N. 105 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 14 ottobre 2006

Ricorso  per  questione  di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 14 ottobre 2006 (della regione Friuli-Venezia Giulia)

Partecipazioni  pubbliche  -  Societa'  a  capitale  pubblico o misto
  costituite  o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali
  o  locali per la produzione di beni e servizi strumentali - Obbligo
  di  operare  esclusivamente  con  gli  enti  pubblici costituenti o
  partecipanti  e  correlativo divieto di operare nel libero mercato,
  obbligo  di  oggetto  sociale  esclusivo,  nullita'  dei  contratti
  conclusi  dopo l'entrata in vigore della nuova disciplina - Ricorso
  della  Regione  Friuli-Venezia  Giulia - Lamentata sottoposizione a
  regime  giuridico restrittivo e discriminatorio senza la previsione
  di una condizione di esonero dalla concorrenza attraverso un regime
  di  affidamento  diretto  -  Denunciata  lesione  delle  competenze
  legislative  in  materia  di  «organizzazione della Regione e degli
  enti   locali»   e   «industria   e  commercio»,  interferenza  con
  l'autonomia  amministrativa e finanziaria della Regione, violazione
  del  principio  di  eguaglianza rispetto alle societa' costituite e
  partecipate   dallo   Stato,   violazione  del  diritto  di  libera
  iniziativa  economica,  violazione dei principi di ragionevolezza e
  proporzionalita' e di certezza del diritto.
- Decreto-legge  4 luglio  2006,  n. 223,  convertito  con  la  legge
  4 agosto 2006, n. 248, art. 13, commi 1, 2 e 4.
- Costituzione, artt. 3, 41 e 117, comma quarto; legge costituzionale
  18 ottobre    2001,    n. 3,   art. 10;   Statuto   della   Regione
  Friuli-Venezia Giulia, artt. 4, nn. 1, 1-bis e 6; 8 e 48.
Partecipazioni  pubbliche  -  Societa'  a  capitale  pubblico o misto
  costituite  o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali
  o  locali per la produzione di beni e servizi strumentali - Obbligo
  di  cessazione  delle  attivita'  non  consentite, anche attraverso
  cessione  o scorporo, e perdita di efficacia dei relativi contratti
  - Termini - Ricorso della Regione Friuli-Venezia Giulia - Lamentata
  contraddittorieta'  in  relazione  ai  diversi  periodi di dodici e
  diciotto mesi stabiliti per l'applicazione della norma - Denunciata
  contrarieta'  ai  principi  di  ragionevolezza, di affidamento e di
  buona fede, nonche' lesione indiretta delle competenze regionali.
- Decreto-legge  4 luglio  2006,  n. 223,  convertito  con  la  legge
  4 agosto 2006, n. 248, art. 13, comma 3.
- Costituzione,   artt. 3,  41,  117,  comma  quarto,  e  119;  legge
  costituzionale   18 ottobre  2001,  n. 3,  art. 10;  Statuto  della
  Regione Friuli-Venezia Giulia, artt. 4, nn. 1, 1-bis e 6; 8 e 48.
Partecipazioni  pubbliche  -  Societa'  a  capitale  pubblico o misto
  costituite  o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali
  o locali per la produzione di beni e servizi strumentali - Nullita'
  dei    contratti    stipulati   dalle   societa'   che   conservino
  partecipazioni  in  altre  societa'  o enti - Ricorso della Regione
  Friuli-Venezia  Giulia  -  Denunciata  contrarieta'  ai principi di
  ragionevolezza,  di  affidamento  e  di buona fede, nonche' lesione
  indiretta delle competenze regionali.
- Decreto-legge  4 luglio  2006,  n. 223,  convertito  con  la  legge
  4 agosto 2006, n. 248, art. 13, comma 4.
- Costituzione,   artt. 3,  41,  117,  comma  quarto,  e  119;  legge
  costituzionale   18 ottobre  2001,  n. 3,  art. 10;  Statuto  della
  Regione Friuli-Venezia Giulia, artt. 4, nn. 1, 1-bis e 6; 8 e 48.
Bilancio  e  contabilita'  pubblica  - Enti ed organismi pubblici non
  territoriali  - Riduzione nella misura del 10 per cento delle spese
  di  funzionamento  relative all'anno 2006, nonche' nella misura del
  20  per  cento  di  quelle  iniziali dell'anno 2006 per il triennio
  2007-2009 - Ricorso della Regione Friuli-Venezia Giulia - Lamentata
  incidenza,  con  vincoli di spesa puntuali, sugli enti pubblici non
  territoriali  regionali  -  Denunciata  esorbitanza dello Stato dai
  limiti  alla  sua  competenza  in  materia  di «coordinamento della
  finanza     pubblica»,    lesione    dell'autonomia    legislativa,
  organizzativa  e finanziaria di spesa della Regione, violazione del
  principio di ragionevolezza e del principio di buon andamento della
  pubblica    amministrazione,    contrarieta'    al   principio   di
  proporzionalita'.
- Decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni,
  nella legge 4 agosto 2006, n. 248, art. 22, commi 1 e 2.
- Costituzione,   artt. 3,   97,   117,  terzo  comma  e  119;  legge
  costituzionale   18 ottobre  2001,  n. 3,  art. 10;  Statuto  della
  Regione  Friuli-Venezia Giulia, artt. 4, nn. 1, 1-bis, 2, 3, 9, 10,
  12, 13 e 14; 5, nn. 6, 8 e 9; e 48.
(GU n.48 del 6-12-2006 )
    Ricorso  della  giunta  regionale  pro  tempore,  autorizzato con
deliberazione  della  giunta  regionale n. 2241 del 22 settembre 2006
(doc.  1),  rappresentata  e  difesa  - come da procura a margine del
presente  atto  dall'avv.  prof.  Giandomenico  Falcon di Padova, con
domicilio  eletto  in  Roma  presso l'Ufficio di rappresentanza della
regione, in Piazza Colonna, 355;

    Contro   il   Presidente   del  Consiglio  dei  ministri  per  la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 13, commi 1,
2,  3  e  4  e  dell'art. 22, commi 1 e 2, del decreto-legge 4 luglio
2006,  n. 223,  Disposizioni  urgenti  per  il  rilancio  economico e
sociale,  per  il  contenimento  e  la  razionalizzazione della spesa
pubblica,  nonche'  interventi  in  materia di entrate e di contrasto
all'evasione  fiscale,  convertito,  con modificazioni, nella legge 4
agosto  2006,  n. 248,  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale n. 186
dell'11 agosto 2006, supplemento ordinario n. 183, per violazione:
        degli  articoli 4, nn. 1, 1-bis, 6 e 14; 5, nn. 6, 8 e 9; 8 e
48 ss. della legge cost. n. 1 del 1963;
        dell'art. 117, quarto comma, della Costituzione, in relazione
all'art. 10, legge cost. n. 3/2001;
        degli  artt.  3,  41 e 97 della Costituzione, per i profili e
nei modi di seguito illustrati.

