N. 19 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 7 marzo 2003
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 7 marzo 2003 (della Regione autonoma Valle d'Aosta) Bilancio e contabilita' pubblica - Norme della legge finanziaria 2003 - Denunciata previsione da parte dello Stato di disposizioni di analitico dettaglio sia in settori di esclusiva competenza regionale, sia in ambiti propri della legislazione regionale concorrente. - Legge 27 dicembre 2002, n. 289, artt. 24, 28, 34 e 90. - Costituzione, artt. 3, 5, 114 e 117; legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, art. 10. Bilancio e contabilita' pubblica - Norme della legge finanziaria 2003 - Acquisto di beni e servizi da parte delle Amministrazioni pubbliche - Obbligo (a pena di nullita' del contratto) di espletare procedure aperte o ristrette per l'aggiudicazione delle pubbliche forniture e degli appalti pubblici di servizi di valore superiore a 50.000 euro - Limitazione ad ipotesi eccezionali del ricorso alla trattativa privata - Previsione di responsabilita' amministrativa per la violazione dei suddetti obblighi - Denunciata invasione della potesta' legislativa residuale o della potesta' legislativa concorrente delle Regioni - Contraddittoria qualificazione di disposizioni di dettaglio come "norme di principio e di coordinamento". - Legge 27 dicembre 2002, n. 289, art. 24. - Costituzione, artt. 3, 5, 114, 117, commi terzo e quarto, 118 e 119; legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, art. 10. Finanza pubblica - Norme della legge finanziaria 2003 - Attribuzione al Ministero dell'economia e delle finanze del potere di acquisire informazioni sul comportamento di organismi ed enti pubblici - Obbligo di codificazione uniforme su tutto il territorio nazionale degli incassi, dei pagamenti e dei dati di competenza economica rilevati dalle pubbliche Amministrazioni, secondo criteri da stabilirsi con successivi decreti ministeriali, sentita la Conferenza unificata - Divieto alle banche e agli uffici postali di accettare disposizioni di pagamento prive di tale codificazione - Denunciata invasione della potesta' legislativa residuale delle Regioni in materia di finanza pubblica, ovvero della potesta' legislativa concorrente in materia di "armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica" - Violazione della potesta' regolamentare spettante alle Regioni nelle materie non riservate alla legislazione statale. - Legge 27 dicembre 2002, n. 289, art. 28. - Costituzione, artt. 3, 5, 114, 117, commi terzo, quarto e sesto, 118 e 119; legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, art. 10. Impiego pubblico - Norme della legge finanziaria 2003 - Assunzioni di personale e dotazioni organiche delle amministrazioni regionali - Blocco delle assunzioni a tempo indeterminato nell'anno 2003 - Attribuzione al Presidente del Consiglio dei ministri del potere di fissare (previo accordo in sede di Conferenza unificata) criteri e limiti per l'assunzione di personale a tempo indeterminato - Denunciata invasione di competenze legislative residuali o concorrenti delle Regioni - Carattere dettagliato delle previsioni statali - Violazione dell'autonomia organizzativa regionale - Manifesta irragionevolezza e sproporzione del mezzi impiegati rispetto al fine perseguito - Lesione delle competenze regionali in ordine all'attuazione degli impegni comunitari. - Legge 27 dicembre 2002, n. 289, art. 34, in particolare commi 4 e 11. - Costituzione, artt. 3, 5, 114, 117, commi terzo, quarto e quinto, 118 e 119; legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, art. 10. Sport - Norme della legge finanziaria 2003 - Disciplina dell'attivita' sportiva dilettantistica - Previsioni riguardanti i profili tributari, il Fondo di garanzia per i mutui destinati alla provvista di campi sportivi, la costituzione e regolamentazione delle societa' e associazioni sportive dilettantistiche, l'istituzione presso il CONI di un apposito registro nazionale, l'obbligo di iscrizione ad esso per l'accesso ai contributi pubblici, il potere regolamentare in ordine agli aspetti organizzativi delle predette associazioni - Denunciata lesione della potesta' legislativa concorrente spettante alle Regioni in materia di ordinamento sportivo - Carattere dettagliato e analitico delle previsioni statali - Manifesta irragionevolezza. - Legge 27 dicembre 2002, n. 289, art. 90. - Costituzione, artt. 3, 5, 114, 117, 118 e 119; legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, art. 10.(GU n.15 del 16-4-2003 )
