N. 600 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 febbraio 2006

Ordinanza   emessa   il   17 febbraio   2006  (pervenuta  alla  Corte
costituzionale  il  20 novembre 2006) dal tribunale di Roma - Sezione
fallimentare,  sul  reclamo  proposto  da  Antoniucci Samuele n.q. di
curatore del fallimento Orsa Minore S.r.l.

Fallimento  e  procedure  concorsuali  - Fallimento privo di attivo -
  Spese  ed onorari liquidati al curatore - Mancata inclusione tra le
  spese   anticipate   dall'Erario  -  Violazione  del  diritto  alla
  retribuzione  proporzionale  alla  quantita'  e qualita' del lavoro
  prestato  -  Ingiustificata  disparita'  di  trattamento rispetto a
  tutti  gli  altri  soggetti  che prestano la propria opera a favore
  della massa (retribuiti con compensi posti a carico dell'Erario).
- Decreto  del  Presidente  della  Repubblica 30 maggio 2002, n. 115,
  art. 146, comma 3, lett. c).
- Costituzione,  artt. 3  e 36; regio decreto 16 maggio 1942, n. 267,
  art. 39.
Fallimento  e  procedure  concorsuali  - Fallimento privo di attivo -
  Spese anticipate dal curatore per ogni pubblicita', comprese quelle
  relative  a  tutti  gli  avvisi  inviati  ai  creditori  -  Mancata
  inclusione  tra  le  «spese  per  gli  strumenti di pubblicita' dei
  provvedimenti  dell'autorita'  giudiziaria»  che vengono anticipate
  dall'Erario - Contrasto con il principio di ragionevolezza.
- Decreto  del  Presidente  della  Repubblica 30 maggio 2002, n. 115,
  art. 146, comma 3, lett. d).
- Costituzione, art. 3.
(GU n.1 del 3-1-2007 )
                            IL TRIBUNALE

    Ha emesso la seguente ordinanza.
    Sciogliendo  la  riserva  presa  all'udienza  del 5 ottobre 2005,
premesso,  che con ricorso, depositato in data 19 maggio 2005, l'avv.
Samuele  Antoniucci,  curatore  del  fallimento  Orsa Minore S.rl. ha
proposto  reclamo  avverso  il provvedimento del giudice delegato che
aveva  respinto  la richiesta di porre a carico dell'Erario, ai sensi
dell'art. 146 d.P.R. n. 115/2002 le spese anticipate, per la somma di
euro 269,34;
        che,  in particolare, il reclamante affermava che, in caso di
incapienza   della   procedura,   le  spese  sostenute  dal  curatore
dovrebbero essere poste a carico dell'Erario, in considerazione che a
tutti  i  soggetti  che sono chiamati ad operare a vario titolo nella
procedura  fallimentare  e' stato riconosciuto dal combinato disposto
degli  artt. 3  e 146 del d.P.R. n. 115/2002 il diritto di conseguire
il  rimborso delle spese da essi sostenute, oltre che il compenso. In
caso  contrario l'art 146 del d.P.R. n. 115/2002 sarebbe in contrasto
con  i  principi  costituzionali  di  cui  agli  artt. 3  e  23 della
Costituzione, nella parte in cui non include il curatore fallimentare
tra  i  soggetti  beneficiari  del  diritto  al  rimborso delle spese
sostenute   per   la   gestione   della   procedura   fallimentare  e
personalmente anticipate dallo stesso organo.

                            O s s e r v a

    La questione sollevata appare rilevante.
    L'art. 146,   comma   3,   lettera  c),  del  d.P.R.  n. 115/2002
stabilisce  che  sono  a  carico  dell'Erario,  e,  quindi, da questo
anticipati,  le  spese  ed  i compensi agli ausiliari del giudice nei
casi in cui la procedura fallimentare sia priva di fondi necessari.
