N. 151 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 novembre 2005

Ordinanza  emessa  il  9  novembre  2005  dal tribunale di Napoli nel
procedimento  civile  vertente  tra Guidoni Ernestina ed altro contro
Unicredit Banca S.p.a.

Societa'  -  Controversie  in  materia  di  diritto  societario  e di
  intermediazione  finanziaria  - Procedimento di primo grado dinanzi
  al  tribunale  in composizione collegiale - Mancata o insufficiente
  indicazione   di  principi  e  criteri  direttivi  nella  legge  di
  delegazione  -  Illegittimita' derivata della disciplina introdotta
  dal legislatore delegato.
- Legge  3 ottobre  2001, n. 366, art. 12; «per derivazione», decreto
  legislativo  17 gennaio  2003,  n. 5, artt. 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9,
  10, 11, 12, 13, 14, 15, 16 e 17.
- Costituzione, art. 76.
In via  subordinata:  Societa'  -  Controversie in materia di diritto
  societario   e   di   intermediazione  finanziaria  -  Procedimento
  ordinario  di  cognizione  dinanzi  al  tribunale  in  composizione
  collegiale  -  Disciplina  introdotta  dal  legislatore  delegato -
  Previsione  di  un rito del tutto nuovo, caratterizzato da una fase
  di  formazione  del  thema decidendum e del thema probandum rimessa
  alla   disponibilita'   delle   parti  e  sottratta  all'intervento
  officioso del giudice - Difformita' dai principi di «concentrazione
  del  procedimento»  e  «riduzione  dei  termini processuali», posti
  dalla   legge   delega   n. 366/2001  con  riferimento  al  modello
  codicistico  del  processo  di  cognizione  davanti  al Tribunale -
  Eccesso  di delega, nonche' parziale contrasto delle norme delegate
  con i suddetti principi.
- Decreto  legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, artt. 2, 3, 4, 5, 6, 7,
  8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16 e 17.
- Costituzione,  art. 76, in relazione all'art. 12 della legge delega
  3 ottobre 2001, n. 366.
(GU n.21 del 24-5-2006 )
                            IL TRIBUNALE

    Riunito  in  Camera  di  consiglio nella causa iscritta al N.R.G.
38962/2004, letti gli atti osserva.

                              In fatto

    Con   citazione   regolarmente  notificata  Guidoni  Ernestina  e
Grisanti Rosario esponevano che nel corso dell'anno 2000 essa istante
si  rivolgeva  all'istituto bancario Unicredit per investire la somma
di  euro  66.106,00  nei medesimi prodotti precedentemente acquistati
dalla  collega  Iorio;  che  la  dipendente della banca proponeva due
diversi  prodotti:  polizza  denominata Unit Linked euro 2000 e fondo
Pioneer;  che  le  fu garantito che il capitale investito non avrebbe
sopportato alcuna riduzione; che, dunque, la predetta sottoscriveva i
due  investimenti  senza  tuttavia ricevere il prospetto informativo;
che  nell'anno  2003  chiedeva  notizia degli investimenti e veniva a
conoscenza  delle perdite e che i prodotti non erano quelli investiti
dalla  Iorio;  che  pertanto  richiedeva  la restituzione delle somme
investite.
    Su queste premesse, gli istanti chiedevano condannarsi l'istituto
al pagamento delle varie somme di Euro 16.622,00.
    L'Unicredit  S.p.A.  si  costituiva  ed invocava il rigetto delle
avverse  domande  eccependone  l'infondatezza  in fatto e in diritto,
attesa che il prospetto informativo era stato regolarmente consegnato
e  che  essa  banca  aveva agito solo come mero esecutore in quanto i
prodotti venduti appartenevano alla Compagnia Credit Ras.
    In   via   preliminare  eccepiva  l'improponibilita'  dell'azione
introdotta con il rito ordinario.
    Le  parti si scambiavano successivamente le memorie di replica ai
sensi dell'art. 6 e 7, d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5.
    Con  istanza  depositata il 13 maggio 2005 gli istanti chiedevano
l'immediata  fissazione  d'udienza  ai  sensi degli artt. 8 e ss. del
d.lgs. n. 5/2003.
    L'istituto  depositava  nota di precisazione delle conclusioni ex
art. 10,  comma 1 del d.lgs. n. 05/2003, negando la sussistenza della
legittimazione passiva e contestando nel merito le pretese attoree.