                              F a t t o

    La   regione   Friuli-Venezia   Giulia   e'  dotata  di  potesta'
legislativa  primaria, ai sensi dell'art. 4 dello statuto, in materia
di  «ordinamento degli Uffici e degli Enti dipendenti dalla regione e
stato  giuridico  ed economico del personale ad essi addetto» (n. 1),
di  «ordinamento  degli  enti locali e delle relative circoscrizioni»
(n. 1-bis),  di  «industria  e  commercio»  (n. 6),  di  «istituzioni
culturali,  ricreative  e  sportive; musei e biblioteche di interesse
locale  e  regionale»  (n. 14);  inoltre,  la  regione  e'  dotata di
potesta' legislativa concorrente, ai sensi dell'art. 5 dello statuto,
in  materia  di  «istituzioni  pubbliche di assistenza e beneficenza»
(n. 6), di «ordinamento delle Casse di risparmio, delle Casse rurali;
degli  Enti  aventi  carattere locale o regionale per i finanziamenti
delle  attivita' economiche nella regione» (n. 8) e di «istituzione e
ordinamento  di Enti di carattere locale o regionale per lo studio di
programmi di sviluppo economico» (n. 9).
    La regione e' poi competente in diverse materie nell'ambito delle
quali si svolge l'attivita' degli enti pararegionali (v. infra).
    In   queste   stesse   materie,  la  regione  e'  titolare  delle
corrispondenti  potesta' amministrative, in virtu' dell'art. 8, legge
cost. n. 1/1963.
    Alla  regione  e' anche garantita autonomia finanziaria, ai sensi
degli artt. 48 ss. dello statuto.
    In alcune delle materie sopra indicate, la regione e' soggetta ai
soli  limiti  di cui all'art. 117, primo comma, Cost., trattandosi di
materie  che  ricadono  nella  potesta' piena delle regioni ordinarie
(art. 117,  quarto comma, Cost.) e operando, dunque, l'art. 10, legge
cost. n. 3/2001 (su cio' v. in seguito).
    Con  il  d.-l.  n. 223  del  2006,  Disposizioni  urgenti  per il
rilancio   economico   e   sociale,   per   il   contenimento   e  la
razionalizzazione della spesa pubblica, nonche' interventi in materia
di  entrate  e  di  contrasto  all'evasione  fiscale,  il  Governo e'
intervenuto  -  fra l'altro - nelle materie di cui sopra, comprimendo
illegittimamente    le    prerogative    statutarie   della   regione
Friuli-Venezia   Giulia.   Il   decreto   e'  stato  convertito,  con
modificazioni, nella legge 4 agosto 2006, n. 248.
    Di tale decreto vengono qui in considerazione, in particolare, le
disposizioni di cui agli artt. 13 e 22.
    L'art. 13  detta  Norme per la riduzione dei costi degli apparati
pubblici  regionali e locali e a tutela della concorrenza. Il comma 1
stabilisce  che,  «al fine di evitare alterazioni o distorsioni della
concorrenza e del mercato e di assicurare la parita' degli operatori,
le  societa',  a  capitale interamente pubblico o misto, costituite o
partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la
produzione  di beni e servizi strumentali all'attivita' di tali enti,
in funzione della loro attivita', con esclusione dei servizi pubblici
locali,  nonche', nei casi consentiti dalla legge, per lo svolgimento
esternalizzato  di funzioni amministrative di loro competenza, devono
operare  esclusivamente  con  gli  enti  costituenti o partecipanti o
affidanti,  non  possono  svolgere  prestazioni  a  favore  di  altri
soggetti pubblici o privati, ne' in affidamento diretto ne' con gara,
e  non  possono  partecipare  ad  altre  societa' o enti». Il comma 2
aggiunge  che  «le societa' di cui al comma 1 sono ad oggetto sociale
esclusivo  e  non  possono agire in violazione delle regole di cui al
comma 1».
    Il  comma  3  contiene una norma transitoria, disponendo che, «al
fine  di  assicurare l'effettivita' delle precedenti disposizioni, le
societa'  di  cui  al comma 1 cessano entro dodici mesi dalla data di
entrata  in  vigore del presente decreto le attivita' non consentite»
(primo  periodo),  e  che  «a  tale fine possono cedere, nel rispetto
delle  procedure  ad evidenza pubblica, le attivita' non consentite a
terzi  ovvero scorporarle, anche costituendo una separata societa' da
collocare  sul mercato, secondo le procedure del d.l. 31 maggio 1994,
n. 332,  convertito,  con  modificazioni, dalla legge 30 luglio 1994,
n. 474, entro ulteriori diciotto mesi» (secondo periodo). Viene anche
precisato,  nello  stesso  comma  (terzo  e  ultimo  periodo)  che «i
contratti  relativi  alle  attivita' non cedute o scorporate ai sensi
del  periodo  precedente  perdono efficacia alla scadenza del termine
indicato nel primo periodo del presente comma».
    Infine,  il  comma  4  dispone che «i contratti conclusi, dopo la
data  di  entrata in vigore del presente decreto, in violazione delle
prescrizioni  dei  commi  1  e 2 sono nulli», con la precisazione che
«restano  validi,  fatte  salve  le prescrizioni di cui al comma 3, i
contratti  conclusi  dopo  la  data di entrata in vigore del presente
decreto, ma in esito a procedure di aggiudicazione perfezionate prima
della predetta data».
    L'art. 22  dispone  la Riduzione delle spese di funzionamento per
enti ed organismi pubblici non territoriali.
    La disposizione distingue tra gli enti «che adottano contabilita'
anche   finanziaria»   e   quelli   che  «adottano  una  contabilita'
esclusivamente civilistica».
    Per  i  primi  (contabilita'  anche finanziaria), «individuati ai
sensi dell'art. 1, commi 5 e 6, della legge 30 dicembre 2004, n. 311»
e  «con  esclusione  delle  Aziende  sanitarie  ed ospedaliere, degli
Istituti  di  ricovero  e cura a carattere scientifico, dell'Istituto
superiore di sanita', dell'Istituto superiore per la prevenzione e la
sicurezza  del  lavoro,  dell'Agenzia  italiana  del  farmaco,  degli
Istituti  zooprofilattici  sperimentali, degli enti e degli organismi
gestori   delle   aree   naturali   protette   e   delle  istituzioni
scolastiche»,  il comma 1 stabilisce che «gli stanziamenti per l'anno
2006  relativi  a  spese per consumi intermedi ... sono ridotti nella
misura del 10 per cento, comunque nei limiti delle disponibilita' non
impegnate alla data di entrata in vigore del presente decreto».