Ricorso della Regione autonoma Valle d'Aosta, in persona del Presidente della regione e legale rappresentante pro tempore dott. Roberto Louvin, rappresentata e difesa, giusta delega a margine del presente atto ed in virtu' di deliberazione di giunta regionale n. 687 del 24 febbraio 2003 (all. 1) di autorizzazione a stare in giudizio, dall'avv. prof. Giuseppe Franco Ferrari, e con questi elettivamente domiciliata presso l'avv. prof. Massimo Luciani, nel suo studio in Roma, via Bocca di Leone, n. 78; Contro il Presidente del Consiglio dei ministri per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale della legge 27 dicembre 2002, n. 289, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, S.O. n. 240/L, Serie gen. n. 305 del 31 dicembre 2002, recante "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2003)", con particolare riferimento agli articoli 24, "Acquisto di beni e servizi", 28, "Acquisizione di informazioni", 34, "Organici, assunzione di personale e razionalizzazione di enti e organismi pubblici", e 90, "Disposizioni per l'attivita' sportivo dilettantistica" (all. 2). F a t t o Nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 305 del 31 dicembre 2002 e' stata pubblicata la legge finanziaria 2003 (n. 289 del 27 dicembre 2002). Ove poste in raffronto al parametro costituzionale definito nel nuovo Titolo V della Costituzione dall'art. 117, le disposizioni della legge n. 289/2002 indicate in epigrafe ledono sotto molteplici profili l'ordine costituzionale delle competenze legislative delle regioni, e segnatamente della ricorrente Regione autonoma Valle d'Aosta. Di qui la necessita' della proposizione del presente ricorso, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli artt. 24, 28, 34 e 90 della citata legge alla luce dei seguenti motivi di D i r i t t o 1. - Quanto a tutte le norme censurate, violazione degli artt. 3, 5, 114 e 117 Cost. e dell'art. 10, legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3. In via preliminare, occorre sottolineare l'atteggiamento generale del legislatore che emerge dalla legge finanziaria 2003: detta legge, infatti, rappresenta emblematicamente una diffusa tendenza del legislatore statale, vale a dire quella di continuare a legiferare come se la riforma costituzionale dell'ottobre 2001 non avesse lasciato tracce. Da un lato, si assiste a continue incursioni della legge statale in materie di esclusiva competenza regionale e, dall'altro, si incontrano norme di analitico dettaglio anche nei settori di legislazione concorrente. Entrambi questi atteggiamenti appaiono in netto contrasto con i principi enunciati dalla Carta costituzionale e, pertanto, le disposizioni normative in cui essi trovano espressione sono senza dubbio gravemente illegittime. La Costituzione del 1948, dopo aver compiuto la scelta fondamentale di riconoscere alle regioni la facolta' di adottare leggi in senso formale, aveva optato per l'esplicita enumerazione delle materie di competenza legislativa regionale (elencate nell'art. 117), con la conseguenza che la competenza a legiferare per le materie non comprese in detto elenco rimaneva in via generale e residuale in capo allo Stato. Essa aveva d'altro canto delimitato le scelte perseguibili dalle regioni nelle materie di loro competenza, vincolandole a legiferare nei limiti dei principi stabiliti dalla legge dello Stato: ne risultava una subordinazione della legge regionale alla legge statale che, seppure non del tutto riducibile allo schema del rapporto gerarchico, tuttavia restringeva al dettaglio lo spazio normativo occupabile dalla legge regionale, essendo riservata allo Stato la legislazione sui principi. La legge costituzionale 3/2001 ha rovesciato le due opzioni di fondo ora ricordate, come risulta dai commi 1 e 4 del nuovo art. 117. Occorre muovere proprio dall'art. 117, comma 4, ai sensi del quale "spetta alle regioni la potesta' legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato". Se, quindi, fino alla riforma costituzionale del 2001 la legge statale era fonte a competenza generale - sia pure subordinata alla Costituzione -, ora essa deve fondare la propria competenza non su una presunzione generale in proprio favore, bensi' su uno dei "titoli" costituiti, da un lato, dall'art. 117, comma 2 (materie di esclusiva competenza dello Stato) e comma 3 (materie