N. 206 SENTENZA 5 - 6 luglio 2004

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Processo  civile - Procedimento davanti al giudice di pace - Cause di
  valore  non  eccedente  millecento  euro  -  Giudizio necessario di
  equita'  - Equita', secondo il diritto vivente, come fonte autonoma
  e  alternativa  alla  legge  -  Lesione del principio di legalita',
  della garanzia di tutela giurisdizionale dei diritti, del principio
  della  soggezione  del  giudice  alla  sola  legge - Illegittimita'
  costituzionale  in  parte qua - Assorbimento delle censure relative
  alla ricorribilita' per cassazione.
- Cod. proc. civ., art. 113, secondo comma.
- Costituzione,   artt. 24,   primo  comma,  e  101,  secondo  comma,
  (artt. 111, settimo comma, e 134).
Processo   civile  -  Procedimento  davanti  al  giudice  di  pace  -
  Controversie  cosiddette  bagatellari  -  Giudizio  di  equita' nel
  rispetto   dei   principi  informatori  della  materia  -  Asserita
  irragionevolezza  -  Non fondatezza della questione, nei termini di
  cui in motivazione.
- Cod. proc. civ., art. 113, secondo comma.
- Costituzione, art. 3.
Processo   civile  -  Procedimento  davanti  al  giudice  di  pace  -
  Controversie  cosiddette  bagatellari  -  Giudizio  di  equita' nel
  rispetto   dei   principi  informatori  della  materia  -  Asserita
  disparita'  di trattamento rispetto alle controversie derivanti dai
  cosiddetti  contratti  di  massa  di  cui  all'art. 1342 del codice
  civile   -   Assunzione   a  tertium  comparationis  di  una  norma
  eccezionale - Inammissibilita' della questione.
- Cod. proc. civ., art. 113, secondo comma.
- Costituzione, art. 3.
(GU n.27 del 14-7-2004 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Gustavo ZAGREBELSKY;
  Giudici:  Valerio  ONIDA,  Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido
NEPPI  MODONA, Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE,
Giovanni  Maria  FLICK,  Francesco  AMIRANTE,  Ugo  DE SIERVO, Romano
VACCARELLA, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 113, secondo
comma,  del  codice  di  procedura civile, promosso con ordinanza del
7 luglio  2003  dal giudice di pace di Trento nel procedimento civile
vertente  tra  Zulberti  Martino e Russo Gabriele, iscritta al n. 920
del  registro  ordinanze  2003  e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 46, 1ª serie speciale, dell'anno 2003.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 12 maggio 2004 il giudice
relatore Annibale Marini.

                          Ritenuto in fatto

    1. - Con ordinanza del 7 luglio 2003 il giudice di pace di Trento
ha  sollevato,  in  riferimento agli artt. 3, 24, 101, secondo comma,
111,   settimo   comma,   e  134  della  Costituzione,  questione  di
legittimita'  costituzionale dell'art. 113, secondo comma, del codice
di  procedura  civile.  La  norma impugnata prevede che il giudice di
pace  decida  secondo  equita'  le  cause  il  cui  valore non eccede
millecento   euro,  salvo  quelle  derivanti  da  rapporti  giuridici
relativi   a   contratti   conclusi   secondo  le  modalita'  di  cui
all'art. 1342 del codice civile.
    In  punto di rilevanza il rimettente espone di dover decidere una
causa,  del  valore  di  170  euro, avente ad oggetto la richiesta di
compenso  per un'attivita' di rappresentanza processuale svolta da un
non  tecnico  del  diritto. Assume, in buona sostanza, che la domanda
andrebbe,  in  base a criteri equitativi, respinta, in considerazione
dei  rapporti  di  amicizia  esistenti  tra le parti, mentre dovrebbe
probabilmente  ritenersi  fondata  se  si  facesse applicazione delle
regole  di  diritto  in  materia  di  mandato.  In  ogni  caso - ed a
prescindere  dal  contenuto  della  emananda decisione - radicalmente
diversi sarebbero, nei due casi, tanto l'iter argomentativo quanto il
regime  delle  impugnazioni  della  sentenza,  cosicche' la questione
risulterebbe, sotto tale profilo, comunque rilevante.
