N. 165 ORDINANZA 5 - 9 maggio 2003

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Processo  penale  -  Giudizio  abbreviato  -  Sentenza  di condanna -
  Esclusione  dell'impugnazione  del  pubblico  ministero - Lamentata
  irragionevolezza,  nonche'  asserito  contrasto con il principio di
  parita'  delle parti del processo, con il valore della certezza del
  diritto, i diritti inviolabili della persona, il diritto di difesa,
  l'obbligatorieta' dell'azione penale - Manifesta infondatezza della
  questione.
- Cod. proc. pen. art. 443, comma 3.
- Costituzione, artt. 2, 3, 24, 111, comma secondo, 112.
(GU n.19 del 14-5-2003 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Riccardo CHIEPPA;
  Giudici:  Gustavo  ZAGREBELSKY,  Valerio  ONIDA,  Carlo MEZZANOTTE,
Guido  NEPPI MODONA, Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco
BILE,  Giovanni  Maria FLICK, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA, Alfio
FINOCCHIARO;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 443, comma 3,
del  codice  di  procedura  penale,  promosso  con  ordinanza  del 20
giugno 2002  dalla Corte di appello di Napoli nel procedimento penale
a  carico di V.N. ed altro, iscritta al n. 462 del registro ordinanze
2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, 1ª
serie speciale, dell'anno 2002.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 13 marzo 2003 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
    Ritenuto  che,  nel  corso di un processo penale nei confronti di
persone  imputate  del  delitto  di illecita detenzione e cessione di
sostanze stupefacenti, la Corte di appello di Napoli ha sollevato, in
riferimento  agli  articoli 2, 3, 24, 111, secondo comma, e 112 della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 443,
comma 3,  del  codice  di  procedura  penale, il quale prevede che il
pubblico  ministero  non  puo' proporre appello contro le sentenze di
condanna  pronunciate nel giudizio abbreviato, salvo che si tratti di
sentenza che modifica il titolo del reato;
        che  il  giudice a quo premette, in punto di fatto, di essere
investito  dell'appello  proposto  dal  pubblico ministero avverso la
sentenza  di  condanna  emessa  in  primo grado a seguito di giudizio
abbreviato:   appello  con  il  quale  il  pubblico  ministero  aveva
contestato  la  congruita'  della pena inflitta, eccependo, altresi',
l'illegittimita'   costituzionale   della  limitazione  alle  proprie
facolta'  di  impugnazione sancita dal citato art. 443, comma 3, cod.
proc. pen;
        che,  ad  avviso  del  rimettente, la limitazione in discorso
poteva  in  effetti giustificarsi allorche' al pubblico ministero era
attribuito  il  potere  di  consentire  o  meno  allo svolgimento del
processo  con  il rito speciale, dato che la preclusione dell'appello
veniva sostanzialmente a dipendere dal suo consenso;
        che  le  successive  modifiche  della disciplina del giudizio
abbreviato  -  a  fronte  delle  quali tale rito viene ora introdotto
sulla  base  della  sola richiesta dell'imputato - avrebbero reso per
contro  irragionevole  la  preclusione  de  qua, trasformandola in un
effetto  automatico  dell'iniziativa  della  parte privata, idoneo ad
«assecondare» incongrue commisurazioni della pena non suscettibili di
«correzioni in peius»;
        che  la  norma  impugnata si porrebbe, altresi', in contrasto
con  il  principio  di  parita'  delle  parti  del  processo, sancito
dall'art. 111,  secondo  comma,  Cost.,  come  novellato  dalla legge
costituzionale 23 novembre 1999, n. 2: il limite all'impugnazione del
pubblico ministero determinerebbe, infatti, un «clamoroso squilibrio»
tra  i  poteri  della  parte  pubblica  e quelli della parte privata,
stante  l'unilateralita' dell'impedimento, conseguente addirittura ad
una    libera    scelta    della   parte   avversa,   peraltro   gia'
«sufficientemente premiata»;
        che,   da   ultimo,  la  disposizione  impugnata,  lungi  dal
provvedere  ad un ragionevole e «proporzionato» contemperamento degli
interessi in gioco, avrebbe «obliterato del tutto» valori «di rilievo
costituzionale essenziale» - quali la certezza del diritto, i diritti
inviolabili  della  persona, il diritto di difesa e l'obbligatorieta'
dell'azione   penale   (della   quale   il   potere  di  impugnazione
rappresenterebbe «un'estrinsecazione e un aspetto») - «a beneficio di
principi   certamente   subordinati,  quale  l'esigenza  di  economia
processuale»;
        che  nel  giudizio  di  costituzionalita'  e'  intervenuto il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  il  quale ha chiesto che la
questione sia dichiarata manifestamente infondata.
    Considerato  che  questa  Corte, in sede di scrutinio di analoghe
questioni,  ha  gia'  escluso che la disposizione impugnata contrasti
con  gli  artt. 3 e 111, secondo comma, Cost., poiche', per un verso,
il  principio  di  parita'  delle parti «non comporta necessariamente
l'identita'  tra i poteri processuali del pubblico ministero e quelli
dell'imputato»,  potendo  una  disparita'  di  trattamento  risultare
giustificata,  «nei  limiti della ragionevolezza, sia dalla peculiare
posizione  istituzionale  del  pubblico ministero, sia dalla funzione
allo   stesso  affidata,  sia  da  esigenze  connesse  alla  corretta
amministrazione  della  giustizia»;  e, per un altro verso, il limite
all'appello  della  parte  pubblica,  oggetto  di censura, continua a
trovare giustificazione, come per il passato, nell'obiettivo primario
della  rapida  e  completa definizione dei processi svoltisi in primo
grado  con  il rito abbreviato: rito che - sia pure, oggi, per scelta
esclusiva  dell'imputato  - implica una decisione fondata, in primis,
sul   materiale  probatorio  raccolto  dalla  parte  che  subisce  la
limitazione  denunciata,  fuori  delle  garanzie  del contraddittorio
(cfr. ordinanza n. 347 del 2002; e, con riferimento al solo art. 111,
secondo comma, Cost., ordinanza n. 421 del 2001);
        che  questa  Corte  ha  altresi'  escluso che risulti violato
l'art. 112  Cost.,  non  costituendo  il  potere  di impugnazione del
pubblico ministero una estrinsecazione necessaria dei poteri inerenti
all'esercizio dell'azione penale (cfr. ordinanza n. 347 del 2002);
        che  l'odierna  ordinanza  di  rimessione  non  prospetta, al
riguardo,   profili  nuovi  rispetto  a  quelli  gia'  in  precedenza
scrutinati;
        che   gli  ulteriori  parametri  costituzionali  evocati  dal
giudice  rimettente  -  ossia gli artt. 2 e 24 Cost., sotto l'aspetto
della  tutela  dei diritti inviolabili della persona e del diritto di
difesa  -  appaiono chiaramente inconferenti rispetto alla previsione
normativa denunciata;
        che  la  questione  va  dichiarata,  pertanto, manifestamente
infondata.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 443,  comma 3,  del codice di
procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 111,
secondo  comma,  e  112 della Costituzione, dalla Corte di appello di
Napoli con l'ordinanza indicata in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 5 maggio 2003.
                       Il Presidente: Chieppa
                         Il redattore: Flick
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 9 maggio 2003.
               Il direttore della cancelleria:Di Paola
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