di competenza legislativa concorrente), e, dall'altro, dalle altre disposizioni costituzionali dalle quali sia desumibile una riserva o una preferenza a favore della legge statale (cfr., in tal senso, Corte cost., sent. n. 282/2002). La competenza generale della legge regionale, che definisce la linea di riparto orizzontale fra le materie di competenza dello Stato e quelle di competenza della regione, si affianca alla ridefinizione del riparto verticale tra i due rnti nelle varie materie. Secondo l'art. 117, comma 1, "la potesta' legislativa e' esercitata dallo Stato e dalle regioni nel rispetto della Costituzione, nonche' dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali". Tale disposizione, se da un lato individua i limiti generali di ogni competenza legislativa, sia statale che regionale, dall'altro sancisce la piena equiordinazione tra legge statale e regionale. Le due regole generali circa il riparto (orizzontale e verticale) della funzione legislativa vanno poi lette in combinazione con gli elenchi di materie di cui ai commi 2 e 3 dell'art. 117 Cost.: il comma 2 elenca le materie di competenza esclusiva della legge statale; la competenza concorrente riguarda invece le materie di cui all'art. 117, comma 3, cui va aggiunta quella relativa al "sistema di elezione e i casi di ineleggibilita' e di incompatibilita' del presidente e degli altri componenti della giunta regionale nonche' dei consiglieri regionali" di cui all'art. 122, comma 1 (come modificato con legge costituzionale 1/1999). Nel modello della competenza concorrente, il riparto verticale delle competenze e' affidato alla distinzione tra norme di principio e norme di dettaglio, le prime riservate allo Stato e le seconde alle regioni. In altre parole, nei settori di cui al comma 3 dell'art. 117 Cost., il legislatore statale deve limitarsi a fissare larghe direttive di principio e non puo', viceversa, spingersi a legiferare in maniera completa e dettagliata, dovendo lasciare alle regioni ambiti di manovra compatibili con la natura regolativa - e non meramente attuativa - della loro competenza. Cio' vale anche per le regioni a statuto speciale, per le quali l'art. 10, legge cost. 3/2001, precisa che "sino all'adeguamento dei rispettivi statuti, le disposizioni della presente legge costituzionale si applicano anche alle regioni a statuto speciale ed alle Province autonome di Trento e Bolzano per le parti in cui prevedono forme di autonomia piu' ampie rispetto a quelle gia' attribuite". Alla luce di quanto sin qui rilevato, non puo' che concludersi per l'inammissibilita' di un intervento legislativo statale nelle materie di competenza regionale che consista nell'enunciazione di norme di dettaglio, per quanto cedevoli possano essere. Ne' tale normazione di dettaglio potrebbe trovare fondamento e giustificazione nella ravvisabilita' di un "interesse nazionale": se nel vigore del precedente testo costituzionale codesta ecc.ma Corte aveva acconsentito in casi eccezionali a che si ricorresse a tale argomento per legittimare una normazione statale di dettaglio nei settori di competenza regionale, oggi esso potrebbe al piu' consentire l'esercizio dei poteri sostitutivi ex art. 120, comma 2, Cost. Non e' invece ammissibile l'adozione di norme statali di dettaglio nelle materie elencate nell'art. 117, comma 3, Cost., ne' - a maggior ragione - in materie non espressamente indicate nel testo costituzionale (per le quali vale il principio della esclusivita' delle prerogative regionali), a prescindere da un'accertata inerzia regionale. Tuttavia, quello che si riscontra con tutta evidenza nella legge qui impugnata e' proprio l'adozione da parte dello Stato di norme di analitico dettaglio vuoi in settori di esclusiva competenza regionale, vuoi in ambiti di legislazione concorrente. Tutte le norme censurate sono pertanto radicalmente illegittime. In ogni caso, con particolare riferimento a ciascuna di esse, debbono svolgersi le censure che qui seguono. 