    Con  decreto  del  15  giugno  2005 il giudice relatore designato
fissava l'udienza collegiale, sottoponendo alle parti la questione di
incostituzionalita' del d.lgs. n. 5/2003.
    Alla   fissata   udienza  del  21  settembre  2005  le  parti  si
riportavano  ai  propri  scritti  difensivi  finali.  Il tribunale si
riservava la decisione nei modi e termini di cui all'art. 16, comma 5
del d.lgs. n. 5/2003.

                         I n  d i r i t t o

    La   questione   di   costituzionalita'   va  affrontata  in  via
preliminare rispetto alle altre questioni.
    L'art. 12 della legge di delega n. 366/2001 prevede che:
        «1)  Il  Governo  e'  inoltre  delegato ad emanare norme che,
senza  modifiche della competenza per territorio e per materia, siano
dirette  ad  assicurare  una o piu' rapida ed efficace definizione di
procedimenti nelle seguenti materie:
          a) diritto societario, comprese le controversie relative al
trasferimento delle partecipazioni sociali ed ai patti parasociali;
          b)  materie disciplinate dal testo unico delle disposizioni
in   materia  di  intermediazione  finanziaria,  di  cui  al  decreto
legislativo  24  febbraio  1998, n. 58, e successive modificazioni, e
dal  testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui
al  decreto  legislativo  1° settembre  1993,  n. 385,  e  successive
modificazioni.
        2)  Per  il  perseguimento delle finalita' e nelle materie di
cui  al comma 1, il Governo e' delegato a dettare regole processuali,
che in particolare possano prevedere:
          a)  la  concentrazione  del procedimento e la riduzione dei
termini processuali;
          b) l'attribuzione di tutte le controversie nelle materie di
cui al comma 1 al tribunale in composizione collegiale, salvo ipotesi
eccezionali  di  giudizio  monocratico in considerazione della natura
degli interessi coinvolti;
          c)  la  mera  facoltativita' della successiva instaurazione
della  causa  di  merito dopo l'emanazione di un provvedimento emesso
all'esito  di  un  procedimento  sommario cautelare in relazione alle
controversie  nelle  materie  di  cui  al comma 1, con la conseguente
definitivita'   degli   effetti   prodotti  da  detti  provvedimenti,
ancorche'  gli  stessi non acquistino efficacia di giudicato in altri
eventuali giudizi promossi per finalita' diverse;
          d)   un  giudizio  sommario  non  cautelare,  improntato  a
particolare   celerita'   ma   con  il  rispetto  del  principio  del
contraddittorio,  che  conduca  alla  emanazione  di un provvedimento
esecutivo anche se privo di efficacia di giudicato;
          e)  la  possibilita' per il giudice di operare un tentativo
preliminare di conciliazione, suggerendone espressamente gli elementi
essenziali,  assegnando eventualmente un termine per la modificazione
o  la rinnovazione di atti negoziali su cui verte la causa e, in caso
di    mancata    conciliazione,    tenendo    successivamente   conto
dell'atteggiamento  al  riguardo  assunto  dalle  parti ai fini della
decisione sulle spese di lite;
          f)  uno  o  piu'  procedimenti  camerali, anche mediante la
modifica degli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile
ed  in  estensione  delle  ipotesi  attualmente  previste  che, senza
compromettere  la  rapidita'  di  tali  procedimenti,  assicurino  il
rispetto dei principi del giusto processo;
          g)  forme  di  comunicazione  periodica  dei  tempi medi di
durata   dei  diversi  tipi  di  procedimento  di  cui  alle  lettere
precedenti  trattati  dai  tribunali,  dalle Corti di appello e dalla
Corte di cassazione».
    In  relazione alla struttura che il legislatore delegato e' stato
chiamato a delineare per il processo ordinario - e con esclusione del
riferimento  ai  principi  dettati  in tema di giudizio cautelare che
concernono  profili  non  rilevanti in questo giudizio - dal disposto
dell'art. 12  della  legge  n. 366  del  2001  sono  estrapolabili  i
seguenti   principi:   1)   divieto   di  modifica  della  competenza
territoriale  e  per  materia;  2)  necessita' di assicurare una piu'
rapida  ed  efficace  definizione di procedimenti; 3) possibilita' di
dettare  regole processuali, che in particolare possano prevedere: a)
la  concentrazione  del  procedimento  e  la  riduzione  dei  termini
processuali; b) l'attribuzione di tutte le controversie nelle materie
di  cui  al  comma  1  al tribunale in composizione collegiale, salvo
ipotesi  eccezionali  di giudizio monocratico in considerazione della
natura  degli  interessi coinvolti; c) la possibilita' per il giudice
di  operare  un  tentativo preliminare di conciliazione, suggerendone
espressamente  gli  elementi  essenziali, assegnando eventualmente un
termine  per  la modificazione o la rinnovazione di atti negoziali su
cui  verte  la  causa  e,  in  caso di mancata conciliazione, tenendo
successivamente  conto  dell'atteggiamento  al riguardo assunto dalle
parti ai fini della decisione sulle spese di lite.