    Per  i  secondi  (enti  ed  organismi  pubblici  che adottano una
contabilita' esclusivamente civilistica), lo stesso comma 1 statuisce
che  «i  costi  della  produzione,  individuati  all'art. 2425, primo
comma,  lettera  b),  numeri 6), 7) e 8), del codice civile, previsti
nei  rispettivi  budget 2006, concernenti i beni di consumo e servizi
ed il godimento di beni di terzi, sono ridotti del 10 per cento».
    In  ogni  caso, le somme provenienti dalle riduzioni di cui sopra
«sono  versate  da  ciascun  ente,  entro  il  mese  di ottobre 2006,
all'entrata del bilancio dello Stato».
    Il  comma  2 dispone poi che, «per le medesime voci di spesa e di
costo  indicate  al comma 1, per il triennio 2007-2009, le previsioni
non   potranno  superare  l'ottanta  per  cento  di  quelle  iniziali
dell'anno 2006, fermo restando quanto previsto dal comma 57 dell'art.
1 della legge 23 dicembre 2004, n. 311». E, anche in questo caso, «le
somme  corrispondenti  alla  riduzione  dei  costi  e delle spese per
effetto  del presente comma sono appositamente accantonate per essere
versate  da  ciascun  ente,  entro  il  30  giugno  di  ciascun anno,
all'entrata del bilancio dello Stato».
    Infine,  ancora  il comma 2 vieta «alle Amministrazioni vigilanti
di  approvare  i  bilanci  di  enti  ed organismi pubblici in cui gli
amministratori  non  abbiano espressamente dichiarato nella relazione
sulla  gestione  di  avere ottemperato alle disposizioni del presente
articolo».
    La legge di conversione ha aggiunto nell'art. 1, d.l. n. 223/2006
il comma 1-bis, recante una clausola di salvaguardia, in virtu' della
quale  «le  disposizioni di cui al presente decreto si applicano alle
regioni  a  statuto  speciale e alle province autonome di Trento e di
Bolzano in conformita' agli statuti speciali e alle relative norme di
attuazione».  Naturalmente,  ove  si ritenga che, per effetto di tale
clausola, le norme sopra esposte non debbano applicarsi nella regione
Friuli-Venezia  Giulia, vengono meno le ragioni di doglianza avanzate
con il presente ricorso.
    Nei  termini  indicati,  sia  l'art. 13,  commi  da  1  a  4, sia
l'art. 22,  commi  1  e  2,  si  rivelano  ad  avviso  della  regione
Friuli-Venezia  Giulia  costituzionalmente illegittimi e lesivi delle
sue competenze costituzionali per le seguenti ragioni di

                            D i r i t t o

    1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 13.
        a) Illegittimita' costituzionale dell'art. 13, commi 1, 2 e 4
in  quanto  ledono  l'autonomia  organizzativa  e  finanziaria  della
regione,  sottoponendo  le  societa'  pubbliche o miste, costituite o
partecipate   dalle   amministrazioni   regionali  e  locali  per  la
produzione  di  beni  e  servizi  strumentali, ad un regime giuridico
restrittivo  e  discriminatorio,  senza  collegare  le limitazioni al
godimento di una condizione di esonero dalla concorrenza grazie ad un
regime di affidamento diretto.
    Come sopra esposto, l'art. 13, comma 1, del d.l. n. 223 del 2006,
come  risultante dalla legge di conversione n. 248 dello stesso anno,
stabilisce  che  «al  fine di evitare alterazioni o distorsioni della
concorrenza e del mercato e di assicurare la parita' degli operatori,
le  societa',  a  capitale interamente pubblico o misto, costituite o
partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la
produzione  di  beni e servizi strumentali all'attivita' di tali enti
in  funzione  della  loro  attivita' ... nonche', nei casi consentiti
dalla   legge,   per   lo   svolgimento  esternalizzato  di  funzioni
amministrative  di loro competenza, devono operare esclusivamente con
gli enti costituenti o partecipanti o affidanti, non possono svolgere
prestazioni  a  favore  di  altri soggetti pubblici o privati, ne' in
affidamento  diretto ne' con gara, e non possono partecipare ad altre
societa' o enti».
    Il  comma  2  - oltre a ribadire, alquanto incongruamente, che le
societa'  di  cui  al  comma 1 «non possono agire in violazione delle
regole di cui al comma 1» - precisa che esse «sono ad oggetto sociale
esclusivo»,  ponendo  cosi' un limite alla capacita' contrattuale dei
soggetti  che  costituiscono  tali  societa',  o comunque creando una
ulteriore condizione di sfavore per le societa' in questione.
    Il comma 4 provvede a sanzionare i limiti cosi' posti disponendo,
per  quanto  qui  interessa,  che  i  contratti conclusi dalle stesse
societa' dopo la data di entrata in vigore della nuova disciplina «in
violazione delle prescrizioni dei commi 1 e 2 sono nulli».
    In  altri  termini,  l'art. 13  pone  un  complessivo  regime  di
severissime  restrizioni alla capacita' contrattuale delle «societa',
a  capitale  interamente  pubblico  o misto, costituite o partecipate
dalle  amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione
di  beni e servizi strumentali», sia sotto il profilo dello «svolgere
prestazioni»  ed  addirittura  del  generico  «operare», sia sotto il
profilo dalla partecipazione «ad altre societa' o enti».
    Ad avviso della ricorrente regione, tali restrizioni sono affette
da illegittimita' costituzionale sotto diversi profili.
    Viene  innanzitutto  in considerazione l'illegittimita' derivante
dalla  circostanza  che  tali  restrizioni  si collegano - a quel che
sembra  -  non  a  particolari  condizioni di favore nelle quali esse
svolgano  la  loro  attivita', ma alla stessa struttura soggettiva ed
all'oggetto  di  tali societa'. Si dice qui a quel che sembra, per la
ragione che il senso della disposizione non risulta del tutto chiaro.
    Se  per  societa'  costituite  o partecipate per la produzione di
beni e servizi strumentali si dovesse intendere societa' che svolgono
tali  servizi  in regime di affidamento diretto, le restrizioni poste
si  collegherebbero  non alla societa' in quanto tale, cioe' alla sua
struttura  soggettiva  e  al  suo  oggetto,  ma  alla  condizione  di
affidamento  privilegiato di cui essa goda: ed e' ovvio che, se cosi'
fosse,  basterebbe  uscire da tale condizione per ritornare al regime
generale delle societa', senza restrizione alcuna.