2. - Quanto all'art. 24, violazione degli artt. 3, 5, 114, 117, 118 e 119 Cost. e dell'art. 10, legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3. L'articolo in esame contiene disposizioni concernenti l'aggiudicazione di pubbliche forniture e di appalti pubblici di servizi, di cui al d.lgs. n. 358/1992 ed al d.lgs. n. 157/1995 e successive modificazioni, e segnatamente prevede l'obbligo per le amministrazioni aggiudicatrici di espletare procedure aperte o ristrette, con le modalita' previste dalla normativa nazionale di recepimento della normativa comunitaria, anche quando si tratti di aggiudicare contratti di valore inferiore alla soglia di rilievo comunitario ma superiore a Euro 50.000. A tale obbligo sono sottratti i comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, le pubbliche amministrazioni che ricorrano alle convenzioni quadro definite dalla CONSIP o al mercato elettronico di cui all'art. 11, d.P.R. n. 101/2002, nonche' le cooperative sociali. Ai sensi del comma 3, sono tenute a ricorrere alle convenzioni quadro definite dalla CONSIP le pubbliche amministrazioni indicate nella tabella C allegata alla legge finanziaria (Ministeri) e gli enti pubblici istituzionali. Il successivo comma 4 sancisce la nullita' dei contratti stipulati in violazione dei predetti obblighi e nel contempo stabilisce che il dipendente che abbia sottoscritto un contratto in violazione delle disposizioni di cui ai commi 1 e 3 ne risponde personalmente, in via amministrativa e contabile. Il comma 5 precisa che, anche laddove la vigente normativa consenta la trattativa privata, le pubbliche amministrazioni possono ricorrervi solo in casi eccezionali e motivati, previo esperimento di una documentata indagine di mercato e dandone comunicazione alla sezione regionale della Corte dei conti. Infine, il comma 9 qualifica le disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 5 come "norme di principio e coordinamento" per le regioni. Non si puo' fare a meno di rilevare come, nonostante tale ultima precisazione, ed anzi in stridente contrasto con la stessa, le disposizioni contenute nell'art. 24 della legge finanziaria 2003, lungi dall'enunciare mere direttive di principio, si qualifichino come norme di analitico dettaglio, che a ben vedere non lasciano alle regioni margini di manovra nella disciplina delle modalita' di aggiudicazione delle forniture di beni e servizi per le pubbliche amministrazioni regionali adeguati al ruolo ed all'autonomia che la Costituzione riconosce loro nel settore de quo. La materia degli appalti pubblici di servizi e forniture, a rigore, non essendo contemplata fra quelle di competenza statale elencate dall'art. 117, comma 1, Cost., dovrebbe ritenersi attribuita alla potesta' legislativa esclusiva delle regioni, ai sensi dell'art. 117, comma 4, Cost. In ogni caso, quand'anche si aderisse ad un'interpretazione piu' restrittiva, che riconosca alle regioni una competenza meramente concorrente in materia, le disposizioni censurate risulterebbero comunque illegittime: la loro analiticita' e', infatti, clamorosamente evidente. Da un lato, (comma 1) viene puntualmente individuato il limite di valore (Euro 50.000) al di sopra del quale sorge l'obbligo in capo alle amministrazioni di cui all'art. 1, d.lgs. n. 358/1992, ed all'art. 2, d.lgs. n. 157/1995 (ivi comprese dunque le regioni), di esperire determinate procedure (aperte o ristrette) per l'aggiudicazione dei contratti di fornitura di beni o servizi, pena la nullita' dei contratti stessi (comma 4); dall'altro, vengono tassativamente elencati i soggetti che si sottraggono al predetto obbligo (comma 2); infine, si limita il ricorso alla trattativa privata a casi eccezionali, e comunque a condizione che venga dato conto della relativa motivazione, venga previamente esperita una indagine di mercato e ne sia successivamente data comunicazione alla sezione regionale della Corte dei conti (comma 5). Se, dunque, i principi generali individuabili a fondamento delle predette disposizioni sono quelli di trasparenza, favor per la gara ad evidenza pubblica, introduzione di forme di controllo, risparmio e contenimento della spesa ed efficienza nei sistemi di approvvigionamento, non si puo' tuttavia accettare che il legislatore statale abbia inteso vincolare le regioni non solo e non tanto al rispetto di detti principi, ma altresi' all'applicazione di disposizioni articolate e di dettaglio, che di tali principi costituiscono gia' concreta attuazione, in tal modo scavalcando completamente la legge regionale, unica fonte competente all'adozione di previsioni normative di dettaglio in materia. 