    Quanto  alla  non  manifesta infondatezza, il medesimo rimettente
muove dall'esistenza di un diritto vivente - originato dalla sentenza
delle  Sezioni  unite  della  Corte  di  cassazione n. 716 del 1999 -
secondo  cui l'equita' di cui all'art. 113, secondo comma, cod. proc.
civ.  e'  sostitutiva  e non correttiva o integrativa della regola di
diritto,  non  dovendo  il giudice seguire i principi che regolano la
materia ne' individuare le norme giuridiche astrattamente applicabili
bensi'   creare  egli  stesso  la  regola  della  decisione.  Con  la
conseguenza  che  le  sentenze  equitative  del  giudice di pace sono
ricorribili   per   cassazione  solamente  per  violazione  di  norme
processuali  o  per  violazione di norme costituzionali e comunitarie
(ma  non anche per violazione dei principi generali dell'ordinamento)
ovvero nel caso di motivazione meramente apparente.
    Preso  dunque  atto che, sulla base di tale diritto vivente - dal
quale   espressamente   dichiara  di  non  volersi  discostare  -  le
controversie  individuate  dall'art. 113,  secondo  comma, cod. proc.
civ.   sono   del   tutto   sottratte  all'applicazione  delle  norme
sostanziali  regolatrici  della  relativa materia, con le inevitabili
conseguenze  processuali  in  tema  di impugnazione, il giudice a quo
ravvisa  nella norma la violazione, sotto piu' profili, del principio
di eguaglianza.
    Lesiva  dell'art. 3  della  Costituzione  sarebbe  in primo luogo
l'adozione  di un criterio di valore per l'individuazione delle cause
soggette  alla  decisione  di  equita',  comportando  tale scelta che
rapporti  sostanziali  identici  ricevano,  nel processo, trattamenti
diversi  a  seconda  che  il  valore  della  causa  superi  o  meno i
millecento euro.
    Ulteriore  ed  ancor  piu'  evidente disparita' di trattamento si
verificherebbe  poi  tra  pretese  di  uguale  natura e valore (cause
relative  a  somme  di  denaro  o  beni  mobili  fungibili  di valore
inferiore  a  Euro  1.100)  attribuite  ratione  materiae  a  giudici
diversi,  in  quanto  quelle di competenza del giudice di pace devono
essere  decise  secondo  equita'  mentre  quelle  attribuite ad altri
giudici  (tribunale,  commissione tributaria) in considerazione della
natura  del  rapporto  (ad  es.  cause  in  materia di locazione o di
lavoro)  vanno  decise  secondo diritto e sono soggette agli ordinari
mezzi di impugnazione.
    Se  infatti  - assume il rimettente - il giudizio d'equita' trova
la  sua  ragione  d'essere  nel fatto che la causa e' di poco valore,
allora  tutte  le  controversie  di uguale valore dovrebbero avere il
medesimo  trattamento  processuale.  Ne discenderebbe pertanto, sotto
tale  aspetto, la violazione del principio di eguaglianza rispetto ai
tertia  comparationis  rappresentati  dagli  artt. 409 e 447-bis cod.
proc. civ.
    Il  contrasto  con  l'art. 3  della  Costituzione, anche sotto il
profilo  del  generale  canone  di  ragionevolezza,  risulterebbe poi
accentuato   dalla   recente   modifica   apportata  alla  norma  dal
decreto-legge 8 febbraio 2003, n. 18 (Disposizioni urgenti in materia
di    giudizio    necessario   secondo   equita),   convertito,   con
modificazioni,  nella  legge 7 aprile 2003, n. 63, che ha escluso dal
giudizio di equita' le cause derivanti da rapporti giuridici relativi
a  contratti  conclusi secondo le modalita' di cui all'art. 1342 cod.
civ.
    Da  un  lato,  infatti,  il  preambolo del decreto-legge denuncia
esplicitamente il rischio che il giudizio di equita' porti a pronunce
difformi riferite a identiche tipologie contrattuali, nel che appunto
si   sostanzia  uno  dei  profili  di  illegittimita'  costituzionale
prospettati  dal  rimettente,  ma dall'altro il provvedimento esclude
dal  giudizio  necessario  di equita' solo alcune delle controversie,
attribuite  al giudice di pace, che vi sarebbero altrimenti soggette,
individuandole   irragionevolmente   con   riferimento  non  al  tipo
contrattuale  bensi'  alla  mera  modalita'  di  stipulazione, con la
conseguenza   che   controversie,   di   uguale  valore,  riguardanti
fattispecie   contrattuali   identiche,  sono  sottoposte  all'uno  o
all'altro  tipo  di  giudizio  in  conseguenza  del  dato,  puramente
formale,  dell'essere  stato  il contratto concluso, o meno, mediante
sottoscrizione di moduli o formulari.
