N. 22 SENTENZA 22 gennaio - 2 febbraio 2007

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Straniero   e   apolide   -  Espulsione  amministrativa  -  Reato  di
  trattenimento,  senza  giustificato  motivo,  nel  territorio dello
  Stato  in  violazione  dell'ordine  di allontanamento impartito dal
  questore  - Trattamento sanzionatorio - Reclusione da uno a quattro
  anni  -  Dedotta  disparita'  di trattamento rispetto a fattispecie
  analoghe  -  Richiesta  di intervento sul trattamento sanzionatorio
  riservato  alla discrezionalita' del legislatore - Inammissibilita'
  delle  questioni  -  Sollecito al legislatore volto al riequilibrio
  dei trattamenti sanzionatori in materia.
- D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5-ter, primo periodo,
  come  sostituito  dall'art. 1  del  d.l. 14 settembre 2004, n. 241,
  convertito,   con  modificazioni,  dalla  legge  12 novembre  2004,
  n. 271.
- Costituzione, art. 3.
Straniero   e   apolide   -  Espulsione  amministrativa  -  Reato  di
  trattenimento,  senza  giustificato  motivo,  nel  territorio dello
  Stato  in  violazione  dell'ordine  di allontanamento impartito dal
  questore  - Trattamento sanzionatorio - Reclusione da uno a quattro
  anni  -  Dedotta  lesione  del  principio  di  ragionevolezza  e di
  proporzionalita'  della pena - Necessario apprezzamento in concreto
  dell'offensivita'   delle   condotte   sanzionate  -  Richiesta  di
  intervento    sul    trattamento   sanzionatorio   riservato   alla
  discrezionalita' del legislatore - Inammissibilita' delle questioni
  -  Sollecito al legislatore per un intervento volto al riequilibrio
  dei trattamenti sanzionatori in materia.
- D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5-ter, primo periodo,
  come  sostituito  dall'art. 1  del  d.l. 14 settembre 2004, n. 241,
  convertito,   con  modificazioni,  dalla  legge  12 novembre  2004,
  n. 271.
- Costituzione, art. 3.
Straniero   e   apolide   -  Espulsione  amministrativa  -  Reato  di
  trattenimento,  senza  giustificato  motivo,  nel  territorio dello
  Stato  in  violazione  dell'ordine  di allontanamento impartito dal
  questore  - Trattamento sanzionatorio - Reclusione da uno a quattro
  anni - Limite minimo edittale di un anno di reclusione - Violazione
  del  principio  di  proporzionalita'  della  pena  -  Disparita' di
  trattamento   rispetto   a  fattispecie  analoghe  -  Richiesta  di
  intervento   riservato  alla  discrezionalita'  del  legislatore  -
  Inammissibilita'  della questione - Sollecito al legislatore per un
  intervento  volto  al  riequilibrio dei trattamenti sanzionatori in
  materia.
- D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5-ter, primo periodo,
  come  sostituito  dall'art. 1  del  d.l. 14 settembre 2004, n. 241,
  convertito,   con  modificazioni,  dalla  legge  12 novembre  2004,
  n. 271.
- Costituzione, art. 3.
Straniero   e   apolide   -  Espulsione  amministrativa  -  Reato  di
  trattenimento,  senza  giustificato  motivo,  nel  territorio dello
  Stato  in  violazione  dell'ordine  di allontanamento impartito dal
  questore  -  Trattamento  sanzionatorio  -  Lamentato irragionevole
  perseguimento  di finalita' processuali attraverso la previsione di
  un  trattamento  sanzionatorio  compatibile  con  l'adozione di una
  misura  cautelare  coercitiva  -  Denunciata  lesione del principio
  della   finalita'  rieducativa  della  pena  e  della  liberta'  di
  circolazione - Inammissibilita' di un intervento manipolativo sulla
  entita'   delle   pene   fissate  dal  legislatore  -  Superfluita'
  dell'esame   delle   ulteriori  censure  -  Inammissibilita'  delle
  questioni.
- D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5-ter, primo periodo,
  come  sostituito  dall'art. 1  del  d.l. 14 settembre 2004, n. 241,
  convertito,   con  modificazioni,  dalla  legge  12 novembre  2004,
  n. 271.
