N. 143 ORDINANZA 3 - 7 aprile 2006

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Processo  penale  -  Straniero  - Avvenuta espulsione dell'imputato -
  Sentenza  di  non  luogo  a  procedere  da  pronunciarsi nella fase
  dell'udienza   preliminare   -  Esclusione  della  declaratoria  di
  improcedibilita'  nei procedimenti a citazione diretta - Denunciata
  violazione   dei   principi   di  ragionevolezza  e  eguaglianza  -
  Possibilita'  di interpretazione estensiva - Richiesta di rimozione
  dell'istituto  anziche'  di estensione - Inconferenza delle censure
  riferite   alla   riattivazione   dell'azione  penale  -  Manifesta
  inammissibilita' delle questioni.
- D.lgs.  25 luglio 1998, n. 286, art. 13, comma 3-quater, introdotto
  dall'art. 12, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189.
- Costituzione, art. 3.
Processo  penale  -  Straniero  - Avvenuta espulsione dell'imputato -
  Sentenza  di  non  luogo  a  procedere  da  pronunciarsi nella fase
  dell'udienza  preliminare  -  Denunciata  violazione del diritto di
  difesa  in relazione all'aspettativa dell'imputato di conseguire un
  proscioglimento   nel   merito   -   Manifesta  infondatezza  delle
  questioni.
- D.lgs.  25 luglio 1998, n. 286, art. 13, comma 3-quater, introdotto
  dall'art. 12, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189.
- Costituzione, art. 24.
(GU n.15 del 12-4-2006 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Franco BILE;
  Giudici:  Giovanni  Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO,
Romano   VACCARELLA,  Paolo  MADDALENA,  Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso
QUARANTA,  Luigi  MAZZELLA,  Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria
Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei   giudizi   di   legittimita'   costituzionale  dell'articolo 13,
comma 3-quater, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo
unico  delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione
e    norme    sulla    condizione    dello   straniero),   introdotto
dall'articolo 12,   comma 1,   della   legge  30 luglio  2002  n. 189
(Modifiche  alla  normativa  in  materia di immigrazione e di asilo),
promossi   con   tre   ordinanze  del  28 ottobre  2004  dal  giudice
dell'udienza  preliminare  del  Tribunale  di  Fermo, rispettivamente
iscritte  ai  numeri  78,  79  e  95  del  registro  ordinanze 2005 e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale numeri 9 e 10, 1ª serie speciale,
dell'anno 2005.
    Visti  gli  atti  di  intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  Camera di consiglio del 22 febbraio 2006 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
    Ritenuto  che  con  le  tre  ordinanze  indicate  in epigrafe, di
identico tenore, il giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di
Fermo  ha  sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale, in
riferimento  agli  artt. 3  e  24  della  Costituzione, dell'art. 12,
comma 3-quater,  della  legge  30 luglio 2002, n. 189 (Modifiche alla
normativa  in  materia  di  immigrazione e di asilo), e dell'art. 13,
comma 3-quater, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo
unico  delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione
e  norme  sulla  condizione  dello  straniero),  recte: dell'art. 13,
comma 3-quater,  del d.lgs. n. 286 del 1998, introdotto dall'art. 12,
comma 1, della legge n. 189 del 2002;
        che  il giudice a quo premette di essere chiamato a celebrare
l'udienza  preliminare  nei  confronti  di  cittadini extracomunitari
imputati  di  delitti  in  materia  di sostanze stupefacenti, i quali
risultano gia' espulsi dal territorio dello Stato;