    Nella legge n. 366/2001 il legislatore, dunque, si e' limitato ad
indicare  le  materie  nelle  quali  il  governo  poteva intervenire,
l'obiettivo  di  rendere  piu'  rapida ed efficace la definizione dei
procedimenti, il divieto di modificare la competenza per territorio e
materia,   la   tendenziale   collegialita'   del   procedimento,  la
possibilita'  di  valutare  l'atteggiamento  delle  parti  in sede di
tentativo  di  conciliazione  e la possibilita' di dettare regole che
favorissero   la  riduzione  dei  termini  e  la  concentrazione  del
procedimento.
    L'assoluta  genericita'  dell'indicazione relativa alle modalita'
da  seguire,  per la realizzazione dell'obiettivo dichiarato di voler
assicurare  una  piu'  rapida ed efficace definizione di procedimenti
nelle  materie  individuate,  ha  di  fatto consentito al legislatore
delegato   di   creare   un   nuovo  modello  processuale  che  esula
completamente  dallo  schema  del procedimento ordinario disciplinato
dal codice di procedura civile.
    A  fronte della situazione di fatto venutasi a creare che vede da
un lato una legge delega che nulla o quasi dice in ordine ai principi
diretti  che  avrebbero  dovuto  ispirare  il  legislatore delegato e
dall'altro   un   decreto  legislativo  che  crea  un  nuovo  modello
processuale,  sovvertendo,  nelle  materie  indicate  dalla  legge di
delega,  i  tradizionali  canoni  che governano il processo civile, a
questo  collegio  si  pongono  due opzioni interpretative che in ogni
caso  conducono  ad  un  dubbio  di  costituzionalita'  in  relazione
all'art. 76 della Costituzione.
    La  prima  opzione  interpretativa,  sia  in ordine logico sia di
scelta,  che  questo  collegio  reputa  piu' consona allo spirito del
complesso  normativo  costituito  dalla  legge  delega  e dal decreto
legislativo,  e'  quella di ritenere che il legislatore delegante non
abbia  indicato  con  sufficiente determinazione i principi e criteri
normativi  che  avrebbero  dovuto  guidare  l'operato del legislatore
delegato  e che quindi l'art. 12 della legge n. 366/2001 non soddisfi
il  precetto  dell'art. 76  della Costituzione che consente la delega
dell'esercizio  della  funzione  legislativa  al  Governo solo previa
determinazione di principi e criteri direttivi.
    Non  ignora  questo  tribunale  come, per giurisprudenza costante
della  Corte costituzionale, i principi direttivi che l'art. 76 Cost.
richiede  alla legge delega non escludono la possibilita' di lasciare
al   legislatore   delegato  un  ampio  margine  di  discrezionalita'
nell'individuazione  delle  modalita'  attraverso le quali realizzare
gli  obiettivi prefissati dalla legge delega. Il potere attribuito al
legislatore   delegato,   pero',  per  quanto  ampio,  non  puo'  mai
travalicare  il  limite della discrezionalita' nel senso che, come la
Corte  costituzionale  insegna, sin da risalenti pronunzie, «la legge
delegante   va   considerata   con   riferimento   all'art. 76  della
Costituzione,  per  accertare se sia stato rispettato il precetto che
ne  legittima  il processo formativo. L'art. 76 indica i limiti entro
cui  puo'  essere  conferito  al  Governo  l'esercizio della funzione
legislativa.  Per quanto la legge delegante sia a carattere normativo
generale, ma sempre vincolante per l'organo delegato, essa si pone in
funzione   di   limite   per  lo  sviluppo  dell'ulteriore  attivita'
legislativa  del  Governo. I limiti dei principi e criteri direttivi,
del tempo entro il quale puo' essere emanata la legge delegata, degli
oggetti  degli interventi da un lato servono a circoscrivere il campo
della  delegazione  si'  da evitare che la delega venga esercitata in
modo  divergente  dalle  finalita'  che  la determinarono; dall'altro
devono  consentire  al potere delegato la possibilita' di valutare le
particolari  situazioni giuridiche della legislazione precedente, che
nella  legge  delegata deve trovare una nuova regolamentazione. Se la
legge  delegante  non  contiene, anche in parte, i cennati requisiti,
sorge   il  contrasto  tra  norma  dell'art. 76  e  norma  delegante,
denunciabile  al sindacato della Corte costituzionale, s'intende dopo
l'emanazione  della  legge  delegata»  (cosi'  Corte cost. 26 gennaio
1957, n. 3).