- Costituzione, artt. 2, 3, 16 e 27.
Straniero   e   apolide   -  Espulsione  amministrativa  -  Reato  di
  trattenimento,  senza  giustificato  motivo,  nel  territorio dello
  Stato  in  violazione  dell'ordine  di allontanamento impartito dal
  questore  -  Arresto  obbligatorio  - Denunciata irragionevolezza e
  lamentata   lesione   della   liberta'  personale  dell'imputato  -
  Questione proposta su un quadro normativo ipotetico derivante dalla
  eventuale   dichiarazione   di  illegittimita'  costituzionale  del
  trattamento   sanzionatorio   massimo  -  Difetto  di  rilevanza  -
  Inammissibilita' della questione.
- D.Lgs.  25 luglio  1998,  n. 286,  art. 14, comma 5-quinquies, come
  sostituito   dall'art. 1   del   d.l.  14 settembre  2004,  n. 241,
  convertito,   con  modificazioni,  dalla  legge  12 novembre  2004,
  n. 271.
- Costituzione, artt. 2, 3, 13 e 27.
Straniero   e   apolide   -  Espulsione  amministrativa  -  Reato  di
  trattenimento,  senza  giustificato  motivo,  nel  territorio dello
  Stato  in  violazione  dell'ordine  di allontanamento impartito dal
  questore  -  Arresto  obbligatorio  - Denunciata irragionevolezza e
  lamentata  lesione della liberta' personale dell'imputato - Carenza
  di  motivazione  sul denunciato contrasto con i parametri evocati -
  Inammissibilita' delle questioni.
- D.Lgs.  25 luglio  1998,  n. 286,  art. 14, comma 5-quinquies, come
  sostituito   dall'art. 1   del   d.l.  14 settembre  2004,  n. 241,
  convertito,   con  modificazioni,  dalla  legge  12 novembre  2004,
  n. 271.
- Costituzione, artt. 2, 3, 13 e 27.
(GU n.6 del 7-2-2007 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Giovanni Maria FLICK;
  Giudici:  Francesco  AMIRANTE,  Ugo  DE  SIERVO, Romano VACCARELLA,
Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso  QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA,
Gaetano  SILVESTRI,  Sabino  CASSESE,  Maria  Rita  SAULLE,  Giuseppe
TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 5-ter,
primo periodo, e comma 5-quinquies, del decreto legislativo 25 luglio
1998,   n. 286   (Testo   unico  delle  disposizioni  concernenti  la
disciplina   dell'immigrazione   e   norme   sulla  condizione  dello
straniero), come sostituiti dall'art. 1 della legge 12 novembre 2004,
n. 271  (Conversione  in  legge, con modificazioni, del decreto-legge
14 settembre 2004, n. 241, recante disposizioni urgenti in materia di
immigrazione),  promossi  con  ordinanze  del  10 dicembre 2004 e del
20 gennaio  2005  dal  Tribunale  di Genova, del 24 febbraio 2005 dal
Tribunale  di Torino, del 4 maggio 2005 dal Tribunale di Bologna, del
13 aprile  2005  dal  Tribunale  di  Torino,  del  9  giugno 2005 dal
Tribunale  di Ancona (sezione distaccata di Jesi), dell'8 giugno 2005
dal Tribunale di Gorizia, del 2 luglio 2005 dal Tribunale di Trieste,
del  25 maggio  2005  dal Tribunale di Milano, del 30 maggio 2005 dal
Tribunale  di  Trani  e  del 14 ottobre 2005 dal Tribunale di Verona,
rispettivamente  iscritte  ai  nn. 93,  267, 332, 344, 351, 459, 461,
487,  518  e  585 del registro ordinanze 2005 e al n. 65 del registro
ordinanze 2006, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica,
numeri  10,  21,  27,  28,  29,  39,  40, 43 e 51, 1ª serie speciale,
dell'anno 2005 e n. 11, 1ª serie speciale, dell'anno 2006.