        che  il  rimettente dovrebbe di conseguenza fare applicazione
della  norma  denunciata,  la quale prevede che, nei casi di rilascio
del   nulla   osta   all'espulsione  amministrativa  dello  straniero
sottoposto  a  procedimento  penale,  il  giudice, acquisita la prova
dell'avvenuta   espulsione,   se   non  e'  stato  ancora  emesso  il
provvedimento  che  dispone  il  giudizio,  pronuncia sentenza di non
luogo a procedere;
        che   tale   previsione   contrasterebbe,  tuttavia,  con  il
principio  di  ragionevolezza,  di cui all'art. 3 Cost., in quanto le
finalita'  di  politica  criminale  e  penitenziaria,  che potrebbero
giustificare   la  scelta  legislativa,  risulterebbero  contraddette
dall'applicabilita'  della  norma censurata ai soli reati per i quali
e'  prevista  l'udienza preliminare, e non anche a quelli, assai piu'
numerosi,  per  i  quali  si  debba procedere con citazione diretta a
giudizio:  limitazione  -  quella  ora  indicata - inequivocabilmente
desumibile  dalla  locuzione  «pronuncia  sentenza  di  non  luogo  a
procedere»;
        che  da  cio'  discenderebbe l'ulteriore illogica conseguenza
che lo Stato rinuncerebbe alla potesta' punitiva (o la sospenderebbe)
-   per   effetto   dell'avvenuta   esecuzione  di  un  provvedimento
amministrativo,   adottato   per   ragioni   del  tutto  indipendenti
dall'esercizio della giurisdizione penale - unicamente in rapporto ai
reati  piu'  gravi,  quali sono quelli che richiedono la celebrazione
dell'udienza preliminare;
        che,  per  questo verso, risulterebbe dunque violato anche il
principio di eguaglianza;
        che  un ulteriore profilo di irragionevolezza deriverebbe dal
disposto  del  comma 3-quinquies  dell'art. 13  del d.lgs. n. 286 del
1998,   in   forza  del  quale,  «se  lo  straniero  espulso  rientra
illegalmente  nel  territorio  dello Stato prima del termine previsto
dal  comma 14  ovvero,  se  di durata superiore, prima del termine di
prescrizione  del  reato piu' grave per il quale si era proceduto nei
suoi  confronti,  si  applica  l'articolo 345 del codice di procedura
penale»  (ossia  la disposizione che consente l'esercizio dell'azione
penale  per  il  medesimo  fatto  e  contro  la  stessa  persona  ove
sopravvenga una condizione di procedibilita' mancante, anche nel caso
in cui sia stata emessa sentenza di non luogo a procedere);
        che  da  tale previsione discenderebbe, infatti, a contrario,
che  ove  lo  straniero  rientri in Italia legalmente - ad esempio, a
seguito   dell'accoglimento   del   ricorso   proposto   avverso   il
provvedimento  di  espulsione,  ai sensi del comma 8 dell'art. 13 del
d.lgs.  n. 286  del  1998  - non sarebbe piu' possibile procedere nei
suoi  confronti  per  i  reati  commessi, neppure ai sensi del citato
art. 345 cod. proc. pen;
        che,  d'altra  parte, il richiamo a quest'ultima disposizione
non  varrebbe  comunque  ad  assicurare  la «perseguibilita' postuma»
dell'imputato,  non essendo previsto alcun meccanismo che permetta di
collegare,   «a   livello  giudiziario»,  lo  specifico  procedimento
definito  con  sentenza  di  non  luogo  a  procedere  al fatto nuovo
costituito  dall'illegale  reingresso  dell'imputato  nel  territorio
nazionale;
        che  sarebbe  leso infine, sotto diverso versante, il diritto
di  difesa  degli  imputati  dei reati piu' gravi, i quali vedrebbero
pregiudicata  la loro aspettativa di proscioglimento nel merito dalle
imputazioni   stesse,   cui  potrebbero  aspirare  gia'  nell'udienza
preliminare;
        che in tutti i giudizi di costituzionalita' e' intervenuto il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  il  quale ha chiesto che la
questione sia dichiarata non fondata.
