N. 105 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 14 ottobre 2006
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 14 ottobre 2006 (della regione Friuli-Venezia Giulia) Partecipazioni pubbliche - Societa' a capitale pubblico o misto costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali o locali per la produzione di beni e servizi strumentali - Obbligo di operare esclusivamente con gli enti pubblici costituenti o partecipanti e correlativo divieto di operare nel libero mercato, obbligo di oggetto sociale esclusivo, nullita' dei contratti conclusi dopo l'entrata in vigore della nuova disciplina - Ricorso della Regione Friuli-Venezia Giulia - Lamentata sottoposizione a regime giuridico restrittivo e discriminatorio senza la previsione di una condizione di esonero dalla concorrenza attraverso un regime di affidamento diretto - Denunciata lesione delle competenze legislative in materia di «organizzazione della Regione e degli enti locali» e «industria e commercio», interferenza con l'autonomia amministrativa e finanziaria della Regione, violazione del principio di eguaglianza rispetto alle societa' costituite e partecipate dallo Stato, violazione del diritto di libera iniziativa economica, violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalita' e di certezza del diritto. - Decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito con la legge 4 agosto 2006, n. 248, art. 13, commi 1, 2 e 4. - Costituzione, artt. 3, 41 e 117, comma quarto; legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, art. 10; Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia, artt. 4, nn. 1, 1-bis e 6; 8 e 48. Partecipazioni pubbliche - Societa' a capitale pubblico o misto costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali o locali per la produzione di beni e servizi strumentali - Obbligo di cessazione delle attivita' non consentite, anche attraverso cessione o scorporo, e perdita di efficacia dei relativi contratti - Termini - Ricorso della Regione Friuli-Venezia Giulia - Lamentata contraddittorieta' in relazione ai diversi periodi di dodici e diciotto mesi stabiliti per l'applicazione della norma - Denunciata contrarieta' ai principi di ragionevolezza, di affidamento e di buona fede, nonche' lesione indiretta delle competenze regionali. - Decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito con la legge 4 agosto 2006, n. 248, art. 13, comma 3. - Costituzione, artt. 3, 41, 117, comma quarto, e 119; legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, art. 10; Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia, artt. 4, nn. 1, 1-bis e 6; 8 e 48. Partecipazioni pubbliche - Societa' a capitale pubblico o misto costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali o locali per la produzione di beni e servizi strumentali - Nullita' dei contratti stipulati dalle societa' che conservino partecipazioni in altre societa' o enti - Ricorso della Regione Friuli-Venezia Giulia - Denunciata contrarieta' ai principi di ragionevolezza, di affidamento e di buona fede, nonche' lesione indiretta delle competenze regionali. - Decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito con la legge 4 agosto 2006, n. 248, art. 13, comma 4. - Costituzione, artt. 3, 41, 117, comma quarto, e 119; legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, art. 10; Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia, artt. 4, nn. 1, 1-bis e 6; 8 e 48. Bilancio e contabilita' pubblica - Enti ed organismi pubblici non territoriali - Riduzione nella misura del 10 per cento delle spese di funzionamento relative all'anno 2006, nonche' nella misura del 20 per cento di quelle iniziali dell'anno 2006 per il triennio 2007-2009 - Ricorso della Regione Friuli-Venezia Giulia - Lamentata incidenza, con vincoli di spesa puntuali, sugli enti pubblici non territoriali regionali - Denunciata esorbitanza dello Stato dai limiti alla sua competenza in materia di «coordinamento della finanza pubblica», lesione dell'autonomia legislativa, organizzativa e finanziaria di spesa della Regione, violazione del principio di ragionevolezza e del principio di buon andamento della pubblica amministrazione, contrarieta' al principio di proporzionalita'. - Decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, nella legge 4 agosto 2006, n. 248, art. 22, commi 1 e 2. - Costituzione, artt. 3, 97, 117, terzo comma e 119; legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, art. 10; Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia, artt. 4, nn. 1, 1-bis, 2, 3, 9, 10, 12, 13 e 14; 5, nn. 6, 8 e 9; e 48.(GU n.48 del 6-12-2006 )
Ricorso della giunta regionale pro tempore, autorizzato con deliberazione della giunta regionale n. 2241 del 22 settembre 2006 (doc. 1), rappresentata e difesa - come da procura a margine del presente atto dall'avv. prof. Giandomenico Falcon di Padova, con domicilio eletto in Roma presso l'Ufficio di rappresentanza della regione, in Piazza Colonna, 355; Contro il Presidente del Consiglio dei ministri per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 13, commi 1, 2, 3 e 4 e dell'art. 22, commi 1 e 2, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonche' interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale, convertito, con modificazioni, nella legge 4 agosto 2006, n. 248, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 186 dell'11 agosto 2006, supplemento ordinario n. 183, per violazione: degli articoli 4, nn. 1, 1-bis, 6 e 14; 5, nn. 6, 8 e 9; 8 e 48 ss. della legge cost. n. 1 del 1963; dell'art. 117, quarto comma, della Costituzione, in relazione all'art. 10, legge cost. n. 3/2001; degli artt. 3, 41 