le norme censurate sono pertanto radicalmente illegittime.
In ogni caso, con particolare riferimento a ciascuna di esse, debbono
svolgersi le censure che qui seguono.
    2.  -  Quanto all'art. 24, violazione degli artt. 3, 5, 114, 117,
118 e 119 Cost. e dell'art. 10, legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3.
    L'articolo    in    esame   contiene   disposizioni   concernenti
l'aggiudicazione  di  pubbliche  forniture  e  di appalti pubblici di
servizi,  di  cui  al  d.lgs.  n. 358/1992 ed al d.lgs. n. 157/1995 e
successive  modificazioni,  e  segnatamente  prevede l'obbligo per le
amministrazioni   aggiudicatrici  di  espletare  procedure  aperte  o
ristrette,  con  le  modalita'  previste dalla normativa nazionale di
recepimento  della  normativa  comunitaria, anche quando si tratti di
aggiudicare  contratti  di  valore  inferiore  alla soglia di rilievo
comunitario ma superiore a Euro 50.000.
    A  tale obbligo sono sottratti i comuni con popolazione inferiore
a  5.000  abitanti,  le  pubbliche amministrazioni che ricorrano alle
convenzioni  quadro definite dalla CONSIP o al mercato elettronico di
cui all'art. 11, d.P.R. n. 101/2002, nonche' le cooperative sociali.
    Ai  sensi  del  comma 3, sono tenute a ricorrere alle convenzioni
quadro  definite  dalla  CONSIP le pubbliche amministrazioni indicate
nella  tabella  C  allegata  alla legge finanziaria (Ministeri) e gli
enti pubblici istituzionali.
    Il   successivo  comma  4  sancisce  la  nullita'  dei  contratti
stipulati   in  violazione  dei  predetti  obblighi  e  nel  contempo
stabilisce  che  il dipendente che abbia sottoscritto un contratto in
violazione  delle  disposizioni  di  cui  ai  commi 1 e 3 ne risponde
personalmente, in via amministrativa e contabile.
    Il  comma  5  precisa  che,  anche  laddove  la vigente normativa
consenta  la trattativa privata, le pubbliche amministrazioni possono
ricorrervi solo in casi eccezionali e motivati, previo esperimento di
una  documentata  indagine  di  mercato  e dandone comunicazione alla
sezione regionale della Corte dei conti.
    Infine, il comma 9 qualifica le disposizioni di cui ai commi 1, 2
e 5 come "norme di principio e coordinamento" per le regioni.
    Non  si puo' fare a meno di rilevare come, nonostante tale ultima
precisazione,  ed  anzi  in  stridente  contrasto  con  la stessa, le
disposizioni  contenute  nell'art. 24  della  legge finanziaria 2003,
lungi  dall'enunciare  mere  direttive  di principio, si qualifichino
come norme di analitico dettaglio, che a ben vedere non lasciano alle
regioni  margini  di  manovra  nella  disciplina  delle  modalita' di
aggiudicazione  delle  forniture  di  beni e servizi per le pubbliche
amministrazioni  regionali  adeguati al ruolo ed all'autonomia che la
Costituzione riconosce loro nel settore de quo.
    La  materia  degli  appalti  pubblici  di  servizi e forniture, a
rigore,  non  essendo  contemplata  fra  quelle di competenza statale
elencate dall'art. 117, comma 1, Cost., dovrebbe ritenersi attribuita
alla   potesta'   legislativa   esclusiva  delle  regioni,  ai  sensi
dell'art. 117, comma 4, Cost.
    In  ogni caso, quand'anche si aderisse ad un'interpretazione piu'
restrittiva,  che  riconosca  alle  regioni  una competenza meramente
concorrente  in  materia,  le  disposizioni  censurate risulterebbero
comunque    illegittime:    la   loro   analiticita'   e',   infatti,
clamorosamente evidente.
    Da un lato, (comma 1) viene puntualmente individuato il limite di
valore  (Euro 50.000)  al  di sopra del quale sorge l'obbligo in capo
alle  amministrazioni  di  cui  all'art. 1,  d.lgs.  n. 358/1992,  ed
all'art. 2,  d.lgs.  n. 157/1995 (ivi comprese dunque le regioni), di
esperire    determinate    procedure   (aperte   o   ristrette)   per
l'aggiudicazione  dei  contratti di fornitura di beni o servizi, pena
la  nullita'  dei  contratti  stessi  (comma  4); dall'altro, vengono
tassativamente  elencati  i  soggetti  che si sottraggono al predetto
obbligo  (comma  2);  infine,  si  limita  il ricorso alla trattativa
privata  a  casi  eccezionali, e comunque a condizione che venga dato
conto  della  relativa  motivazione,  venga  previamente esperita una
indagine  di mercato e ne sia successivamente data comunicazione alla
sezione regionale della Corte dei conti (comma 5).
