N. 661 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 marzo 2003

Ordinanza  emessa  il  25  marzo  2003  dal  tribunale di Gorizia nel
procedimento penale a carico di Aigheysi Kenry

Straniero - Espulsione amministrativa - Reato di trattenimento, senza
  giustificato  motivo,  nel  territorio  dello  Stato  in violazione
  dell'ordine  di  allontanamento, entro il termine di cinque giorni,
  impartito  dal  questore  -  Arresto  obbligatorio  in  flagranza -
  Eccessiva  afflittivita'  della  misura - Disparita' di trattamento
  rispetto  ad  ipotesi  di  reato  di analoga gravita' - Carenza del
  requisito della necessita' ed urgenza per l'adozione da parte della
  polizia   giudiziaria  di  provvedimenti  provvisori  destinati  ad
  incidere   sulla   liberta'   personale  -  Indeterminatezza  della
  fattispecie  incriminatrice  -  Violazione  del  principio  di buon
  andamento della pubblica amministrazione.
- Decreto    legislativo    25 luglio    1998,    n. 286,    art. 14,
  comma 5-quinquies, aggiunto dalla legge 30 luglio 2002, n. 189.
- Costituzione, artt. 3, 13, 25 e 97.
(GU n.36 del 10-9-2003 )
                            IL TRIBUNALE

    Nel  procedimento  penale  n. 289/2003  RG,  iscritto a carico di
Aigheysi  Kenry,  nato  il  21  agosto  1978  a Benin City (Nigeria),
instaurato per la convalida dell'arresto ed il giudizio direttissimo;
sulla  questione  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 14 comma
5-quinquies   d.lgs.   n. 286/1998   (come   modificato  dalla  legge
n. 189/2002), sollevata dal p.m. in udienza di convalida; sciogliendo
la  riserva  assunta  nell'udienza  camerale  dd.  15  marzo 2003; ha
pronunciato la seguente ordinanza.
    1.  - Aigheysi Kenry e' stato tratto in arresto in Gorizia, il 14
marzo   2003  alle  h.  15.00,  nella  flagranza  del  reato  di  cui
all'art. 14  comma  5-ter  d.lgs.  n. 286/1998 (come modificato dalla
legge   n. 189/2002),  per  essersi  trattenuto,  senza  giustificato
motivo,  in  territorio  nazionale,  dopo  la scadenza del termine di
cinque  giorni,  impostogli  dal questore di Udine, con provvedimento
emesso e notificato il 15 febbraio 2003, ai sensi dell'art. 14, comma
5-bis del d.lgs. n. 286/1998.
    Presentato  tempestivamente  -  in  stato  di  arresto - a questo
giudice,   all'udienza  fissata  per  la  convalida  ed  il  giudizio
direttissimo, dopo l'interrogatorio dell'arrestato, il p.m. sollevava
questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 14 comma 5-ter e
quinquies d.lgs. n. 286/1998 come modificato dalla legge n. 189/2002.
    Il difensore si rimetteva.
    Questo  giudice  disponeva  l'immediata rimessione in liberta' di
Aigheysi  Kenry,  non  ammettendo  il  reato  ascritto  all'arrestato
l'applicazione   di   misure,  riservandosi  la  decisione  sulla  la
questione di costituzionalita'.
    Tanto  premesso  dubita  questo  giudice  di poter procedere alla
convalida  dell'arresto,  nonostante l'attivita' svolta dalla polizia
giudiziaria sia conforme alla normativa in vigore.
    Il   dubbio   investe  invero  il  disposto  dell'art. 14,  comma
5-quinquies,   d.lgs.   n. 286/1998   come   modificato  dalla  legge
n. 189/2002,  laddove prevede - per il reato contravvenzionale di cui
al comma 5-ter - l'arresto obbligatorio del responsabile.
    Al  riguardo, oltre a condividere quanto evidenziato dal pubblico
ministero  nella  memoria  allegata  al  verbale  d'udienza, sembrano
ravvisabili ulteriori profili che fanno dubitare della conformita' di
detta norma ai principi costituzionali.
    Invero  la  disposizione  pare in contrasto con i principi di cui
agli artt. 3, 13 terzo comma, 25 e 97 della Costituzione.
    2. - Violazione dell'art. 3 della Costituzione.
    E' ben noto che rientra nella discrezionalita' del legislatore la
valutazione  circa  la  gravita'  dei fatti penalmente rilevanti e la
conseguente   necessita'   di   prevedere   o   meno   l'arresto  dei
responsabili,  ma e' altrettanto noto che il principio costituzionale
di   eguaglianza  impone  che  situazioni  personali  omogenee  siano
trattate in modo omogeneo.