    La  norma  tace sui compensi ai curatori, che abbiano prestato la
propria  attivita'  nell'ambito di procedure c.d. incapienti, nonche'
sulle  spese  per  atti  che  essi obbligatoriamente devono compiere,
quali  le  convocazioni  delle  parti,  gli  avvisi  ai creditori, da
ripetersi  nelle  varie  ipotesi  previste  dalla  legge, le spese di
pubblicita'  relative  a vendite anche di oggetti che poi si rivelino
privi di economicita'.
    Occorre   subito   precisare  che  soltanto  una  interpretazione
estensiva  della  norma  citata, che riconduca la figura del curatore
nell'alveo  del  concetto  di «ausiliario del giudice», garantendo ai
curatori,  indipendentemente  dalla  esistenza  o  meno  di un attivo
fallimentare  sufficiente,  l'effettiva  remunerazione  della carica,
consentirebbe  di  superare tutti i profili critici evidenziati dalla
reclamante e di accoglierne la domanda.
    Tale  interpretazione,  peraltro,  non  appare plausibile, atteso
che,  come piu' volte evidenziato dalla migliore dottrina, quella del
curatore e' figura del tutto peculiare, essendo quest'ultimo titolare
di  specifici  poteri e doveri - in ragione dell'eccezionalita' della
procedura fallimentare -, di cui tutti gli ausiliari del giudice sono
privi;  si tratta  di  un  organo  necessario,  che esclude qualsiasi
connotazione caratteristica di «ausiliarieta».
    In  ogni  caso  -  ed  il  rilievo  appare assorbente - lo stesso
legislatore  elenca,  con efficacia sicuramente tassativa, i soggetti
che  rientrano  nel  concetto  di  «ausiliario del magistrato», sotto
l'art. 3  dello  stesso d.P.R. n. 115/2002, ove leggesi: «ai fini del
presente  testo unico, se non diversamente ed espressamente indicato»
(...)  «ausiliario  del  magistrato»  e'  il  perito,  il  consulente
tecnico,  l'interprete,  il  traduttore  e  qualunque  altro soggetto
competente,  in  una determinata arte o professione o comunque idoneo
al  compimento  di  atti,  che il magistrato o il funzionario addetto
all'ufficio  puo' nominare a norma di legge» e tra questi sicuramente
non e' rinvenibile un richiamo applicabile al curatore.
    E',  quindi,  evidente la rilevanza della questione sollevata, ai
fini  della  decisione  del  reclamo  sottoposto  al vaglio di questo
Collegio:  nel  caso  di  specie,  infatti, il curatore, non trovando
nell'attivo  fallimentare denaro sufficiente non ha ottenuto non solo
la  richiesta  liquidazione  degli  onorari,  ma  neppure il semplice
rimborso  delle rilevanti spese vive sostenute per atti doverosi, non
essendovi alcuna norma che disponga in tale senso, ovvero essendovene
una, quella citata, che ostacola interpretazione estensiva.
    Neppure  puo'  ritenersi che l'art. 146, comma 3, lettera d) gia'
indicato   sia   riferibile   anche  alle  spese  per  strumeriti  di
«pubblicita'  degli  avvisi»  imposti  dalla  normativa  in  tema  di
espropriazione (v. artt. 105, 108 L.F. e art. 490 c.p.c.).
    2) La questione prospettata appare nuova, con riferimento al T.U.
n. 115/2002.
    La Corte costituzionale, piu' volte interpellata sul punto, prima
dell'entrata  in  vigore  del  T.U.  in materia di spese di giustizia
(d.P.R. n. 115/2002), che, tra l'altro, ha compiutamente disciplinato
l'istituto  del  patrocinio  a spese delle stato, abrogando l'art. 91
l.f. ed intervenendo ex novo sulle questioni relative al carico delle
spese  in  caso  di procedura fallimentare priva di fondi, ovvero con
fondi  insufficienti,  si  e'  sempre pronunciata nel senso della non
fondatezza   o   della  inammissibilita'  delle  questioni  proposte,
richiamandosi ad un principio di «rotazione degli incarichi» (per cui
la  mancata corresponsione del compenso in caso di procedura priva di
fondi  sarebbe compensata, secondo l'id quod plerumque accidit, dalla
remunerativita'   di   altri  incarichi),  alla  non  obbligatorieta'
dell'accettazione   della   funzione   e   piu'   in   generale  alla
impossibilita' di riconoscere alla prestazione svolta il carattere di
«lavoro», tutelato dall'art. 36 l.f. (cfr. sentenza n. 302/1985; ord.
n. 488/1993; sentenza n. 326/1996).
