N. 2 SENTENZA 8 - 19 gennaio 2007

Giudizio per conflitto di attribuzione tra Enti.

Conflitto di attribuzione tra Stato e Regioni - Ricorso della Regione
  Sardegna  in  relazione ad una sentenza della Corte di cassazione -
  Eccepita inammissibilita' del ricorso per tardivita' - Reiezione.
- Legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 39.
Conflitto di attribuzione tra Stato e Regioni - Ricorso della Regione
  Sardegna  in  relazione ad una sentenza della Corte di cassazione -
  Eccepita  inammissibilita'  del  ricorso  per mancata notificazione
  anche alla Corte di cassazione - Intervenuta notifica del ricorso e
  dell'avviso  di  fissazione  dell'udienza nel prescritto termine di
  venti giorni - Reiezione dell'eccezione.
- Norme  integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale,
  art. 27.
Conflitto  di  attribuzione  tra  Stato  e  Regioni - Proposizione in
  relazione ad atti giurisdizionali - Ammissibilita' - Limiti.
Regione   Sardegna   -   Consiglio   regionale   -  Disciplina  delle
  ineleggibilita'  e  incompatibilita'  -  Sentenza  della  Corte  di
  cassazione dichiarativa della decadenza di un consigliere regionale
  eletto in situazione di incompatibilita' secondo la legge statale -
  Ricorso  della Regione Sardegna - Denunciata violazione delle norme
  dello   Statuto   regionale   in   tema   di   ineleggibilita'   ed
  incompatibilita',  per  l'introduzione di una non prevista causa di
  incompatibilita'  -  Lamentata  esorbitanza  dai  limiti del potere
  giurisdizionale - Inammissibilita' del ricorso - Assorbimento della
  istanza di sospensione dell'efficacia dell'atto impugnato.
- Corte di cassazione, sentenza 11-24 luglio 2006, n. 16889.
- Costituzione,  artt. 101,  102,  111 e 113; statuto speciale per la
  Sardegna  (legge  cost. 26 febbraio 1948, n. 3), artt. 15, 17 e 57;
  legge cost. 31 gennaio 2001, n. 2, art. 3, commi 2 e 3.
(GU n.4 del 24-1-2007 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Franco BILE;
  Giudici:  Giovanni  Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO,
Romano   VACCARELLA,  Paolo  MADDALENA,  Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso
QUARANTA,  Franco  GALLO,  Luigi  MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino
CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  per conflitto di attribuzione tra enti sorto a seguito
della  sentenza  della  Corte  di  cassazione,  I sezione civile, del
24 luglio  2006,  n. 16889,  mediante  la  quale veniva dichiarata la
decadenza  di  Andrea  Mario  Biancareddu dalla carica di consigliere
della  Regione  Sardegna,  notificato  il  5  e  il  25 ottobre 2006,
depositato  in  cancelleria  l'11 e il 31 ottobre 2006 ed iscritto al
n. 14 del registro conflitti tra enti 2006.
    Visti  gli  atti di costituzione del Presidente del consiglio dei
ministri e della Corte di cassazione;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  21 novembre  2006  il giudice
relatore Paolo Maddalena;
    Uditi  l'avvocato  Massimo  Luciani  per  la  Regione  Sardegna e
l'avvocato   dello  Stato  Fabrizio  Fedeli  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri e per la Corte di cassazione.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Con  ricorso  notificato  al  Presidente del Consiglio dei
ministri  il  5 ottobre 2006 e depositato nella cancelleria di questa
Corte il successivo 11 ottobre, la Regione autonoma della Sardegna ha
impugnato  la  sentenza  della Corte di cassazione, I sezione civile,
n. 16889   dell'11-24 luglio   2006,  notificata  il  7 agosto  2006,
chiedendo  a questa Corte di «dichiarare che non spetta allo Stato, e
per  esso  alla  Corte  di  cassazione, dichiarare la decadenza di un
consigliere  regionale  della Regione autonoma della Sardegna perche'
versante  in  situazione  di  pretesa incompatibilita' ai sensi della
legge  23 aprile  1981,  n. 154, e, conseguentemente e per l'effetto,
annullare, previa sospensione, la sentenza della Corte di cassazione,
Sez.  I  civ.,  11-24 luglio  2006,  n. 16889,  con la quale e' stata
dichiarata  la  decadenza  dell'On.  Andrea  Mario  Biancareddu dalla
carica di consigliere regionale della Regione Sardegna».
    1.1.  -  La  ricorrente rammenta che il Consiglio regionale della
Sardegna,  con  deliberazione del 14 luglio 2004, aveva provveduto ad
insediare   nella   carica   di  consigliere  regionale  il  predetto
Biancareddu  e  che avverso tale deliberazione aveva proposto ricorso
un'elettrice,   deducendo  l'ineleggibilita'  e/o  l'incompatibilita'
dello  stesso  alla  carica  di consigliere regionale, ai sensi degli
artt. 2,  primo  comma,  numero 11, e 3, primo comma, numero 1, della
legge  23 aprile 1981, n. 154 (Norme in materia di ineleggibilita' ed
incompatibilita'  alle cariche di consigliere regionale, provinciale,
comunale  e  circoscrizionale  e in materia di incompatibilita' degli
addetti  al  Servizio  sanitario nazionale), «in quanto alla data del
giorno  fissato per il deposito delle candidature rivestiva la carica
di  Presidente  e  legale  rappresentante  del  Consorzio per la Zona
Industriale   di   interesse   regionale  di  Tempio  Pausania,  ente
dipendente della Regione o quantomeno sottoposto alla sua vigilanza».
Con  sentenza  dell'8 - 17 marzo 2005, il Tribunale di Cagliari aveva
ritenuto, nel merito, «che la causa di ineleggibilita' non ricorresse
perche'  non  applicabile alle elezioni del Consiglio Regionale della
Regione  Sardegna  la legge n. 154 del 1981»; tale sentenza era stata
confermata  da quella di secondo grado, emessa dalla Corte di appello
di  Cagliari il 17 giugno - 1° luglio 2005. A seguito di impugnazione
della  sentenza  d'appello,  la  Corte di cassazione, con la sentenza
n. 16889   dell'11-24 luglio   2006,   in  accoglimento  del  ricorso
principale  (proposto dal primo dei non eletti, il cui intervento nel
giudizio era stato reputato ammissibile dal giudice d'appello), aveva
dichiarato  «la decadenza del Biancareddu dalla carica di consigliere
regionale  della  Regione  Sardegna,  poiche'  presidente  di un ente
vigilato   dalla   Regione,   e  in  quanto  tale  in  situazione  di
incompatibilita' giusta la legge n. 154 del 1981».
    1.2.  -  Ad  avviso  della ricorrente Regione Sardegna, sarebbero
gravemente   lesive   delle   proprie   attribuzioni  costituzionali,
unitamente  alle  «statuizioni  di  cui  in dispositivo», le seguenti
affermazioni  contenute  nella  impugnata  sentenza  della  Corte  di
cassazione:
        a) la    normativa    vigente    prevedrebbe    la   «attuale
applicabilita',   in   via   sussidiaria,   della   disciplina  delle
ineleggibilita' e incompatibilita' di cui alla legge 154 del 1981 nel
territorio della Sardegna»;
        b) dovrebbe  escludersi  «che l'unico caso di ineleggibilita'
[...]  e  i tre (ora quattro) casi di incompatibilita' [...] previsti
nel  primo  comma dell'art. 17 dello Statuto di autonomia esauriscano
[...] la disciplina della materia»;
        c) cio',  anche  «alla  luce dello stesso art. 17 che, al suo
comma  terzo,  espressamente  demandava  alla  legge  dello  Stato di
stabilire gli altri casi di ineleggibilita' e di incompatibilita»;
        d) non  varrebbe,  in contrario, l'intervenuta abrogazione di
tale  disposizione  da  parte  dell'art. 3 della legge costituzionale
31 gennaio  2001,  n. 2  (Disposizioni concernenti l'elezione diretta
dei  presidenti  delle  regioni  a  statuto speciale e delle province
autonome  di  Trento  e  Bolzano), giacche' detta abrogazione sarebbe
stata  stabilita  «non  per rendere esaustiva la previsione del primo
comma  dell'articolo  in  esame,  ma  solo  per  sostituire  la legge
regionale  a  quella statale, quale fonte di integrazione dei casi di
ineleggibilita'  e  di incompatibilita' con le cariche di consigliere
regionale [...]»;
        e) ne conseguirebbe che «sussisteva [...] e sussiste tuttora,
il  dovere per il legislatore di rango subordinato (prima lo Stato ed
ora  la Regione) di legiferare in guisa da creare un completo assetto
del  regime  di  incompatibilita'  ed  ineleggibilita' per le cariche
elettive  nella  Regione  Sardegna»,  poiche' «nel difetto di un tale
regime  si  determinerebbe  [...] una situazione di vuoto legislativo
per  non  essere  all'evidenza  l'unico  caso di ineleggibilita' ed i
pochi  casi di incompatibilita' statutariamente previsti suscettibili
di  soddisfare le primarie esigenze di imparzialita' e buon andamento
dell'amministrazione  (art. 97  Cost.),  di eguaglianza dei cittadini
(art. 3  Cost.) e del possesso di determinati requisiti per l'accesso
alle cariche elettive»;
        f) appunto  «in  coerenza  e  in  funzione  di  tale esigenza
costituzionale  di  completezza del regime di disciplina dell'accesso