    Se,  dunque, i principi generali individuabili a fondamento delle
predette  disposizioni  sono quelli di trasparenza, favor per la gara
ad evidenza pubblica, introduzione di forme di controllo, risparmio e
contenimento    della    spesa   ed   efficienza   nei   sistemi   di
approvvigionamento, non si puo' tuttavia accettare che il legislatore
statale  abbia  inteso  vincolare  le regioni non solo e non tanto al
rispetto   di   detti   principi,  ma  altresi'  all'applicazione  di
disposizioni   articolate  e  di  dettaglio,  che  di  tali  principi
costituiscono  gia'  concreta  attuazione,  in  tal  modo scavalcando
completamente la legge regionale, unica fonte competente all'adozione
di previsioni normative di dettaglio in materia.
    3.  -  Quanto all'art. 28, violazione degli artt. 3, 5, 114, 117,
118 e 119 Cost. e dell'art. 10, legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3.
    L'art. 28,  dopo  aver  riconosciuto al Ministero dell'economia e
delle  finanze  il  potere  di  acquisire ogni utile informazione sul
comportamento  degli  enti  e  organismi  pubblici di cui all'art. 1,
comma  2,  d.lgs.  n. 165/2001,  anche con riferimento all'obbligo di
utilizzo  delle convenzioni CONSIP, avvalendosi a tal fine dei propri
rappresentanti nei collegi sindacali o di revisione presso i suddetti
enti ed organismi, ovvero avvalendosi anche dei nuclei di valutazione
o  dei  servizi  di  controllo  interno di cui al d.lgs. n. 286/1999,
prescrive  che  tutti gli incassi, i pagamenti e i dati di competenza
economica rilevati dalle amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1,
comma  2,  d.lgs.  n. 165/2001,  devono essere codificati con criteri
uniformi su tutto il territorio nazionale.
    Parallelamente, il comma 4, istituisce un espresso divieto per le
banche  incaricate  dei  servizi  di  tesoreria  e di cassa e per gli
uffici   postali   che   svolgono   servizi   analoghi  di  accettare
disposizioni di pagamento prive di tale codificazione.
    Il comma 5 demanda poi al Ministro dell'economia e delle finanze,
che  vi  provvede  con  propri decreti adottati sentita la Conferenza
unificata  Stato-regioni, il compito di stabilire la codificazione di
cui  al  comma  3  e  le  modalita' ed i tempi per l'attuazione delle
disposizioni  di  cui  ai  commi  3  e  4,  nonche'  di provvedere ad
apportare   tutte  le  necessarie  integrazioni  e/o  modifiche  alla
codificazione stabilita.
    La  norma  impugnata  incide su una materia, la finanza pubblica,
che e' sottratta alla competenza legislativa dello Stato, non essendo
ricompresa  negli  elenchi  di cui ai commi 2 e 3 dell'art. 117 Cost.
Pertanto,  essa  e'  lesiva  della  sfera  di  competenza legislativa
residuale  riconosciuta  e  garantita  alle  regioni dal quarto comma
dell'art. 117 Cost.
    Qualora,   invece,   si  dovesse  ritenere  che  l'oggetto  della
disciplina   impugnata   possa   essere   ricondotto   alla   materia
"armonizzazione  dei  bilanci  pubblici e coordinamento della finanza
pubblica  affidata alla legislazione concorrente dall'art. 117, comma
3,  Cost.,  le  disposizioni de quibus risulterebbero comunque lesive
della competenza legislativa regionale, in quanto vanno ben al di la'
della  mera  enucleazione di principi fondamentali cui il legislatore
regionale  deve  ispirarsi,  giacche' contiene norme dalla stringente
portata restrittiva.
    Con  le  disposizioni  impugnate,  infatti,  sono dettate in modo
analitico  alcune  norme  direttamente  regolanti  la  materia  e, in
seconda battuta, viene demandato a successivi decreti ministeriali il
compito  di  ulteriormente  specificare con norme di dettaglio quanto
qui enunciato a livello di principio.
