N. 148 SENTENZA 13 - 25 maggio 2004

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Processo  penale  -  Giudizio  immediato  -  Decreto  di  citazione a
  giudizio  - Mancanza, insufficienza o inesattezza dell'avviso circa
  la  facolta'  dell'imputato  di  chiedere  il giudizio abbreviato o
  l'applicazione  della  pena  -  Ritenuta inesistenza della sanzione
  della  nullita' - Lamentata difformita' rispetto alla disciplina di
  cui  all'art. 555, comma 2, cod. proc. pen., violazione del diritto
  di  difesa, lesione del diritto dell'imputato di disporre del tempo
  e  delle  condizioni  necessarie  per  preparare  la  difesa  - Non
  fondatezza, nei sensi di cui in motivazione, della questione.
- Cod. proc. pen., art. 456.
- Costituzione, artt. 3, 24 e 111.
(GU n.1001 del 3-6-2004 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Gustavo ZAGREBELSKY;
  Giudici:  Valerio  ONIDA,  Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido
NEPPI  MODONA, Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE,
Giovanni  Maria  FLICK,  Francesco  AMIRANTE,  Ugo  DE SIERVO, Romano
VACCARELLA, Paolo MADDALENA, Alfonso QUARANTA;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 456 del codice
di procedura penale, promosso, nell'ambito di un procedimento penale,
dalla  Corte  di  appello di Palermo con ordinanza del 24 marzo 2003,
iscritta  al  n. 406  del  registro ordinanze 2003 e pubblicata nella
Gazzetta   Ufficiale  della  Repubblica  n. 27,  1ª  serie  speciale,
dell'anno 2003.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 24 marzo 2004 il giudice
relatore Guido Neppi Modona.

                          Ritenuto in fatto

    1. -  Con  ordinanza  del  24 marzo  2003  la Corte di appello di
Palermo  ha  sollevato,  in  riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della
Costituzione,  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 456
del  codice  di  procedura  penale, nella parte in cui non prevede la
nullita'  del  decreto che ha disposto il giudizio immediato nel caso
di  mancanza,  insufficienza  o  inesattezza  dell'avviso  di  cui al
comma 2 del medesimo articolo.
    La   rimettente   premette   che,   con   decreto  depositato  il
12 settembre  2001,  era  stato  disposto  il  giudizio immediato nei
confronti di un soggetto imputato di resistenza a pubblico ufficiale,
lesioni  aggravate e danneggiamento. Il decreto, nel quale il termine
per  la  richiesta  del giudizio abbreviato o dell'applicazione della
pena  era erroneamente indicato in sette giorni anziche' in quindici,
era  stato  notificato  all'imputato  il  17 settembre 2001; l'avviso
della  data fissata per il giudizio era stato notificato al difensore
il  9 ottobre  2001,  quando  anche il termine di quindici giorni era
comunque gia' decorso.
    Nella fase degli atti introduttivi del giudizio di primo grado la
difesa  dell'imputato  aveva  eccepito  la  nullita'  del  decreto di
giudizio  immediato  per l'erronea indicazione del termine, chiedendo
altresi'  che l'imputato fosse rimesso in termini per la richiesta di
patteggiamento  o di giudizio abbreviato; entrambe le richieste erano
state respinte dal primo giudice con ordinanza del 19 novembre 2001 e
poi  con  sentenza  del  24  giugno 2002, con la quale l'imputato era
stato condannato a sette mesi di reclusione.
    L'imputato  aveva  interposto appello riproponendo l'eccezione di
nullita'  del  decreto  di  giudizio immediato ed aveva dedotto a tal
proposito   che  la  «indebita  compressione»  del  termine  indicato
nell'avviso  prescritto  dall'art. 456,  comma 2,  cod.  proc.  pen.,
costituiva  «violazione  di una disposizione concernente l'intervento
dell'imputato»,  con  conseguente nullita' del decreto stesso a norma
dell'art. 178,   comma 1,   lettera c),   cod.  proc.  pen.,  essendo
evocabile  nel  caso  in esame la sentenza della Corte costituzionale
n. 497  del  1995,  secondo  cui  l'avviso concernente la facolta' di
ricorrere  ai  riti alternativi e' funzionale al tempestivo esercizio
del  diritto  di  difesa. Decorso il termine di sette giorni indicato
nel   decreto,   l'imputato  poteva  infatti  essersi  determinato  a
contattare  il  proprio  difensore  solo  in  prossimita'  della data
dell'udienza   fissata  per  il  giudizio,  sulla  base  dell'erroneo
convincimento  di  non  avere alcuna alternativa al dibattimento. Nel
caso  di  specie,  poi, la gravita' della violazione era «ancora piu'
evidente,  posto  che  il  decreto  era stato notificato al difensore
quando  erano gia' decorsi i quindici giorni utili» e che, secondo la
pacifica  interpretazione data alla norma in questione dalla Corte di
cassazione,  prima  che  la  Corte  costituzionale  ne dichiarasse la
incostituzionalita' con la sentenza n. 120 del 2002, depositata il 16
aprile,  il  termine  di  quindici  giorni  per  optare  per  i  riti
alternativi  decorreva  dalla notifica del decreto all'imputato e non
dall'avviso al difensore.