    Questa   interpretazione   sarebbe   coerente  con  la  finalita'
dichiarata  della  norma  di «evitare alterazioni o distorsioni della
concorrenza   e   del  mercato  e  di  assicurare  la  parita'  degli
operatori»:  infatti,  se  non  vi  e' affidamento diretto, non vi e'
alterazione  o  distorsione alcuna della concorrenza, e dunque non vi
e'  ragione  alcuna delle restrizioni disposte dalla norma. Tuttavia,
la formulazione letterale della disposizione non e' coerente con tale
interpretazione.
    Ad  avviso  della ricorrente regione la fissazione legislativa di
restrizioni  di  capacita'  contrattuali in relazione ad una societa'
partecipata  dalla  regione  o  dagli enti locali, ma che non gode di
alcun  privilegio  di  affidamento  diretto, viola in modo diretto le
competenze  statutarie  della  regione,  in  quanto incide su materie
regionali  (cioe'  sull'organizzazione  della  regione  e  degli enti
locali  e  sull'industria  e commercio: art. 4, n. 1, n. 1-bis e n. 6
dello   statuto;  art. 117,  quarto  comma,  della  Costituzione,  in
relazione    all'art. 10,    legge    cost.   n. 3/2001,   dato   che
l'organizzazione  regionale  e l'industria e commercio ricadono nella
competenza   piena   delle  regioni  ordinarie)  e  interferisce  con
l'autonomia amministrativa (cui e' funzionale quella organizzativa) e
finanziaria  della  regione  e  degli  enti  locali (artt. 8 e 48 ss.
statuto).
    Puo'  essere  opportuno  ricordare  che la regione e' legittimata
anche  a  far  valere  l'autonomia  finanziaria  degli  enti  locali.
Infatti,  la  sent.  n. 417/2005  ha  statuito  che  le regioni «sono
legittimate  a  denunciare  la  legge  statale  per  la violazione di
competenze  degli  enti locali»; la Corte ha «ritenuto sussistente in
via  generale  una  tale legittimazione in capo alle regioni, perche'
"la  stretta connessione, in particolare in tema di finanza regionale
e  locale,  tra  le  attribuzioni  regionali e quelle delle autonomie
locali  consente  di  ritenere che la lesione delle competenze locali
sia  potenzialmente  idonea  a  determinare  una  vulnerazione  delle
competenze regionali" (sentenza n. 196 del 2004)».
    Le   norme   impugnate,  inoltre,  violano  la  Costituzione  per
violazione  del  principio  di  uguaglianza  di cui all'art. 3, primo
comma, dato che vengono trattate in modo diseguale situazioni uguali;
violano  poi  l'art. 41, in quanto precludono l'esercizio del diritto
di  libera  iniziativa  economica,  il quale, a condizione che non si
alteri  la  concorrenza,  vale  ugualmente  per i soggetti pubblici e
privati (e comunque sarebbe leso il diritto di iniziativa dei privati
nelle  societa' miste); violano infine il principio di ragionevolezza
e  di  proporzionalita',  ponendo  drastiche limitazioni di capacita'
dove  basterebbe un limite connesso all'eventuale affidamento diretto
dei compiti strumentali.
    La  regione  e'  legittimata a far valere tali violazione perche'
esse  si traducono in lesione delle competenze regionali. La dottrina
ha, infatti, evidenziato che la giurisprudenza costituzionale ammette
(giustamente)  le  regioni  a  far  valere  la  violazione  di  norme
costituzionali  estranee  al  Titolo  V  qualora  le  norme impugnate
incidano su materie spettanti alla regione e siano peggiorative della
posizione  regionale  (anche  se non direttamente contrastanti con le
norme   attinenti   al   riparto  delle  competenze):  v.  le  sentt.
n. 503/2000,   n. 206/2001   (punti   15,   16  e  34  del  Diritto),
n. 110/2001, n. 303/2003 (punto 35 del Diritto), n. 280/2004 (punto 5
del  Diritto),  n. 355/1993,  n. 87/1996,  n. 338/1994,  n. 383/1994,
n. 412/2001,  n. 302/1988,  n. 6/2004  e  n. 196/2004  (punto  18 del
Diritto).
    L'art. 13  incide  su  materie  di  competenza  regionale  (sopra
indicate)  e  comprime  l'autonomia della regione, per i motivi sopra
visti.  Ora,  ferme  restando  le  censure  di  cui  sopra,  le norme
impugnate  risultano illegittime anche perche' questa compressione e'
operata  in  violazione dei principi di eguaglianza, ragionevolezza e
proporzionalita' (art. 3 Cost.) e dell'art. 41 Cost.
    Ne risulta una lesione delle competenze statutarie della regione;
        b) illegittimita' costituzionale dell'art. 13, comma 1, 2 e 4
in  quanto  ledono  l'autonomia  organizzativa  e  finanziaria  della
regione,  sottoponendo  le  societa'  pubbliche o miste, costituite o
partecipate   dalle   amministrazioni   regionali  e  locali  per  la
produzione  di  beni  e  servizi  strumentali, ad un regime giuridico
restrittivo  e  discriminatorio, rispetto alle altre societa' ed alle
stesse  societa'  pubbliche  o  miste  partecipate  dallo  Stato o da
amministrazioni nazionali.
    Una  seconda ragione di illegittimita' dell'art. 13, commi 1, 2 e
4  -  ed una ragione che, al contrario della precedente, non potrebbe
essere  superata  da una interpretazione adeguatrice - consiste nella
circostanza   che   le   disposizioni   qui  impugnare  discriminano,
rendendola   deteriore,   la   condizione  giuridica  delle  societa'
partecipate dalle regioni e dagli enti locali, rispetto alle societa'
costituite o partecipate per scopi simili dallo Stato o da altri enti
pubblici nazionali.
    E'  evidente,  infatti,  che  anche lo Stato ed eventualmente gli
altri  enti  pubblici  nazionali,  e  non  solo le regioni e gli enti
locali,  hanno  costituito societa' pubbliche o miste per l'esercizio
di  funzioni  strumentali.  A  puro  titolo  di  esempio,  si pensi a
societa'  quali Patrimonio S.p.A., Riscossione S.p.A., Consip S.p.A.,
Sviluppo  Italia.  Si  tratta  di  societa'  che svolgono, al livello
statale,  attivita' del tutto corrispondenti a quelle oggetto, per il
livello  regionale  e  locale,  dell'art. 13.  Tali societa' svolgono
anch'esse funzioni strumentali del tipo disciplinato dall'art. 13, ed
anch'esse,  come le societa' regionali, operano con entita' diverse e
partecipano ad altre societa', fino a formare veri e propri gruppi.