3. - Quanto all'art. 28, violazione degli artt. 3, 5, 114, 117, 118 e 119 Cost. e dell'art. 10, legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3. L'art. 28, dopo aver riconosciuto al Ministero dell'economia e delle finanze il potere di acquisire ogni utile informazione sul comportamento degli enti e organismi pubblici di cui all'art. 1, comma 2, d.lgs. n. 165/2001, anche con riferimento all'obbligo di utilizzo delle convenzioni CONSIP, avvalendosi a tal fine dei propri rappresentanti nei collegi sindacali o di revisione presso i suddetti enti ed organismi, ovvero avvalendosi anche dei nuclei di valutazione o dei servizi di controllo interno di cui al d.lgs. n. 286/1999, prescrive che tutti gli incassi, i pagamenti e i dati di competenza economica rilevati dalle amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma 2, d.lgs. n. 165/2001, devono essere codificati con criteri uniformi su tutto il territorio nazionale. Parallelamente, il comma 4, istituisce un espresso divieto per le banche incaricate dei servizi di tesoreria e di cassa e per gli uffici postali che svolgono servizi analoghi di accettare disposizioni di pagamento prive di tale codificazione. Il comma 5 demanda poi al Ministro dell'economia e delle finanze, che vi provvede con propri decreti adottati sentita la Conferenza unificata Stato-regioni, il compito di stabilire la codificazione di cui al comma 3 e le modalita' ed i tempi per l'attuazione delle disposizioni di cui ai commi 3 e 4, nonche' di provvedere ad apportare tutte le necessarie integrazioni e/o modifiche alla codificazione stabilita. La norma impugnata incide su una materia, la finanza pubblica, che e' sottratta alla competenza legislativa dello Stato, non essendo ricompresa negli elenchi di cui ai commi 2 e 3 dell'art. 117 Cost. Pertanto, essa e' lesiva della sfera di competenza legislativa residuale riconosciuta e garantita alle regioni dal quarto comma dell'art. 117 Cost. Qualora, invece, si dovesse ritenere che l'oggetto della disciplina impugnata possa essere ricondotto alla materia "armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica affidata alla legislazione concorrente dall'art. 117, comma 3, Cost., le disposizioni de quibus risulterebbero comunque lesive della competenza legislativa regionale, in quanto vanno ben al di la' della mera enucleazione di principi fondamentali cui il legislatore regionale deve ispirarsi, giacche' contiene norme dalla stringente portata restrittiva. Con le disposizioni impugnate, infatti, sono dettate in modo analitico alcune norme direttamente regolanti la materia e, in seconda battuta, viene demandato a successivi decreti ministeriali il compito di ulteriormente specificare con norme di dettaglio quanto qui enunciato a livello di principio. Considerato il suo contenuto puntuale ed immediatamente operativo, la disposizione in esame non e' qualificabile ne' come principio fondamentale, come tale riservato alla legislazione dello Stato, ne' come disciplina di dettaglio di carattere "suppletivo", come tale derogabile dal legislatore regionale al quale spetta la potesta' legislativa nella materia, in quanto attributiva di una specifica competenza al Ministero per l'economia e le finanze. Sotto quest'ultimo profilo, l'art. 28 impugnato attribuisce al Ministro un potere regolamentare chiaramente escluso dall'art. 117, comma 6, Cost., in base al quale nelle materie di legislazione concorrente e di legislazione residuale regionale la potesta' regolamentare spetta in via esclusiva alle regioni. 4. - Quanto all'art. 34, violazione degli artt. 3, 5, 114, 117, 118 e 119 Cost. e dell'art. 10, legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3. L'articolo 34 detta una serie di disposizioni in materia di assunzioni del personale e ordinamento degli uffici. In particolare, il comma 4 della norma in esame pone un esplicito divieto di nuove assunzioni a tempo indeterminato per le pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, d.lgs. n. 165/2001, per tutto l'anno solare 2003, divieto rispetto al quale vengono introdotte alcune parziali deroghe fissate nei commi successivi. Il comma 11, poi, stabilisce che "ai fini del concorso delle autonomie regionali e locali al rispetto degli obiettivi di finanza pubblica, con decreti del Presidente del Consiglio dei ministri da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, previo accordo tra Governo, regioni e autonomie locali da concludere in sede di Conferenza unificata, sono fissati per le amministrazioni regionali, per le province e i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti che abbiano rispettato le regole del patto di stabilita' interno per l'anno 2002, per gli altri