    2. -  Cio' premesso, la Corte di appello osserva che, in punto di
fatto,  le prospettazioni dell'appellante sono esatte, essendo certa,
in  particolare,  l'erronea  indicazione del termine di sette giorni,
evidentemente  frutto di un omesso aggiornamento del gia' predisposto
modello di decreto dopo che il termine era stato aumentato a quindici
giorni  dall'art. 14  della  legge  1° marzo  2001, n. 63, e che tale
inesattezza   aveva  determinato  «una  situazione  di  insufficienza
dell'avviso  di  cui  all'art. 456,  comma 2, cod. proc. pen., avendo
compresso   il  termine  dilatorio  previsto  (peraltro,  a  pena  di
decadenza)  dall'art. 458  cod.  proc. pen. per fare valere la scelta
per  i  riti alternativi ed avendo, comunque, al riguardo, fornito al
destinatario  una  indicazione  fuorviante,  suscettibile di incidere
sulle  sue  determinazioni».  Decorsi  i  sette giorni menzionati nel
decreto,    l'imputato   era   infatti   «autorizzato   a   ritenere,
erroneamente,  ormai  precluso  il  ricorso  ai  riti  alternativi  e
conseguentemente  inutile  la  presentazione  di  una  istanza in tal
senso».
    L'eccezione  di  nullita',  prosegue  la  rimettente,  era  stata
rigettata  dal  primo  giudice  in base al duplice rilievo che tra le
ipotesi di nullita' del decreto di giudizio immediato non e' prevista
la  omessa indicazione dell'avviso in questione e che l'art. 456 cod.
proc. pen. non contempla la necessita' di menzionare anche il termine
entro il quale far valere l'opzione per i riti alternativi.
    La  Corte  di appello ritiene invece che «nel valutare la materia
l'interprete  non  puo'  non  considerare i principi dettati da altra
norma  che  regola  un  caso  del  tutto analogo», e cioe' il comma 2
dell'art. 552  cod.  proc.  pen.,  «che  ha riformulato il precedente
art. 555  cod.  proc.  pen.  e,  recependo il principio affermato, in
relazione  a  quest'ultima  disposizione,  dalla sentenza della Corte
costituzionale  n. 497 del 1995», ha previsto la nullita' del decreto
di  citazione  per  la  mancanza  o la insufficienza dell'avviso che,
qualora   ne   ricorrano   i  presupposti,  l'imputato,  prima  della
dichiarazione  di  apertura  del  dibattimento  di  primo grado, puo'
presentare  le  richieste  previste  dagli artt. 438 e 444 cod. proc.
pen., ovvero domanda di oblazione.
    Applicando lo stesso principio si dovrebbe dunque ritenere che il
decreto  introduttivo  del  giudizio  sia  nullo, posto che l'erronea
menzione  del  termine «radica una insufficiente ed, anzi, fuorviante
formulazione  del  prescritto  avviso».  Tuttavia secondo la Corte di
appello   non  sarebbe  possibile  addivenire  alla  declaratoria  di
nullita'  in  via  interpretativa,  in  quanto,  da un lato la stessa
sentenza  della Corte costituzionale dichiarativa dell'illegittimita'
costituzionale  dell'art. 555,  comma 2, cod. proc. pen., nella parte
in cui non prevedeva specificamente tale causa di nullita', impone di
ritenere  che  l'ipotesi  in  questione  non  integra una nullita' di
ordine   generale   desumibile   sistematicamente   dall'applicazione
dell'art. 178,  comma 1,  lettera c),  cod. proc. pen., dall'altro il
regime   di   tassativita'   delle  nullita'  non  consente  di  fare
applicazione  analogica  della  ipotesi  di  nullita' delineata dalla
Corte costituzionale, da ritenere, per quanto ora detto, «specifica».