e 97 della Costituzione, per i profili e nei modi di seguito illustrati. F a t t o La regione Friuli-Venezia Giulia e' dotata di potesta' legislativa primaria, ai sensi dell'art. 4 dello statuto, in materia di «ordinamento degli Uffici e degli Enti dipendenti dalla regione e stato giuridico ed economico del personale ad essi addetto» (n. 1), di «ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni» (n. 1-bis), di «industria e commercio» (n. 6), di «istituzioni culturali, ricreative e sportive; musei e biblioteche di interesse locale e regionale» (n. 14); inoltre, la regione e' dotata di potesta' legislativa concorrente, ai sensi dell'art. 5 dello statuto, in materia di «istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza» (n. 6), di «ordinamento delle Casse di risparmio, delle Casse rurali; degli Enti aventi carattere locale o regionale per i finanziamenti delle attivita' economiche nella regione» (n. 8) e di «istituzione e ordinamento di Enti di carattere locale o regionale per lo studio di programmi di sviluppo economico» (n. 9). La regione e' poi competente in diverse materie nell'ambito delle quali si svolge l'attivita' degli enti pararegionali (v. infra). In queste stesse materie, la regione e' titolare delle corrispondenti potesta' amministrative, in virtu' dell'art. 8, legge cost. n. 1/1963. Alla regione e' anche garantita autonomia finanziaria, ai sensi degli artt. 48 ss. dello statuto. In alcune delle materie sopra indicate, la regione e' soggetta ai soli limiti di cui all'art. 117, primo comma, Cost., trattandosi di materie che ricadono nella potesta' piena delle regioni ordinarie (art. 117, quarto comma, Cost.) e operando, dunque, l'art. 10, legge cost. n. 3/2001 (su cio' v. in seguito). Con il d.-l. n. 223 del 2006, Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonche' interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale, il Governo e' intervenuto - fra l'altro - nelle materie di cui sopra, comprimendo illegittimamente le prerogative statutarie della regione Friuli-Venezia Giulia. Il decreto e' stato convertito, con modificazioni, nella legge 4 agosto 2006, n. 248. Di tale decreto vengono qui in considerazione, in particolare, le disposizioni di cui agli artt. 13 e 22. L'art. 13 detta Norme per la riduzione dei costi degli apparati pubblici regionali e locali e a tutela della concorrenza. Il comma 1 stabilisce che, «al fine di evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parita' degli operatori, le societa', a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di beni e servizi strumentali all'attivita' di tali enti, in funzione della loro attivita', con esclusione dei servizi pubblici locali, nonche', nei casi consentiti dalla legge, per lo svolgimento esternalizzato di funzioni amministrative di loro competenza, devono operare esclusivamente con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti, non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, ne' in affidamento diretto ne' con gara, e non possono partecipare ad altre societa' o enti». Il comma 2 aggiunge che «le societa' di cui al comma 1 sono ad oggetto sociale esclusivo e non possono agire in violazione delle regole di cui al comma 1». Il comma 3 contiene una norma transitoria, disponendo che, «al fine di assicurare l'effettivita' delle precedenti disposizioni, le societa' di cui al comma 1 cessano entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto le attivita' non consentite» (primo periodo), e che «a tale fine possono cedere, nel rispetto delle procedure ad evidenza pubblica, le attivita' non consentite a terzi ovvero scorporarle, anche costituendo una separata societa' da collocare sul mercato, secondo le procedure del d.l. 31 maggio 1994, n. 332, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 1994, n. 474, entro ulteriori diciotto mesi» (secondo periodo). Viene anche precisato, nello stesso comma (terzo e ultimo periodo) che «i contratti relativi alle attivita' non cedute o scorporate ai sensi del periodo precedente perdono efficacia alla scadenza del termine indicato nel primo periodo del presente comma». Infine, il comma 4 dispone che «i contratti conclusi, dopo la data di entrata in vigore del presente decreto, in violazione delle prescrizioni dei commi 1 e 2 sono nulli», con la precisazione che «restano validi, fatte salve le prescrizioni di cui al comma 3, i contratti conclusi dopo la data di entrata in vigore del presente decreto, ma in esito a procedure di aggiudicazione perfezionate prima della predetta data». L'art. 22 dispone la Riduzione delle spese di funzionamento per enti ed organismi pubblici non territoriali. La disposizione distingue tra gli enti «che adottano contabilita' anche finanziaria» e quelli che «adottano una contabilita' esclusivamente civilistica». Per i primi (contabilita' anche finanziaria), «individuati ai sensi dell'art. 1, commi 5 e 6, della legge 30 dicembre 2004, n. 311» e «con esclusione delle Aziende sanitarie ed ospedaliere, degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, dell'Istituto superiore di sanita', dell'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro, dell'Agenzia italiana del farmaco, degli Istituti zooprofilattici sperimentali, degli enti e degli organismi gestori delle aree naturali protette e delle istituzioni scolastiche», il comma 1 stabilisce che «gli stanziamenti per l'anno 2006 relativi a spese per consumi intermedi ... sono ridotti nella misura del 10 per cento, comunque nei limiti delle disponibilita' non impegnate alla data di entrata in vigore del presente decreto». Per i secondi (enti ed organismi pubblici che adottano una