    Visti l'atto di costituzione, fuori termine, di R.A.F.E., nonche'
gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nella  Camera  di consiglio del 6 dicembre 2006 il giudice
relatore Gaetano Silvestri.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Il  Tribunale  di  Genova in composizione monocratica, con
ordinanza  del  10 dicembre  2004  (reg.  ord.  n. 93  del  2005), ha
sollevato  -  in  riferimento  agli  artt. 3 e 27, terzo comma, della
Costituzione - questione di legittimita' costituzionale dell'art. 14,
comma 5-ter,  del  decreto  legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo
unico  delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione
e   norme   sulla  condizione  dello  straniero)  -  come  sostituito
dall'art. 1  della  legge  12 novembre  2004,  n. 271 (Conversione in
legge,   con  modificazioni,  del  decreto-legge  14 settembre  2004,
n. 241,  recante  disposizioni  urgenti in materia di immigrazione) -
nella  parte in cui prevede la pena della reclusione da uno a quattro
anni  per  lo  straniero che, senza giustificato motivo, si trattenga
nel   territorio   dello   Stato   in   violazione   dell'ordine   di
allontanarsene,  impartitogli  dal  questore  a  norma del precedente
comma 5-bis.
    Il   rimettente   procede  alla  celebrazione  del  giudizio  nei
confronti  di  persona di nazionalita' estera, trattenutasi in Italia
nonostante  la  rituale  notifica  dell'ordine  di lasciare il Paese,
senza  alcuna allegazione di un giustificato motivo per il contestato
inadempimento.    Terminata   la   discussione,   dovendo   procedere
all'eventuale deliberazione di una sentenza di condanna, il giudice a
quo rileva che i valori edittali della sanzione da irrogare sarebbero
irragionevolmente  alti,  tanto  da  comportare  una  violazione  dei
principi  di  uguaglianza  e di necessaria finalizzazione rieducativa
della pena.
    L'incongruenza  del  trattamento sanzionatorio sarebbe manifesta,
anzitutto,  alla  luce  della  vicenda  evolutiva  che  ha segnato la
materia. Appena due anni prima dell'ultimo intervento di riforma, cui
si  deve  l'attuale  previsione,  il  legislatore  aveva delineato la
figura  di «indebito trattenimento» quale illecito contravvenzionale,
punito con sanzioni relativamente modeste. Nel testo introdotto dalla
legge  n. 271  del  2004,  la  condotta  e'  sanzionata  invece quale
delitto,  e soprattutto e' intervenuto un «macroscopico» inasprimento
della  sanzione,  quadruplicata  nel  massimo  e  corrispondente, nel
minimo, al valore piu' alto della precedente previsione edittale. Una
variazione  cosi'  esasperata  non  troverebbe giustificazione in una
modificazione   sostanziale  del  fenomeno  posto  ad  oggetto  della
disciplina  (e'  citata,  al  riguardo,  l'ordinanza  di questa Corte
n. 368 del 1995).
    D'altra  parte  il  legislatore, a parere del rimettente, avrebbe
reso  esplicita  la  reale finalita' del proprio intervento, mirato a
contrastare  gli  effetti della sentenza n. 223 del 2004, con cui era
stata  dichiarata  l'illegittimita'  dell'art. 14, comma 5-quinquies,
del  d.lgs. n. 286 del 1998, nella parte in cui stabiliva che, per il
reato   previsto   dal  precedente  comma 5-ter,  fosse  obbligatorio
l'arresto  dell'autore  del  fatto. In sostanza, la sanzione edittale
sarebbe  stata  aumentata  al  fine  precipuo  di  conferirle  valori
compatibili con una nuova previsione di arresto in flagranza. Secondo
il  giudice  a  quo, la «trasposizione di un'esigenza processuale nel
diritto  penale  sostanziale»  sarebbe sintomo evidente della rottura
del rapporto di proporzionalita' tra fatto e pena.
    Il   rimettente   prospetta   una  violazione  del  principio  di
uguaglianza anche attraverso il raffronto fra il trattamento previsto
per  il  reato  de quo e quello riservato ad altre ipotesi criminose,
che  sarebbero  ad  esso  comparabili  in  quanto consistenti, a loro
volta,    nella    disobbedienza   ad   un   provvedimento   adottato
dall'autorita'   amministrativa   per  ragioni  di  ordine  pubblico.