    Ad  avviso  della  Corte rimettente, non resterebbe percio' altra
soluzione  che  sollevare la questione di legittimita' costituzionale
della disposizione in esame. Essa infatti, non prevedendo la nullita'
del  decreto  che  dispone il giudizio immediato in caso di mancanza,
insufficienza  o  inesattezza  della indicazione dell'avviso circa la
facolta' di chiedere riti alternativi, reca un potenziale pregiudizio
all'esercizio  di  tale  facolta'.  Alla stregua della sentenza della
Corte costituzionale n. 497 del 1995, risulterebbero percio' violati:
l'art. 3  Cost.,  a  causa della difformita' di disciplina per casi -
quello  regolato  dall'art. 552, comma 2, cod. proc. pen. e quello in
esame  - che «presentano natura sostanzialmente identica»; il diritto
inviolabile  della  difesa  in  ogni  stato  e grado del procedimento
sancito   dall'art. 24   Cost;   l'art. 111   Cost.,   che  riconosce
all'imputato  il  diritto  di  disporre «del tempo e delle condizioni
necessari per preparare la sua difesa».
    3. -  E' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  chiedendo  che  la  questione  sia dichiarata inammissibile o
infondata.

                       Considerato in diritto

    1. -  La  Corte  di  appello di Palermo dubita della legittimita'
costituzionale  dell'art. 456  del  codice di procedura penale, nella
parte  in  cui non prevede la nullita' del decreto che ha disposto il
giudizio  immediato nel caso di mancanza, insufficienza o inesattezza
dell'avviso  che  l'imputato  puo'  chiedere il giudizio abbreviato o
l'applicazione della pena.
    Nel  ripercorrere  le  vicende  processuali del giudizio di primo
grado,  la  Corte  di appello rimettente aderisce, in punto di fatto,
alle  argomentazioni  svolte  dall'imputato  appellante nei confronti
della  sentenza  di condanna, rilevando che l'erronea indicazione del
termine  di  sette  giorni,  anziche'  di  quindici giorni, entro cui
l'imputato,  a norma del combinato disposto degli artt. 456, comma 2,
e 458, comma 1, cod. proc. pen., puo' chiedere il giudizio abbreviato
o  l'applicazione  della  pena, ha determinato «una insufficiente ed,
anzi, fuorviante formulazione del prescritto avviso».
    Secondo  il rimettente, la situazione sarebbe del tutto analoga a
quella  esaminata da questa Corte nella sentenza n. 497 del 1995, che
ha   dichiarato   l'illegittimita'   costituzionale   del  previgente
art. 555,  comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedeva
la nullita' del decreto di citazione a giudizio davanti al pretore in
caso  di  mancanza  o  insufficienza  dell'avviso  circa  la facolta'
dell'imputato  di  ricorrere  ai  riti alternativi. A seguito di tale
sentenza  il legislatore aveva poi introdotto la sanzione di nullita'
nel  comma 2 dell'art. 552 cod. proc. pen., che disciplina il decreto
di   citazione  a  giudizio  davanti  al  tribunale  in  composizione
monocratica.  Secondo  la  difesa  della parte privata nel giudizio a
quo,  l'ipotesi  in  esame  dovrebbe dunque integrare una nullita' di
ordine  generale  relativa  all'intervento dell'imputato ex art. 178,
comma 1, lettera c), cod. proc. pen.
    Il   rimettente  esclude  peraltro  di  poter  pervenire  in  via
interpretativa  a  tale  soluzione:  dalla stessa sentenza n. 497 del
1995 si desumerebbe infatti che la Corte costituzionale si e' risolta
a  dichiarare  l'illegittimita'  costituzionale  della  norma  allora
censurata  proprio  sul presupposto che l'omissione o l'insufficienza
dell'avviso  non  integra  una nullita' di ordine generale ricavabile
direttamente dall'art. 178, comma 1, lettera c), cod. proc. pen.
    La  Corte  di  appello solleva pertanto questione di legittimita'
costituzionale  dell'art. 456  cod.  proc.  pen.  per  contrasto  con
l'art. 3   Cost.,   a   causa   della   difformita'   di   disciplina
rispettivamente  riservata  dall'art. 552, comma 2, cod. proc. pen. e
dalla  norma  in  esame a casi che «presentano natura sostanzialmente
identica»; con l'art. 24 Cost., per violazione del diritto di difesa;
con  l'art. 111  Cost.,  nella  parte  in  cui  sancisce  il  diritto
dell'imputato  di disporre del tempo e delle condizioni necessari per
preparare la difesa.
    2. -   La  questione  non  e'  fondata  nei  termini  di  seguito
precisati.
    3. - Non vi e' dubbio che la sentenza n. 497 del 1995 ha preso in
esame  un  dato  normativo  - la mancata previsione della sanzione di
nullita'  in  caso  di  omissione dell'avviso del termine stabilito a
pena  di  decadenza dall'allora vigente art. 555, comma 2, cod. proc.
pen. per presentare richiesta di giudizio abbreviato - corrispondente
a  quello  dell'art. 456  cod.  proc.  pen.,  che contempla anch'esso
l'avviso  che  l'imputato  puo' esercitare la facolta' di chiedere il
patteggiamento  o il giudizio abbreviato entro un termine stabilito a
pena  di  decadenza,  ma  non  prevede  espressamente alcuna sanzione
processuale in caso di mancanza o insufficienza dell'avviso.