    Ora,  sembra  evidente che, se pure nel merito fosse giustificata
una   disciplina   restrittiva   della   capacita'   contrattuale  di
determinati  tipi  di societa' a partecipazione pubblica, non sarebbe
in  ogni  modo  affatto  giustificata una restrizione della capacita'
contrattuale   ed   operativa   delle   sole  societa'  costituite  o
partecipate dalle regioni e dagli enti locali.
    Ma  proprio  cio'  compie  l'art. 13,  discriminando, nell'ambito
delle  societa'  a partecipazione pubblica costituite per l'esercizio
di  funzioni  strumentali  degli  enti  costituenti, le sole societa'
regionali  e  locali,  che  vengono poste in una condizione di vera e
propria  minorita'  giuridica. Sembra evidente che la discriminazione
cosi'  posta  contraddice  - sotto un profilo diverso da quello prima
esposto  -  il  principio di uguaglianza e costituisce un abuso della
stessa   potesta'  legislativa  statale  in  materia  di  ordinamento
civilistico delle societa': potesta' che viene qui esercitata non per
porre   una   disciplina  generale  del  fenomeno  delle  societa'  a
partecipazione  pubblica,  ma  esclusivamente in danno delle societa'
regionali e locali.
    Da  cio' deriva la lesione delle competenze regionali, sia in via
diretta che in via indiretta, per le ragioni gia' viste sub a);
        c) Illegittimita' costituzionale dell'art. 13, commi 1, 2 e 4
in  quanto  ledono  l'autonomia  organizzativa  e  finanziaria  della
regione vietando indiscriminatamente alle societa' pubbliche o miste,
costituite o partecipate dalle amministrazioni regionali e locali per
la  produzione  di  beni  e  servizi  strumentali,  di  «operare» per
soggetti  diversi  dai  costituenti,  partecipanti  o  affidanti,  di
svolgere «prestazioni» a favore di altri soggetti pubblici o privati,
nonche' di partecipare ad altre societa' o enti.
    Se  pure  fosse  legittima  la  condizione  di  privilegio odioso
attribuita dalle disposizioni qui impugnate allo societa' regionali e
locali   pubbliche  o  anche  miste,  rimarrebbero  illegittime,  per
violazione  dei  principi di ragionevolezza e di proporzionalita', le
specifiche limitazioni poste ad esse.
    Tali   limitazioni,   infatti,   sono  assurdamente  generali  ed
indiscriminate.
    Si  consideri  in  primo luogo il divieto di partecipare ad altre
societa'  o  enti.  Al  presente,  cosi'  come capita per le societa'
statali,  anche le societa' regionali operano talora attraverso altre
societa',  il  cui capitale sociale e' posseduto dalle prime al cento
per cento. Si tratta di un fenomeno ben noto e comune nel mondo delle
imprese,  legato  ad  esigenze operative. Con esso non si introducono
interessi  nuovi,  ne' si estende il campo di attivita' rispetto alle
funzioni strumentali.
    Inoltre, vi possono essere diverse ragioni che possono indurre le
societa'  di  cui  parliamo a partecipare ad «enti» (ai quali pure si
estende  il  divieto),  ad esempio enti associativi delle imprese che
operano in un certo settore.
    Insomma,  se pure le limitazioni in questione potessero essere in
parte   giustificate   (nella   logica,   qui   si   ritiene,   della
incompatibilita'  con  gli  affidamenti  diretti, non come disciplina
discriminatoria della societa' pubblica regionale o locale), esse non
possono  essere  concepite  in termini assoluti e generali, in quanto
cosi' concepite irragionevolmente privano le societa' in questione di
ogni flessibilita' operativa e (per quanto riguarda la partecipazione
ad  enti)  capacita'  di  collegamento  con  la stessa realta' di cui
debbono occuparsi.
    Un  discorso  analogo  riguarda il limite relativo allo «operare»
(solo  con  gli  enti  costituenti,  partecipanti o affidanti) e alle
«prestazioni» (in relazione ad «altri soggetti pubblici o privati»!).
Tanto  l'operare  -  addirittura  privo  di  un significato tecnico -
quanto   le   «prestazioni»  sono  termini  totalmente  generici,  ed
includono  in  pratica  ogni  contatto  contrattuale: dal momento che
qualunque  contratto  -  fosse pure l'acquisto di un computer o della
carta  per la stampante, comporta che si debba «operare» e si debbano
rendere «prestazioni» a favore di enti diversi.
    Puo'  essere che in via interpretativa possano essere temperati i
piu'  estremi  eccessi di tali improbe limitazioni, ma non sembra sia
possibile  considerare  costituzionalmente legittime disposizioni che
vietano   e   addirittura   colpiscono   con  la  nullita'  contratti
individuati in modo estremamente generico ed impreciso.
    Risulta  violato, oltre ai gia' citati principi di ragionevolezza
e di proporzionalita', anche il principio di certezza del diritto.
    Da  cio' deriva la lesione delle competenze regionali, sia in via
diretta che in via indiretta, per le ragioni gia' viste sub a);
        d) Illegittimita' costituzionale dell'art. 13, comma 3.
    L'art. 13,   comma   3,   dispone  che  «al  fine  di  assicurare
l'effettivita'  delle  precedenti disposizioni, le societa' di cui al
comma 1 cessano entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del
presente  decreto  le  attivita'  non  consentite»  (primo  periodo).
Aggiunge  poi  (secondo periodo) che «a tale fine possono cedere, nel
rispetto  delle  procedure  ad  evidenza  pubblica,  le attivita' non
consentite a terzi ovvero scorporarle, anche costituendo una separata
societa'  da  collocare sul mercato, secondo le procedure del d.l. 31
maggio  1994,  n. 332,  convertito, con modificazioni, dalla legge 30
luglio 1994, n. 474, entro ulteriori diciotto mesi».
    Si  conclude  poi  (terzo periodo) che «i contratti relativi alle
attivita'  non  cedute  o  scorporate ai sensi del periodo precedente
perdono  efficacia  alla  scadenza  del  termine  indicato  nel primo
periodo del presente comma».
    Tali   disposizioni   sono   in  primo  luogo  costituzionalmente
illegittime   in  quanto  presuppongono  e  completano  l'illegittima
disciplina sopra censurata.