    In  ragione  di  cio', la previsione dell'arresto obbligatorio di
cui  all'art. 14  comma  5-ter  e  quinquies d.lgs. n. 286/1998, pare
irragionevole  su un duplice piano: sia qualora venga comparata con a
disciplina   generale   di   cui   all'art. 380  c.p.p.  sull'arresto
obbligatorio  in  flagranza  di  reato, sia qualora la disamina venga
operata  circoscrivendo  il  campo  di  osservazione  alla sola legge
n. 189/2002.
    Sotto  il primo aspetto, si rileva che l'art. 380 c.p.p. prevede,
in via generale, l'arresto obbligatorio per reati sanzionati con pena
edittale  elevatissima  (reclusione  non  inferiore a cinque anni nel
minimo  ed a venti nel massimo: I comma), ovvero per delitti comunque
caratterizzati  da  notevole  gravita'  per  offensivita'  e  allarme
sociale,  quali  ad  es.  delitti contro la personalita' dello Stato,
riduzione  in  schiavitu',  delitti  di  partecipazione  promozione e
direzione  di  associazione  di  tipo  mafioso,  rapine  ecc.(secondo
comma).
    Trattasi in ogni caso di delitti e, come tali, connotati dal dolo
ovvero  da  un  atteggiamento  psicologico di coscienza e volonta' di
violare la norma.
    Ebbene,  se  si  esamina  il  precetto  dell'art. 14 comma 5-ter,
emerge  immediatamente  la  profonda  differenza con la tipologia dei
reati  sopra  indicati,  laddove  si  consideri che la norma in esame
sanziona  -  nella sostanza - una negligente o passiva inottemperanza
ad  un  ordine di allontanamento dato dal questore, delineando dunque
una  fattispecie  di  natura  assolutamente  diversa sotto il profilo
dell'offensivita',     dell'allarme    sociale,    dell'atteggiamento
psicologico.
    Si  tratta  di  contravvenzione  che e', dunque, punibile anche a
mero  titolo  di  colpa.  La  previsione dell'arresto obbligatorio in
flagranza  di  un reato che e' qualificato, dallo stesso legislatore,
quale   mera   contravvenzione  appare,  pertanto,  irragionevolmente
affittiva.
    Sotto  il  secondo  aspetto,  va poi rilevato che l'irragionevole
disparita'  di  trattamento  si  rinviene  anche qualora si limiti la
disamina  alla  sola legge n. 189/2002 e, in particolare, operando il
raffronto  tra il reato di cui all'art. 14 comma 5-ter ed il reato di
cui  all'art. 13  comma  13  che  sanziona,  invece,  il rientro dopo
l'espulsione.
    La  pena  prevista per le due citate contravvenzioni e' identica,
avendo  evidentemente  il  legislatore  ritenuto  i due reati di pari
offensivita'.
    Cio'  premesso, non si comprende la diversa disciplina tra le due
fattispecie,  atteso  per la prima e' previsto l'arresto obbligatorio
(art. 14  comma  5-quinquies)  e per la seconda l'arresto facoltativo
(cfr. art. 13 comma 13-ter).
    Tanto  piu'  che l'elemento intenzionale proprio del reato di cui
all'art. 13  comma  13 - in quanto sottostante ad una condotta attiva
di  rientro dopo l'espulsione - sembra necessariamente piu' intenso e
piu'  forte  rispetto  a  quello  che connota il negligente o passivo
comportamento di chi non ottemperi all'ordine del questore.
    3. - Violazione dell'art. 13 comma 3 della Costituzione.
    Pare  altresi' che la legittimita' della norma in questione debba
essere  esaminata anche in rapporto ai principi costituzionali di cui
all'art.  13  comma  3  della  Costituzione,  laddove e' previsto che
l'autorita'   di  pubblica  sicurezza  possa  adottare  provvedimenti
provvisori incidenti sulla liberta' personale «in casi eccezionali di
necessita' ed urgenza indicati tassativamente dalla legge».
    La  disposizione  in  esame  - nel testo costituzionale - risulta
peraltro  configurata  come  una  eccezione  ai  due  principi che la
precedono,  ovvero a quello di cui al primo comma dell'inviolabilita'
della  liberta'  personale,  ed  a quello di cui al secondo comma che
conferisce  alla  sola autorita' giudiziaria la competenza ad operare
restrizioni  della  liberta'  personale  «per atto motivato ... e nei
soli casi e modi previsti dalla legge».
    In  tale  contesto, pare evidente che l'intervento dell'autorita'
di  pubblica  sicurezza  sia  legittimo solo in presenza di effettive
condizioni  di  necessita'  ed  urgenza,  talmente  pregnanti  da non
rendere possibile l'esplicarsi di quel «potere ordinario» di limitare
la liberta' personale, come disegnato dal secondo comma dell'art. 13.