    Ulteriore  profilo  di  illegittimita'  costituzionale riferibile
all'art. 3  della  Costituzione  discenderebbe  poi  dalla disciplina
della  connessione  dettata dall'art. 40, sesto e settimo comma, cod.
proc. civ., in virtu' della quale una causa di competenza del giudice
di  pace,  sottoposta  al giudizio necessario di equita', se connessa
con  altra  causa  di  competenza  del tribunale viene attratta nella
competenza  di  questo  giudice  ed e' quindi decisa secondo diritto,
ricevendo pertanto un diverso trattamento processuale solo in ragione
dell'esigenza di simultaneus processus.
    Il  principio di eguaglianza risulterebbe, infine, ancora violato
in tutti i casi in cui la pretesa, di valore inferiore ad Euro 1.100,
azionata  dinanzi  al  giudice  di pace abbia titolo risarcitorio, in
conseguenza  della  violazione  di  norme  penali. Anche in tal caso,
infatti, il giudice di pace potrebbe decidere senza fare applicazione
della norma penale, che costituirebbe viceversa la regola di giudizio
nel  caso  in  cui  il  danneggiato  decidesse di esercitare l'azione
civile nel processo penale.
    Il  giudizio  di  equita'  necessario  si  porrebbe  altresi'  in
contrasto  sotto un duplice aspetto - ad avviso ancora del rimettente
- con l'art. 24 della Costituzione.
    La  possibilita',  attribuita  al  giudice  di  pace  dalla norma
censurata,   di   giudicare   prescindendo   dalle   norme  di  legge
astrattamente  applicabili  si risolverebbe infatti nella sostanziale
negazione della garanzia di tutela giurisdizionale dei diritti che da
quelle  norme  traggono  origine, con violazione, sotto tale profilo,
anche  dell'art. 6  della Convenzione per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali.
    Sotto  altro  profilo, la facolta', riconosciuta all'attore dalla
giurisprudenza,  di  frazionare la pretesa creditoria in piu' azioni,
cosi'   da   renderle   tutte  di  valore  inferiore  a  Euro  1.100,
consentirebbe  poi  allo  stesso attore di imporre arbitrariamente al
convenuto  il  giudizio  di  equita',  in  tal  modo privandolo delle
maggiori garanzie offerte dal giudizio secondo diritto.
    L'art. 113,  secondo  comma,  cod.  proc.  civ.  si  porrebbe  in
contrasto  anche  con  l'art. 101, secondo comma, della Costituzione,
secondo  il  quale  i  giudici  sono soggetti soltanto alla legge. Ad
avviso   del   rimettente   il   precetto   costituzionale   -   come
dimostrerebbero   i   lavori   preparatori   della   Costituzione   -
esprimerebbe  infatti  la  necessita'  che  il  giudice  debba sempre
conformarsi ad una norma precostituita.
    La  circostanza  che  la sentenza pronunciata secondo equita' sia
ricorribile   per   cassazione   solo   per   violazione   di   norme
costituzionali  e  comunitarie,  e  non anche per altre violazioni di
legge,  comporterebbe  poi  lesione  della  garanzia  del ricorso per
cassazione  per  violazione  di  legge  offerta,  nei confronti delle
sentenze  di  tutti  i  giudici,  dall'art. 111, settimo comma, della
Costituzione.
    Il  diritto  vivente  in base al quale le sentenze di equita' del
giudice  di pace possono essere impugnate per violazione di legge, ex
art. 360,  comma  primo,  numero 3, cod. proc. civ., nel solo caso di
violazione  di  norma  costituzionale  sarebbe  infine in contrasto -
secondo  il rimettente - anche con l'art. 134 della Costituzione. Nel
caso  infatti  in  cui, con il ricorso per cassazione, si censuri una
sentenza  d'equita'  per  essere  costituzionalmente  illegittima una
norma  di  legge,  applicata  dal  giudice di pace in quanto ritenuta
equa,  si verrebbe ad attribuire alla Cassazione quel controllo sulla
legittimita'  costituzionale  delle leggi riservato invece alla Corte
costituzionale.