    Il  terzo  periodo  e' inoltre illegittimo sotto il profilo della
contraddittorieta'  e  della  irragionevolezza, in relazione a quando
disposto  dai  due  precedenti.  Risulta  infatti  che le societa' in
questione  per  dodici  mesi  possano «transitoriamente» continuare a
svolgere  le  attivita'.  A  tali  dodici mesi seguono, a termini del
secondo  periodo,  altri  diciotto mesi durante i quali le «attivita'
non  consentite»  possono  essere  cedute a terzi o scorporate in una
diversa societa' da cedere sul mercato (su cio' si tornera' dopo).
    In  relazione a tale disciplina, risulta del tutto assurdo quanto
disposto  di  seguito  dal  terzo  periodo, cioe' la cessazione degli
effetti dei contratti relativi alle attivita' non cedute o scorporate
nel termine indicato nel primo periodo, cioe' alla scadenza dei primi
dodici mesi.
    Risulta  infatti  del  tutto evidente, ad avviso della ricorrente
regione,  che  quali  siano le attivita' cedute o scorporate, e quali
corrispondentemente   quelle  non  cedute  o  scorporate,  risultera'
soltanto alla fine del periodo dei diciotto mesi che le regioni e gli
enti  locali  hanno a disposizione per prevedere alla cessione o allo
scorporo.   Durante  tale  periodo  di  diciotto  mesi,  infatti,  si
svolgeranno   tutte  le  attivita'  necessarie  per  addivenire  alla
cessione  o allo scorporo: ma solo alla fine di tale periodo dovra' e
potra'  necessariamente sapersi quali attivita' risulteranno cedute o
scorporate,  e  quali  no. Dunque, la norma che prevede la cessazione
degli  effetti  dei  contratti  «relativi alle attivita' non cedute o
scorporate»   dopo   i   primi  dodici  mesi  e',  prima  ancora  che
costituzionalmente  illegittima,  di impossibile applicazione, se non
«retroattivamente»:  il  che tuttavia aggiungerebbe ulteriori profili
di  illegittimita' costituzionale, essendo evidentemente contrario ai
principi  di  ragionevolezza,  di  affidamento  e  di  buona  fede la
comminazione  di nullita' che nessuno poteva conoscere o prevedere in
anticipo.
    Ne  risulta  la  lesione  indiretta  delle  competenze regionali,
perche'  il  comma  3  comprime  la posizione regionale, incidendo su
materie  regionali,  in violazione di norme costituzionali: v. supra,
lettera a).
    Un autonomo profilo di illegittimita' costituzionale investirebbe
inoltre  il  comma  3,  secondo  periodo,  ove  la facolta' data alle
societa'  strumentali di cedere le attivita' a terzi o di scorporarle
costituendo  una societa' da collocare sul mercato dovesse intendersi
come  preclusiva  della  possibilita'  di  cedere  o  scorporare tali
attivita'  in  favore  di  altra  societa'  regionale  o  locale,  da
costituire  o  esistente, che operi esclusivamente sul mercato, e non
rientri nel campo di applicazione dell'art. 13.
    In  effetti,  l'obbligo  di cedere a terzi, o sul mercato (che e'
composto  anch'esso,  ovviamente,  di  «terzi») beni e patrimoni che,
attraverso  la  societa', costituiscono risorse economiche e nel caso
imprenditoriali   delle   comunita'   locali   ne  viola  l'autonomia
finanziaria,  in  contraddizione  aperta  con  l'art. 119 Cost. e con
l'art. 48  ss. statuto Friuli-Venezia Giulia, e realizza una sorta di
esproprio  di  attivita'  economiche,  del  tutto privo di fondamento
costituzionale  e  del tutto privo di connessioni con l'obbiettivo di
tutelare la concorrenza.
    L'irragionevolezza della norma implica la lesione indiretta delle
competenze  regionali,  perche' essa comprime la posizione regionale,
incidendo    su   materie   regionali,   in   violazione   di   norme
costituzionali: v. supra, lettera a);
        e) Ulteriore   profilo   di   illegittimita'   costituzionale
dell'art. 13, comma 4.
    L'art. 13, comma 4, e' gia' stato censurato in connessione con il
comma 1.
    Viene  qui  in  considerazione  un  ulteriore autonomo profilo di
illegittimita',  in  quanto  si ritenga che la nullita' dei contratti
stipulati  «in violazione delle prescrizioni dei commi 1 e 2» venga a
comminare  la  nullita' di tutti i contratti stipulati dalle societa'
di   cui   al  comma  1  che  al  momento  del  contratto  conservino
partecipazioni in altre societa' o enti.
    Va  precisato che le partecipazioni non costituiscono «attivita»,
e non rientrano dunque nel campo di applicazione del comma 3, e delle
scadenze  temporali  ivi  previste. In effetti, le partecipazioni non
sono  attivita'  ma  in  primo  luogo  elementi  patrimoniali, la cui
cessione  potrebbe  essere facile o difficile, o anche giuridicamente
impossibile  ove  non si trovasse alcun soggetto disposto a comperare
la partecipazione in questione.
    D'altronde, un conto e' la nullita' di contratti che direttamente
si  riferiscano ad attivita' vietate (ferme restando le censure sopra
esposte  su tali divieti e sulla loro formulazione), tutt'altro conto
sarebbe  la  nullita'  di  contratti  che si riferiscono ad attivita'
consentite,   e   che   nessun   rapporto  hanno  con  le  ipotizzate
partecipazioni in societa' o enti.
    Del  resto,  non si puo' certo pretendere che il terzo contraente
prima  di  stipulare  il  contratto  richieda al suo interlocutore la
mappa completa delle partecipazioni a societa' o in enti!
    Va  anche in questo caso denunciata la violazione dei principi di
ragionevolezza,  di proporzionalita', di tutela dell'affidamento e di
buona   fede.  Ne  risulta  la  lesione  indiretta  delle  competenze
regionali,  perche'  il  comma  4  comprime  la  posizione regionale,
incidendo    su   materie   regionali,   in   violazione   di   norme
costituzionali: v. supra, lettera a).
    2) Illegittimita' dell'art. 22, commi 1 e 2.
    Come  esposto  nel  Fatto,  l'art. 22,  comma1,  d.l. n. 223/2006
sancisce  una  riduzione del 10% delle spese previste per il 2006 per
il   funzionamento   di   enti  pubblici  non  territoriali,  esclusi
determinati enti specificamente indicati dal comma 1. Il comma 1 mira
dunque ad incidere sulla gestione finanziaria in corso.