alle  cariche elettive» andrebbe «letto l'art. 57 dello Statuto della
Sardegna»;
        g) ne'  la  legislazione  statale  applicabile  sarebbe  solo
quella  che  facesse  esplicito  riferimento  alla  Regione Sardegna,
atteso  che tale requisito sarebbe «del tutto estraneo alla lettera e
allo  spirito  della suddetta norma statutaria [e cioe', dello stesso
art. 57].  La  quale,  nel prevedere l'applicazione delle leggi dello
Stato,  la  subordina alla sola condizione temporale della non ancora
intervenuta   approvazione   di  legge  regionale  regolatrice  della
materia»;
        h) anche  la  «logica  storica»  deporrebbe  in questo senso,
atteso  che  lo Statuto speciale della Regione Sardegna, risalendo al
1948, non avrebbe potuto rinviare a leggi statali precedenti che gia'
si riferissero alla Regione Sardegna;
        i) al  contrario,  «lo  specifico "riferimento alla Sardegna"
appartiene  alla  logica e alla struttura della legge statale cui era
espressamente  riservata,  dall'ora abrogato terzo comma dell'art. 17
dello  Statuto,  l'indicazione degli altri casi di ineleggibilita' ed
incompatibilita'  alla carica di consigliere della Regione stessa. Ed
e'  invece  estraneo,  quel  riferimento,  al  meccanismo  di  cui al
successivo  art. 57,  che  -  come  gia' puntualizzato dalla sentenza
n. 12806/2004  di  questa  Corte  -  "fa  tuttora  rinvio  alla legge
statale".  E  la  cui  applicazione  -  alla stregua del "rapporto di
gerarchia",  e  di  specialita',  che  esiste  tra la fonte (di rango
costituzionale) richiamante e la fonte (ordinaria) richiamata - resta
esclusa  non  in assenza di specifico riferimento alla Sardegna ma in
presenza  di una disciplina statuale che converga su medesimo oggetto
o profilo gia' regolato dallo Statuto»;
        l) non  varrebbe  opporre  la  sentenza  n. 85 del 1988 della
Corte   costituzionale,   la   quale   non  avrebbe  presupposto  «la
inapplicabilita'  in  radice  della citata legge n. 154 alle elezioni
dei  consiglieri  regionali  sardi - ma (come ben chiarito al punto 2
del "considerato in diritto") - e' solo limitatamente alla "parte che
interessa[va]" in quel giudizio, e cioe' con riguardo (anche) in quel
caso  alla  specifica  incompatibilita'  della  carica di consigliere
regionale    con   quella   di   Sindaco,   che   essa   ha   escluso
l'applicabilita',   nella   Sardegna,  della  specifica  disposizione
statuale  [id  est dell'art. 4 della legge n. 154] disciplinante (sia
pur   con   diversa   ampiezza   ostativa)   il  "medesimo  caso"  di
incompatibilita' gia' statutariamente regolato»;
        m) nemmeno varrebbe invocare la legge costituzionale n. 2 del
2001,  atteso  che  l'art. 3,  comma 3, di tale legge non rinvierebbe
alla   legge   statale  solo  per  quanto  concerne  il  procedimento
elettorale,   bensi'  per  l'intera  disciplina  della  elezione  dei
consigli regionali, nella quale sarebbero compresi «anche gli aspetti
dell'ineleggibilita' alla carica e della compatibilita' di questa con
altri uffici».
    1.3.  -  Nel  ricorso  si  sostiene che, proprio in forza di tali
argomentazioni, dalle quali e' conseguita la statuizione di decadenza
del  Biancareddu  dalla  carica di consigliere regionale, la Corte di
cassazione  avrebbe  «gravemente  leso le attribuzioni costituzionali
della  ricorrente  Regione  autonoma della Sardegna» per una serie di
motivi,  che verrebbero a concretare la violazione degli artt. 15, 17
e  57  della  legge  costituzionale  26 febbraio  1948, n. 3 (Statuto
speciale   per   la   Sardegna),  e  3,  commi 2  e  3,  della  legge
costituzionale   31 gennaio   2001,  n. 2  (Disposizioni  concernenti
l'elezione  diretta dei presidenti delle regioni a statuto speciale e
delle province autonome di Trento e di Bolzano), anche in riferimento
agli artt. 101, 102, 111 e 113 della Costituzione.
    1.3.1.  -  In  particolare,  la  Corte  di cassazione, nonostante
asserisca   di  aver  fatto  uso  del  criterio  dell'interpretazione
«costituzionalmente   orientata»  della  normativa  vigente,  sarebbe
andata  «ben  oltre  i limiti logici di tale criterio», distorcendone
gravemente  il senso proprio la' dove ha ritenuto di porre rimedio ad
«una  situazione  di  vuoto  legislativo  per non essere all'evidenza
l'unico  caso  di ineleggibilita' ed i pochi casi di incompatibilita'
statutariamente  previsti  suscettibili  di  soddisfare  le  primarie
esigenze  di  imparzialita'  e  buon  andamento  dell'amministrazione
(art. 97  Cost.),  di  eguaglianza dei cittadini (art. 3 Cost.) e del
possesso   di   determinati  requisiti  per  l'accesso  alle  cariche
elettive».  Siffatta  valutazione  -  prosegue  la Regione Sardegna -
riguarderebbe  piuttosto «l'opportunita» e non gia' la «legittimita',
sotto  la  quale  non  giace  affatto l'asserita «evidenza». Difatti,
l'introduzione    di   una   clausola   di   ineleggibilita'   o   di
incompatibilita'  risponde ad «una delicatissima scelta legislativa»,
incidente  sul  diritto  costituzionale  fondamentale  di  elettorato
passivo,  rispetto  alla quale il sindacato di costituzionalita' deve
essere  «particolarmente  scrupoloso»,  non  spettando  all'autorita'
giudiziaria  valutare  -  se  non  nella  fase  di promovimento di un
incidente di costituzionalita' - la «illegittimita' costituzionale di
una   previsione  legislativa  in  quanto  non  preveda  una  qualche
ineleggibilita'  o  incompatibilita». Peraltro, la sentenza impugnata
«omette  ogni pur minima motivazione sul punto relativo all'effettiva
indispensabilita'    della    specifica    e    concreta   causa   di
incompatibilita»,  adducendo  in  modo apodittico l'esistenza di «una
generica  e  astratta insufficienza della normativa statutaria sarda,
con  cio'  solo arrecando un evidente pregiudizio all'autonomia della
Regione,  per  la  quale  le  cause di incompatibilita' sono regolate
direttamente  dallo  Statuto,  fonte  costituzionale,  e  dalla legge
regionale».
    Ne'  potrebbe  invocarsi  -  sostiene  la  Regione  Sardegna - la
sentenza n. 217 del 2006 di questa Corte, con la quale si e' ritenuta
ragionevole  una  previsione  di  legge sulla incompatibilita' tra la
carica  di  consigliere provinciale, comunale e circoscrizionale e la
qualita'  di legale rappresentante o dirigente di societa' vigilate o
sovvenzionate  dall'ente  locale  di riferimento, giacche' situazione
ben   diversa   e'   quella   dell'introduzione   di   una  causa  di
incompatibilita',   «non  prevista  dalle  fonti  costituzionali  che
definiscono   le  prerogative  regionali»,  da  parte  dell'autorita'
giudiziaria nell'esercizio di «una prerogativa inesistente (eppercio'
in difetto assoluto di potere)».
    Sicche',  la  Corte  di  cassazione: 1) ha ravvisato una causa di
incompatibilita'  «la'  dove  lo Statuto della Regione Sardegna [...]
non  la  prevedeva  (ne'  consentiva  che  fosse  prevista  da  fonte
statale)»;    2)    «ha   travalicato   i   limiti   della   funzione
giurisdizionale»,  come  definiti  dagli  artt. 101,  102,  111 e 113
Cost.,  i  quali, nell'imporre all'autorita' giudiziaria di applicare
la  legge,  «non le consentono certo di colmare pretese inadeguatezze
della  legge  sulla  base  di  considerazioni  di  opportunita'  e in
assoluta mancanza di dati normativi legittimanti».
    1.3.2.  -  La  Regione  ricorrente  osserva, poi, che il richiamo
operato  dalla sentenza impugnata «al vecchio art. 17, comma 3, dello
Statuto,  in  questa  prospettiva,  non solo non e' conferente, ma e'
addirittura controproducente».
    Secondo   quanto  affermato  nella  sentenza,  proprio  la  norma
predetta  assumerebbe rilievo in quanto essa «espressamente demandava
alla legge dello Stato di stabilire gli altri casi di ineleggibilita'
e  di  incompatibilita»,  la'  dove  con la riforma di cui alla legge
costituzionale  n. 2  del  2001  il  senso dell'abrogazione del terzo
comma del citato art. 17 e' stato solo quello di «sostituire la legge
regionale  a  quella statale, quale fonte di integrazione dei casi di
ineleggibilita'  e  di incompatibilita' con le cariche di consigliere
regionale».
    Tuttavia,  il  fatto  che  il  riferimento alla legge statale sia
venuto  meno  avrebbe, contrariamente a quanto opinato dalla Corte di
cassazione,   «rilievo   dirimente».  Osserva,  infatti,  la  Regione
Sardegna  che  attualmente lo Statuto non consente in nessun caso che
le  cause  di  ineleggibilita'  e di incompatibilita' siano stabilite
dalla  legge  statale,  dovendo  esse  esser  previste soltanto dallo
Statuto  medesimo  ed  eventualmente  dalla  legge regionale. Orbene,
nell'avvedersi  di  siffatta  novita', la sentenza impugnata «afferma
che  il  legislatore  regionale  avrebbe  il dovere di intervenire in
materia,  cosi' come lo avrebbe avuto prima, il legislatore statale».