    In  particolare,  per  quel  che  rileva in questa sede, nulla ha
detto  la legge delega in ordine allo schema processuale da adottare,
lasciato   non   alla   scelta   discrezionale  ma  all'arbitrio  del
legislatore  delegato,  come  emerge  chiaramente  dal  contenuto del
decreto  legislativo che ha creato un nuovo modello di processo al di
fuori delle regole dettate dal codice di procedura civile.
    Il  «rito  societario»  costituisce, infatti, come indicato dalla
stessa  relazione  della  commissione ministeriale, un vero e proprio
nuovo  modello  processuale,  che  si  distacca  volutamente  sia dal
modello  processuale  del 1942, sia da quello del processo del lavoro
del  1973  ed  infine  anche da quello delineatosi con la riforma del
1990.
    In  particolare,  si tratta di un rito di cognizione nel quale la
prima  fase  del  processo  avviene  senza  l'intervento del giudice:
nell'atto  di  citazione  ai  sensi  dell'art. 2 non e' piu' indicata
l'udienza  avanti  al  giudice  ed  il  termine che l'attore fissa al
convenuto   per  la  comunicazione  della  comparsa  di  risposta  e'
stabilito  sola nel minimo, cosi' nella comparsa di risposta ai sensi
dell'art. 4  il  convenuto  puo'  a  sua volta fissare all'attore per
eventuale  replica  un  termine  stabilito  ancora una volta solo nel
minimo,  e  con lo stesso meccanismo l'art. 6 prevede la possibilita'
di una replica da parte dell'attore e l'art. 7 la possibilita' di una
controreplica  da parte del convenuto e poi ancora ulteriori repliche
e controrepliche.
    Solo  a  seguito  dell'istanza  di  fissazione  di udienza di cui
all'art. 8  interviene  il giudice, in un momento pero' in cui sia il
thema  decidendum che il thema probandum si sono gia' definitivamente
formati,  quindi totalmente al di fuori del controllo del giudice, il
quale  tra l'altro solo in un secondo momento, e in teoria anche dopo
moltissimo   tempo  dalla  notifica  dell'atto  introduttivo,  ha  la
possibilita' concreta di verificare l'eventuale invalidita' dell'atto
di  citazione  e/o  della  notifica,  la  necessita'  di integrare il
contraddittorio, e tutti questi aspetti preliminari.
    Inoltre, a differenza di quel che accade nel rito del lavoro e in
quello  delineato  dalla  riforma  del  `90, ove secondo la dominante
interpretazione  giurisprudenziale  il  giudice, d'ufficio, proprio a
tutela della «durata ragionevole del processo», verifica le eventuali
preclusioni  di  merito  e/o  istruttorie, i d.lgs. 5/2003 condiziona
tale  verifica  all'eccezione di parte (artt. 10, comma 2 e 13, comma
4).
    Ed  ancora,  la  stessa istanza di fissazione di udienza, con gli
effetti  preclusivi  rilevantissimi  stabiliti  dall'art. 10,  e' uno
strumento lasciato nella totale disponibilita' delle parti o anche di
una  sola di esse, che puo' utilizzarlo a suo piacimento, nel momento
ritenuto piu' opportuno.
    Infine,   va   segnalato   l'art. 13  in  tema  di  contumacia  o
costituzione   tardiva  del  convenuto,  che  al  comma  2  introduce
l'innovativo  principio  (di  cui nella delega non v'e' traccia), per
cui  nel  caso  in  cui  il  convenuto  non  notifichi la comparsa di
risposta   nel   termine   stabilito  o  anche  solo  si  costituisca
tardivamente  «i  fatti  affermati  dall'attore...  si  intendono non
contestati   e  il  tribunale  decide  sulla  domanda  in  base  alla
concludenza di questa».