    Muovendo  da  tale  premessa,  va in primo luogo rilevato che, in
relazione  al  reato  di  cui  all'art. 14  comma  3-ter, l'autorita'
giudiziaria  non  ha  alcun potere di limitare la liberta' personale,
atteso  che,  in ragione dei limiti edittali di pena previsti, e' del
tutto  esclusa  la  possibilita'  di  applicare  qualsivoglia  misura
cautelare.
    Con  la  conseguenza che - nella specie - risulta sostanzialmente
conferito  alla autorita' di pubblica sicurezza un autonomo potere di
limitare  la  liberta'  personale  che  non  e'  invece  riconosciuto
all'a.g.,  con  cio' contraddicendo il sistema disegnato dall'art. 13
Cost.  che  configura  -  viceversa  -  solo un potere dell'autorita'
giudiziaria  in  tal  senso,  prevedendo  nel  contempo  -  nei  casi
eccezionali di necessita' ed urgenza - che detto potere possa essere,
in via provvisoria e suppletiva, esercitato dall'autorita' di P.S.
    Ne' pare possibile riconoscere - al potere della P.S. di limitare
la  liberta'  personale  diversa da quella sopra delineata, deponendo
univocamente  in  tal senso le disposizioni, pure contenute nel terzo
comma  dell'art. 13,  relative  alla  necessita'  che i provvedimenti
adottati   dall'autorita'   di   P.S.   -  espressamente  qualificati
«provvisori» - vengano tempestivamente comunicati all'AG, necessitino
di  convalida  e rimangano privi di ogni effetto qualora la convalida
non intervenga.
    In  secondo  luogo,  va  poi evidenziata l'irragionevolezza della
previsione  dell'arresto  obbligatorio  in  relazione alla disciplina
dettata  per  fase  successiva,  atteso che - inevitabilmente - detto
arresto,  pur  in  ipotesi  di convalida, non puo' che essere seguito
dall'ordine   di   liberazione  dell'arrestato,  dovendo  il  giudice
comunque  provvedere ai sensi del comma sesto dell'art. 391 c.p.p. in
forza del rinvio contenuto nell'art. 558 c.p.p.
    E'  infatti escluso che il giudice possa altrimenti provvedere ai
sensi   del   quinto   comma   dell'art. 391   c.p.p.,   essendo   la
contravvenzione  in  questione punita con la pena dell'arresto da sei
mesi  ad un anno e, dunque, non contemplata nella disciplina generale
in  materia di misure cautelari come prevista dagli artt. 272 e segg.
c.p.p.
    Peraltro, neppure una disamina complessiva della normativa di cui
alla    legge   n. 189   consente   di   individuare   alcuna   ratio
giustificatrice dell'arresto obbligatorio.
    Invero,   anche   in   ragione   della  natura  contravvenzionale
dell'illecito  di cui all'art. 14 comma 3-ter, non pare che lo stesso
sia  stato  valutato  dal  legislatore  come connotato da particolare
disvalore:  sicche'  -  nel  caso  di  specie  -  non  sembra possano
soccorrere  i  canoni  ermeneutici  individuati  dalla  stessa  Corte
costituzionale  nella  decisione  305  del  1996,  laddove  e'  stata
riconosciuta la legittimita' costituzionale dell'art. 189 comma sesto
nuovo  codice  della  strada,  nella  parte  in cui prevede l'arresto
(comunque  facoltativo),  in  relazione  ad  un  delitto  la cui pena
edittale  e'  minore  di  quella  stabilita  con  previsione generale
dall'art.  381,  comma  1  c.p.p.,  sottolineando  che «rientra nella
discrezionalita'  del  legislatore  prevedere  la  possibilita' di un
intervento  immediato  nei  confronti  di  chi si sia dato alla fuga,
abbia   abbandonato   le   vittime   di   incidenti  stradali  a  lui
riconducibili  ed  abbia messo in pericolo la sicurezza individuale e
collettiva».
    Ne'  sembra,  altrimenti,  che la ratio dell'arresto obbligatorio
possa  essere individuata nella necessita' di assicurare l'esecuzione
dell'espulsione,  avendo  la legge n. 189 innovato in materia, con la
previsione  comunque  di  un generale potere del questore di disporre
l'espulsione  con  accompagnamento alla frontiera (cfr. art. 13 comma
quarto).
    Dunque,   anche   sotto   tali  aspetti  non  paiono  ravvisabili
situazioni  eccezionali  di  necessita'  ed  urgenza,  si  da rendere
conforme al dettato costituzionale la norma in esame.
    3. - Violazione dell'art. 25 della Costituzione.