contabilita' esclusivamente civilistica), lo stesso comma 1 statuisce che «i costi della produzione, individuati all'art. 2425, primo comma, lettera b), numeri 6), 7) e 8), del codice civile, previsti nei rispettivi budget 2006, concernenti i beni di consumo e servizi ed il godimento di beni di terzi, sono ridotti del 10 per cento». In ogni caso, le somme provenienti dalle riduzioni di cui sopra «sono versate da ciascun ente, entro il mese di ottobre 2006, all'entrata del bilancio dello Stato». Il comma 2 dispone poi che, «per le medesime voci di spesa e di costo indicate al comma 1, per il triennio 2007-2009, le previsioni non potranno superare l'ottanta per cento di quelle iniziali dell'anno 2006, fermo restando quanto previsto dal comma 57 dell'art. 1 della legge 23 dicembre 2004, n. 311». E, anche in questo caso, «le somme corrispondenti alla riduzione dei costi e delle spese per effetto del presente comma sono appositamente accantonate per essere versate da ciascun ente, entro il 30 giugno di ciascun anno, all'entrata del bilancio dello Stato». Infine, ancora il comma 2 vieta «alle Amministrazioni vigilanti di approvare i bilanci di enti ed organismi pubblici in cui gli amministratori non abbiano espressamente dichiarato nella relazione sulla gestione di avere ottemperato alle disposizioni del presente articolo». La legge di conversione ha aggiunto nell'art. 1, d.l. n. 223/2006 il comma 1-bis, recante una clausola di salvaguardia, in virtu' della quale «le disposizioni di cui al presente decreto si applicano alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano in conformita' agli statuti speciali e alle relative norme di attuazione». Naturalmente, ove si ritenga che, per effetto di tale clausola, le norme sopra esposte non debbano applicarsi nella regione Friuli-Venezia Giulia, vengono meno le ragioni di doglianza avanzate con il presente ricorso. Nei termini indicati, sia l'art. 13, commi da 1 a 4, sia l'art. 22, commi 1 e 2, si rivelano ad avviso della regione Friuli-Venezia Giulia costituzionalmente illegittimi e lesivi delle sue competenze costituzionali per le seguenti ragioni di D i r i t t o 1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 13. a) Illegittimita' costituzionale dell'art. 13, commi 1, 2 e 4 in quanto ledono l'autonomia organizzativa e finanziaria della regione, sottoponendo le societa' pubbliche o miste, costituite o partecipate dalle amministrazioni regionali e locali per la produzione di beni e servizi strumentali, ad un regime giuridico restrittivo e discriminatorio, senza collegare le limitazioni al godimento di una condizione di esonero dalla concorrenza grazie ad un regime di affidamento diretto. Come sopra esposto, l'art. 13, comma 1, del d.l. n. 223 del 2006, come risultante dalla legge di conversione n. 248 dello stesso anno, stabilisce che «al fine di evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parita' degli operatori, le societa', a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di beni e servizi strumentali all'attivita' di tali enti in funzione della loro attivita' ... nonche', nei casi consentiti dalla legge, per lo svolgimento esternalizzato di funzioni amministrative di loro competenza, devono operare esclusivamente con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti, non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, ne' in affidamento diretto ne' con gara, e non possono partecipare ad altre societa' o enti». Il comma 2 - oltre a ribadire, alquanto incongruamente, che le societa' di cui al comma 1 «non possono agire in violazione delle regole di cui al comma 1» - precisa che esse «sono ad oggetto sociale esclusivo», ponendo cosi' un limite alla capacita' contrattuale dei soggetti che costituiscono tali societa', o comunque creando una ulteriore condizione di sfavore per le societa' in questione. Il comma 4 provvede a sanzionare i limiti cosi' posti disponendo, per quanto qui interessa, che i contratti conclusi dalle stesse societa' dopo la data di entrata in vigore della nuova disciplina «in violazione delle prescrizioni dei commi 1 e 2 sono nulli». In altri termini, l'art. 13 pone un complessivo regime di severissime restrizioni alla capacita' contrattuale delle «societa', a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di beni e servizi strumentali», sia sotto il profilo dello «svolgere prestazioni» ed addirittura del generico «operare», sia sotto il profilo dalla partecipazione «ad altre societa' o enti». Ad avviso della ricorrente regione, tali restrizioni sono affette da illegittimita' costituzionale sotto diversi profili. Viene innanzitutto in considerazione l'illegittimita' derivante dalla circostanza che tali restrizioni si collegano - a quel che sembra - non a particolari condizioni di favore nelle quali esse svolgano la loro attivita', ma alla stessa struttura soggettiva ed all'oggetto di tali societa'. Si dice qui a quel che sembra, per la ragione che il senso della disposizione non risulta del tutto chiaro. Se per societa' costituite o partecipate per la produzione di beni e servizi strumentali si dovesse intendere societa' che svolgono tali servizi in regime di affidamento diretto, le restrizioni poste si collegherebbero non alla societa' in quanto tale, cioe' alla sua struttura soggettiva e al suo oggetto, ma alla condizione di affidamento privilegiato di cui essa goda: ed e' ovvio che, se cosi' fosse, basterebbe uscire da tale condizione per ritornare al regime generale delle societa', senza restrizione alcuna. Questa interpretazione sarebbe coerente con la finalita' dichiarata della norma di «evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parita' degli