    Tutte   queste  peculiarita'  confermano  con  chiarezza  che  il
legislatore  delegato,  in  forza di una delega assolutamente carente
sotto  il  profilo  dell'indicazione  di criteri direttivi, ha potuto
creare una disciplina interamente nuova per il processo societario di
cognizione ordinaria, anticipando quel rito ordinario prefigurato dal
testo  redatto  dalla  commissione  ministeriale  per  la riforma del
processo civile (il c.d. «progetto Vaccarella»).
    Questo  tribunale  reputa,  appunto,  che  cio'  sia avvenuto per
effetto di una legge di delega priva di reali principi di riferimento
e   limitatasi  ad  indicare  un  unico  vero  obiettivo,  quello  di
«assicurare una piu' rapida ed efficace definizione di procedimenti»,
requisito  tra l'altro nemmeno particolarmente qualificante in quanto
comune a qualsivoglia progetto di riforma del processo civile; ne' lo
stesso   viene   qualificato   dal   riferimento  alla  finalita'  di
«concentrazione    del   procedimento   e   riduzione   dei   termini
processuali»,  trattandosi appunto di indicazioni di massima con mera
valenza  teorica,  che  finiscono  per  identificarsi  con  lo stesso
obiettivo  dell'accelerazione  processuale;  cosi' come evidentemente
non  hanno  alcun  valore  delimitativo  ed  individuante  gli  altri
criteri-guida del divieto di modifica della competenza territoriale e
per   materia,   della   preferenza  per  la  collegialita'  e  della
valorizzaziane del ruolo del tentativo di conciliazione.
    Di   conseguenza,   ad   avviso   del  Collegio,  in  quanto  non
manifestamente   infondata   sotto   il   profilo   della  violazione
dell'art. 76  Cost.  per  inosservanza  del  «contenuto minimo» delle
leggi   delega,   va  sollevata  la  questione  di  costituzionalita'
dell'art. 12   della   legge  n. 336/2001  nella  parte  relativa  al
procedimento  ordinario  di  primo  grado  e,  per derivazione, degli
articoli da 2 a 17 del decreto legislativo n. 5 del 2003.
    La  questione  e' altresi' rilevante in quanto vertendosi in tema
di  responsabilita'  dell'intermediatore  finanziario  il giudizio e'
stato  instaurato  nelle  forme  previste  dal  d.lgs.  n. 5 del 2003
emanato  in  forza  della predetta legge di delega, e dalla pronunzia
della Corte costituzionale dipende l'applicabilita' dell'intera nuova
disciplina  processuale  alla  controversia  sottoposta  al vaglio di
questo tribunale.
    In  via  subordinata  e  per  l'ipotesi  in  cui la Corte dovesse
ritenere   costituzionalmente   legittimo   l'art. 12   della   legge
n. 366/2001,  questo  collegio  ritiene  che  non  sia manifestamente
infondato  il  dubbio di costituzionalita' degli articoli 2, 3, 4, 5,
6,  7,  8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16 e 17 del decreto legislativo
n. 5  del  2003  per  contrasto  con  l'art. 76 della Costituzione in
quanto  emanati  eccedendo  dai  principi e criteri direttivi dettati
dalla legge n. 366 del 2001.
    Per    evitare    il    sospetto   di   incostituzionalita'   per
indeterminatezza e genericita', si dovrebbe invero compiere lo sforzo
interpretativo   di   leggere   la  legge  n. 366  del  2001  facendo
riferimento  alla  disciplina  del  vigente  processo  di  cognizione
davanti  al tribunale, come contenuta nel libro II, titolo I, c.p.c.,
il  rito  cioe' che sino al 31 dicembre 2003 e' stato applicato anche
alle  controversie  societarie  e  che il legislatore delegante aveva
come  punto  di  riferimento all'atto della concessione della delega;
sforzo  interpretativo  gia' compiuto da altri giudici ordinari (cfr.
Tribunale  Brescia  16  ottobre  2004,  in  atti,  che  ha rimesso la
questione  alla  Corte  costituzionale;  e vedi anche varie ordinanze
della seconda sezione del tribunale partenopeo).