    2.  -  E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  concludendo  per  la  declaratoria  di  inammissibilita' o di
manifesta infondatezza della questione.
    La  parte  pubblica,  premesso  che  la rilevanza della questione
sarebbe  «incomprensibile»,  assume,  nel merito, l'insussistenza dei
vizi  di  legittimita'  costituzionale individuati dal rimettente, in
quanto:   a)   non   sarebbe   violato   il   diritto   alla   tutela
giurisdizionale,  atteso  che  il  giudizio  di  equita' risulterebbe
prevedibile  non  meno  del  giudizio  fondato  sulla  legge;  b)  il
principio  della soggezione del giudice alla legge sarebbe pienamente
rispettato,  essendo  anche l'art. 113 cod. proc. civ. norma di rango
legislativo;  c)  la  ricorribilita' per cassazione ex art. 111 della
Costituzione  sarebbe  pur  sempre  assicurata; d) il controllo sulla
costituzionalita' delle leggi resterebbe comunque affidato alla Corte
costituzionale;  e)  la  diversita'  di  valore  giustificherebbe  il
diverso trattamento processuale.

                       Considerato in diritto

    1.  -  Il  giudice  di pace di Trento dubita, in riferimento agli
artt. 3,  24,  101,  secondo  comma,  111, settimo comma, e 134 della
Costituzione,   della   legittimita'   costituzionale  dell'art. 113,
secondo comma, del codice di procedura civile, secondo cui il giudice
di  pace  decide  secondo  equita'  le cause il cui valore non eccede
millecento   euro,  salvo  quelle  derivanti  da  rapporti  giuridici
relativi   a   contratti   conclusi   secondo  le  modalita'  di  cui
all'art. 1342 del codice civile.
    Il  giudizio necessario di equita' contrasterebbe - ad avviso del
rimettente  - con la garanzia di tutela giurisdizionale dei diritti e
con  il  principio  di  soggezione  del  giudice  alla  legge. La non
censurabilita'  in  cassazione,  sotto  il profilo sostanziale, della
sentenza  equitativa, se non per violazione di norme costituzionali e
comunitarie, sarebbe poi in contrasto con la garanzia del ricorso per
cassazione  avverso le sentenze di tutti gli organi giurisdizionali e
sarebbe,  per  altro  verso,  invasiva  delle prerogative della Corte
costituzionale.   I  criteri  di  individuazione  delle  controversie
soggette  al  giudizio  necessario di equita' si porrebbero infine in
contrasto con il principio di eguaglianza.
    2.  - Va preliminarmente respinta l'eccezione di inammissibilita'
sollevata dall'Avvocatura.
    La  rilevanza della questione e' infatti indiscutibile, avendo il
rimettente  chiarito  che la regola di equita' da lui individuata con
riguardo   alla   fattispecie   concreta   sottoposta  al  suo  esame
condurrebbe   ad   una   soluzione  opposta  rispetto  a  quella  che
discenderebbe   dall'applicazione  delle  regole  di  diritto  e  che
comunque  la  decisione  si  fonderebbe,  nei  due  casi, su percorsi
argomentativi del tutto differenti.
    3.  - Nel merito, la questione e' fondata, nei termini di seguito
precisati.
    3.1.  - Il testo vigente dell'art. 113, secondo comma, del codice
di  procedura  civile  risulta  dall'art. 21  della legge 21 novembre
1991,  n. 374  (Istituzione  del  giudice  di  pace), successivamente
modificato  (quanto  alla  esclusione  dal  giudizio di equita' delle
controversie   relative   a  contratti  conclusi  mediante  moduli  e
formulari),  dall'art. 1  del  decreto-legge  8 febbraio  2003, n. 18
(Disposizioni  urgenti  in  materia  di  giudizio  necessario secondo
equita),  convertito,  con  modificazioni, nella legge 7 aprile 2003,
n. 63.