Siffatta  asserzione,  pero',  da  un  lato, comporta che la Corte di
cassazione  riconosca  implicitamente  l'attuale  esistenza  di  «una
riserva  di  legge regionale (tra l'altro, a procedimento speciale)»;
dall'altro,  «rende  logicamente  insostenibili  le  conclusioni  poi
raggiunte»,   giacche'   «la   ritenuta  carenza  della  legislazione
regionale  non  potrebbe mai essere surrogata dall'applicazione della
legge  statale»,  ma,  se  del  caso,  «potrebbe  in  ipotesi  essere
sanzionata  in  sede  di controllo di costituzionalita' sulla pretesa
omissione  legislativa  commessa dal legislatore regionale». Sicche',
argomenta  ancora  la  ricorrente, la Corte di cassazione non avrebbe
errato    nell'interpretazione    della    normativa    vigente,   ma
«arbitrariamente  e  in  carenza  assoluta  di  potere  applicato una
normativa  del  tutto  inconferente,  che le fonti costituzionali non
vogliono sia estesa alla Regione Sardegna».
    1.3.3.  -  La  ricorrente  lamenta,  inoltre,  che  la  Corte  di
cassazione  non  avrebbe  osservato,  con  l'impugnata  decisione, le
«statuizioni»   della  sentenza  n. 85  del  1988  di  questa  Corte,
affermando   che   tale   pronuncia   non   avrebbe  presupposto  «la
inapplicabilita' in radice» della legge n. 154 del 1981 alle elezioni
dei   consiglieri   regionali   sardi,   ma   solo  alla  «parte  che
interessa[va]»   in  quel  giudizio,  e  cioe'  avuto  riguardo  alla
specifica  incompatibilita' della carica di consigliere regionale con
quella di sindaco.
    Ad  avviso della Regione Sardegna, siffatta ricostruzione sarebbe
«del  tutto  errata», giacche' dalla lettura della sentenza n. 85 del
1988  si  evincerebbe  chiaramente che, sia in riferimento ai casi di
ineleggibilita'  che  a  quelli  di  incompatibilita',  si era inteso
«escludere  proprio  quello che ora la Corte di cassazione afferma, e
cioe'  che  (a prescindere dalla coincidenza o meno con le previsioni
statutarie)  la legge statale potesse e possa applicarsi alla Regione
Sardegna  in  mancanza  di  un  esplicito  riferimento  alla  Regione
medesima».
    Peraltro,  aggiunge  la  ricorrente,  non potrebbe addursi che il
precedente  del  1988  sia ormai eccessivamente «risalente», giacche'
esso,  oltre  a  riferirsi  «ad  una  situazione normativa assai meno
favorevole  all'autonomia  regionale  di  quella conseguente la legge
cost.  n. 2  del  2001»,  troverebbe  anche conforto nella successiva
sentenza  n. 29  del  2003,  nella  quale  si  afferma che «non e' in
discussione  [...] la competenza della legge regionale a disciplinare
-  in  armonia  con  la  Costituzione  e  i principi dell'ordinamento
giuridico  della Repubblica -, insieme alle modalita' di elezione del
Consiglio  regionale, i casi di ineleggibilita' e di incompatibilita'
relativi  alle  cariche  elettive  regionali (art. 15, secondo comma,
primo  periodo,  dello  statuto  sardo,  come  modificato e integrato
dall'art. 3  della legge costituzionale 31 gennaio 2001, n. 2; e cfr.
anche  l'art. 122,  primo  comma, della Costituzione, come modificato
dall'art. 2 della legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1)».
    Cio'  costituirebbe  ulteriore conferma del fatto che la Corte di
cassazione  non sarebbe incorsa in un mero error in iudicando, bensi'
nel «vizio di esercizio di un potere del tutto estraneo alla funzione
giurisdizionale».
    1.3.4.  -  La  Regione  Sardegna deduce, inoltre, che non sarebbe
producente  il  richiamo operato dalla sentenza impugnata all'art. 57
dello  statuto (che recita: «Nelle materie attribuite alla competenza
della  regione, fino a quando non sia diversamente disposto con leggi
regionali,  si  applicano le leggi dello Stato»), giacche' tale norma
non ha impedito di «pervenire alle conclusioni raggiunte con la sent.
n. 85  del  1988»,  dovendosi  reputare che essa «altro non e' che la
traduzione  testuale  del principio di continuita». E tuttavia, nella
materia   delle   ineleggibilita'  e  delle  incompatibilita',  «tale
principio  e'  stato  posto  da  canto  dallo  stesso Statuto, che ha
direttamente  disciplinato  la  questione  con  le  previsioni di cui
all'art. 17,  riservando l'integrazione delle disposizioni statutarie
alla sola legge regionale (art. 15)».
    1.3.5.  -  La  ricorrente  si  sofferma, poi, sul richiamo che la
decisione   impugnata   opera   all'art. 3,   comma 3,   della  legge
costituzionale n. 2 del 2001, osservando che «nemmeno tale previsione
puo'  confortare  le  asserzioni  della  sentenza  gravata, e anzi le
smentisce  (tanto  che la ricorrente regione Sardegna la invoca, qui,
quale parametro)».
    Secondo  la  ricorrente, «il richiamo alla legislazione (statale)
vigente  per  le elezioni delle Regioni ordinarie e' da imputare alla
nota  intenzione  del  legislatore  costituzionale  di  generalizzare
(almeno  in  una  prima  fase  transitoria),  anche  per  le  Regioni
speciali,  la  scelta  in favore dell'elezione diretta del Presidente
della  Regione, dalla quale si attendevano effetti di stabilizzazione
delle  maggioranze  consiliari».  Sicche', le modifiche «conseguenti»
cui  si  fa  riferimento  «sono  proprio  e solo quelle che risultano
necessarie    per   rendere   operativo   lo   specifico   meccanismo
dell'elezione  diretta,  tra  le  quali non possono essere ricomprese
quelle  in  materia  di ineleggibilita' e di incompatibilita». Non vi
sarebbe,  pertanto,  «alcun  richiamo  alle  norme statali vigenti in
materia».
    Cio',  peraltro,  troverebbe  conferma  nell'art. 1  della stessa
legge  costituzionale n. 2 del 2001, relativo alla Regione siciliana,
che scolpirebbe «con chiarezza e senza approssimazione» la nozione di
«modificazioni  conseguenti»,  come quelle «che si rendono necessarie
in   seguito   alla   ridefinizione   delle   modalita'  di  elezione
dell'Esecutivo regionale, in particolare del suo Presidente».
    Del  resto,  opinando diversamente, «ne avremmo che una riduzione
radicale  degli  spazi  di  autonomia  della  Regione Sardegna», come
identificati  dalla  stessa  sentenza  n. 85 del 1988, «sarebbe stata
introdotta  da una legge costituzionale (che oltretutto intendeva, al
contrario,  valorizzare  le  autonomie  speciali,  prendendo atto dei
paralleli  e  contemporanei progressi di quelle ordinarie) in forma a
dir poco oscura e indiretta».
    La  ricorrente  rileva,  inoltre, che la Corte di cassazione, nel
propendere  per  la tesi avversa, avrebbe «rovesciato almeno due suoi
chiari  e vicini precedenti». Difatti, con la sentenza 6 luglio 2002,
n. 9831,  riferendosi all'art. 1, comma 3, della legge costituzionale
n. 2   del   2001,   relativo  alla  Regione  Siciliana  (equivalente
all'art. 3,   comma 3,   relativo  alla  Regione  Sardegna),  avrebbe
«espressamente  escluso  che il riferimento alla legislazione statale
da  applicarsi  nelle more dell'adozione della nuova legge elettorale
regionale  fosse  anche  a  quella in materia di ineleggibilita' e di
incompatibilita».  E,  con  un'ulteriore  pronuncia, relativa proprio
alla  Regione Sardegna ed alla fattispecie di incompatibilita' tra la
carica di sindaco e quella di consigliere regionale (in ragione della
popolazione  del  comune),  avrebbe argomentatamente riconosciuto che
«l'integrazione  delle cause di ineleggibilita' e di incompatibilita'
previste  dallo  Statuto, pur se ritenuta opportuna de iure condendo,
sarebbe  certo preclusa all'autorita' giudiziaria poiche' questa deve
restare   entro   i  limiti  delle  sue  attribuzioni  fissati  dalla
Costituzione».
    Secondo  la  Regione  Sardegna,  non potrebbe neppure invocarsi a
sostegno  dell'orientamento  espresso  nella  impugnata  pronuncia di
legittimita'  la  sentenza n. 232 del 2006 di questa Corte, in quanto
«le   disposizioni  relative  alla  Sardegna  e  quelle  relative  al
Trentino-Alto  Adige,  infatti,  non  coincidono»,  giacche' la norma
relativa   alla  Regione  Sardegna  (art. 3,  comma 3)  si  riferisce
specificamente  «alle  sole  modificazioni  dello  Statuto  regionale
«conseguenti»  l'introduzione  dell'elezione  diretta  del presidente
della   Regione»,  mentre  quella  relativa  al  Trentino-Alto  Adige
(art. 4,  comma 4)  si  riferisce «all'intera legge generale prevista
dall'art. 47  dello  Statuto  di  quella Regione», e cioe' alla legge
che,  ai  sensi dello stesso art. 47, comma 2, concerne anche «i casi
di  ineleggibilita' e di incompatibilita». Tale differenza tra le due
discipline,  oltre ad essere evidente, non sarebbe neppure «casuale o
ingiustificata»,  tenuto  conto,  da  un  lato,  che  «il legislatore
costituzionale  era ben consapevole del regime dei rapporti tra legge
statale  e  legge  regionale identificato per la Sardegna dalla sent.
n. 85  del  1988»  e,  dall'altro, che «l'art. 17 dello Statuto della
Sardegna   contiene  una  disciplina  (pur  apoditticamente  ritenuta
inadeguata  dalla  Corte di cassazione) delle ineleggibilita' e delle
incompatibilita'  ben  piu'  ampia di quella di cui all'art. 28 dello
Statuto del Trentino-Alto Adige».