enti locali e per gli enti del Servizio sanitario nazionale, criteri e limiti per le assunzioni a tempo indeterminato per l'anno 2003. Tali assunzioni, fatto salvo il ricorso alle procedure di mobilita', devono, comunque, essere contenute, fatta eccezione per il personale infermieristico del Servizio sanitario nazionale, entro percentuali non superiori al 50 per cento delle cessazioni dal servizio verificatesi nel corso dell'anno 2002 ... Non puo' essere stabilita, in ogni caso, una percentuale superiore al 20 per cento per i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti e le province che abbiano un rapporto dipendenti-popolazione superiore a quello previsto dall'art. 119, comma 3, del decreto legislativo 25 febbraio 1995, n. 77, e successive modificazioni, maggiorato del 30 per cento o la cui percentuale di spesa del personale rispetto alle entrate correnti sia superiore alla media regionale per fasce demografiche. I singoli enti locali in caso di assunzioni di personale devono autocertificare il rispetto delle disposizioni relative al patto di stabilita' interno per l'anno 2002. Nei confronti delle province e dei comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti che non abbiano rispettato le regole del patto di stabilita' interno per l'anno 2002 rimane confermata la disciplina delle assunzioni a tempo indeterminato prevista dall'art. 19 della legge 28 dicembre 2001, n. 448. In ogni caso sono consentite, previa autocertificazione degli enti, le assunzioni connesse al passaggio di funzioni e competenze alle regioni e agli enti locali il cui onere sia coperto dai trasferimenti erariali compensativi della mancata assegnazione delle unita' di personale". Con gli stessi d.P.C.m. sopra menzionati, prosegue il comma 11, "e' altresi' definito, per le regioni, per le autonomie locali e per gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'ambito applicativo delle disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3" (rideterminazione delle dotazioni organiche, principio dell'invarianza della spesa, individuazione provvisoria delle dotazioni organiche in misura pari ai posti coperti al 31 dicembre 2002 fino al perfezionamento dei provvedimenti di rideterminazione di cui al comma 1). Le disposizioni contenute nell'art. 34, come e' agevole rilevare a prima lettura, incidono con una disciplina estremamente dettagliata sul rapporto tra le regioni e gli enti locali ed il relativo personale. Tale disciplina e' palesemente illegittima. Preliminarmente, occorre ribadire quanto gia' sottolineato piu' sopra a proposito del divieto per lo Stato di dettare una disciplina di dettaglio, peraltro nient'affatto cedevole, sia nelle materie di competenza esclusiva regionale che in quelle di competenza concorrente. Cio' premesso, si deve rilevare come la materia del pubblico impiego presso regioni ed enti locali sia riservata alla competenza esclusiva regionale. Cio' in quanto essa non rientra tra le materie tassativamente elencate come appartenenti alla competenza esclusiva dello Stato, ne' tra quelle a legislazione concorrente, con la conseguenza che, in forza del disposto dell'art. 117, comma 4, Cost., essa deve essere intesa ricadere nell'ambito riservato al legislatore regionale. Da quanto sopra deriva che lo Stato non puo' intervenire con legge in tale settore, men che meno introducendo una disciplina di dettaglio. Viceversa, la legge qui impugnata, in totale spregio della riforma del Titolo V della Costituzione, determina una inaccettabile invasione del campo dell'autonomia regionale. Sul grado di dettaglio delle disposizioni contenute nell'art. 34 non e' neppure il caso di soffermarsi, tanto esso appare in tutta la sua evidenza. La norma impugnata, dunque, interviene in una materia di esclusiva competenza regionale, pretendendo di disciplinare analiticamente aspetti essenziali del rapporto di impiego del personale delle regioni e degli enti locali in totale spregio dei principi costituzionali sul riparto delle competenze. Anche la rideterminazione degli organici e' indubbiamente materia di competenza esclusiva delle regioni: qui la lesivita' delle disposizioni contestate e' doppia, dal momento che non solo l'art. 34 interviene direttamente a disciplinare la materia de qua, ma addirittura autorizza una fonte secondaria (d.P.C.m.) ad intervenire in merito. Del resto, non puo' ritenersi sufficientemente tutelata l'autonomia regionale in virtu' della