    Considerato  che  le  ordinanze di rimessione sollevano identiche
questioni,  onde i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti
con unica pronuncia;
        che  il  giudice  a  quo dubita, sotto plurimi profili, della
legittimita'    costituzionale    della    previsione   dell'art. 13,
comma 3-quater,  del  decreto  legislativo 25 luglio 1998, n. 286, in
forza  della  quale,  nel caso di avvenuta espulsione dello straniero
sottoposto  a procedimento penale - conseguente al rilascio del nulla
osta  previsto  dai commi 3, 3-bis e 3-ter del medesimo articolo - il
giudice,  se  non e' stato ancora emesso il provvedimento che dispone
il giudizio, pronuncia sentenza di non luogo a procedere;
        che  nella  disposizione  censurata  il  rimettente  ravvisa,
anzitutto,  una  violazione  dei  principi  di  ragionevolezza  e  di
uguaglianza,   di  cui  all'art. 3  Cost.,  a  causa  della  supposta
limitazione   della   declaratoria   di   improcedibilita'   ai  soli
procedimenti  che  contemplano l'udienza preliminare, con esclusione,
dunque, di quelli che prevedono la citazione diretta: limitazione che
egli  reputa  «inequivocabilmente desumibile» dalla formula letterale
del  dettato  normativo,  stante  il riferimento, ivi contenuto, alla
«sentenza  di  non luogo a procedere» (costituente uno degli epiloghi
tipici  dell'udienza  preliminare,  a  mente dell'art. 425 cod. proc.
pen.);
        che,  arrestandosi  al  mero elemento letterale, il giudice a
quo  omette  tuttavia  di verificare la praticabilita' di una diversa
interpretazione,  conforme  a  Costituzione,  in  forza della quale -
proprio  ad  evitare  la  paradossale conseguenza denunciata, per cui
potrebbero    beneficiare   della   pronuncia   di   improcedibilita'
dell'azione penale solo gli imputati dei reati piu' gravi (quali sono
quelli  che richiedono la celebrazione dell'udienza preliminare) - la
norma  impugnata  deve ritenersi applicabile, in via estensiva, anche
nei  procedimenti  in  cui  detta udienza non sia prevista, allorche'
l'espulsione  sia  eseguita  prima  che  si  pervenga  alla  fase del
giudizio;
        che  l'illogico  assetto  dianzi  indicato  deve  presumersi,
infatti,  non  rispondente  alla  voluntas legis, avuto riguardo agli
obiettivi  di  politica criminale che lo stesso rimettente evoca come
astrattamente   idonei   a   giustificare   la  previsione  normativa
denunciata;
        che  nell'istituto  contemplato dall'art. 13, comma 3-quater,
del  d.lgs.  n. 286  del  1998 puo' infatti scorgersi - al lume delle
correnti  ricostruzioni  -  una condizione di procedibilita' atipica,
che  trova  la  sua  ratio  nel  diminuito interesse dello Stato alla
punizione  di  soggetti  ormai  estromessi dal proprio territorio, in
un'ottica  similare  -  anche se non identica - a quella sottesa alle
previsioni  degli artt. 9 e 10 cod. pen., non disgiunta, peraltro, da
esigenze deflattive del carico penale;
        che  siffatte  rationes, peraltro, non soltanto non depongono
nel  senso  della limitazione dell'operativita' dell'istituto ai soli
episodi  criminosi  di  maggiore  gravita',  ma  militano, semmai, in
direzione esattamente inversa;
        che  a  favore dell'anzidetta interpretazione estensiva si e'
del  resto  gia'  espressa  in  piu'  occasioni  la giurisprudenza di
legittimita',  escludendo  che  essa  trovi  ostacolo  insormontabile
nell'argomento  di ordine letterale allegato dal rimettente: e cio' a
prescindere  dall'ulteriore  rilievo  che, quando pure l'incongruenza
normativa  censurata dal giudice a quo fosse realmente riscontrabile,
egli  non  spiega perche' il ripristino dei principi di uguaglianza e
di  ragionevolezza dovrebbe avvenire a mezzo della radicale rimozione
dell'istituto considerato, anziche' tramite l'estensione dello stesso
ai  casi (in tesi) irrazionalmente esclusi dal suo ambito applicativo
(che, peraltro, non vengono in rilievo nei giudizi a quibus);