    Ne  consegue  -  ad  avviso  della  Regione  ricorrente  - che la
sentenza  impugnata  avrebbe  violato  «palesemente»  anche l'art. 3,
commi 2  e  3,  della  legge  costituzionale  n. 2  del  2001, che si
limiterebbe,  in via transitoria, «ad imporre la generalizzazione del
sistema   dell'elezione   diretta  del  presidente  della  regione  e
l'applicazione della legge statale relativa alle Regioni ordinarie in
assenza   di   una  diversa  (conseguente!)  legislazione  elettorale
regionale»,   lasciando   pero'   «intatta»   (e  anzi  ulteriormente
rafforzata,  con  la novellazione dell'art. 17) «la scelta statutaria
di  sottrarre  la  Regione  Sardegna all'applicazione della normativa
statale  in materia di ineleggibilita' e incompatibilita' dettata per
le Regioni a statuto ordinario».
    1.3.6.  -  La  Regione Sardegna conclude, nel merito, rammentando
che  la disciplina delle ineleggibilita' e delle incompatibilita' dei
consiglieri regionali della Regione Sardegna, dettata dalla normativa
di rango costituzionale, sarebbe costituita:
        a) dall'art. 17  dello  Statuto,  che «definisce direttamente
alcune cause di ineleggibilita' e di incompatibilita», prevedendo che
«L'ufficio  di  consigliere  regionale e' incompatibile con quello di
membro  di una delle Camere o di un altro Consiglio regionale o di un
sindaco  di un comune con popolazione superiore a diecimila abitanti,
ovvero di membro del Parlamento europeo» (comma 2);
        b) dall'art. 15  dello  Statuto,  il quale stabilisce «che la
regione e solo la regione, nell'esercizio di una potesta' legislativa
esclusiva,  prevede, con legge approvata a maggioranza dei componenti
del  Consiglio  regionale,  ulteriori  cause  di ineleggibilita' e di
incompatibilita»;
        c) dall'art. 3,  commi 2 e 3, della legge costituzionale n. 2
del 2001, che prevede che alle elezioni del Consiglio Regionale della
Sardegna  si  applicano le norme statali «solo limitatamente a quelle
previsioni  che sono consequenziali alla scelta dell'elezione diretta
del presidente della regione».
    Prosegue  la  ricorrente  affermando  che  «il combinato disposto
delle  disposizioni sin qui ricordate impedisce che nella materia che
ne   occupa  trovi  applicazione  l'art. 57  dello  Statuto»  e  che,
«quand'anche   l'art. 57   potesse   trovare  applicazione,  la  sola
normativa statale in materia di ineleggibilita' e di incompatibilita'
che  potrebbe  estendersi  alla Regione Sardegna sarebbe quella che a
detta  Regione  espressamente  si riferisse», come rilevato da questa
Corte con la sentenza n. 85 del 1988.
    Con  cio'  -  si  evidenzia  nel ricorso - la Corte di cassazione
avrebbe  «indebitamente e illegittimamente invaso una materia che non
solo  e'  riservata  alla  Regione  Sardegna, ma e' affidata alla sua
competenza  esclusiva»,  avvalendosi «di un potere (di rimediare, con
una  scelta  di  pura  opportunita',  a  ritenute inadeguatezze della
normativa   vigente)   che  gli  artt. 101,  102,  111  e  113  della
Costituzione non conferiscono all'autorita' giudiziaria».
    1.4.  -  In  punto  di  ammissibilita'  del  ricorso,  la Regione
Sardegna  sostiene  che,  nel  caso  di specie, non ricorrerebbero le
ragioni  che  avevano  indotto  questa  Corte  a  dichiarare,  con la
sentenza  n. 29  del  2003,  inammissibile  un  ricorso della Regione
Sardegna  avverso  taluni provvedimenti giurisdizionali in materia di
ineleggibilita'  e  incompatibilita',  proprio  perche'  i motivi del
ricorso si atteggiavano a denuncia «di semplici errores in iudicando,
e non di lesioni delle attribuzioni costituzionalmente spettanti alla
Regione».  Con  il  presente  ricorso  non  si «lamenta certo la mera
erroneita'   delle   statuizioni  giurisdizionali»,  ma  si  contesta
«proprio   la   radicale   carenza  di  potere  (per  rapporto,  alle
attribuzioni costituzionali dell'autorita' giudiziaria)», la quale si
risolverebbe  «in  pregiudizio immediato per la regione ricorrente, a
causa   della   evidente   lesione  della  sua  sfera  di  autonomia,
costituzionalmente garantita».
    1.5.  -  Di  qui,  la  stessa  domanda  di  sospensione  ai sensi
dell'art. 40   della   legge   11 marzo   1953,  n. 87  (Norme  sulla
costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), essendo
ravvisabili  le  gravi  ragioni  -  come nell'analogo caso deciso con
l'ordinanza  n. 94  del  1980  di  questa  Corte  - nel fatto che «la
Regione  e' costretta a subire, in forza dell'illegittima statuizione
impugnata, un'alterazione della composizione del consiglio regionale,
che     incide     sul    corretto    funzionamento    dell'Assemblea
rappresentativa».
    2. - Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  il  quale  ha  concluso per l'inammissibilita' del ricorso, e
«dell'unita  istanza  cautelare»,  e,  comunque,  per  il rigetto nel
merito.
    2.1.  - Un primo profilo di inammissibilita' deriverebbe, secondo
la  difesa  erariale, dalla tardivita' del ricorso perche' notificato
oltre  i  60  giorni stabiliti dall'art. 39, primo comma, della legge
n. 87  del  1953,  che  alternativamente  decorrerebbero, a norma del
secondo   comma  dello  stesso  art. 39,  «...dalla  notificazione  o
pubblicazione  ovvero  dall'avvenuta conoscenza dell'atto impugnato».
Difatti,  l'impugnata  sentenza  della  Corte  di Cassazione e' stata
depositata il 24 luglio 2006, mentre la notificazione del ricorso per
conflitto  di attribuzione e' avvenuta il 4 ottobre 2006, dovendosi a
tal  fine  ritenere  che  «il  termine  perentorio  per  proporre  il
conflitto di attribuzione decorra dalla pubblicazione della sentenza,
che  ne  determina,  oltre  all'efficacia  (da  cui deriva l'asserita
lesivita),  anche  la  conoscibilita'  legale  e  non,  invece, dalla
successiva  notificazione,  atteso  che la Regione Sardegna era parte
costituita   (contro-ricorrente   e   ricorrente   incidentale)   nel
procedimento svoltosi dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione». Ne',
peraltro,  la Regione ricorrente potrebbe avvalersi della sospensione
dei  termini  durante il periodo feriale, giacche' la legge 7 ottobre
1969,   n. 742  (Sospensione  dei  termini  processuali  nel  periodo
feriale)   «si   riferisce   alle   sole  giurisdizioni  ordinaria  e
amministrativa, talche' non puo' essere estesa ai procedimenti che si
svolgono davanti alla Corte Costituzionale».
    2.2.   -   Altro   profilo   di   inammissibilita'   del  ricorso
conseguirebbe  dalla  circostanza  che  il  ricorso  per conflitto di
attribuzione  non  sembra  esser stato notificato anche alla Corte di
cassazione,  quale  «organo  che  ha  emanato  l'atto, come prescrive
l'art. 27  delle  Norme  integrative per i giudizi dinanzi alla Corte
Costituzionale  16 marzo  1956  al comma 2 (aggiunto dall'art 9 della
Delibera  del  10  giugno 2004  )».  Ne'  -  asserisce  la difesa del
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  -  «potrebbe  essere ormai
disposta l'integrazione del contraddittorio essendo decorsi i termini
per la proposizione del ricorso».
    2.3. - Ad avviso dell'Avvocatura, ulteriori ragioni militerebbero
per l'inammissibilita' del ricorso.
    Deduce,  infatti,  la  difesa dello Stato che la Regione autonoma
ricorrente  «non  contesta  l'esistenza  del  potere giurisdizionale,
[...]  contesta,  invece,  l'interpretazione contenuta nella sentenza
della Corte di Cassazione e, in particolare, la scelta della norma da
applicare,  che  rientra  nella funzione istituzionale della Corte di
Cassazione, in quanto secondo la Regione Sardegna la disciplina delle
cause  di  incompatibilita'  sarebbe  contenuta,  in modo completo ed
esaustivo,  nello  Statuto  speciale,  senza  alcuna  possibilita' di
integrazione da parte della legge n. 154/1981».
    Si  tratterebbe,  dunque,  di  una  controversia  concernente una
questione  di  interpretazione del diritto vigente e che «non attiene
all'esistenza (od al superamento dei confini) della giurisdizione, al
di  la' di quanto lamentato dalla Regione Sardegna la quale si duole,
in  realta',  dell'interpretazione  data  allo  Statuto dalla Suprema
Corte».