operatori»: infatti, se non vi e' affidamento diretto, non vi e' alterazione o distorsione alcuna della concorrenza, e dunque non vi e' ragione alcuna delle restrizioni disposte dalla norma. Tuttavia, la formulazione letterale della disposizione non e' coerente con tale interpretazione. Ad avviso della ricorrente regione la fissazione legislativa di restrizioni di capacita' contrattuali in relazione ad una societa' partecipata dalla regione o dagli enti locali, ma che non gode di alcun privilegio di affidamento diretto, viola in modo diretto le competenze statutarie della regione, in quanto incide su materie regionali (cioe' sull'organizzazione della regione e degli enti locali e sull'industria e commercio: art. 4, n. 1, n. 1-bis e n. 6 dello statuto; art. 117, quarto comma, della Costituzione, in relazione all'art. 10, legge cost. n. 3/2001, dato che l'organizzazione regionale e l'industria e commercio ricadono nella competenza piena delle regioni ordinarie) e interferisce con l'autonomia amministrativa (cui e' funzionale quella organizzativa) e finanziaria della regione e degli enti locali (artt. 8 e 48 ss. statuto). Puo' essere opportuno ricordare che la regione e' legittimata anche a far valere l'autonomia finanziaria degli enti locali. Infatti, la sent. n. 417/2005 ha statuito che le regioni «sono legittimate a denunciare la legge statale per la violazione di competenze degli enti locali»; la Corte ha «ritenuto sussistente in via generale una tale legittimazione in capo alle regioni, perche' "la stretta connessione, in particolare in tema di finanza regionale e locale, tra le attribuzioni regionali e quelle delle autonomie locali consente di ritenere che la lesione delle competenze locali sia potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione delle competenze regionali" (sentenza n. 196 del 2004)». Le norme impugnate, inoltre, violano la Costituzione per violazione del principio di uguaglianza di cui all'art. 3, primo comma, dato che vengono trattate in modo diseguale situazioni uguali; violano poi l'art. 41, in quanto precludono l'esercizio del diritto di libera iniziativa economica, il quale, a condizione che non si alteri la concorrenza, vale ugualmente per i soggetti pubblici e privati (e comunque sarebbe leso il diritto di iniziativa dei privati nelle societa' miste); violano infine il principio di ragionevolezza e di proporzionalita', ponendo drastiche limitazioni di capacita' dove basterebbe un limite connesso all'eventuale affidamento diretto dei compiti strumentali. La regione e' legittimata a far valere tali violazione perche' esse si traducono in lesione delle competenze regionali. La dottrina ha, infatti, evidenziato che la giurisprudenza costituzionale ammette (giustamente) le regioni a far valere la violazione di norme costituzionali estranee al Titolo V qualora le norme impugnate incidano su materie spettanti alla regione e siano peggiorative della posizione regionale (anche se non direttamente contrastanti con le norme attinenti al riparto delle competenze): v. le sentt. n. 503/2000, n. 206/2001 (punti 15, 16 e 34 del Diritto), n. 110/2001, n. 303/2003 (punto 35 del Diritto), n. 280/2004 (punto 5 del Diritto), n. 355/1993, n. 87/1996, n. 338/1994, n. 383/1994, n. 412/2001, n. 302/1988, n. 6/2004 e n. 196/2004 (punto 18 del Diritto). L'art. 13 incide su materie di competenza regionale (sopra indicate) e comprime l'autonomia della regione, per i motivi sopra visti. Ora, ferme restando le censure di cui sopra, le norme impugnate risultano illegittime anche perche' questa compressione e' operata in violazione dei principi di eguaglianza, ragionevolezza e proporzionalita' (art. 3 Cost.) e dell'art. 41 Cost. Ne risulta una lesione delle competenze statutarie della regione; b) illegittimita' costituzionale dell'art. 13, comma 1, 2 e 4 in quanto ledono l'autonomia organizzativa e finanziaria della regione, sottoponendo le societa' pubbliche o miste, costituite o partecipate dalle amministrazioni regionali e locali per la produzione di beni e servizi strumentali, ad un regime giuridico restrittivo e discriminatorio, rispetto alle altre societa' ed alle stesse societa' pubbliche o miste partecipate dallo Stato o da amministrazioni nazionali. Una seconda ragione di illegittimita' dell'art. 13, commi 1, 2 e 4 - ed una ragione che, al contrario della precedente, non potrebbe essere superata da una interpretazione adeguatrice - consiste nella circostanza che le disposizioni qui impugnare discriminano, rendendola deteriore, la condizione giuridica delle societa' partecipate dalle regioni e dagli enti locali, rispetto alle societa' costituite o partecipate per scopi simili dallo Stato o da altri enti pubblici nazionali. E' evidente, infatti, che anche lo Stato ed eventualmente gli altri enti pubblici nazionali, e non solo le regioni e gli enti locali, hanno costituito societa' pubbliche o miste per l'esercizio di funzioni strumentali. A puro titolo di esempio, si pensi a societa' quali Patrimonio S.p.A., Riscossione S.p.A., Consip S.p.A., Sviluppo Italia. Si tratta di societa' che svolgono, al livello statale, attivita' del tutto corrispondenti a quelle oggetto, per il livello regionale e locale, dell'art. 13. Tali societa' svolgono anch'esse funzioni strumentali del tipo disciplinato dall'art. 13, ed anch'esse, come le societa' regionali, operano con entita' diverse e partecipano ad altre societa', fino a formare veri e propri gruppi. Ora, sembra evidente che, se pure nel merito fosse giustificata una disciplina restrittiva della capacita' contrattuale di determinati tipi di societa' a partecipazione