    In   particolare,   appare   rilevante   ricordare   che,   prima
dell'intervento  del  citato  testo  unico,  in materia fallimentare,
costituiva  norma  fondamentale  -  per l'argomento che ci riguarda -
l'art. 91  l.f.  il  quale sanciva che, qualora nel fallimento non vi
fossero  i  fondi  sufficienti per fare fronte «alle spese giudiziali
per   gli  atti  richiesti  dalla  legge»,  queste  erano  anticipate
dall'Erario   e  che  veniva  generalmente  interpretata  come  norma
riferentesi  a  tutte  le  spese  connesse  ad  atti  necessari  alla
procedura.
    Orbene, il quadro descritto e' stato profondamente modificato (in
senso  restrittivo,  per  quanto  attiene  al  «rimborso  delle spese
vive»), dall'intervento del citato testo unico.
    Infatti,     limitando    naturalmente    l'analisi    all'ambito
fallimentare, la nuova disciplina prevede:
        l'anticipazione  a  carico dell'Erario delle spese ed onorari
degli  ausiliari  del  giudice (art. 146, comma 3, lettera c), d.P.R.
n. 115/2002);
        l'ammissione  al  gratuito patrocinio, nel processo in cui e'
parte  un fallimento privo di fondi, in forza del decreto del giudice
delegato,  che attesta la mancanza di disponibilita' della liquidita'
necessaria (art. 144, d.P.R. n. 115/2002);
        la  conseguente possibilita' - in tale ultimo caso - di porre
a   carico  dell'Erario  le  spese  e  gli  onorari  riconosciuti  ai
difensori, ai consulenti di parte, agli ausiliari del magistrato, sia
per  i  procedimenti  penali,  che per quelli civili, ammimstrativi e
tributari (cfr. artt. 74 e segg. d.P.R. citato) eventualmente ridotti
questi ultimi, della meta' (141).
    Appare,  dunque,  che  con  l'entrata  in  vigore del testo unico
citato,   sia   stato   introdotto  il  principio  per  cui  tutti  i
professionisti  che  prestano  la  loro  opera  nel  contesto  di una
procedura  fallimentare  priva di fondi possono comunque percepire il
compenso per l'attivita' svolta, ai sensi degli artt. 144 e 146 cit.,
atteso  che  le  norme in oggetto fanno espresso riferimento non solo
alle spese sostenute, ma anche agli onorari.
    In  particolare, non si puo' non evidenziare che l'art. 3 (R) del
d.P.R. n. 115/2002, alla lettera n), nell'individuare coloro che - ai
fini  dell'applicazione  delle  norme  contenute  nel  Testo  Unico -
debbono  essere  considerati «ausiliario del magistrato», fa espresso
riferimento al «perito», al «consulente tecnico», all'interprete», al
«traduttore»  ed  a  «qualunque  altro  soggetto  competente,  in una
determinata  arte  o  professione  o comunque idoneo al compimento di
atti  che  il  magistrato  o il fianzionario addetto all'ufficio puo'
nominare a norma di legge», ma non prende in considerazione la figura
del curatore.
    La  norma  induce, ancora una volta, ad escludere la possibilita'
di  ricomprendere il curatore tra i soggetti definiti «ausiliario del
magistrato»;  ne'  si puo' ritenere che lo stesso possa rientrare tra
gli  «altri  soggetti»  di  cui  alla  citata lettera n), atteso che,
nell'ambito   del   T.U.,   il   legislatore  ha  in  piu'  occasioni
espressamente  preso  in  considerazione  la disciplina fallimentare,
cosi'  che  l'omesso riferimento al curatore, nel caso di specie, non
pare possa essere interpretata quale mera dimenticanza.