    L'Avvocatura  ribadisce,  dunque,  che la presente fattispecie e'
sovrapponibile   a   quella   decisa   da  questa  Corte,  nel  senso
dell'inammissibilita',  con la sentenza n. 29 del 2003, non potendosi
anche nel caso in esame ravvisare un superamento dei limiti assegnati
alla  funzione  giudiziaria, ma, eventualmente, «un caso di errore di
diritto nelle argomentazioni e nelle statuizioni della sentenza». Del
resto,  che  la  Regione  Sardegna  non  contesti  una vera e propria
«disapplicazione»   di   una   norma   regionale,   quanto  piuttosto
un'interpretazione   erronea   di   essa  da  parte  della  Corte  di
Cassazione,   si   evincerebbe   dal   fatto   che  «l'eccesso  o  lo
straripamento  di  potere,  per  «assoluta mancanza di dati normativi
legittimanti»   e'  piu'  declamata  che  concretamente  dimostrata»,
essendo stati riprodotti nel ricorso per conflitto di attribuzione «i
medesimi  motivi  articolati  nel  ricorso  per Cassazione e, gia' in
precedenza,  sviluppati  nel  giudizio  di  merito  che  si e' svolto
dinanzi al Tribunale ed alla Corte di Appello di Cagliari».
    In   definitiva,   argomenta   ancora   la  difesa  erariale,  si
tratterebbe,  nel caso all'esame, soltanto di «un'interpretazione del
diritto  vigente  che,  lungi dall'applicare una normativa «del tutto
inconferente»,   come   sostenuto   dalla   Regione   Sardegna  [...]
«arbitrariamente  ed  in  carenza  assoluta di potere», rientra nella
tipica  funzione  di  «nomofilachia» istituzionalmente demandata alla
Corte di Cassazione».
    2.4.  -  Quanto,  poi, alla domanda di sospensione dell'efficacia
della  sentenza  impugnata,  l'Avvocatura  dello  Stato,  richiamando
anch'essa   la  l'ordinanza  n. 94  del  1980,  esclude  che  possano
ravvisarsi    gli    estremi    delle   «gravi   ragioni»,   giacche'
dall'esecuzione  della stessa sentenza «non puo' derivare un concreto
ed  attuale  pregiudizio  alla funzionalita' dell'Assemblea regionale
della   Sardegna,   dovendo  quest'ultima  limitarsi  a  disporre  la
surrogazione del consigliere decaduto».
    3.  -  La  Regione  autonoma della Sardegna ha depositato in data
31 ottobre 2006 copia del ricorso notificato alla Corte di cassazione
il  25 ottobre 2006, unitamente all'avviso di fissazione dell'udienza
pubblica per il 21 novembre 2006.
    4.   -  In  data  13 novembre  2006,  a  seguito  della  predetta
notificazione,  la «Corte Suprema di Cassazione, in persona del Primo
Presidente  pro tempore, e la I Sezione Civile della Corte Suprema di
Cassazione  in  persona  del  Presidente pro tempore, rappresentate e
difese  dall'Avvocatura Generale dello Stato» - si sono costituite in
giudizio,  con  un  unico  «atto  di  costituzione»,  concludendo per
l'inammissibilita'  o  comunque  per  l'infondatezza  del  ricorso  e
dell'istanza cautelare.
    «Sull'ammissibilita' e la tempestivita' dell'intervento [...] nel
presente  giudizio»,  la difesa della Corte di cassazione osserva che
la  notificazione  del  ricorso  all'organo  che  ha  emanato  l'atto
impugnato   e'   innovazione   seguita   alla  modifica  delle  norme
integrative  -  avvenuta con deliberazione della Corte costituzionale
in  data  10  giugno 2004  -  e, segnatamente, dell'art. 27, comma 2.
Sicche',  proprio  facendo  leva  su  tale  innovazione,  «la recente
ordinanza  n. 353  del  2006  -  resa  nel  giudizio per conflitto di
attribuzione  tra  Enti promosso dalla Regione Veneto a seguito di un
atto  di  fissazione dell'udienza di trattazione adottato dal giudice
istruttore  presso  il tribunale civile di Roma in un procedimento di
risarcimento   del   danno   da  diffamazione  nei  confronti  di  un
consigliere  regionale - ha ordinato che il ricorso, notificato dalla
regione ricorrente soltanto al Presidente del Consiglio dei ministri,
venisse  notificato anche al Tribunale di Roma». Sostiene la Corte di
cassazione  che  «puo',  dunque,  trarsi la conclusione secondo cui -
fermi  i  contraddittori  necessari del conflitto intersoggettivo nel
Presidente del Consiglio dei ministri (che rappresenta lo Stato nella
sua unitarieta) e nella regione - al, autore dell'atto da cui origina
il  conflitto,  e'  dato  intervenire nel processo per fare valere le
ragioni di correttezza costituzionale dell'atto giurisdizionale».
    In   riferimento,  poi,  «alla  difesa  tecnica  della  Corte  di
cassazione,  essa  puo'  essere senz'altro esercitata dall'Avvocatura
Generale  dello  Stato», senza che sia di ostacolo la circostanza che
l'Avvocatura  «sia gia', nella specie, in giudizio come difensore del
Presidente del Consiglio dei ministri».
    Tanto  premesso  «in punto di ammissibilita' dell'intervento», la
difesa erariale «eccepisce la mancata notifica, in calce o pedissequa
al   ricorso   proposto   dalla  Regione  Sardegna,  dell'istanza  di
abbreviazione dei termini e del decreto presidenziale che ha disposto
la   riduzione   dei   termini   processuali»,   osservando  che,  in
considerazione  di  tale omessa notificazione, «si e' ritenuto che il
dimezzamento  dei  termini  riguardasse  unicamente  i termini per il
deposito  delle  memorie in vista della trattazione orale all'udienza
del  21 novembre  2006  e  non  il  termine  di  venti  giorni per la
costituzione dell'autorita' giudiziaria evocata in giudizio». In caso
contrario   -   si   conclude   sul   punto  -  sarebbe  giustificato
«l'accoglimento  della  richiesta,  che  si  avanza  in via meramente
subordinata,  di  rimessione  nel  termine  per  la  costituzione  in
giudizio per errore scusabile».
    L'Avvocatura     generale    dello    Stato    eccepisce,    poi,
l'inammissibilita' del ricorso «per tardivita» della sua proposizione
e,  sotto  diverso  profilo,  perche'  esso  si  risolverebbe in «uno
strumento  improprio  di censura del modo di esercizio della funzione
giurisdizionale»,   avendo   la  Regione  ricorrente  contestato,  in
realta',  l'interpretazione  contenuta  nella sentenza della Corte di
cassazione  «e,  in  particolare, la scelta della norma da applicare,
che rientra nella funzione istituzionale della Corte di cassazione».
    A  sostegno  di  siffatte  eccezioni  vengono  addotte  le stesse
argomentazioni   gia'   sviluppate   nell'atto  di  costituzione  del
Presidente del Consiglio dei ministri.
    5. - In prossimita' dell'udienza ha depositato memoria la Regione
autonoma della Sardegna, insistendo nelle conclusioni gia' rassegnate
nel ricorso.
    La  difesa  regionale, nel replicare alle deduzioni difensive del
Presidente  del Consiglio dei ministri, osserva, quanto all'eccezione
di  inammissibilita'  per  tardivita'  del ricorso, che essa sarebbe,
ancor  prima  che  infondata,  «incomprensibile»,  giacche' l'art. 39
della   legge   n. 87   del  1953  prevede  anzitutto  un  regime  di
notificazione   dell'atto   e,   dunque,  «e'  appunto  quello  della
notificazione  il  dies  dal  quale  inizia  a  decorrere  il termine
decadenziale».
    Peraltro,  argomenta  sempre  la  regione,  l'art. 22 della legge
n. 87   del   1953  prevede  che,  nei  giudizi  innanzi  alla  Corte
costituzionale,   si  osservano  le  norme  del  regolamento  per  la
procedura innanzi al Consiglio di Stato, il cui art. 1 stabilisce che
il   termine   per   la   proposizione   del  ricorso  decorre  dalla
notificazione del provvedimento amministrativo; cosi' come l'art. 28,
secondo comma, della legge n. 1034 del 1971 prevede che il termine di
60  giorni  per  proporre appello al Consiglio di Stato decorre dalla
notificazione  della  sentenza  di  primo  grado.  Il ricorso sarebbe
pertanto tempestivo.
    Nella  memoria  si  sostiene,  poi,  che  anche l'eccezione sulla
mancata osservanza dell'art. 27 delle norme integrative per i giudizi
dinanzi  alla  Corte  costituzionale  sarebbe infondata. Si dovrebbe,
infatti,  ritenere  che «quella a soggetti diversi dal Presidente del
Consiglio  dei  ministri  e' una notificazione ulteriore del ricorso,
che  non  puo'  essere  confusa con la prima, condizione necessaria e
sufficiente  per  la  valida instaurazione del giudizio». Sicche', la
ricorrente,   «proprio   per  ottemperare  al  disposto  delle  Norme
Integrative»  ha  provveduto,  dopo  aver  notificato l'originale del
ricorso  al  solo  Presidente  del  Consiglio,  a notificare, in data
25 ottobre  2006,  il ricorso in copia autentica, oltre all'avviso di
fissazione  dell'udienza,  «sia  alla Suprema corte di cassazione che
alla  Sez.  I  civile  della  stessa  Corte,  ai  sensi dell'art. 27,
comma 2,  «  delle  norme  integrative. Peraltro, soggiunge la difesa
regionale,  la  «correttezza» di tale scelta sarebbe confermata dalla
recente  ordinanza  n. 353  del  2006 di questa Corte, che in analoga
controversia   ha   ordinato   la  notificazione  del  ricorso  anche
all'organo che aveva adottato l'atto impugnato.