    La  disciplina  del  processo  di cognizione davanti al tribunale
contenuta  nel  codice di procedura civile prevede che il processo si
svolga   attraverso   la   successione   di  piu'  udienze  fisse  ed
obbligatorie,  in  particolare  quella di prima comparizione art. 180
c.p.c.),  quindi  la  prima udienza di trattazione (art. 183 c.p.c.),
cui  puo'  seguire un'udienza per la discussione e l'ammissione delle
prove  (art. 184  c.p.c.)  ed  eventualmente  un'ulteriore udienza di
precisazione delle conclusioni (art. 189 c.p.c.).
    Se   si   volesse  individuare  una  determinatezza  dei  criteri
direttivi  nella  legge  di delega dovrebbe necessariamente ritenersi
che    il   legislatore   delegante   indicando   il   principio   di
«concentrazione  del  procedimento»  abbia  avuto  come  elemento  di
riferimento  proprio questa scansione prevista nel processo ordinario
vigente,  il  quale,  in particolare, prevede che tra il giorno della
notificazione  della  citazione e quello dell'udienza di comparizione
debbano  intercorrere  termini  liberi non minori di sessanta giorni,
fissa  il  termine  meramente  ordinatorio  di quindici giorni per la
successione  fra  le varie udienze (art. 81 delle norme di attuazione
c.p.c.),  stabilisce  ai sensi dell'art. 183 c.p.c., quinto comma, un
termine  massimo  di  trenta  giorni  per il deposito di memorie e di
altri  trenta  per  le repliche, non stabilisce nessun termine per il
deposito  delle  memorie  istruttorie ex art. 184 c.p.c., primo comma
seconda parte e prevede il termine di sessanta giorni per il deposito
delle comparse conclusionali e di venti per eventuali repliche.
    Soltanto  con il riferimento a tali termini potrebbe riempirsi di
contenuto  la  generica  indicazione  del  legislatore  delegante del
principio   di  «riduzione  dei  termini  processuali».  Solo  questa
lettura,   estremamente  riduttiva  e  per  questo  proposta  in  via
subordinata,   dei   principi   fissati   dal  legislatore  delegante
consentirebbe  di  evitare  il  su citato dubbio di costituzionalita'
dell'art. 12  della legge n. 366 del 2001. E', pero', evidente che in
questo  caso  l'articolato contenuto negli articoli da 2 a 17, d.lgs.
17  gennaio  2003,  n. 5,  con  cui si e' inteso dare attuazione alla
delega,   contrasterebbe  con  i  principi  fissati  dal  legislatore
delegante  per  «eccesso  di delega», alla luce della caratteristiche
del  nuovo rito societario come gia' sopra sintetizzate. L'operazione
effettuata  dal  decreto legislativo non e' stata, infatti, quella di
prevedere  un  rito  concentrato  rispetto all'attuale rito ordinaria
disciplinato  dagli  artt. 163  ss.  c.p.c.,  bensi'  quella,  lo  si
ribadisce,  di introdurre nell'ordinamento un modello processuale del
tutto  diverso,  anticipatorio  di  quello  prefigurato nel «progetto
Vaccarella»,  nel  quale,  in  particolare, «scompaiono» le prime due
udienze  dell'attuale  processo  ordinario,  sostituite  da  una fase
preliminare   di   definizione   del   thema   decidendum   sottratta
all'intervento  giudiziale  e  rimessa solo alla disponibilita' delle
parti, legittimate a chiudere tale fase notificandosi rispettivamente
l'istanza  di  fissazione  d'udienza  e  uniche  abilitate a rilevare
l'eventuale  inammissibilita'  delle altrui istanze, istruttorie e di
merito (artt. da 2 a 10).
    Appare       impossibile      non      vedere      in      questa
«degiurisdizionalizzazione»   della   fase   introduttiva,   con   un
intervento  del  giudice essenzialmente rivolto solo all'istruzione e
alla  decisione  della causa, una vera e propria «rivoluzione» di una
struttura   processuale   ormai   consolidata,  e  non  una  semplice
«accelerazione» e «concentrazione processuale».