pubblica, non sarebbe in ogni modo affatto giustificata una restrizione della capacita' contrattuale ed operativa delle sole societa' costituite o partecipate dalle regioni e dagli enti locali. Ma proprio cio' compie l'art. 13, discriminando, nell'ambito delle societa' a partecipazione pubblica costituite per l'esercizio di funzioni strumentali degli enti costituenti, le sole societa' regionali e locali, che vengono poste in una condizione di vera e propria minorita' giuridica. Sembra evidente che la discriminazione cosi' posta contraddice - sotto un profilo diverso da quello prima esposto - il principio di uguaglianza e costituisce un abuso della stessa potesta' legislativa statale in materia di ordinamento civilistico delle societa': potesta' che viene qui esercitata non per porre una disciplina generale del fenomeno delle societa' a partecipazione pubblica, ma esclusivamente in danno delle societa' regionali e locali. Da cio' deriva la lesione delle competenze regionali, sia in via diretta che in via indiretta, per le ragioni gia' viste sub a); c) Illegittimita' costituzionale dell'art. 13, commi 1, 2 e 4 in quanto ledono l'autonomia organizzativa e finanziaria della regione vietando indiscriminatamente alle societa' pubbliche o miste, costituite o partecipate dalle amministrazioni regionali e locali per la produzione di beni e servizi strumentali, di «operare» per soggetti diversi dai costituenti, partecipanti o affidanti, di svolgere «prestazioni» a favore di altri soggetti pubblici o privati, nonche' di partecipare ad altre societa' o enti. Se pure fosse legittima la condizione di privilegio odioso attribuita dalle disposizioni qui impugnate allo societa' regionali e locali pubbliche o anche miste, rimarrebbero illegittime, per violazione dei principi di ragionevolezza e di proporzionalita', le specifiche limitazioni poste ad esse. Tali limitazioni, infatti, sono assurdamente generali ed indiscriminate. Si consideri in primo luogo il divieto di partecipare ad altre societa' o enti. Al presente, cosi' come capita per le societa' statali, anche le societa' regionali operano talora attraverso altre societa', il cui capitale sociale e' posseduto dalle prime al cento per cento. Si tratta di un fenomeno ben noto e comune nel mondo delle imprese, legato ad esigenze operative. Con esso non si introducono interessi nuovi, ne' si estende il campo di attivita' rispetto alle funzioni strumentali. Inoltre, vi possono essere diverse ragioni che possono indurre le societa' di cui parliamo a partecipare ad «enti» (ai quali pure si estende il divieto), ad esempio enti associativi delle imprese che operano in un certo settore. Insomma, se pure le limitazioni in questione potessero essere in parte giustificate (nella logica, qui si ritiene, della incompatibilita' con gli affidamenti diretti, non come disciplina discriminatoria della societa' pubblica regionale o locale), esse non possono essere concepite in termini assoluti e generali, in quanto cosi' concepite irragionevolmente privano le societa' in questione di ogni flessibilita' operativa e (per quanto riguarda la partecipazione ad enti) capacita' di collegamento con la stessa realta' di cui debbono occuparsi. Un discorso analogo riguarda il limite relativo allo «operare» (solo con gli enti costituenti, partecipanti o affidanti) e alle «prestazioni» (in relazione ad «altri soggetti pubblici o privati»!). Tanto l'operare - addirittura privo di un significato tecnico - quanto le «prestazioni» sono termini totalmente generici, ed includono in pratica ogni contatto contrattuale: dal momento che qualunque contratto - fosse pure l'acquisto di un computer o della carta per la stampante, comporta che si debba «operare» e si debbano rendere «prestazioni» a favore di enti diversi. Puo' essere che in via interpretativa possano essere temperati i piu' estremi eccessi di tali improbe limitazioni, ma non sembra sia possibile considerare costituzionalmente legittime disposizioni che vietano e addirittura colpiscono con la nullita' contratti individuati in modo estremamente generico ed impreciso. Risulta violato, oltre ai gia' citati principi di ragionevolezza e di proporzionalita', anche il principio di certezza del diritto. Da cio' deriva la lesione delle competenze regionali, sia in via diretta che in via indiretta, per le ragioni gia' viste sub a); d) Illegittimita' costituzionale dell'art. 13, comma 3. L'art. 13, comma 3, dispone che «al fine di assicurare l'effettivita' delle precedenti disposizioni, le societa' di cui al comma 1 cessano entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto le attivita' non consentite» (primo periodo). Aggiunge poi (secondo periodo) che «a tale fine possono cedere, nel rispetto delle procedure ad evidenza pubblica, le attivita' non consentite a terzi ovvero scorporarle, anche costituendo una separata societa' da collocare sul mercato, secondo le procedure del d.l. 31 maggio 1994, n. 332, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 1994, n. 474, entro ulteriori diciotto mesi». Si conclude poi (terzo periodo) che «i contratti relativi alle attivita' non cedute o scorporate ai sensi del periodo precedente perdono efficacia alla scadenza del termine indicato nel primo periodo del presente comma». Tali disposizioni sono in primo luogo costituzionalmente illegittime in quanto presuppongono e completano l'illegittima disciplina sopra censurata. Il terzo periodo e' inoltre illegittimo sotto il profilo della contraddittorieta' e della irragionevolezza, in relazione a quando disposto dai due precedenti. Risulta infatti che le societa' in questione per dodici mesi possano «transitoriamente» continuare a svolgere le attivita'. A tali dodici mesi seguono, a termini del secondo periodo, altri diciotto mesi durante i quali le «attivita' non consentite» possono essere cedute a terzi o scorporate in una diversa societa' da cedere sul mercato (su cio' si tornera' dopo). In relazione a tale disciplina, risulta del tutto assurdo quanto disposto di seguito dal terzo periodo, cioe' la cessazione degli effetti dei contratti relativi alle attivita' non cedute o scorporate nel termine indicato nel primo periodo, cioe' alla scadenza dei primi dodici mesi. Risulta infatti del tutto evidente, ad avviso della ricorrente regione, che quali siano le attivita' cedute o scorporate, e quali corrispondentemente quelle non cedute o scorporate, risultera' soltanto alla fine del periodo dei diciotto mesi che le regioni e gli enti locali hanno a disposizione per prevedere alla cessione o allo scorporo. Durante tale periodo di diciotto mesi, infatti, si svolgeranno tutte le attivita' necessarie per addivenire alla cessione o allo scorporo: ma solo alla fine di tale periodo dovra' e potra' necessariamente sapersi quali attivita' risulteranno cedute o scorporate, e quali no. Dunque, la norma che prevede la cessazione degli effetti dei contratti «relativi alle attivita' non cedute o scorporate» dopo i primi dodici mesi e', prima ancora che costituzionalmente illegittima, di impossibile applicazione, se non «retroattivamente»: il che tuttavia aggiungerebbe ulteriori profili di illegittimita' costituzionale, essendo evidentemente contrario ai principi di ragionevolezza, di affidamento e di buona fede la comminazione di nullita' che nessuno poteva conoscere o prevedere in anticipo. Ne risulta la lesione indiretta delle competenze regionali, perche' il comma 3 comprime la posizione regionale, incidendo su materie regionali, in violazione di norme costituzionali: v. supra, lettera a). Un autonomo profilo di illegittimita' costituzionale investirebbe inoltre il comma 3, secondo periodo, ove la facolta' data alle societa' strumentali di cedere le attivita' a terzi o di scorporarle costituendo una societa' da collocare sul mercato dovesse intendersi come preclusiva della possibilita' di cedere o scorporare tali attivita' in favore di altra societa' regionale o locale, da costituire o esistente, che operi esclusivamente sul mercato, e non rientri nel campo di applicazione dell'art. 13. In effetti, l'obbligo di cedere a terzi, o sul mercato (che e' composto anch'esso, ovviamente, di «terzi») beni e patrimoni che, attraverso la societa', costituiscono risorse economiche e nel caso imprenditoriali delle comunita' locali ne viola l'autonomia finanziaria, in contraddizione aperta con l'art. 119 Cost. e con l'art. 48 ss. statuto Friuli-Venezia Giulia, e realizza una sorta di esproprio di attivita' economiche, del tutto privo di fondamento costituzionale e del tutto privo di connessioni con l'obbiettivo di tutelare la concorrenza. L'irragionevolezza della norma implica la lesione indiretta delle competenze regionali, perche' essa comprime la posizione regionale, incidendo su materie regionali, in violazione di norme costituzionali: v. supra, lettera a); e) Ulteriore profilo di illegittimita' costituzionale dell'art. 13, comma 4. L'art. 13, comma 4, e' gia' stato censurato in connessione con il comma 1. Viene qui in considerazione un ulteriore autonomo profilo di illegittimita', in quanto si ritenga che la nullita' dei contratti stipulati «in violazione delle prescrizioni dei commi 1 e 2» venga a comminare la nullita' di tutti i contratti stipulati dalle societa' di cui al comma 1 che al momento del contratto conservino partecipazioni in altre societa' o enti. Va precisato che le partecipazioni non costituiscono «attivita», e non rientrano dunque nel campo di applicazione del comma 3, e delle scadenze temporali ivi previste. In effetti, le partecipazioni non sono attivita' ma in primo luogo elementi patrimoniali, la cui cessione potrebbe essere facile o difficile, o anche giuridicamente impossibile ove non si trovasse alcun soggetto disposto a comperare la partecipazione in questione. D'altronde, un conto e' la nullita' di contratti che direttamente si riferiscano ad attivita' vietate (ferme restando le censure sopra esposte su tali divieti e sulla loro formulazione), tutt'altro conto sarebbe la nullita' di contratti che si riferiscono ad attivita' consentite, e che nessun rapporto hanno con le ipotizzate partecipazioni in societa' o enti. Del resto, non si puo' certo pretendere che il terzo contraente prima di stipulare il contratto richieda al suo interlocutore la mappa completa delle partecipazioni a societa' o in enti! Va anche in questo caso denunciata la violazione dei principi di ragionevolezza, di proporzionalita', di tutela dell'affidamento e di buona fede. Ne risulta la lesione indiretta delle competenze regionali, perche' il comma 4 comprime la posizione regionale, incidendo su materie regionali, in violazione di norme costituzionali: v. supra, lettera a). 