    Quanto,  poi,  all'eccezione  di  inammissibilita'  che  si fonda
sull'asserita denuncia di un error in iudicando, la regione ribadisce
le ragioni gia' sostenute in ricorso, deducendo altresi' che la Corte
di    cassazione    non   avrebbe   commesso   un   semplice   errore
nell'individuazione    delle   norme   da   applicare,   ma   avrebbe
«illegittimamente  disapplicato  l'art. 17,  comma 1,  dello  Statuto
della  Regione  Sardegna».  Ed  infatti,  non  potrebbe  parlarsi  di
semplice  error  in  iudicando  la'  dove,  lungi dal farsi scorretta
applicazione   dei   criteri   ordinatori  delle  fonti,  si  «scarti
l'applicazione  di  una  certa  norma  pel  solo fatto che essa viene
giudicata  inadeguata  in  forza  di  un  puro giudizio di valore (di
opportunita)»,  non  consentito,  nel nostro ordinamento, al giudice,
che puo' disapplicare una fonte legale solo in ipotesi tassativamente
previste».
    6.   -  In  prossimita'  dell'udienza  anche  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  la  Corte Suprema di cassazione e la prima
Sezione  civile della stessa Corte di cassazione hanno congiuntamente
depositato memoria con la quale insistono nelle proposte eccezioni di
inammissibilita'  del  ricorso e, comunque, nella declaratoria di non
fondatezza dello stesso, nonche' dell'istanza cautelare.

                       Considerato in diritto

    1.  - La Regione autonoma della Sardegna ha impugnato la sentenza
della  Corte  di cassazione n. 16889 del 24 luglio 2006, notificatale
il  7 agosto  2006,  chiedendo  a questa Corte «di dichiarare che non
spetta allo Stato, e per esso alla Corte di cassazione, dichiarare la
decadenza  di  un  consigliere regionale della Regione autonoma della
Sardegna  perche'  versante in situazione di pretesa incompatibilita'
ai  sensi  della  legge 23 aprile 1981, n. 154, e, conseguentemente e
per  l'effetto,  annullare,  previa sospensione, la predetta sentenza
della  Corte  di  cassazione,  con  la  quale  e' stata dichiarata la
decadenza   dell'On.   Andrea   Mario  Biancareddu  dalla  carica  di
consigliere regionale della Regione Sardegna».
    1.1. - Il conflitto trae origine dalla controversia sulla pretesa
incompatibilita'  del predetto Biancareddu alla carica di consigliere
regionale  ai sensi degli artt. 2, primo comma, numero 11, e 3, primo
comma, numero 1, della legge 23 aprile 1981, n. 154 (Norme in materia
di  ineleggibilita'  ed  incompatibilita' alle cariche di consigliere
regionale,  provinciale,  comunale e circoscrizionale e in materia di
incompatibilita'  degli addetti al Servizio sanitario nazionale), «in
quanto alla data del giorno fissato per il deposito delle candidature
rivestiva  la  carica  di  Presidente  e  legale  rappresentante  del
Consorzio  per  la  Zona Industriale di interesse regionale di Tempio
Pausania,  ente dipendente della Regione o quantomeno sottoposto alla
sua vigilanza».
    Con  sentenza  del marzo  2005,  il  Tribunale  di Cagliari aveva
ritenuto, «che la causa di ineleggibilita' non ricorresse perche' non
applicabile  alle  elezioni  del  Consiglio  Regionale  della Regione
Sardegna  la  legge n. 154 del 1981»; sul punto, tale sentenza veniva
confermata  da quella di secondo grado, emessa dalla Corte di appello
di Cagliari nel luglio 2005. A seguito di impugnazione della sentenza
d'appello,  la  Corte  di  cassazione,  con  la sentenza n. 16889 del
24 luglio 2006, dichiarava invece «la decadenza del Biancareddu dalla
carica  di  consigliere  regionale  della  Regione  Sardegna, poiche'
presidente  di  un  ente  vigilato dalla regione, e in quanto tale in
situazione di incompatibilita' giusta la legge n. 154 del 1981».
    1.2.  -  Ad  avviso  della  regione, sarebbero gravemente lesive,
unitamente   alle   «statuizioni   di  cui  in  dispositivo»,  talune
affermazioni  contenute  nella  impugnata  sentenza,  alle  quali  e'
conseguita  la  statuizione di decadenza del Biancareddu dalla carica
di  consigliere  regionale.  Sicche',  la  Corte  di  cassazione - si
asserisce  nel  ricorso  -  avrebbe  «gravemente leso le attribuzioni
costituzionali  della  ricorrente  Regione  autonoma della Sardegna»,
violando gli artt. 15, 17 e 57 della legge costituzionale 26 febbraio
1948,  n. 3  (Statuto  speciale  per  la Sardegna), e 3, commi 2 e 3,
della   legge  costituzionale  31 gennaio  2001,  n. 2  (Disposizioni
concernenti l'elezione diretta dei presidenti delle regioni a statuto
speciale  e  delle  province  autonome di Trento e Bolzano), anche in
riferimento agli artt. 101, 102, 111 e 113 della Costituzione.
    A   sostegno   della  dedotta  grave  menomazione  delle  proprie
attribuzioni,  la  ricorrente  ha  argomentato  in forza di plurime e
concorrenti ragioni, le quali possono sintetizzarsi come di seguito.
    1.2.1  -  Nonostante  asserisca  di  aver  fatto uso del criterio
dell'interpretazione  «costituzionalmente  orientata» della normativa
vigente,  la  Corte  di  cassazione  -  sostiene  anzitutto la difesa
regionale  -  sarebbe  andata  «ben  oltre  i  limiti  logici di tale
criterio»,   distorcendone  gravemente  il  senso.  Con  la  sentenza
impugnata,   infatti,   essa   avrebbe   ravvisato   una   causa   di
incompatibilita'  «la'  dove  lo Statuto della Regione Sardegna [...]
non  la  prevedeva  (ne'  consentiva  che  fosse  prevista  da  fonte
statale)»,   in  tal  modo  travalicando  «i  limiti  della  funzione
giurisdizionale»,  come  definiti  dagli  artt. 101,  102,  111 e 113
Cost.,  i  quali, nell'imporre all'autorita' giudiziaria di applicare
la  legge,  «non le consentono certo di colmare pretese inadeguatezze
della  legge  sulla  base  di  considerazioni  di  opportunita'  e in
assoluta mancanza di dati normativi legittimanti».
    1.2.2.  -  Secondo  quanto  affermato nella sentenza, il «vecchio
art. 17,  comma 3,  dello  Statuto [...] espressamente demandava alla
legge dello Stato di stabilire gli altri casi di ineleggibilita' e di
incompatibilita»;  detto terzo comma e' stato abrogato con la riforma
di  cui  alla  legge costituzionale n. 2 del 2001. Tuttavia, il senso
dell'abrogazione  del  terzo  comma  del citato art. 17 e' stato solo
quello  di  «sostituire  la  legge  regionale a quella statale, quale
fonte   di   integrazione   dei   casi   di   ineleggibilita'   e  di
incompatibilita'  con  le cariche di consigliere regionale». Sicche',
argomenta  la  Regione,  la  Corte  di  cassazione non avrebbe errato
nell'interpretazione  della  normativa vigente, ma «arbitrariamente e
in  carenza  assoluta  di  potere  applicato  una normativa del tutto
inconferente,  che  le  fonti  costituzionali non vogliono sia estesa
alla Regione Sardegna».
    1.2.3.  -  La  Corte  di  cassazione non avrebbe poi osservato le
«statuizioni»   della  sentenza  n. 85  del  1988  di  questa  Corte,
affermando   che   detta   pronuncia   non  avrebbe  presupposto  «la
inapplicabilita' in radice» della legge n. 154 del 1981 alle elezioni
dei   consiglieri   regionali   sardi,   ma   solo  alla  «parte  che
interessa[va]»   in  quel  giudizio,  e  cioe'  avuto  riguardo  alla
specifica  incompatibilita' della carica di consigliere regionale con
quella  di  sindaco.  Ad  avviso  della  Regione  Sardegna,  siffatta
ricostruzione  sarebbe  «del  tutto  errata»,  giacche' dalla lettura
della  sentenza n. 85 del 1988 si evincerebbe chiaramente che, sia in
riferimento   ai   casi   di   ineleggibilita'   che   a   quelli  di
incompatibilita',  si  era inteso «escludere [...] che (a prescindere
dalla  coincidenza  o  meno  con  le  previsioni statutarie) la legge
statale  potesse e possa applicarsi alla Regione Sardegna in mancanza
di   un  esplicito  riferimento  alla  Regione  medesima».  Peraltro,
aggiunge  la  ricorrente,  il  precedente  del  1988 troverebbe anche
conforto  nella  successiva  sentenza  n. 29 del 2003, nella quale si
afferma  che  «non  e' in discussione [...] la competenza della legge
regionale  a  disciplinare  -  in  armonia  con  la  Costituzione e i
principi  dell'ordinamento giuridico della Repubblica -, insieme alle
modalita'   di   elezione   del   Consiglio   regionale,  i  casi  di
ineleggibilita'  e di incompatibilita' relativi alle cariche elettive
regionali».  Cio'  costituirebbe  ulteriore conferma del fatto che la
Corte  di  cassazione  non  sarebbe  incorsa  in  un  mero  error  in
iudicando,  bensi'  nel  «vizio  di  esercizio di un potere del tutto
estraneo alla funzione giurisdizionale».