    L'art. 25   -   per   condivisa   elaborazione   di   dottrina  e
giurisprudenza   -   viene   indicato   come   la   sede  in  cui  e'
costituzionalizzato   il  principio  di  tassativita',  inteso  quale
corollario e completamento logico dei principi della riserva di legge
e della irretroattivita' (Corte cost. n. 370 del 1996).
    Piu'  in  particolare,  e'  stato  sottolineato  che  la funzione
garantista  dei  due principi da ultimo enunciati sarebbe in concreto
frustrata laddove non fosse possibile stabilire a priori il contenuto
precettivo  di  ciascuna norma e si lasciasse al giudice il potere di
determinarlo di volta in volta.
    Ebbene, la previsione dell'arresto obbligatorio in relazione alla
fattispecie di cui all'art. 14 comma 5-ter, pare contenere un difetto
di  tipicita':  la  norma  -  descrivendo  la  condotta  illecita del
trattenersi  nel  territorio  nazionale  dopo la scadenza del termine
imposto dal questore - richiede che detta condotta sia stata posta in
essere «senza giustificato motivo».
    Tale  difetto  di  tipicita' pare tanto piu' evidente e pregno di
conseguenze  ove  si'  consideri  che detto elemento costitutivo deve
essere  necessariamente valutato in una fase assolutamente prodromica
al  procedimento  (quale  quella in cui viene assunta la decisione di
procedere  o  meno  all'arresto)  e  dunque  in  un  momento m cui la
cognizione della situazione di fatto non puo' che essere estremamente
sommaria.
    A  cio'  si  aggiunga che detta decisione e' interamente devoluta
agli   organi   di   polizia  e  che  la  valutazione  dell'autorita'
giudiziaria  -  circa la sussistenza o meno del giustificato motivo -
si colloca in una fase in cui la restrizione della liberta' personale
e' ormai intervenuta.
    4. - Violazione dell'art. 97 Costituzione.
    Da  ultimo,  pare  altresi'  che  la  legittimita' della norma in
questione  debba  essere  esaminata  anche  in  rapporto al principio
costituzionale  di buon andamento dell'amministrazione, non potendosi
trascurare  la  considerazione del notevole incremento di adempimenti
che  l'applicazione  concreta dell'art. 14 comma 5-quinquies comporta
quotidianamente    innanzitutto   per   l'attivita'   della   polizia
giudiziaria,  poi per l'amministrazione penitenziaria, infine per gli
uffici  giudiziari.  Cio' e' tanto piu' evidente laddove si consideri
l'attivita'  corrente delle strutture operanti in zone confinarie del
territorio nazionale.
    Peraltro,  siffatto incremento di attivita' dovuto all'obbligo di
procedere all'arresto - per tutte le motivazioni gia' sopra riportate
- sfocia poi nello scontato esito della liberazione dell'arrestato.
    Piu' volte la Corte cotituzionale ha precisato i ristretti limiti
entro   i   quali  il  principio  costituzionale  di  buon  andamento
dell'amministrazione  puo'  essere  ritenuto  applicabile agli uffici
preposti   all'attivita'   giurisdizionale  (sentenza  84  del  1996;
ordinanza  257  del  1995;  sentenza  140  del 1992; sentenza 376 del
1993).
    Peraltro,  nel  caso  di  specie,  va  rilevato che la previsione
dell'arresto obbligatorio di cui all'art. 14 comma 5-quinquies, ancor
prima   di   incrementare   inutilmente   l'attivita'   degli  uffici
propriamente  giurisdizionali,  comporta  un  notevole  dispendio  di
energie  per  tutte  le strutture amministrative che sono chiamate ad
intervenire prima dell'autorita' giudiziaria.
    Dunque, sotto tale profilo, pare pertinente il vaglio della norma
con riferimento all'art. 97 della Costituzione.
                              P. Q. M.
    Visti gli artt. 134 Cost. e 23, legge n. 11 marzo 1953, n. 87.
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 14  comma  5-quinquies d.lgs.
n. 286/1998  come  sostituito dalla legge n. 189/2002, nella parte in
cui  prevede  l'arresto  obbligatorio per il reato di cui all'art. 14
comma  5-ter, per violazione degli articoli 3, 13, 25 e 97 Cost. come
descritto in motivazione;
    Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
    Sospende il giudizio di convalida;
    Manda  alla  cancelleria  per  la  notificazione  della  presente
ordinanza  all'imputato  ed  al  suo  difensore,  al p.m. in sede, al
Presidente  del  Consiglio dei ministri, nonche' per la comunicazione
ai   Presidenti   della  Camera  dei  deputati  e  del  Senato  della
Repubblica.
        Gorizia, addi' 25 marzo 2003
                        Il giudice: Brindisi
03C0962