    Vi  e'  poi  l'assoluta  novita'  della ficta confessio di cui al
citato  art. 13, d.lgs. n. 05/2003, norma che e' vero che accelera il
processo  evitando  l'istruttoria in caso di costituzione tardiva del
convenuto,  ma e' nondimeno vero che oltre a tale effetti ne realizza
altri,  non  indicati  nemmeno  implicitamente nella legge delega: si
introduce   infatti   una   complessa,  che  puo'  svolgersi  con  un
«ping-pong»  di  atti,  repliche  e  controrepliche (artt. 2 a 7) che
finisce  col rendere sovrabbondante la fase introduttiva, sicuramente
non  meno  dell'assetto attuale contraddistinto, nella peggiore delle
ipotesi,  dagli  atti  introduttivi, dalle due udienze ex artt. 180 e
183,  dalle  memorie  ex  art. 180  e  183, ultimo comma c.p.c. Si e'
altresi'  detto  che il nuovo rito esclude l'intervento officioso del
giudice  per  rilevare  le  preclusioni  e decadenze istruttorie e di
merito (artt. 10, comma 2 e 13, comma 4) e prevede poi che il giudice
verifichi  la  regolarita'  della  notifica  dell'atto di citazione o
l'eventuale assenza di litisconsorti necessari solo al momento in cui
la  causa gli sia presentata con la richiesta di fissazione d'udienza
(art. 12, ultimi commi).
    Sul  primo aspetto, si e' gia' implicitamente evidenziato come la
fase introduttiva, per come delineata dal d.lgs. n. 05/2003, non pare
idonea  a  snellire  i  tempi del processo; ne' vale obiettare che si
tratta  di  una  fase  pregiudiziale, in quanto la causa non e' stata
ancora sottoposta al giudice, dal momento che il giudizio, per regola
generale,  sorge  con  la  notifica dell'atto di citazione, ossia con
l'instaurazione    del   contraddittorio,   mentre   e'   irrilevante
l'«assenza»  del giudice, alla luce della stessa giurisprudenza della
Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo secondo cui nel computo della
durata complessiva di un processo civile deve essere ricompresa anche
il  periodo  impiegato  per  lo  scambio  degli  atti  tra  le  parti
precedente  l'istanza  di  fissazione dell'udienza (CDEU, II sez., 29
luglio 2003, Price e Lowe c. Regno Unito, in Giur. it. 2004, 487).
    Quanto  agli  altri  due  punti,  e'  pacifico  che  l'intervento
officioso  del  giudice  sia  ritenuto  dalla  giurisprudenza, sia di
legittimita'  che  di  merito,  insito nel novella del '90, attesa la
portata  della  riforma,  volta  a  realizzare  l'interesse di ordine
pubblico   (e   quindi   indisponibile  per  le  parti)  alla  rapida
definizione  dei  procedimenti.  Ne  deriva  giocoforza che rimettere
nuovamente  alle  parti  la  decisione  di  valutare  l'ingresso  nel
processo  di  domande,  eccezioni  o istanze istruttorie tardive puo'
incidere  negativamente  sui  tempi  del processo, destinato a durare
piu'  a  lungo  se  le  parti  accettino il contraddittorio su simili
domande, eccezioni, istanze tardive.
    Ugualmente   e'   pacifico  che  sia  l'invalida  notifica  della
citazione    sia   l'assenza   di   tutti   litisconsorti   necessari
costituiscono  vizi  che,  se  accertati  solo  in sede di udienza di
discussione,  all'esito  della  fase  introduttiva  «fuori  udienza»,
comportano   notevoli   ritardi   processuali,  nella  prima  ipotesi
addirittura  con  una  naturale  regressione  del  processo alla fase
introduttiva,  prima  dell'inizio di quel «ping-pong» di notifiche di
atti  tra  le parti che puo' durare anche molto tempo. Ed e' evidente
che  la soluzione prescelta dal legislatore delegato comporta effetti
«deceleratori»   rispetto   alla   situazione   fisiologia  del  rito
attualmente  vigente,  in  cui  il giudice immediatamente, alla prima
udienza,  e' tenuto a simili verifiche preliminari, eliminando subito
il  vizio  senza  eccessivi ritardi se non quelli legati ad una nuova
udienza  di  comparizione  coi  termini  per  la regolarizzazione del
contraddittorio.
    Quindi,  per  le  menzionate  disposizioni degli artt. 2 - 7, 10,
comma 2, 13, comma 4 e 12, ultimi commi, sempre qualora si accolga la
tesi  subordinata  della  determinatezza  della  legge delega siccome
riferita  all'attuale assetto processuale, vi e' l'ulteriore sospetto
di  un vizio non solo di eccesso di delega, ma anche di contrasto con
la  legge  delega.  L'intera  struttura  del  rito  societario viene,
quindi, ancora piu' messa in discussione.