2) Illegittimita' dell'art. 22, commi 1 e 2. Come esposto nel Fatto, l'art. 22, comma1, d.l. n. 223/2006 sancisce una riduzione del 10% delle spese previste per il 2006 per il funzionamento di enti pubblici non territoriali, esclusi determinati enti specificamente indicati dal comma 1. Il comma 1 mira dunque ad incidere sulla gestione finanziaria in corso. Il comma 2 punta invece a ridurre le spese per i prossimi tre anni, disponendo che «per le medesime voci di spesa e di costo indicate al comma 1, per il triennio 2007-2009, le previsioni non potranno superare l'ottanta per cento di quelle iniziali dell'anno 2006». Lo stesso comma 2, poi, fa divieto alle Amministrazioni vigilanti «di approvare i bilanci di enti ed organismi pubblici in cui gli amministratori non abbiano espressamente dichiarato nella relazione sulla gestione di avere ottemperato alle disposizioni del presente articolo». Tali disposizioni, dunque, introducono un vincolo puntuale di spesa ad enti pubblici collegati alla regione Friuli-Venezia Giulia. Si possono qui citare, a titolo esemplificativo: l'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente (ARPA), istituita con legge regionale n. 6/1998 (ai sensi dell'art. 21 di tale legge, una parte rilevante della dotazione finanziaria dell'Arpa proviene dal bilancio regionale; per le «spese di funzionamento ed attivita» - art. 21, comma 1, lettera a) - nel 2006 la regione ha stanziato 18 milioni di euro); l'Agenzia regionale per il turismo, costituita con legge regionale n. 29/2005 e finanziata in via esclusiva con fondi del bilancio regionale; gli Enti regionali per il diritto allo studio universitario di Trieste e Udine, istituiti con legge regionale n. 12/2005 e la cui dotazione finanziaria comprende «risorse finanziarie assegnate dalla regione in via ordinaria e straordinaria» (art. 25, comma 1, lettera a); l'Agenzia regionale del lavoro e della formazione professionale, istituita dalla legge regionale n. 18/2005 e pure finanziata in gran parte dalla regione (v. l'art. 14). La riduzione del 10% delle spese di funzionamento degli enti di cui sopra (e degli altri che rientrano nell'ambito di applicazione della legge), per il 2006, e del 20% per il triennio 2007-2009 rappresenta una rilevante ingerenza nella gestione di questi enti, sia per l'entita' della riduzione sia per il carattere puntuale di essa, dato che la norma va a colpire una specifica categoria di spesa. La giurisprudenza costituzionale gia' piu' volte ha dichiarato l'illegittimita' di vincoli puntuali di spesa, anche in relazione alle regioni ordinarie, affermando che essi esorbitano dalla funzione di porre principi di coordinamento della finanza pubblica ex art. 117, terzo comma, Cost. Ci si limita, in questa sede, a ricordare che, con la sent. n. 417 del 2005 codesta Corte costituzionale ha statuito che «le norme che fissano vincoli puntuali relativi a singole voci di spesa dei bilanci delle regioni e degli enti locali non costituiscono principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost., e ledono pertanto l'autonomia finanziaria di spesa garantita dall'art. 119 Cost.»; il legislatore statale «puo' legittimamente imporre agli enti autonomi vincoli alle politiche di bilancio (ancorche' si traducano, inevitabilmente, in limitazioni indirette all'autonomia di spesa degli enti), ma solo, con "disciplina di principio", "per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari"»; perche' «detti vincoli possano considerarsi rispettosi dell'autonomia delle regioni e degli enti locali debbono avere ad oggetto o l'entita' del disavanzo di parte corrente oppure - ma solo «in via transitoria ed in vista degli specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica perseguiti dal legislatore statale» - la crescita della spesa corrente degli enti autonomi»; in altri termini, «la legge statale puo' stabilire solo un "limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia liberta' di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa"». Analogamente, la sent. n. 390 del 2004 ha dichiarato l'illegittimita' di una norma che poneva il limite del 50% per il turn-over nel pubblico impiego, osservando che «si tratta... di una disposizione che non si limita a fissare un principio di coordinamento della finanza pubblica, ma pone un precetto specifico e puntuale sull'entita' della copertura delle vacanze verificatesi nel 2002, imponendo che tale copertura non sia superiore al 50 per cento: precetto che, proprio perche' specifico e puntuale e per il suo oggetto, si risolve in una indebita invasione, da parte della legge statale, dell'area (organizzazione della propria struttura amministrativa) riservata alle autonomie regionali e degli enti locali, alle quali la legge statale puo' prescrivere criteri... ed obiettivi (ad esempio, contenimento della spesa pubblica) ma non imporre nel dettaglio gli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi». Tale indirizzo e' stato ribadito, poi, dalle sentt. n. 449/2005 e n. 88/2006. Ora, e' pacifico che, nei confronti della regione Friuli-Venezia Giulia, lo Stato non puo' stabilire vincoli alla spesa piu' stringenti di quelli che puo' disporre nei confronti delle regioni ordinarie: in base all'art. 48 dello statuto, «la regione ha una propria finanza, coordinata con quella dello Stato, in armonia con i principi della solidarieta' nazionale, nei modi stabiliti dagli articoli seguenti». E' anche evidente, ad avviso della ricorrente regione, che i vincoli previsti dalle norme impugnate hanno carattere puntuale, cioe' appartengono alla tipologia di vincolo che la giurisprudenza costituzionale sopra citata considera illegittima. Le norme impugnate, dunque, comprimendo le spese di funzionamento degli enti collegati alla regione e agli enti locali, ledono l'autonomia legislativa della regione, dato che il finanziamento degli enti in questione e' regolato con leggi regionali. Le materie di riferimento sono, da un lato, l'«ordinamento degli Uffici e degli Enti dipendenti dalla regione» (art. 4, n. 1, dello statuto), e l'«ordinamento degli enti locali» (n. 1-bis), dall'altro le «istituzioni culturali, ricreative e sportive; musei e biblioteche di interesse locale e regionale» (art. 4, n. 14), le «istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza» (art. 5, n. 6), l'«ordinamento delle Casse di risparmio, delle Casse rurali; degli Enti aventi carattere locale o regionale per i finanziamenti delle attivita' economiche nella regione» (n. 8) e l'«istituzione e ordinamento di Enti di carattere locale o regionale per lo studio di programmi di sviluppo economico» (n. 9). Rilevano, poi, in relazione all'ARPA, la competenza primaria in materia di ambiente (art. 4, nn. 2, 3, 9, 12 e 13); in relazione all'Agenzia regionale per il turismo, la competenza primaria in materia di turismo (art. 4, n. 10); in relazione agli Enti per il diritto allo studio universitario, la competenza piena nella relativa materia, spettante alla regione Friuli-Venezia Giulia ex art. 10, legge cost. n. 3/2001, e, in relazione all'Agenzia regionale del lavoro e della formazione professionale, la competenza concorrente in materia di tutela del lavoro e la competenza piena in materia di formazione professionale spettanti ex art. 10, legge cost. n. 3/2001. Le norme impugnate ledono anche l'autonomia organizzativa e finanziaria della regione, in relazione all'organizzazione e all'attivita' degli enti collegati ad essa e agli enti locali. Il vincolo puntuale alle spese, infatti, si pone in diretta contraddizione con il principio di autonomia delle scelte, a base sia dello statuto che del sistema costituzionale dell'autonomia finanziaria regionale. E' da ricordare che, in base alla giurisprudenza costituzionale, questa regione e' legittimata anche a far valere l'autonomia finanziaria degli enti locali (v. sopra, punto 1, lettera a). Infine, la norma contenuta nell'art. 22, comma 2, ultimo periodo (che vieta «alle Amministrazioni vigilanti di approvare i bilanci di enti ed organismi pubblici in cui gli amministratori non abbiano espressamente dichiarato nella relazione sulla gestione di avere ottemperato alle disposizioni del presente articolo») lede l'autonomia legislativa ed amministrativa della regione, nelle materie sopra indicate, perche' viene a sanzionare un dovere introdotto in modo illegittimo (per le ragioni sopra viste). Si sono illustrate le ragioni per cui le norme impugnate ledono direttamente l'autonomia costituzionale della regione Friuli-Venezia Giulia. Per completezza, pero', e' opportuno rimarcare che l'art. 22, comma 1 e 2, d.l. n. 223/2006 reca anche una lesione indiretta delle prerogative regionali in quanto comprime l'autonomia regionale violando norme costituzionali non specificamente poste a garanzia dell'autonomia regionale. Sulla legittimazione regionale a contestare lesione di competenza indirette v. sopra, punto 1, lettera a). L'art. 22, commi 1 e 2, indubbiamente incide su materie di competenza regionale (sopra indicate) e comprime l'autonomia della regione e degli enti ad essa collegati. Ora, ferme restando le censure di cui sopra, le norme impugnate risultano illegittime anche perche' questa compressione e' operata in violazione del principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.) e del principio di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.). Infatti, il comma 1 ha previsto una forte riduzione delle spese di funzionamento previste per il 2006 quando si era gia' nella seconda meta' del 2006: con gravi e irragionevoli ripercussioni sulla funzionalita' dell'ente. Il comma 2 ha disposto una riduzione ancora piu' forte (il 20%) delle spese di funzionamento, assumendo come unico parametro la previsione fatta per il 2006 (che potrebbe essere appena sufficiente per il funzionamento dell'ente), senza alcun riferimento ad eventuali avanzi o alla congruita' della quota assegnata alle spese di finanziamento o all'andamento delle gestioni passate. Si tratta di un taglio «secco», per dirottare risorse nelle casse statali, senza alcuna considerazione delle esigenze di buon andamento degli enti interessati: di qui la violazione degli artt. 3 e 97 Cost. In altre parole, il comma 1 ed il comma 2 sono irragionevoli in quanto richiedono la riduzione delle spese di funzionamento in una misura percentuale assoluta sull'importo di tale voce, senza la minima considerazione dei parametri oggettivi in base ai quali deve essere giudicata la consistenza di tale voce, parametri quali il rapporto con le spese non di funzionamento, la natura dell'ente, i risparmi di spesa in tale voce da esso gia' realizzati nel passato, i fattori di flessibilita' o rigidita' della voce stessa (se ad esempio l'intera voce si riferisse al pagamento degli stipendi del personale di ruolo la riduzione sarebbe impossibile o si tradurrebbe nell'obbligo di licenziare parte del personale, con lesione anche dell'autonomia organizzativa). Infine, le norme impugnate risultano irragionevoli perche' colpiscono una specifica voce di spesa, mentre sarebbe stato legittimo soltanto operare - semmai - una riduzione della spesa complessiva, lasciando all'ente e alla regione la scelta delle specifiche spese da tagliare. Il mezzo scelto dal legislatore statale, cioe', non rispetta neppure il criterio di proporzionalita', in quanto si sarebbe potuto utilizzare un mezzo meno restrittivo per ottenere lo stesso fine. Sotto questi profili, dunque, le norme impugnate ledono (indirettamente) le prerogative statutarie della regione Friuli-Venezia Giulia.
P. Q. M. Chiede voglia codesta Corte costituzionale dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 13, commi 1, 2, 3 e 4, e dell'art. 22, commi 1 e 2, del d.l. n. 223 del 2006, convertito, con modificazioni, nella legge n. 248 del 2006, sotto i profili e per i motivi sopra esposti. Padova, addi' 5 ottobre 2006 Prof. avv. Giandomenico Falcon 06C0923