    Considerato   il   suo   contenuto   puntuale  ed  immediatamente
operativo,  la  disposizione  in  esame non e' qualificabile ne' come
principio  fondamentale,  come tale riservato alla legislazione dello
Stato,  ne'  come  disciplina di dettaglio di carattere "suppletivo",
come  tale  derogabile  dal  legislatore regionale al quale spetta la
potesta'  legislativa  nella  materia,  in  quanto attributiva di una
specifica competenza al Ministero per l'economia e le finanze.
    Sotto  quest'ultimo  profilo,  l'art. 28 impugnato attribuisce al
Ministro  un  potere regolamentare chiaramente escluso dall'art. 117,
comma  6,  Cost.,  in  base  al  quale  nelle materie di legislazione
concorrente   e  di  legislazione  residuale  regionale  la  potesta'
regolamentare spetta in via esclusiva alle regioni.
    4.  -  Quanto all'art. 34, violazione degli artt. 3, 5, 114, 117,
118 e 119 Cost. e dell'art. 10, legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3.
    L'articolo  34  detta  una  serie  di  disposizioni in materia di
assunzioni del personale e ordinamento degli uffici.
    In particolare, il comma 4 della norma in esame pone un esplicito
divieto  di  nuove  assunzioni a tempo indeterminato per le pubbliche
amministrazioni  di  cui all'art. 1, comma 2, d.lgs. n. 165/2001, per
tutto   l'anno   solare  2003,  divieto  rispetto  al  quale  vengono
introdotte alcune parziali deroghe fissate nei commi successivi.
    Il  comma  11,  poi,  stabilisce  che "ai fini del concorso delle
autonomie  regionali  e locali al rispetto degli obiettivi di finanza
pubblica,  con  decreti  del Presidente del Consiglio dei ministri da
emanare  entro  sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della
presente  legge,  previo  accordo  tra  Governo,  regioni e autonomie
locali  da  concludere  in sede di Conferenza unificata, sono fissati
per  le  amministrazioni  regionali,  per  le province e i comuni con
popolazione  superiore  a  5.000  abitanti  che abbiano rispettato le
regole del patto di stabilita' interno per l'anno 2002, per gli altri
enti  locali e per gli enti del Servizio sanitario nazionale, criteri
e  limiti  per  le  assunzioni a tempo indeterminato per l'anno 2003.
Tali  assunzioni, fatto salvo il ricorso alle procedure di mobilita',
devono,  comunque, essere contenute, fatta eccezione per il personale
infermieristico  del  Servizio sanitario nazionale, entro percentuali
non   superiori  al  50  per  cento  delle  cessazioni  dal  servizio
verificatesi  nel corso dell'anno 2002 ... Non puo' essere stabilita,
in  ogni caso, una percentuale superiore al 20 per cento per i comuni
con  popolazione superiore a 5.000 abitanti e le province che abbiano
un   rapporto  dipendenti-popolazione  superiore  a  quello  previsto
dall'art. 119,  comma  3,  del  decreto legislativo 25 febbraio 1995,
n. 77,  e  successive modificazioni, maggiorato del 30 per cento o la
cui percentuale di spesa del personale rispetto alle entrate correnti
sia  superiore alla media regionale per fasce demografiche. I singoli
enti locali in caso di assunzioni di personale devono autocertificare
il  rispetto  delle  disposizioni  relative  al  patto  di stabilita'
interno per l'anno 2002.
    Nei  confronti  delle  province  e  dei  comuni  con  popolazione
superiore  a  5.000 abitanti che non abbiano rispettato le regole del
patto  di  stabilita'  interno  per  l'anno 2002 rimane confermata la
disciplina   delle   assunzioni   a   tempo   indeterminato  prevista
dall'art. 19  della legge 28 dicembre 2001, n. 448. In ogni caso sono
consentite,  previa  autocertificazione  degli  enti,  le  assunzioni
connesse  al  passaggio  di funzioni e competenze alle regioni e agli
enti  locali  il  cui  onere  sia  coperto dai trasferimenti erariali
compensativi della mancata assegnazione delle unita' di personale".