    Il  testo  previgente,  come  sostituito  dall'art. 3 della legge
30 luglio   1984,  n. 399  (Aumento  dei  limiti  di  competenza  del
conciliatore  e del pretore), prevedeva che il conciliatore decidesse
secondo  equita'  le  cause  di sua competenza «osservando i principi
regolatori   della   materia».  La  giurisprudenza  di  legittimita',
riguardo  a  siffatta  formulazione  della  norma,  era  giunta  alla
conclusione  che il limite rappresentato dall'osservanza dei principi
regolatori  della  materia  costituiva  «sufficiente  garanzia che la
sentenza  di  equita'  non  contraddic[esse]  l'ordinamento ed i suoi
principi  generali,  ne'  confligg[esse] con l'esigenza di una tutela
giurisdizionale  dei diritti delle parti, secondo una regola di legge
che  [fosse]  controllabile  in  cassazione» (cosi', testualmente, le
Sezioni unite nella sentenza 15 giugno 1991, n. 6794).
    Secondo  la  giurisprudenza  di  legittimita' formatasi sul nuovo
testo,  il  legislatore  del  1991,  eliminando  dalla norma l'inciso
riguardante  l'obbligo  del  rispetto  dei  principi  regolatori,  ha
sostanzialmente modificato la natura del giudizio di equita', dovendo
il  giudice  di  pace,  senza  necessita'  di  procedere  alla previa
individuazione  della norma di diritto astrattamente applicabile alla
fattispecie, adottare la sua decisione facendo immediata applicazione
della  equita'  c.d.  formativa  (o  sostitutiva),  non correttiva (o
integrativa),   fondata   su  un  giudizio  di  tipo  intuitivo,  con
osservanza,  peraltro,  ai sensi dell'art. 311 cod. proc. civ., delle
norme processuali, nonche' di quelle in cui la regola del giudizio e'
contenuta  in  una  norma  di  procedura  che  rinvia  ad  una  norma
sostanziale.  Sarebbe  cosi'  venuto  meno  l'obbligo di rispetto dei
principi   regolatori   della   materia   e   dei  principi  generali
dell'ordinamento,    ferma    restando   l'osservanza   delle   norme
costituzionali  nonche'  di  quelle comunitarie, prevalenti su quelle
ordinarie  (in  tal  senso  ancora  le  Sezioni unite, nella sentenza
15 ottobre 1999, n. 716).
    La  questione di legittimita' costituzionale posta dal rimettente
-  che  plausibilmente assume la giurisprudenza richiamata in termini
di  diritto  vivente  -  riguarda dunque, ricondotta nei suoi termini
essenziali,  la compatibilita' di un giudizio di equita' cosi' inteso
con  il  principio  di legalita' su cui si fonda tanto la garanzia di
tutela  giurisdizionale dei diritti, di cui all'art. 24, primo comma,
della  Costituzione,  quanto  la  soggezione  del giudice alla legge,
imposta dall'art. 101, secondo comma, della Costituzione.
    3.2.  -  Occorre,  al  riguardo,  muovere dalla constatazione, di
indubbia evidenza, che il testo attuale dell'art. 113, secondo comma,
del  codice  di  procedura civile, interpretato nei termini indicati,
esprime  una  visione  di netta separazione tra l'equita' e la legge.
Secondo  il legislatore della novella, il giudizio di equita', pur se
in  ipotesi coincidente con quello derivante dalla applicazione delle
norme  di  diritto,  troverebbe  le  sue  fonti  in valori e principi
esterni all'ordinamento legislativo, con il solo limite rappresentato
dal  rispetto  delle  norme  costituzionali  e comunitarie. L'equita'
verrebbe  in tal modo a contrapporsi alla legge, come se quest'ultima
fosse  per  definizione  mera  statuizione  positiva  e non piuttosto
espressione di scelte che devono ispirarsi ai principi e valori della
Costituzione.
    Ma una simile concezione dell'equita', intesa come fonte autonoma
e  alternativa  alla  legge, si porrebbe inevitabilmente in contrasto
con i parametri evocati dal rimettente.
    La   sola   funzione  che  alla  giurisdizione  di  equita'  puo'
riconoscersi, in un sistema caratterizzato dal principio di legalita'
a  sua volta ancorato al principio di costituzionalita', nel quale la
legge  e'  dunque  lo strumento principale di attuazione dei principi
costituzionali,  e'  quella  di  individuare  l'eventuale  regola  di
giudizio  non scritta che, con riferimento al caso concreto, consenta
una  soluzione  della controversia piu' adeguata alle caratteristiche
specifiche  della  fattispecie  concreta,  alla  stregua tuttavia dei
medesimi  principi cui si ispira la disciplina positiva: principi che
non  potrebbero  essere  posti in discussione dal giudicante, pena lo
sconfinamento  nell'arbitrio,  attraverso una contrapposizione con le
proprie categorie soggettive di equita' e ragionevolezza.