    Sul  punto  della inosservanza della legge delega (sia in termini
di  eccesso  che  di  contrasto),  vi e' altresi' da precisare che la
questione  e'  e resta aperta nonostante il rito societario sia stato
ormai  «esportato»  prima nelle controversie in materia di proprieta'
industriale  (art. 134, comma 1, d.lgs. n. 30/2005) e poi addirittura
in  tutte le controversie, con l'introduzione dell'alternativita' col
rito  vigente  stabilita  dall'art. 70-ter  disp.  att.  c.p.c. quale
introdotto   dalla   recentissima   legge  di  conversione  al  «d.l.
competitivita' (legge 14 marzo 2005, n. 80).
    Invero,  al di la' del fatto che l'art. 70-ter disp. att. c.p.c.,
secondo  la  previsione dell'art 3-quater della legge di conversione,
entrera'  in  vigore  solo il 12 settembre 2005, non rileva in questa
sede  che  il  legislatore ordinario, ossia il Parlamento, con questi
interventi  abbia  in  pratica  «legittimato»  le  scelte  del d.lgs.
n. 05/2003  rispetto  alla  legge  delega  n. 366/2001,  perche' tale
legittimazione   e'   stata   solo  in  fatto,  non  essendosi  avuta
un'iniziativa  volta  a  trasformare  in  legge  «formale»  la  legge
«materiale»  emessa in violazione della legge delega (come ad esempio
e'  accaduto  con  l'art. 7, legge n. 205/2000, che ha sostituito gli
artt. 33  e  34, d.lgs. n. 80/1998, viziati da eccesso di delega), ma
solo  una  mera  applicazione  del rito societario, nella sua attuale
configurazione,  ad altre controversie, senza alcuna ratifica formale
di  detto  rito societario in relazione alle controversie societarie,
che sono appunto quelle oggetto del d.lgs. n. 05/2003.
    Anche   la   questione   di  costituzionalita'  proposta  in  via
subordinata  e' rilevante ai fini del presente giudizio per le stesse
ragioni  indicate  per la questione proposta in via principale. Oltre
al  sospetto  di  incostituzionalita' dell'intero rito di cognizione,
coi conseguenti dubbi di applicabilita' nel suo complesso della nuova
disciplina,  va  poi ricordata la particolare rilevanza pratica della
questione   di   costituzionalita'   rispetto   all'art. 13,   d.lgs.
n. 05/2003,  invocato  nei  suoi  effetti dagli attori a fronte della
tardiva costituzione del MPS.
    Tanto premesso in fatto e diritto, va disposta la sospensione del
presente   giudizio   e   la   trasmissione  degli  atti  alla  Corte
costituzionale  per  la  decisone  sulla  questione  pregiudiziale di
legittimita'  costituzionale,  siccome rilevante e non manifestamente
infondata.   Alla  cancelleria  vanno  affidati  gli  adempimenti  di
competenza, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.
                              P. Q. M.
    Dichiara   rilevante   per   il  giudizio  e  non  manifestamente
infondata,  in relazione all'art. 76 della Costituzione, la questione
di  legittimita'  costituzionale dell'art. 12 della legge n. 366/2001
nella  parte  in  cui,  in  relazione  ai giudizio ordinario di primo
grado,  in  materia  societaria  non  indica  i  principi  e  criteri
direttivi  che  avrebbero  dovuto  guidare  le scelte del legislatore
delegato  e,  per  derivazione,  degli articoli da 2 a 17 del decreto
legislativo n. 5 del 2003.
    In  via  subordinata  il  tribunale  dichiara  rilevante  per  il
giudizio  e  non  manifestamente  infondata, in relazione all'art. 76
della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale degli
articoli  da  2  a  17  del decreto legislativo n. 5 del 2003 perche'
difformi  -  in  parte  anche  per contrasta oltre che per eccesso di
delega  -  dai  principi  e  criteri direttivi dettati dalla legge di
delega n. 366/2001;
    Ordina  alla  cancelleria  di notificare la presente ordinanza al
presidente  del Consiglio dei ministri nonche' di darne comunicazione
al  Presidente  del  Senato  della  Repubblica ed al Presidente della
Camera dei deputati e alle parti del presente giudizio;
    Dispone  l'immediata  trasmissione  degli atti, comprensivi della
documentazione   attestante   il   perfezionamento  delle  prescritte
notificazioni e comunicazioni, alla Corte costituzionale.
    Sospende il giudizio in corso.
    Si comunichi a cura della cancelleria.
    Cosi'  deciso  in  Napoli,  nella  Camera  di  consiglio  del  21
settembre 2005.
                        Il Presidente: Bello
06C0435