        che  quanto,  poi, alla ulteriore violazione del principio di
ragionevolezza  che  il  giudice  a  quo fa discendere dalle asserite
manchevolezze    ed    aporie   dei   meccanismi   di   riattivazione
dell'esercizio   dell'azione   penale,   dopo   la   declaratoria  di
improcedibilita',  nel caso di reingresso dello straniero espulso nel
territorio  nazionale,  e' del tutto evidente come tali manchevolezze
ed aporie non dipendano dalla pronuncia della sentenza di non luogo a
procedere   prevista   dalla   norma  impugnata,  ma,  semmai,  dalla
disciplina  che  sta  «a  valle»  di  essa, contenuta in una distinta
disposizione,  non coinvolta nello scrutinio di costituzionalita' (il
comma 3-quinquies dell'art. 13 del d.lgs. n. 286 del 1998);
        che,  in  ogni caso, le censure in parola risultano del tutto
inconferenti  rispetto all'oggetto dei giudizi a quibus, nei quali la
sentenza  di  non luogo a procedere non e' stata ancora pronunciata e
tanto  meno, dunque, risulta che lo straniero sia rientrato in Italia
dopo di essa;
        che  quanto,  infine,  alla pretesa violazione del diritto di
difesa,  correlata alla compromissione dell'aspettativa dell'imputato
di  proscioglimento  nel  merito, la declaratoria di improcedibilita'
per  avvenuta  espulsione  e'  configurata  dal  legislatore  come un
«beneficio»  per  l'imputato,  stante la rinuncia all'esercizio della
potesta'  punitiva  dello  Stato (sub condicione del mancato illegale
rientro)  che  ne consegue: e tale natura essa indubbiamente ha nella
generalita'  dei  casi,  avuto  riguardo  al  concreto  apprezzamento
dell'imputato  (oltre  che  alle  maggiori  difficolta' che egli puo'
incontrare   nell'esercizio   delle  facolta'  difensive,  una  volta
allontanato dal territorio dello Stato);
        che,  in  tale ottica - a prescindere da ogni altra possibile
considerazione  -  e'  del  tutto  priva di fondamento la pretesa del
rimettente  di  veder  rimosso,  sic  et  simpliciter  ed  in termini
generali,   il  «beneficio»  dell'improcedibilita',  in  nome  di  un
ipotetico  ed  astratto  interesse  dell'imputato  ad  affrontare  il
processo  al  fine  di  conseguire  un  proscioglimento  nel  merito:
interesse  che  l'imputato potrebbe bene non avere, e che comunque il
giudice a quo non deduce essere stato evocato nel caso concreto;
        che,  pertanto,  la  questione  va  dichiarata manifestamente
inammissibile  riguardo  all'asserita violazione dell'art. 3 Cost., e
manifestamente  infondata quanto alla dedotta violazione dell'art. 24
Cost.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Riuniti i giudizi,
    Dichiara   la   manifesta  inammissibilita'  delle  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 13, comma 3-quater, del decreto
legislativo  25 luglio  1998,  n. 286 (Testo unico delle disposizioni
concernenti  la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione
dello  straniero),  introdotto  dall'art. 12,  comma 1,  della  legge
30 luglio  2002,  n. 189  (Modifiche  alla  normativa  in  materia di
immigrazione  e di asilo), sollevate, in riferimento all'art. 3 della
Costituzione,  dal  Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di
Fermo con le ordinanze indicate in epigrafe;
    Dichiara   la   manifesta   infondatezza   delle   questioni   di
legittimita'  costituzionale dell'art. 13, comma 3-quater, del citato
decreto   legislativo  n. 286  del  1998  sollevate,  in  riferimento
all'art. 24  della Costituzione, dal Giudice dell'udienza preliminare
del Tribunale di Fermo con le medesime ordinanze.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 3 aprile 2006.
                         Il Presidente: Bile
                         Il redattore: Flick
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 7 aprile 2006
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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