    1.2.4.  -  Si  assume  inoltre,  nel  ricorso,  che  non  sarebbe
producente  il  richiamo operato dalla sentenza impugnata all'art. 57
dello  statuto  sardo  -  il  quale  stabilisce  che:  «Nelle materie
attribuite  alla  competenza  della  regione,  fino  a quando non sia
diversamente  disposto  con  leggi  regionali,  si applicano le leggi
dello Stato» - giacche' tale norma non ha impedito di «pervenire alle
conclusioni  raggiunte  con  la  sent.  n. 85  del  1988»,  dovendosi
reputare  che  essa  «altro  non  e'  che  la traduzione testuale del
principio   di   continuita».   E   tuttavia,   nella  materia  delle
ineleggibilita'  e  delle  incompatibilita', «tale principio e' stato
posto da canto dallo stesso Statuto, che ha direttamente disciplinato
la  questione  con  le  previsioni  di  cui  all'art. 17,  riservando
l'integrazione   delle   disposizioni   statutarie  alla  sola  legge
regionale (art. 15)».
    1.2.5.  -  Neppure  il  richiamo all'art. 3, comma 3, della legge
costituzionale  n. 2  del  2001,  potrebbe  «confortare le asserzioni
della  sentenza  gravata» e cioe' che tale norma non rinvierebbe alla
legge  statale  solo  per quanto concerne il procedimento elettorale,
bensi' per l'intera disciplina della elezione dei consigli regionali,
nella     quale     sarebbero    compresi    «anche    gli    aspetti
dell'ineleggibilita' alla carica e della compatibilita' di questa con
altri  uffici».  Ad  avviso  della  Regione  ricorrente,  la sentenza
impugnata  avrebbe  invece  violato «palesemente» anche il richiamato
art. 3  della legge costituzionale n. 2 del 2001, che si limiterebbe,
in  via  transitoria,  «ad  imporre  la  generalizzazione del sistema
dell'elezione  diretta  del presidente della regione e l'applicazione
della legge statale relativa alle Regioni ordinarie in assenza di una
diversa  (conseguente!) legislazione elettorale regionale», lasciando
pero' «intatta» (e anzi ulteriormente rafforzata, con la novellazione
dell'art. 17), «la scelta statutaria di sottrarre la Regione Sardegna
all'applicazione    della    normativa    statale   in   materia   di
ineleggibilita'  e  incompatibilita' dettata per le Regioni a statuto
ordinario».
    1.2.6.  -  Peraltro,  prosegue  la  difesa regionale, la Corte di
cassazione,  nel  propendere per la tesi avversa, avrebbe «rovesciato
almeno due suoi chiari e vicini precedenti». Difatti, con la sentenza
6 luglio  2002, n. 9831, riferendosi all'art. 1, comma 3, della legge
costituzionale   n. 2  del  2001,  relativo  alla  Regione  siciliana
(equivalente  all'art. 3,  comma 3,  relativo alla Regione Sardegna),
avrebbe  «espressamente  escluso che il riferimento alla legislazione
statale  da  applicarsi  nelle  more  dell'adozione della nuova legge
elettorale   regionale   fosse   anche   a   quella   in  materia  di
ineleggibilita'  e  di  incompatibilita».  Con  l'ulteriore pronuncia
n. 12806  del  10 luglio 2004, relativa proprio alla Regione Sardegna
ed  alla  fattispecie  di incompatibilita' tra la carica di sindaco e
quella  di  consigliere  regionale  (in ragione della popolazione del
comune),  avrebbe  argomentatamente  riconosciuto che «l'integrazione
delle  cause  di ineleggibilita' e di incompatibilita' previste dallo
Statuto,  pur  se  ritenuta opportuna de iure condendo, sarebbe certo
preclusa  all'autorita' giudiziaria poiche' questa deve restare entro
i limiti delle sue attribuzioni fissati dalla Costituzione».
    1.2.7.  -  Secondo  la  Regione  Sardegna,  non  potrebbe neppure
invocarsi  a  sostegno  dell'orientamento  espresso  nella  impugnata
pronuncia  la  sentenza  n. 232  del  2006  di  questa  Corte che, in
riferimento  all'art. 4, comma 4, della legge costituzionale n. 2 del
2001, ha ritenuto che «e' la stessa legge costituzionale [...] a fare
salva,  in  via  transitoria,  non  gia'  la  competenza  legislativa
regionale,  ma  le  leggi elettorali «vigenti» emanate da chi, fino a
quel  momento,  aveva  la  relativa  competenza». Cio', in quanto «le
disposizioni   relative   alla   Sardegna   e   quelle   relative  al
Trentino-Alto Adige [...] non coincidono».
    1.3.  - In conclusione, la Corte di cassazione avrebbe, ad avviso
della   ricorrente,  «indebitamente  e  illegittimamente  invaso  una
materia  che  non  solo  e'  riservata  alla  Regione Sardegna, ma e'
affidata alla sua competenza esclusiva», da esercitare con «una legge
c.d.   «statutaria»  (che  potremmo  anche  definire  «organica»)  da
approvare a maggioranza speciale assoluta dei componenti». Il giudice
di legittimita' avrebbe, dunque, esercitato «un potere (di rimediare,
con  una  scelta di pura opportunita', a ritenute inadeguatezze della
normativa   vigente)   che  gli  artt. 101,  102,  111  e  113  della
Costituzione non conferiscono all'autorita' giudiziaria».
    2.   -  Devono  essere  esaminate,  anzitutto,  le  eccezioni  di
inammissibilita'  del  ricorso sollevate dal Presidente del Consiglio
dei ministri.
    2.1.  - Un primo profilo di inammissibilita' deriverebbe, secondo
la  difesa  erariale, dalla tardivita' del ricorso perche' notificato
oltre  i  sessanta  giorni stabiliti dall'art. 39, primo comma, della
legge  n. 87  del  1953, che alternativamente decorrerebbero, a norma
del  secondo  comma  dello  stesso  art. 39,  «dalla  notificazione o
pubblicazione  ovvero  dall'avvenuta conoscenza dell'atto impugnato».
Sul presupposto che l'impugnata sentenza della Corte di Cassazione e'
stata  depositata  il  24 luglio  2006,  mentre  la notificazione del
ricorso  per conflitto di attribuzione e' avvenuta il 5 ottobre 2006,
si  sostiene  che  il termine perentorio per proporre il conflitto di
attribuzione  avrebbe  dovuto  decorrere  dalla  pubblicazione  della
sentenza,  «che  ne  determina,  oltre  all'efficacia  (da cui deriva
l'asserita  lesivita),  anche la conoscibilita' legale e non, invece,
dalla  successiva  notificazione,  atteso che la Regione Sardegna era
parte  costituita  (contro-ricorrente  e  ricorrente incidentale) nel
procedimento  svoltosi  dinanzi  alla  Suprema  Corte di Cassazione».
Peraltro,   argomenta   ancora   l'Avvocatura  generale,  la  Regione
ricorrente  neppure  potrebbe  invocare  la  sospensione  dei termini
durante  il periodo feriale, giacche' la legge 7 ottobre 1969, n. 742
(Sospensione  dei termini processuali nel periodo feriale), «non puo'
essere  estesa  ai  procedimenti  che  si svolgono davanti alla Corte
Costituzionale».
    L'eccezione non e' fondata.
    Per  giurisprudenza  costante,  che  muove  gia'  dalla risalente
sentenza   n. 82  del  1958,  l'atto  che  puo'  formare  oggetto  di
impugnazione  deve  essere  portato  a conoscenza del soggetto cui la
legge  attribuisce  la  potesta'  di agire. Pertanto, nei giudizi per
conflitto   di   attribuzione   tra   enti,   la   notificazione,  la
pubblicazione  o  la  conoscenza del provvedimento impugnato, ai fini
della  decorrenza  del  termine di 60 giorni di cui all'art. 39 della
legge  n. 87  del  1953,  debbono  intendersi  riferite  agli  organi
legittimati a proporre il ricorso, cioe', per lo Stato, al Presidente
del  Consiglio  dei  ministri  e, per la Regione, al Presidente della
Giunta  regionale,  come  stabilito  dal  secondo  comma dell'art. 39
citato.  Orbene,  come risulta dalla stessa sentenza impugnata, parte
del giudizio dinanzi alla Corte di cassazione non e' stata la Regione
in  persona  del  suo  Presidente  bensi'  il Consiglio Regionale, in
persona del Presidente del tale organo.
    Sicche',  non  puo'  sostenersi  che  la  Regione, in persona del
Presidente della Giunta regionale, legittimato a proporre ricorso per
conflitto  di attribuzioni, abbia avuto «conoscibilita' legale» (come
si  esprime  la  difesa  erariale) della sentenza in quanto parte del
giudizio  nel  quale  la  stessa  e'  stata emessa. Va, dunque, fatta
risalire  alla  data  di  notificazione  (7 agosto 2006) alla Regione
autonoma  della  Sardegna,  in  persona  del  Presidente della Giunta
regionale pro tempore, la conoscenza della sentenza impugnata; donde,
il  rispetto  del termine di 60 giorni per la notifica del ricorso al
Presidente del Consiglio dei ministri, avvenuta il 5 ottobre 2006.