mera previsione di un previo accordo da raggiungersi in sede di Conferenza unificata in vista dell'adozione dei predetti decreti. Accanto ad una grave violazione dell'art. 117 Cost., e' riscontrabile nella fattispecie una altrettanto grave violazione anche dell'art. 118 Cost., nella parte in cui esso riconosce alle regioni la titolarita' di funzioni amministrative proprie, tra cui - innegabilmente - quella di autorganizzazione. E' evidente, del resto, che, oltre a invadere un ambito di normazione regionale, l'art. 34 impugnato finisce per incidere proprio sull'autonomia organizzativa della regione, che si trova fortemente limitata nelle proprie scelte discrezionali in tema di rapporti con il personale dai vincoli imposti dal legislatore statale. Preme sottolineare che il contestato intervento legislativo statale nel settore de quo non potrebbe trovare giustificazione neppure ove esso fosse ritenuto ispirato all'esigenza dello Stato di dettare principi per il "coordinamento della finanza pubblica": trattandosi, infatti, di materia in cui l'art. 117, comma 3, Cost., riconosce comunque alle regioni una potesta' legislativa concorrente, la norma impugnata dovrebbe in ogni caso essere riconosciuta illegittima per violazione del precetto costituzionale appena menzionato, in forza del quale lo Stato dovrebbe limitarsi a dettare mere norme di principio. Se, poi, la ratio della norma fosse individuata nell'esigenza di garantire il rispetto del patto di stabilita' interno, e con esso degli impegni assunti dall'Italia a livello comunitario, dovrebbe comunque concludersi per l'incostituzionalita' della normativa in epigrafe, viziata anche sotto il profilo della manifesta irragionevolezza e della sproporzione dei mezzi impiegati rispetto al fine perseguito (art. 3 Cost.): da un lato, infatti, all'attuazione degli impegni comunitari provvedono direttamente le regioni negli ambiti di loro competenza, ai sensi dell'art. 117, comma 5, Cost.; dall'altro lato, l'esigenza di assicurare il rispetto del patto di stabilita' potrebbe essere perseguita soltanto attraverso l'indicazione degli obiettivi, ma non anche mediante l'imposizione dei mezzi, dal momento che si versa in un ambito in cui le regioni godono di prerogative costituzionalmente riconosciute. 5. - Quanto all'art. 90, violazione degli artt. 3, 5, 114, 117, 118 e 119 dell'art. 10, legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3. L'art. 90 detta una serie di disposizioni in materia di attivita' sportiva dilettantistica, che affrontano diversi aspetti: dai profili tributari (commi da 1 a 11), all'istituzione e regolamentazione di un Fondo di garanzia per la fornitura di garanzia sussidiaria a quella ipotecaria per i mutui relativi alla costruzione, all'ampliamento, all'attrezzatura, al miglioramento o all'acquisto di impianti sportivi (commi da 12 a 16), alla costituzione e regolamentazione delle societa' e associazioni sportive dilettantistiche (commi da 17 a 19), all'istituzione presso il CONI di un registro nazionale delle societa' ed associazioni sportive dilettantistiche, l'iscrizione al quale diviene condizione necessaria per poter accedere ai contributi pubblici di qualsiasi natura (commi da 20 a 22), all'uso e alla gestione degli impianti sportivi (commi da 24 a 26). Deve senz'altro riconoscersi come l'art. 90 impugnato verta su questioni strettamente legate alla materia "ordinamento sportivo", ambito di potesta' legislativa regionale concorrente ai sensi dell'art. 117, comma 3, Cost. Proprio la norma costituzionale appena invocata appare con tutta evidenza violata nella fattispecie, ancora una volta in virtu' del grado di dettaglio della normativa statale contestata, che determina una illegittima invasione di un ambito riservato alla competenza regionale ed in cui il legislatore statale dovrebbe invece limitarsi a dettare larghe direttive di principio. Si consideri, per esempio, quanto statuito dai commi 20 e 21 dell'art. 90. Ivi si prevede l'istituzione, la regolamentazione e la gestione di un registro nazionale delle societa' ed associazioni sportive dilettantistiche da parte del CONI. A tale registro dovranno evidentemente far capo tanto le societa' affiliate alle Federazioni - che sono percio' naturalmente legate e dipendenti dal CONI -, quanto le societa' ed associazioni affiliate agli Enti di promozione sportiva - che di norma, occupandosi della promozione dello "sport per tutti" in collaborazione