    Il  comma  2  punta  invece a ridurre le spese per i prossimi tre
anni,  disponendo  che  «per  le  medesime  voci  di spesa e di costo
indicate  al  comma  1,  per il triennio 2007-2009, le previsioni non
potranno  superare  l'ottanta  per cento di quelle iniziali dell'anno
2006».  Lo  stesso  comma  2,  poi,  fa  divieto alle Amministrazioni
vigilanti  «di  approvare  i bilanci di enti ed organismi pubblici in
cui  gli  amministratori  non  abbiano espressamente dichiarato nella
relazione  sulla  gestione di avere ottemperato alle disposizioni del
presente articolo».
    Tali  disposizioni,  dunque,  introducono  un vincolo puntuale di
spesa  ad enti pubblici collegati alla regione Friuli-Venezia Giulia.
Si  possono qui citare, a titolo esemplificativo: l'Agenzia regionale
per la protezione dell'ambiente (ARPA), istituita con legge regionale
n. 6/1998  (ai  sensi dell'art. 21 di tale legge, una parte rilevante
della   dotazione   finanziaria   dell'Arpa   proviene  dal  bilancio
regionale;  per  le  «spese  di funzionamento ed attivita» - art. 21,
comma  1, lettera a) - nel 2006 la regione ha stanziato 18 milioni di
euro);  l'Agenzia  regionale  per  il  turismo,  costituita con legge
regionale  n. 29/2005  e  finanziata  in  via esclusiva con fondi del
bilancio  regionale;  gli  Enti  regionali per il diritto allo studio
universitario  di  Trieste  e  Udine,  istituiti  con legge regionale
n. 12/2005   e   la  cui  dotazione  finanziaria  comprende  «risorse
finanziarie assegnate dalla regione in via ordinaria e straordinaria»
(art. 25, comma 1, lettera a); l'Agenzia regionale del lavoro e della
formazione  professionale, istituita dalla legge regionale n. 18/2005
e pure finanziata in gran parte dalla regione (v. l'art. 14).
    La  riduzione  del 10% delle spese di funzionamento degli enti di
cui  sopra  (e  degli altri che rientrano nell'ambito di applicazione
della  legge),  per  il  2006,  e  del  20% per il triennio 2007-2009
rappresenta  una  rilevante  ingerenza nella gestione di questi enti,
sia  per  l'entita'  della riduzione sia per il carattere puntuale di
essa,  dato  che  la  norma  va  a colpire una specifica categoria di
spesa.
    La  giurisprudenza  costituzionale  gia' piu' volte ha dichiarato
l'illegittimita'  di  vincoli  puntuali  di spesa, anche in relazione
alle regioni ordinarie, affermando che essi esorbitano dalla funzione
di   porre  principi  di  coordinamento  della  finanza  pubblica  ex
art. 117,  terzo  comma,  Cost.  Ci  si  limita,  in  questa  sede, a
ricordare   che,   con   la  sent.  n. 417  del  2005  codesta  Corte
costituzionale ha statuito che «le norme che fissano vincoli puntuali
relativi  a  singole  voci di spesa dei bilanci delle regioni e degli
enti  locali non costituiscono principi fondamentali di coordinamento
della finanza pubblica, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost., e
ledono   pertanto   l'autonomia   finanziaria   di   spesa  garantita
dall'art. 119  Cost.»;  il  legislatore  statale «puo' legittimamente
imporre  agli  enti  autonomi  vincoli  alle  politiche  di  bilancio
(ancorche'  si  traducano,  inevitabilmente, in limitazioni indirette
all'autonomia  di  spesa  degli  enti),  ma  solo, con "disciplina di
principio",  "per  ragioni  di  coordinamento finanziario connesse ad
obiettivi  nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari"»;
perche' «detti vincoli possano considerarsi rispettosi dell'autonomia
delle  regioni  e  degli  enti  locali  debbono  avere  ad  oggetto o
l'entita'  del  disavanzo  di parte corrente oppure - ma solo «in via
transitoria  ed  in  vista  degli specifici obiettivi di riequilibrio
della  finanza  pubblica  perseguiti  dal  legislatore  statale» - la
crescita della spesa corrente degli enti autonomi»; in altri termini,
«la  legge  statale  puo'  stabilire solo un "limite complessivo, che
lascia  agli  enti stessi ampia liberta' di allocazione delle risorse
fra  i  diversi ambiti e obiettivi di spesa"». Analogamente, la sent.
n. 390  del  2004  ha  dichiarato  l'illegittimita'  di una norma che
poneva  il  limite  del  50%  per  il turn-over nel pubblico impiego,
osservando  che «si tratta... di una disposizione che non si limita a
fissare un principio di coordinamento della finanza pubblica, ma pone
un  precetto  specifico e puntuale sull'entita' della copertura delle
vacanze  verificatesi  nel 2002, imponendo che tale copertura non sia
superiore  al 50 per cento: precetto che, proprio perche' specifico e
puntuale  e per il suo oggetto, si risolve in una indebita invasione,
da parte della legge statale, dell'area (organizzazione della propria
struttura  amministrativa) riservata alle autonomie regionali e degli
enti  locali, alle quali la legge statale puo' prescrivere criteri...
ed  obiettivi  (ad esempio, contenimento della spesa pubblica) ma non
imporre  nel  dettaglio  gli  strumenti  concreti  da  utilizzare per
raggiungere quegli obiettivi». Tale indirizzo e' stato ribadito, poi,
dalle sentt. n. 449/2005 e n. 88/2006.
    Ora,  e' pacifico che, nei confronti della regione Friuli-Venezia
Giulia,   lo  Stato  non  puo'  stabilire  vincoli  alla  spesa  piu'
stringenti  di  quelli  che puo' disporre nei confronti delle regioni
ordinarie:  in  base  all'art. 48  dello  statuto, «la regione ha una
propria  finanza, coordinata con quella dello Stato, in armonia con i
principi  della  solidarieta'  nazionale,  nei  modi  stabiliti dagli
articoli seguenti».
    E'  anche  evidente,  ad  avviso  della ricorrente regione, che i
vincoli  previsti  dalle  norme  impugnate  hanno carattere puntuale,
cioe'  appartengono  alla  tipologia di vincolo che la giurisprudenza
costituzionale sopra citata considera illegittima.
    Le norme impugnate, dunque, comprimendo le spese di funzionamento
degli  enti  collegati  alla  regione  e  agli  enti  locali,  ledono
l'autonomia  legislativa  della  regione,  dato  che il finanziamento
degli enti in questione e' regolato con leggi regionali.