    Con  gli  stessi d.P.C.m. sopra menzionati, prosegue il comma 11,
"e'  altresi' definito, per le regioni, per le autonomie locali e per
gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'ambito applicativo delle
disposizioni  di  cui  ai  commi  1,  2  e 3" (rideterminazione delle
dotazioni   organiche,   principio   dell'invarianza   della   spesa,
individuazione  provvisoria  delle dotazioni organiche in misura pari
ai  posti  coperti  al  31  dicembre 2002 fino al perfezionamento dei
provvedimenti di rideterminazione di cui al comma 1).
    Le  disposizioni contenute nell'art. 34, come e' agevole rilevare
a prima lettura, incidono con una disciplina estremamente dettagliata
sul  rapporto  tra  le  regioni  e  gli  enti  locali  ed il relativo
personale. Tale disciplina e' palesemente illegittima.
    Preliminarmente,  occorre  ribadire quanto gia' sottolineato piu'
sopra  a proposito del divieto per lo Stato di dettare una disciplina
di  dettaglio,  peraltro nient'affatto cedevole, sia nelle materie di
competenza   esclusiva   regionale   che   in  quelle  di  competenza
concorrente.
    Cio'  premesso,  si  deve  rilevare  come la materia del pubblico
impiego  presso  regioni ed enti locali sia riservata alla competenza
esclusiva  regionale.  Cio' in quanto essa non rientra tra le materie
tassativamente  elencate  come appartenenti alla competenza esclusiva
dello  Stato,  ne'  tra  quelle  a  legislazione  concorrente, con la
conseguenza che, in forza del disposto dell'art. 117, comma 4, Cost.,
essa deve essere intesa ricadere nell'ambito riservato al legislatore
regionale.
    Da  quanto  sopra  deriva  che  lo Stato non puo' intervenire con
legge  in  tale  settore, men che meno introducendo una disciplina di
dettaglio. Viceversa, la legge qui impugnata, in totale spregio della
riforma  del Titolo V della Costituzione, determina una inaccettabile
invasione del campo dell'autonomia regionale.
    Sul  grado di dettaglio delle disposizioni contenute nell'art. 34
non  e' neppure il caso di soffermarsi, tanto esso appare in tutta la
sua evidenza.
    La   norma  impugnata,  dunque,  interviene  in  una  materia  di
esclusiva   competenza   regionale,   pretendendo   di   disciplinare
analiticamente   aspetti  essenziali  del  rapporto  di  impiego  del
personale  delle  regioni  e  degli enti locali in totale spregio dei
principi costituzionali sul riparto delle competenze.
    Anche la rideterminazione degli organici e' indubbiamente materia
di  competenza  esclusiva  delle  regioni:  qui  la  lesivita'  delle
disposizioni contestate e' doppia, dal momento che non solo l'art. 34
interviene   direttamente  a  disciplinare  la  materia  de  qua,  ma
addirittura  autorizza una fonte secondaria (d.P.C.m.) ad intervenire
in merito.
    Del   resto,   non   puo'   ritenersi  sufficientemente  tutelata
l'autonomia  regionale  in  virtu' della mera previsione di un previo
accordo  da  raggiungersi  in  sede  di Conferenza unificata in vista
dell'adozione dei predetti decreti.
    Accanto   ad   una   grave  violazione  dell'art. 117  Cost.,  e'
riscontrabile  nella  fattispecie  una  altrettanto  grave violazione
anche  dell'art. 118  Cost.,  nella  parte in cui esso riconosce alle
regioni  la titolarita' di funzioni amministrative proprie, tra cui -
innegabilmente - quella di autorganizzazione. E' evidente, del resto,
che,  oltre  a  invadere un ambito di normazione regionale, l'art. 34
impugnato  finisce  per incidere proprio sull'autonomia organizzativa
della  regione, che si trova fortemente limitata nelle proprie scelte
discrezionali  in  tema  di  rapporti  con  il  personale dai vincoli
imposti dal legislatore statale.
    Preme  sottolineare  che  il  contestato  intervento  legislativo
statale  nel  settore  de  quo  non  potrebbe trovare giustificazione
neppure  ove esso fosse ritenuto ispirato all'esigenza dello Stato di
dettare  principi  per  il  "coordinamento  della  finanza pubblica":
trattandosi,  infatti,  di materia in cui l'art. 117, comma 3, Cost.,
riconosce comunque alle regioni una potesta' legislativa concorrente,
la   norma  impugnata  dovrebbe  in  ogni  caso  essere  riconosciuta
illegittima   per   violazione  del  precetto  costituzionale  appena
menzionato,  in forza del quale lo Stato dovrebbe limitarsi a dettare
mere norme di principio.