con gli enti locali, non sono collegate al CONI. Le disposizioni esaminate appaiono manifestamente in contrasto con il nuovo assetto dei poteri disegnato dalla riforma costituzionale del 2001: l'istituzione di un elenco o albo di associazioni, con l'introduzione di una forma di riconoscimento di tali soggetti, sia pure a fini sportivi, si ritiene non possa non essere oggi riconosciuta come prerogativa regionale. Va sottolineato, peraltro, come l'istituzione di un registro a livello nazionale non si giustifichi neppure con un'esigenza legata al carattere nazionale degli "enti chiamati ad iscriversi: sotto questo profilo, pertanto, viene in evidenza anche la manifesta irragionevolezza della disciplina contestata, che si muove nella direzione opposta a quella seguita dal legislatore in riferimento ad altre forme associative (organizzazioni di volontariato, associazioni di promozione sociale, societa' cooperative), vale a dire quella di favorire l'istituzione di albi e registri a livello locale. Con il successivo comma 22, l'art. 90 impugnato intende vincolare la concessione di contributi pubblici a societa' ed associazioni sportive dilettantistiche alla previa iscrizione presso il registro CONI di cui si e' detto. Anche questa disposizione si rivela, a ben vedere, gravemente illegittima, anche perche' incide in senso limitativo sulla possibilita' per la regione, cosi' come per gli altri enti pubblici, di sostenere e favorire con propri finanziamenti le societa' ed associazioni sportive dilettantistiche. Una manifesta violazione del riparto costituzionale delle competenze, con una illegittima invasione degli ambiti di competenza regionale da parte dello Stato, si riscontra anche con riferimento alle disposizioni contenute nell'art. 90 dedicate alla disciplina - analitica ed immediatamente operativa - della istituzione e della regolamentazione delle societa' ed associazioni di cui si discute. Non solo si rinviene, nel comma 17, la definizione puntuale delle forme giuridiche che tali associazioni possono assumere (associazione priva di personalita' giuridica disciplinata a norma degli artt. 36 e ss. c.c.; associazione con personalita' giuridica di diritto privato ai sensi del d.P.R. n. 361/2000; societa' di capitali costituita secondo le disposizioni vigenti, ad eccezione di quelle che prevedono le finalita' di lucro), ma addirittura il successivo comma 18 demanda ad uno o piu' regolamenti, da adottarsi ai sensi dell'art. 17, comma 2, legge n. 400/1988 il compito di individuare: a) i contenuti dello statuto e dell'atto costitutivo delle societa' ed associazioni sportive dilettantistiche; b) le modalita' di approvazione dello statuto stesso, di riconoscimento ai fini sportivi e di affiliazione ad una o piu' Federazioni nazionali del CONI o alle discipline associate o a uno degli enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI, anche su base regionale; c) i provvedimenti da adottare in caso di irregolare funzionamento o gravi irregolarita' di gestione o gravi infrazioni all'ordinamento sportivo. Non puo' quindi non riconoscersi, in uno con il grado di dettaglio ed analiticita' delle disposizioni menzionate, la grave violazione delle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite perpetrata per il tramite di tali disposizioni, attribuzioni regionali tanto piu' frustrate in quanto scavalcate anche da norme regolamentari. Le medesime considerazioni valgono, infine, anche con riferimento ai commi 24, 25 e 26 dell'art. 90. Del resto, e' innegabile che la gestione e l'uso degli impianti sportivi debbano essere ricompresi nel generale ambito della materia "ordinamento sportivo", e quindi riservati all'espressione della potesta' legislativa regionale concorrente. Lungi dal limitarsi ad enunciare meri principi e direttive atti a guidare il legislatore regionale, tuttavia, le disposizioni censurate si spingono a dettare una disciplina che non lascia adeguati margini di manovra alle regioni, e che deve pertanto essere dichiarata costituzionalmente illegittima.
P. Q. M. Voglia codesta ecc.ma Corte, in accoglimento del presente ricorso, dichiarare l'illegittimita' costituzionale della legge 27 dicembre 2002, n. 289, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, S.O. n. 240/L, Serie gen. n. 305 del 31 dicembre 2002, con particolare riferimento agli artt. 24, 28, 34 e 90. Milano, addi' 27 febbraio 2003 Avv. Prof.: Gisueppe Franco Ferrari 03C0242