    2.2.  -  Ulteriore  eccezione  di  inammissibilita'  del  ricorso
concerne la sua mancata notificazione anche alla Corte di cassazione,
quale  «organo che ha emanato l'atto», come prescrive l'art. 27 delle
Norme  integrative  per  i  giudizi dinanzi alla Corte Costituzionale
16 marzo 1956, al comma 2 (aggiunto dall'art. 9 della Delibera del 10
giugno 2004).  Ne'  -  asserisce  ancora la difesa del Presidente del
Consiglio   dei   ministri   -   «potrebbe   essere   ormai  disposta
l'integrazione  del  contraddittorio essendo decorsi i termini per la
proposizione del ricorso».
    Neanche siffatta eccezione e' fondata.
    La   notificazione   del   ricorso  -  unitamente  all'avviso  di
fissazione dell'udienza pubblica per il 21 novembre 2006 - alla Corte
di  cassazione,  da  parte  della Regione autonoma della Sardegna, e'
stata   effettuata   il   25 ottobre  2006,  con  deposito  dell'atto
notificato  in data 31 ottobre 2006. Sicche', prima della discussione
in  udienza  pubblica  del  conflitto (21 novembre 2006), la Corte di
cassazione  ha  potuto fruire, ai sensi del quarto comma dell'art. 27
delle  norme integrative, di 20 giorni liberi, dalla data di notifica
del  ricorso,  per  intervenire  in  giudizio;  intervento  che si e'
concretamente realizzato.
    3.  -  Il conflitto deve invece essere dichiarato inammissibile -
come  eccepito  anche  dal  resistente  Presidente  del Consiglio dei
ministri  - per la circostanza che la Regione Sardegna ha denunciato,
in effetti, dei semplici errores in iudicando.
    3.1.  -  A  tal  riguardo,  questa Corte e' chiamata a verificare
anzitutto  se  il  ricorso  per  conflitto,  al  di la' delle formali
asserzioni  a  corredo della prospettazione, si traduca «in strumento
atipico  di  impugnazione»  dell'atto  giurisdizionale  e  come  tale
risulti,  quindi,  inammissibile.  Non  vi e' dubbio, infatti, che il
conflitto  intersoggettivo  (come,  peraltro, anche quello tra poteri
dello Stato) possa riguardare un atto giurisdizionale, la' dove pero'
la  stessa  proposizione  del  conflitto  non  si risolva in un mezzo
improprio   di   censura   del   modo  di  esercizio  della  funzione
giurisdizionale  (tra  le  altre, sentenze n. 326, n. 276 e n. 29 del
2003,  n. 27  del  1999,  n. 357  del  1996, n. 175 e n. 99 del 1991,
n. 285  del 1990, n. 70 del 1985, n. 183 e n. 98 del 1981, n. 289 del
1974),   giacche'   avverso  «gli  errori  in  iudicando  di  diritto
sostanziale   o  processuale,  infatti,  valgono  i  rimedi  consueti
riconosciuti    dagli    ordinamenti    processuali   delle   diverse
giurisdizioni;  non  vale  il  conflitto  di  attribuzione» (cosi' la
citata  sentenza n. 27 del 1999). E' chiaro, quindi, che il conflitto
non   puo'   surrettiziamente  trasformarsi  in  un  nuovo  grado  di
giurisdizione  avente portata tendenzialmente generale. Difatti, come
precisato  ancora dalla sentenza n. 27 del 1999, «avendo [...] per lo
piu'  le  situazioni  soggettive  delle regioni base diretta o almeno
indiretta in norme di rango costituzionale attributive di competenza,
la  gran  parte  dei motivi di doglianza da parte delle stesse contro
decisioni   giurisdizionali   finirebbe   per   potersi   trasformare
automaticamente  in motivo del ricorso per conflitto di attribuzione,
con  evidente  forzatura  dei  caratteri  propri  di  quest'ultimo  e
alterazione dei rapporti tra la giurisdizione costituzionale e quella
riconosciuta a istanze giurisdizionali non costituzionali».
    3.2.   -  A  fronte  delle  specifiche  censure  che  la  regione
ricorrente ha mosso alla sentenza impugnata (censure sintetizzate nei
precedenti  punti da 1.2.1 a 1.2.7.), deve osservarsi che il percorso
interpretativo  che  ha condotto la Corte di cassazione ad esprimersi
nel  senso  «dell'attuale  applicabilita',  in via sussidiaria, della
disciplina delle ineleggibilita' e incompatibilita' di cui alla legge
154   del   1981   nel   territorio   della  Sardegna»,  si  colloca,
dichiaratamente, nel solco del «combinato contesto degli artt. 15, 17
e  57  dello Statuto della Regione Sardegna [...] e dell'art. 3 della
legge  costituzionale 31 gennaio 2001, n. 2». Alle argomentazioni che
fanno  leva  sulla  lettura  delle predette norme si coniugano quelle
ulteriori  ragioni  giuridiche  tratte  dal significato che la stessa
sentenza  ascrive,  oltre  che  agli  artt. 3 e 97, all'art. 51 della
Costituzione,  rilevando  la  posizione  eminente che la stessa norma
assume  ai  fini di «un equo bilanciamento tra il diritto individuale
di  elettorato  passivo  e  la  tutela  delle  cariche pubbliche, cui
possono  accedere  solo  coloro che sono in possesso delle condizioni
che tali cariche per loro natura richiedono».
    Sicche', secondo lo stesso provvedimento oggetto di conflitto, e'
«in  coerenza  e  in  funzione»  della  «esigenza  costituzionale  di
completezza  del  regime  di  disciplina  dell'accesso  alle  cariche
elettive»,   che   andrebbe  «letto  l'art. 57  dello  Statuto  della
Sardegna, che [...] consente l'applicazione della legge statale, se e
fin  quando  la  Regione  non  abbia  legiferato nelle materie di sua
competenza». Peraltro, sempre ad avviso della Corte di cassazione, al
fine  di  porre  rimedio  al  paventato  «vuoto legislativo», la tesi
dell'applicabilita'  sussidiaria  della legge statale n. 154 del 1981
riceverebbe  ulteriore  conforto  proprio dall'art. 3, comma 3, della
legge  costituzionale  n. 2  del  2001, il quale non rinvierebbe alla
legge  statale  solo  per quanto concerne il procedimento elettorale,
bensi' per l'intera disciplina della elezione dei consigli regionali,
nella     quale     sarebbero    compresi    «anche    gli    aspetti
dell'ineleggibilita' alla carica e della compatibilita' di questa con
altri uffici».
    Non  e' senza rilievo, poi, il fatto che sia proprio la impugnata
sentenza della Corte di cassazione a porsi il problema dell'esistenza
di altro indirizzo interpretativo con cui doversi confrontare e cioe'
quello  espresso,  segnatamente,  con  la  sentenza n. 85 del 1988 di
questa   Corte,   ovvero   quello   presente   in  seno  alla  stessa
giurisprudenza   di   legittimita'   (Cass.   n. 12806   del   2004),
puntualizzando,  tra  l'altro,  come, in quelle differenti occasioni,
venisse  in discussione il caso dell'incompatibilita' della carica di
consigliere  regionale con quella di sindaco, effettivamente regolato
dallo  statuto  (art. 17),  e per il quale - differentemente dal caso
oggetto  della  presente cognizione - e' esclusa l'applicazione della
normativa statuale.
    3.3.  -  Alla luce di quanto teste' messo in rilievo, non e' dato
addebitare  alla  motivazione  della  sentenza  di aver travalicato i
«limiti   logici»   del  criterio  dell'interpretazione  adeguatrice,
nonche' di aver condotto un'indagine improntata a mere considerazioni
di   «opportunita»   e   «in  assoluta  mancanza  di  dati  normativi
legittimanti»,   giacche'   proprio  su  tali  dati  si  incentra  la
motivazione  del provvedimento denunciato, tanto da far assumere alle
norme  di rango costituzionale sopra ricordate (art. 57 dello statuto
di  autonomia  e  art. 3 della legge costituzionale n. 2 del 2001) il
ruolo   di   perno   sul  cui  ruota  l'intero  asse  portante  delle
argomentazioni a corredo della decisione.
    Si  deve, quindi, ritenere che la Corte di cassazione sia giunta,
nella  sentenza  impugnata  dalla  Regione Sardegna, alla conclusione
dell'applicabilita',  in  via  sussidiaria,  della  disciplina  delle
ineleggibilita'  e  delle  incompatibilita' di cui alla legge 154 del
1981  nel  territorio  della  Sardegna,  in  forza di un ragionamento
giuridico che si avvale degli ordinari criteri interpretativi. E cio'
a  prescindere,  naturalmente,  da  ogni  valutazione  in ordine alla
correttezza o meno della soluzione adottata.
    3.4.  -  Di qui, dunque - come del resto nell'analogo caso deciso
da  questa  Corte con la sentenza n. 29 del 2003 - l'inammissibilita'
del  conflitto,  che  si traduce, in realta', in strumento atipico di
impugnazione  della  sentenza  n. 16889  del 2006 della prima sezione
civile della Corte di cassazione.
    Ne    consegue,    altresi',   che   l'istanza   di   sospensione
dell'efficacia  del  provvedimento  impugnato  rimane assorbita dalla
presente decisione.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  inammissibile  il  conflitto  di attribuzione sollevato
dalla  Regione  autonoma della Sardegna nei confronti dello Stato, in
relazione  alla  sentenza  della  Corte  di cassazione, sezione prima
civile,  del  24 luglio  2006,  n. 16889,  con il ricorso in epigrafe
indicato.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, l'8 gennaio 2007.
                         Il Presidente: Bile
                       Il redattore: Maddalena
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 19 gennaio 2007.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
07C0054