    Dunque, sembra ancora preclusa, pure dopo l'intervento del d.P.R.
n. 115/2002, la possibilita' di riconoscere il concreto pagamento del
compenso  al  curatore  di  un fallimento privo di fondi, o con fondi
insufficienti,  con evidente disparita' di trattamento con ogni altro
professionista.
    3)   La  questione  di  legittimita'  Costituzionale  non  appare
manifestamente infondata.
    E',  dunque,  evidente  che  il  curatore,  attesa  la  qualifica
professionale  -  peraltro presupposto indefettibile per l'assunzione
della  carica  -,  rientri  nell'ambito  dei  soggetti  che  svolgono
professione intellettuale (art. 2229 c.c.) e, quindi, nell'ambito del
piu'  ampio  concetto di «lavoratore», a cui deve essere riconosciuto
il  diritto  alla  retribuzione,  proporzionata alla qualita' ed alla
quantita'  del  lavoro  svolto,  secondo  quanto sancito dall'art. 36
Cost.
    In  secondo  luogo, appare opportuna una ulteriore riflessione in
relazione  alla  affermata  possibilita',  per  il  curatore,  di non
accettare  l'incarico.  Il  curatore  e'  un  organo  necessario  del
fallimento  per cui vi «deve» essere un professionista che ne accetti
la  nomina:  dunque  la  mancata  accettazione di uno, comportando la
doverosa  accettazione  di  altri, sposta, non elimina, il problema e
l'ipotizzato contrasto con i principi costituzionali.
      Inoltre,  riconoscere  carattere discriminante alla facolta' di
non  accettare l'incarico qualora si tratti di procedura fallimentare
con  poche  o nulle prospettive di acquisizione di attivo, conduce ad
avallare  prassi scorrette in base alle quali l'accesso alla funzione
verrebbe  di  fatto consentito soltanto a coloro i quali possono fare
affidamento  su altri introiti, ovvero potrebbe condurre al paradosso
della  mancanza di professionisti disposti ad assumere gli incarichi,
ovvero  ancora  potrebbe determinare rinunce agli incarichi assunti -
una  volta  verificata  l'assenza  dell'attivo  -,  con cio' causando
innegabili ritardi e disfunzioni nella gestione delle procedure.
    Infine,  il piu' grave profilo di incostituzionalita' della norma
in  esame si palesa, a giudizio del Tribunale, sotto il profilo della
violazione dell'art. 3 Cost.
    Infatti, non potendo il curatore essere considerato tout court un
ausiliario  del  giudice, per le motivazioni piu' volte richiamate, e
non  potendo  di  conseguenza trovare applicazione la disposizione di
cui  all'art. 146,  comma 3,  lettera c)  del  d.P.R. n. 115/2002, il
medesimo,  al  quale non puo' non riconoscersi una peculiare ed anche
piu'  rilevante  funzione  nell'ambito  della procedura fallimentare,
rimane l'unico soggetto che in caso di fallimento privo di attivo non
viene retribuito per l'attivita' svolta.
    In  sostanza,  quindi,  nel caso in cui il fallimento giunga alla
chiusura  senza  che si sia potuto acquisire l'attivo sufficiente per
fare  fronte al pagamento integrale dei debiti assunti dalla curatela
per  la gestione della procedura, mentre tutti gli altri soggetti che
prestano   la  propria  opera  a  favore  della  massa  -  stimatori,
consulenti  contabili  e  fiscali,  notai, avvocati, ecc... - vengono
retribuiti   con   compensi   posti  a  carico  dell'Erario,  diverso
trattamento  patisce  il  curatore, che resta del tutto insoddisfatto
nelle proprie - legittime - aspettative economiche.