    Le  materie di riferimento sono, da un lato, l'«ordinamento degli
Uffici  e  degli  Enti dipendenti dalla regione» (art. 4, n. 1, dello
statuto),  e l'«ordinamento degli enti locali» (n. 1-bis), dall'altro
le «istituzioni culturali, ricreative e sportive; musei e biblioteche
di  interesse  locale  e  regionale» (art. 4, n. 14), le «istituzioni
pubbliche di assistenza e beneficenza» (art. 5, n. 6), l'«ordinamento
delle  Casse  di  risparmio,  delle  Casse  rurali; degli Enti aventi
carattere  locale  o  regionale  per  i finanziamenti delle attivita'
economiche  nella  regione»  (n. 8) e l'«istituzione e ordinamento di
Enti  di  carattere  locale o regionale per lo studio di programmi di
sviluppo  economico» (n. 9). Rilevano, poi, in relazione all'ARPA, la
competenza primaria in materia di ambiente (art. 4, nn. 2, 3, 9, 12 e
13); in relazione all'Agenzia regionale per il turismo, la competenza
primaria  in  materia  di  turismo (art. 4, n. 10); in relazione agli
Enti  per  il  diritto allo studio universitario, la competenza piena
nella  relativa materia, spettante alla regione Friuli-Venezia Giulia
ex  art. 10,  legge  cost.  n. 3/2001,  e,  in  relazione all'Agenzia
regionale  del lavoro e della formazione professionale, la competenza
concorrente  in materia di tutela del lavoro e la competenza piena in
materia di formazione professionale spettanti ex art. 10, legge cost.
n. 3/2001.
    Le  norme  impugnate  ledono  anche  l'autonomia  organizzativa e
finanziaria   della   regione,   in  relazione  all'organizzazione  e
all'attivita'  degli  enti  collegati  ad essa e agli enti locali. Il
vincolo   puntuale   alle   spese,   infatti,   si  pone  in  diretta
contraddizione con il principio di autonomia delle scelte, a base sia
dello   statuto   che   del   sistema  costituzionale  dell'autonomia
finanziaria   regionale.   E'   da   ricordare   che,  in  base  alla
giurisprudenza  costituzionale, questa regione e' legittimata anche a
far valere l'autonomia finanziaria degli enti locali (v. sopra, punto
1, lettera  a).
    Infine,  la norma contenuta nell'art. 22, comma 2, ultimo periodo
(che  vieta «alle Amministrazioni vigilanti di approvare i bilanci di
enti  ed  organismi  pubblici  in  cui gli amministratori non abbiano
espressamente  dichiarato  nella  relazione  sulla  gestione di avere
ottemperato   alle   disposizioni   del   presente   articolo»)  lede
l'autonomia   legislativa  ed  amministrativa  della  regione,  nelle
materie   sopra  indicate,  perche'  viene  a  sanzionare  un  dovere
introdotto in modo illegittimo (per le ragioni sopra viste).
    Si  sono  illustrate le ragioni per cui le norme impugnate ledono
direttamente  l'autonomia costituzionale della regione Friuli-Venezia
Giulia.
    Per  completezza,  pero',  e'  opportuno rimarcare che l'art. 22,
comma  1 e 2, d.l. n. 223/2006 reca anche una lesione indiretta delle
prerogative   regionali  in  quanto  comprime  l'autonomia  regionale
violando  norme  costituzionali  non  specificamente poste a garanzia
dell'autonomia regionale. Sulla legittimazione regionale a contestare
lesione di competenza indirette v. sopra, punto 1, lettera a).
    L'art.  22,  commi  1  e  2,  indubbiamente  incide su materie di
competenza  regionale  (sopra  indicate) e comprime l'autonomia della
regione  e  degli  enti  ad  essa  collegati.  Ora, ferme restando le
censure  di cui sopra, le norme impugnate risultano illegittime anche
perche' questa compressione e' operata in violazione del principio di
ragionevolezza (art. 3 Cost.) e del principio di buon andamento della
pubblica  amministrazione  (art. 97  Cost.).  Infatti,  il comma 1 ha
previsto  una  forte  riduzione delle spese di funzionamento previste
per  il  2006  quando  si  era gia' nella seconda meta' del 2006: con
gravi e irragionevoli ripercussioni sulla funzionalita' dell'ente. Il
comma  2  ha  disposto una riduzione ancora piu' forte (il 20%) delle
spese  di funzionamento, assumendo come unico parametro la previsione
fatta  per  il  2006  (che  potrebbe essere appena sufficiente per il
funzionamento dell'ente), senza alcun riferimento ad eventuali avanzi
o alla congruita' della quota assegnata alle spese di finanziamento o
all'andamento delle gestioni passate. Si tratta di un taglio «secco»,
per   dirottare   risorse   nelle   casse   statali,   senza   alcuna
considerazione   delle   esigenze   di   buon  andamento  degli  enti
interessati: di qui la violazione degli artt. 3 e 97 Cost.
    In  altre  parole, il comma 1 ed il comma 2 sono irragionevoli in
quanto  richiedono  la  riduzione delle spese di funzionamento in una
misura  percentuale  assoluta  sull'importo  di  tale  voce, senza la
minima  considerazione  dei parametri oggettivi in base ai quali deve
essere  giudicata  la  consistenza  di  tale voce, parametri quali il
rapporto  con  le  spese non di funzionamento, la natura dell'ente, i
risparmi di spesa in tale voce da esso gia' realizzati nel passato, i
fattori di flessibilita' o rigidita' della voce stessa (se ad esempio
l'intera  voce si riferisse al pagamento degli stipendi del personale
di   ruolo   la   riduzione  sarebbe  impossibile  o  si  tradurrebbe
nell'obbligo  di  licenziare  parte  del personale, con lesione anche
dell'autonomia organizzativa).
    Infine,   le  norme  impugnate  risultano  irragionevoli  perche'
colpiscono   una  specifica  voce  di  spesa,  mentre  sarebbe  stato
legittimo  soltanto  operare  -  semmai  -  una riduzione della spesa
complessiva,  lasciando  all'ente  e  alla  regione  la  scelta delle
specifiche  spese  da  tagliare.  Il  mezzo  scelto  dal  legislatore
statale, cioe', non rispetta neppure il criterio di proporzionalita',
in  quanto si sarebbe potuto utilizzare un mezzo meno restrittivo per
ottenere lo stesso fine.
    Sotto   questi   profili,   dunque,  le  norme  impugnate  ledono
(indirettamente)    le    prerogative    statutarie   della   regione
Friuli-Venezia Giulia.
                              P. Q. M.
    Chiede    voglia    codesta   Corte   costituzionale   dichiarare
l'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 13,  commi 1, 2, 3 e 4, e
dell'art. 22,  commi 1 e 2, del d.l. n. 223 del 2006, convertito, con
modificazioni,  nella  legge n. 248 del 2006, sotto i profili e per i
motivi sopra esposti.
        Padova, addi' 5 ottobre 2006
                   Prof. avv. Giandomenico Falcon
06C0923