    Il giudizio di equita', in altre parole, non e' e non puo' essere
un  giudizio extra-giuridico. Esso deve trovare i suoi limiti in quel
medesimo ordinamento nel quale trovano il loro significato la nozione
di   diritto   soggettivo   e   la   relativa   garanzia   di  tutela
giurisdizionale,  il  che  era  del resto cio' che esprimeva il testo
previgente  della  norma,  attraverso  la  previsione dell'obbligo di
osservanza dei «principi regolatori della materia».
    Ed  appare al riguardo significativo che anche nella piu' recente
giurisprudenza   di   legittimita'  emergano  «dubbi  e  perplessita»
riguardo  alla  coerenza  con  l'ordinamento  vigente  dell'indirizzo
interpretativo di cui si e' dato conto, affermato dalle Sezioni unite
della  Corte  di  cassazione  nella  sentenza  del  1999  piu'  sopra
ricordata:  dubbi e perplessita' derivanti dal rischio che un'equita'
priva  di  limiti  normativi possa minare alla base la certezza delle
relazioni giuridiche (cosi' Cassazione, 11 maggio 2004, n. 8948).
    L'attuale  testo  della  norma  impugnata,  nella interpretazione
assunta  dal  rimettente  come  diritto  vivente,  risulta  dunque in
contrasto  con gli artt. 24, primo comma, e 101, secondo comma, della
Costituzione  e  va  percio' ricondotto a legittimita' costituzionale
attraverso  la  limitazione della discrezionalita' del giudice, nella
determinazione  della  regola  del caso concreto, entro i confini dei
principi informatori della materia.
    4.  -  Una  volta  stabilito  che  il  giudizio  di  equita' deve
svolgersi  nel  rispetto  dei  principi informatori della materia, ne
discende la ricorribilita' per cassazione delle relative sentenze, ai
sensi  dell'art. 360,  primo comma, numero 3, del codice di procedura
civile,  per  la  violazione  dei  detti  principi.  Restano pertanto
assorbite  le censure riguardanti gli artt. 111, settimo comma, e 134
della Costituzione.
    5.  - Quanto ai profili riferiti alla violazione del principio di
eguaglianza,  e'  sufficiente  osservare che la scelta legislativa di
riservare  il  giudizio  di  equita' - nei termini costituzionalmente
corretti  derivanti dalla presente pronuncia - alle sole controversie
cosiddette  bagatellari appare non manifestamente irragionevole e che
d'altro  canto  l'esclusione da siffatto giudizio delle controversie,
pur  rientranti  nei  medesimi  limiti  di valore, attribuite ratione
materiae ad altro giudice, costituisce mero riflesso della disciplina
della    competenza,   caratterizzata   da   ampia   discrezionalita'
legislativa.
    La  questione,  sotto  tali aspetti, risulta percio' non fondata,
mentre e' inammissibile per quanto riguarda la prospettata disparita'
di  trattamento  originata  dalla  sottrazione al giudizio di equita'
delle controversie derivanti dai cosiddetti contratti di massa di cui
all'art. 1342 del codice civile. E' infatti evidente che, ai fini del
giudizio  di  legittimita'  costituzionale per violazione dell'art. 3
Cost., non puo' essere assunta a tertium comparationis, rispetto alla
norma  generale, una norma di carattere sicuramente eccezionale quale
quella introdotta dall'art. 1 del decreto-legge n. 18 del 2003.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  l'illegittimita'  costituzionale dell'art. 113, secondo
comma, del codice di procedura civile, nella parte in cui non prevede
che  il  giudice di pace debba osservare i principi informatori della
materia;
    Dichiara  in  parte  infondata  ed  in  parte  inammissibile, nei
termini   di   cui  in  motivazione,  la  questione  di  legittimita'
costituzionale   della   medesima  norma  sollevata,  in  riferimento
all'art. 3  della  Costituzione,  dal  giudice di pace di Trento, con
l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 5 luglio 2004.
                     Il Presidente: Zagrebelsky
                        Il redattore: Marini
                       Il cancelliere: Melatti
    Depositata in cancelleria il 6 luglio 2004.
                       Il cancelliere: Melatti
04C0838