    Se,  poi, la ratio della norma fosse individuata nell'esigenza di
garantire  il  rispetto  del  patto di stabilita' interno, e con esso
degli  impegni  assunti  dall'Italia  a livello comunitario, dovrebbe
comunque  concludersi  per  l'incostituzionalita'  della normativa in
epigrafe,   viziata   anche   sotto   il   profilo   della  manifesta
irragionevolezza e della sproporzione dei mezzi impiegati rispetto al
fine  perseguito  (art. 3 Cost.): da un lato, infatti, all'attuazione
degli  impegni  comunitari  provvedono  direttamente le regioni negli
ambiti  di  loro  competenza, ai sensi dell'art. 117, comma 5, Cost.;
dall'altro  lato,  l'esigenza  di assicurare il rispetto del patto di
stabilita'    potrebbe    essere   perseguita   soltanto   attraverso
l'indicazione  degli  obiettivi,  ma non anche mediante l'imposizione
dei  mezzi,  dal  momento che si versa in un ambito in cui le regioni
godono di prerogative costituzionalmente riconosciute.
    5.  -  Quanto all'art. 90, violazione degli artt. 3, 5, 114, 117,
118 e 119 dell'art. 10, legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3.
    L'art. 90 detta una serie di disposizioni in materia di attivita'
sportiva dilettantistica, che affrontano diversi aspetti: dai profili
tributari (commi da 1 a 11), all'istituzione e regolamentazione di un
Fondo  di  garanzia per la fornitura di garanzia sussidiaria a quella
ipotecaria  per  i  mutui relativi alla costruzione, all'ampliamento,
all'attrezzatura,   al   miglioramento  o  all'acquisto  di  impianti
sportivi  (commi  da  12  a 16), alla costituzione e regolamentazione
delle  societa' e associazioni sportive dilettantistiche (commi da 17
a  19), all'istituzione presso il CONI di un registro nazionale delle
societa'  ed  associazioni sportive dilettantistiche, l'iscrizione al
quale  diviene condizione necessaria per poter accedere ai contributi
pubblici  di  qualsiasi  natura  (commi  da  20 a 22), all'uso e alla
gestione degli impianti sportivi (commi da 24 a 26).
    Deve  senz'altro  riconoscersi  come l'art. 90 impugnato verta su
questioni  strettamente  legate  alla materia "ordinamento sportivo",
ambito   di  potesta'  legislativa  regionale  concorrente  ai  sensi
dell'art. 117, comma 3, Cost.
    Proprio  la norma costituzionale appena invocata appare con tutta
evidenza  violata  nella  fattispecie, ancora una volta in virtu' del
grado  di dettaglio della normativa statale contestata, che determina
una  illegittima  invasione  di  un  ambito riservato alla competenza
regionale  ed in cui il legislatore statale dovrebbe invece limitarsi
a dettare larghe direttive di principio.
    Si  consideri,  per  esempio,  quanto  statuito dai commi 20 e 21
dell'art. 90.  Ivi si prevede l'istituzione, la regolamentazione e la
gestione  di  un  registro  nazionale  delle societa' ed associazioni
sportive dilettantistiche da parte del CONI. A tale registro dovranno
evidentemente far capo tanto le societa' affiliate alle Federazioni -
che  sono percio' naturalmente legate e dipendenti dal CONI -, quanto
le  societa'  ed  associazioni  affiliate  agli  Enti  di  promozione
sportiva  -  che  di norma, occupandosi della promozione dello "sport
per  tutti" in collaborazione con gli enti locali, non sono collegate
al CONI.
    Le  disposizioni  esaminate  appaiono manifestamente in contrasto
con   il   nuovo   assetto   dei   poteri   disegnato  dalla  riforma
costituzionale  del  2001:  l'istituzione  di  un  elenco  o  albo di
associazioni,  con  l'introduzione  di una forma di riconoscimento di
tali  soggetti,  sia  pure  a fini sportivi, si ritiene non possa non
essere oggi riconosciuta come prerogativa regionale.