    In  effetti,  tenuto  conto  della  natura  di atto complesso del
decreto  di citazione a giudizio davanti al pretore e della struttura
bifasica  che  connotava  il  relativo  procedimento,  la sanzione di
nullita'  introdotta  dalla  sentenza  n. 497  del  1995  in  caso di
omissione  dell'avviso  trovava  «la sua ragione essenzialmente nella
perdita   irrimediabile   della  facolta'  di  chiedere  il  giudizio
abbreviato»  entro  il termine di quindici giorni stabilito a pena di
decadenza  (v.  sentenza n. 101 del 1997), in un contesto processuale
del tutto omogeneo alla disciplina oggi censurata.
    Anche  nell'ipotesi  in  esame  il termine di decadenza entro cui
chiedere  l'applicazione  della  pena  o  il  giudizio  abbreviato e'
anticipato  rispetto  alla fase dibattimentale, sicche' la mancanza o
l'insufficienza del relativo avvertimento puo' determinare la perdita
irrimediabile   della   facolta'  di  accedere  a  tali  procedimenti
speciali.  La  violazione della regola processuale che impone di dare
all'imputato  (esatto)  avviso  della  sua  facolta' comporta percio'
anche in questo caso la violazione del diritto di difesa.
    Al riguardo, questa Corte ha piu' volte ribadito che la richiesta
di  riti  alternativi  costituisce  una  modalita'  di  esercizio del
diritto  di  difesa  (cfr., tra molte, oltre alla sentenza n. 497 del
1995,  le  sentenze n. 76, n. 101 e n. 214 del 1993, n. 265 del 1994,
n. 70  del  1996,  tutte  nel senso che sarebbe lesivo del diritto di
difesa  precludere  all'imputato  l'accesso  ai  riti speciali per un
errore  a  lui  non  imputabile). Da ultimo nella sentenza n. 120 del
2002,  proprio  in  relazione  al termine per presentare richiesta di
giudizio  abbreviato  dopo  la  notificazione del decreto di giudizio
immediato,  la Corte ha puntualizzato che il diritto di difesa va qui
inteso  come  possibilita'  di ricorrere anche all'assistenza tecnica
del  difensore,  stabilendo che il termine deve decorrere dall'ultima
notificazione,  all'imputato  o  al  difensore,  del  decreto  ovvero
dell'avviso della data fissata per il giudizio immediato.
    Tuttavia  non  e'  esatto  ritenere,  come  fa il rimettente, che
l'ordinamento vigente non preveda, nell'ipotesi in esame, la nullita'
del  decreto  per  mancanza  o insufficienza dell'avviso. L'effettivo
esercizio  della  facolta' di chiedere i riti alternativi costituisce
infatti  una delle piu' incisive forme di «intervento» dell'imputato,
cioe'  di  partecipazione  «attiva»  alle vicende processuali, con la
conseguenza  che  ogni  illegittima  menomazione  di  tale  facolta',
risolvendosi  nella  violazione  del  diritto  sancito  dall'art. 24,
secondo   comma,  Cost.,  integra  la  nullita'  di  ordine  generale
sanzionata dall'art. 178, comma 1, lettera c), cod. proc. pen.
    Contrariamente   all'assunto   del   giudice  rimettente,  questa
conclusione  non  e'  smentita dalla sentenza n. 497 del 1995, il cui
reale  valore  prescrittivo risiede nella affermazione che il diritto
di difesa e' suscettibile di essere leso ogni volta che l'omissione o
l'insufficienza  dell'avvertimento  circa  la  facolta' di chiedere i
riti alternativi, tale da pregiudicarne irreparabilmente l'esercizio,
non sia sanzionata con la nullita'.
    La  norma  censurata  deve percio' essere applicata, in combinato
disposto  con  l'art. 178,  comma 1, lettera c), cod. proc. pen., nel
senso che l'omissione o l'insufficienza dell'avviso circa la facolta'
di  chiedere  i  riti  alternativi  determina  una nullita' di ordine
generale.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  non  fondata,  nei  sensi  di  cui  in  motivazione, la
questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 456 del codice di
procedura  penale,  sollevata,  in riferimento agli artt. 3, 24 e 111
della   Costituzione,   dalla   Corte  di  appello  di  Palermo,  con
l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
palazzo della Consulta, il 13 maggio 2004.
                     Il Presidente: Zagrebelsky
                     Il redattore: Neppi Modona
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 25 maggio 2004.
               Il direttore della cancelleria:Di Paola
04C0646