    Il  curatore, rimane l'unico professionista che svolge la propria
attivita'  in  favore della massa senza avere la garanzia di ottenere
l'effettiva  remunerazione  del  lavoro  svolto,  realizzandosi,  per
l'effetto, una ingiustificata disparita' di trattamento.
    Tutto  cio' (rilevanza, non manifesta infondatezza, contrasto con
i  principi  costituzionali  con  particolare  riferimento all'art. 3
Cost.)  appare  ancor piu' evidente se si considera, come nel caso in
esame,  che  neppure  le  spese vive sono restituite al curatore, che
peraltro  e'  obbligato,  per  imposizione  legislativa, a sostenere:
qualunque pubblicita', anche supplementare, che sia imposta dal G.D.,
tutti gli avvisi ai creditori, quali quelli imposti da modifiche alla
L.F.  ad  opera della Corte cost., nonche' le altre spese vive, anche
postali (artt. 92, 97, 116: si pensi alla rilevanza di tali spese nei
fallimenti  di  societa'  con  numerosi  creditori  - lavoratori - da
avvisare  per  ogni  operazione  sottoposta a pubblicita): dunque per
ogni  atto  dovuto  dal  curatore  rimangono,  secondo  la  normativa
vigente, a suo carico le spese che ha anticipato.
    Infatti,  l'art. 146,  terzo  comma,  lettera d) gia' indicato e'
riferito  alle  spese  per  strumenti  di  «pubblicita' degli avvisi»
imposti  dalla  normativa  in tema di espropriazione (artt. 105 e 108
L.F.  e  490 c.p.c.). Se la esclusione dal pagamento degli onorari al
curatore,  imposto  dalla  norma in questione, viola gli artt. 3 e 36
Cost.,  la  esclusione del rimborso delle spese vive appare contraria
al  principio  della  «ragionevolezza»,  piu' volte messo in evidenza
dalla  Corte  costituzionale,  in  quanto  non e' dato comprendere il
motivo per cui una legge ordinaria debba gravare il curatore di spese
imposte  a  favore  della  procedura,  pur  con finalita' sicuramente
pubblicistiche.
    Per   le   considerazioni   esposte,  ritiene  il  Tribunale  che
l'art. 146     d.P.R.    n. 115/2002    debba    essere    dichiarato
incostituzionale  sotto  i  richiamati profili della violazione degli
artt. 3  Cost.  e  36 Cost. nonche' sotto il profilo della violazione
dell'art. 39  l.f. in relazione all'art. 36 Cost., nella parte in cui
esclude  un professionista dal pagamento di onorari o dal rimborso di
spese obbligatoriamente sostenute, a causa del suo ufficio.
                              P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'   costituzionale  dell'art. 146,  comma 3,  lettera  c),
d.P.R.  n. 115/2002,  nella  parte  in  cui non include, tra le spese
anticipate  dall'erario qualora tra i beni compresi al fallimento non
vi  sia  denaro  sufficiente  per  gli atti richiesti dalla legge, le
spese  e  gli  onorari  liquidati  al curatore, ovvero dell'art. 146,
comma 3,  lettera  d),  nella  parte  in  cui  non  include  le spese
anticipate  dal  curatore  per  ogni  pubblicita', ivi incluse quelle
relative  a  tutti gli avvisi inviati ai creditori, tra le «spese per
gli   strumenti   di   pubblicita'  di  provvedimento  dell'autorita'
giudiziaria».
    Sospende il presente giudizio.
    Manda  alla  cancelleria  per l'immediata trasmissione degli atti
alla  Corte  costituzionale,  per  la  notificazione  della  presente
ordinanza alle parti ed al Presidente del Consiglio dei ministri, per
la  comunicazione  ai  Presidenti  della  Camera  dei  deputati e del
Senato.
    Cosi'  deciso,  nella Camera di consiglio del tribunale - sezione
fallimentare, il giorno 25 giugno 2006.
                       Il Presidente: Severini
06C1217