    Va  sottolineato,  peraltro,  come l'istituzione di un registro a
livello  nazionale  non si giustifichi neppure con un'esigenza legata
al  carattere  nazionale  degli  "enti  chiamati ad iscriversi: sotto
questo  profilo,  pertanto,  viene  in  evidenza  anche  la manifesta
irragionevolezza  della  disciplina  contestata,  che  si muove nella
direzione  opposta a quella seguita dal legislatore in riferimento ad
altre forme associative (organizzazioni di volontariato, associazioni
di  promozione  sociale, societa' cooperative), vale a dire quella di
favorire l'istituzione di albi e registri a livello locale.
    Con il successivo comma 22, l'art. 90 impugnato intende vincolare
la  concessione  di  contributi  pubblici  a societa' ed associazioni
sportive  dilettantistiche  alla previa iscrizione presso il registro
CONI di cui si e' detto.
    Anche  questa  disposizione  si  rivela, a ben vedere, gravemente
illegittima,   anche   perche'   incide  in  senso  limitativo  sulla
possibilita'  per la regione, cosi' come per gli altri enti pubblici,
di  sostenere  e  favorire  con  propri  finanziamenti le societa' ed
associazioni sportive dilettantistiche.
    Una   manifesta   violazione  del  riparto  costituzionale  delle
competenze,  con una illegittima invasione degli ambiti di competenza
regionale  da  parte  dello Stato, si riscontra anche con riferimento
alle  disposizioni  contenute nell'art. 90 dedicate alla disciplina -
analitica  ed  immediatamente  operativa  - della istituzione e della
regolamentazione delle societa' ed associazioni di cui si discute.
    Non solo si rinviene, nel comma 17, la definizione puntuale delle
forme giuridiche che tali associazioni possono assumere (associazione
priva di personalita' giuridica disciplinata a norma degli artt. 36 e
ss.  c.c.; associazione con personalita' giuridica di diritto privato
ai  sensi  del  d.P.R.  n. 361/2000;  societa' di capitali costituita
secondo le disposizioni vigenti, ad eccezione di quelle che prevedono
le finalita' di lucro), ma addirittura il successivo comma 18 demanda
ad  uno o piu' regolamenti, da adottarsi ai sensi dell'art. 17, comma
2, legge n. 400/1988 il compito di individuare:
        a)  i  contenuti  dello statuto e dell'atto costitutivo delle
societa' ed associazioni sportive dilettantistiche;
        b)  le  modalita'  di  approvazione  dello statuto stesso, di
riconoscimento  ai  fini  sportivi  e  di  affiliazione ad una o piu'
Federazioni  nazionali  del  CONI o alle discipline associate o a uno
degli  enti  di  promozione  sportiva riconosciuti dal CONI, anche su
base regionale;
        c)   i  provvedimenti  da  adottare  in  caso  di  irregolare
funzionamento  o  gravi  irregolarita' di gestione o gravi infrazioni
all'ordinamento sportivo.
    Non  puo'  quindi  non  riconoscersi,  in  uno  con  il  grado di
dettaglio  ed  analiticita'  delle  disposizioni menzionate, la grave
violazione  delle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite
perpetrata   per   il  tramite  di  tali  disposizioni,  attribuzioni
regionali  tanto  piu'  frustrate in quanto scavalcate anche da norme
regolamentari.
    Le medesime considerazioni valgono, infine, anche con riferimento
ai  commi  24,  25 e 26 dell'art. 90. Del resto, e' innegabile che la
gestione  e  l'uso  degli impianti sportivi debbano essere ricompresi
nel  generale  ambito  della materia "ordinamento sportivo", e quindi
riservati   all'espressione   della  potesta'  legislativa  regionale
concorrente.  Lungi  dal  limitarsi  ad  enunciare  meri  principi  e
direttive  atti  a  guidare  il  legislatore  regionale, tuttavia, le
disposizioni  censurate  si spingono a dettare una disciplina che non
lascia  adeguati margini di manovra alle regioni, e che deve pertanto
essere dichiarata costituzionalmente illegittima.
                              P. Q. M.
    Voglia   codesta  ecc.ma  Corte,  in  accoglimento  del  presente
ricorso,  dichiarare  l'illegittimita'  costituzionale della legge 27
dicembre  2002,  n. 289,  pubblicata  nella  Gazzetta Ufficiale, S.O.
n. 240/L,  Serie  gen.   n. 305 del 31 dicembre 2002, con particolare
riferimento agli artt. 24, 28, 34 e 90.
        Milano, addi' 27 febbraio 2003
                 Avv. Prof.: Gisueppe Franco Ferrari
03C0242