L'art. 650   del  codice  penale,  anzitutto,  punisce  con  la  pena
dell'arresto  fino  a  tre  mesi,  o addirittura con la sola ammenda,
l'inosservanza  di  un  provvedimento  legalmente dato per ragioni di
giustizia o di sicurezza pubblica o d'ordine pubblico o di igiene. E'
poi  proposta  una  comparazione con l'art. 2 della legge 27 dicembre
1956,  n. 1423  (Misure  di  prevenzione  nei confronti delle persone
pericolose  per  la  sicurezza):  il  contravventore al foglio di via
obbligatorio,  che  oltretutto (a differenza dello straniero espulso)
sarebbe  persona  concretamente e non solo potenzialmente pericolosa,
e' punito con la pena dell'arresto da uno a sei mesi.
    In  definitiva,  secondo il rimettente, il contrasto tra la norma
censurata  e l'art. 3 Cost. risulterebbe evidente una volta comparate
le  attuali  sanzioni  sia  con  le  pene  previste  per  la medesima
fattispecie  appena  due  anni  prima,  sia  con  le pene attualmente
comminate per comportamenti illeciti della stessa natura.
    Dal  difetto  di  proporzione  scaturirebbe  anche una violazione
dell'art. 27,   terzo   comma,   Cost.,   posto  che  solo  una  pena
proporzionata al fatto puo' esplicare una vera funzione rieducativa.
    1.1.  - Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato, si e' costituito con
atto depositato il 29 marzo 2005.
    Secondo   la  difesa  erariale,  la  questione  proposta  sarebbe
infondata.
    In  effetti,  il  reato di «indebito trattenimento» sarebbe stato
valutato  con  severita' fin dal 2002, tanto da prescrivere l'arresto
obbligatorio  del responsabile nonostante la natura contravvenzionale
dell'illecito.  Con  il  successivo  intervento  di  riforma, poi, il
legislatore   avrebbe  tenuto  distinte  varie  ipotesi  di  condotta
conseguente  all'espulsione,  conservando  la forma contravvenzionale
per  le fattispecie meno gravi, e dunque adottando una ragionevole ed
articolata dosimetria della pena.
    Sarebbe  infine  ingiustificata,  sempre a parere dell'Avvocatura
dello Stato, l'assimilazione della norma censurata alle previsioni di
cui  all'art. 650  cod.  pen.  ed  all'art. 2 della legge n. 1423 del
1956.  Non  vi  sarebbe piena coincidenza, infatti, tra gli interessi
pubblici  coinvolti  dalle  varie  condotte  criminose, posto che, in
materia  di  immigrazione, assumono specifico rilievo anche i vincoli
di  carattere  internazionale  e  la  politica  di governo dei flussi
migratori.  In  ogni  caso,  anche  nell'ambito della normativa sugli
stranieri,    il    legislatore    avrebbe    disegnato    in   forma
contravvenzionale  condotte  effettivamente  assimilabili in punto di
gravita' a quelle assunte quali tertia comparationis, come l'indebito
trattenimento  del  soggetto  espulso per non aver chiesto il rinnovo
del  permesso di soggiorno gia' ottenuto. La norma censurata, invece,
sanzionerebbe  condotte  ben  piu'  gravi,  perche' conseguenti ad un
ingresso   clandestino   nel   territorio  dello  Stato  o  ad  altri
comportamenti equipollenti.
    2.  -  Il  Tribunale  di  Genova in composizione monocratica, con
ordinanza  del  20 gennaio  2005  (reg.  ord.  n. 267  del  2005), ha
sollevato  -  in  riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. -
questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 5-ter,
del  d.lgs.  n. 286 del 1998, come sostituito dall'art. 1 della legge
n. 271  del 2004, nella parte in cui prevede la pena della reclusione
da  uno  a  quattro  anni  per  lo  straniero che, senza giustificato
motivo,  si  trattenga  nel  territorio  dello  Stato  in  violazione
dell'ordine  di allontanarsene, impartitogli dal questore a norma del
precedente comma 5-bis.
    Il  Tribunale,  all'esito  del  giudizio nei confronti di persona
trattenutasi  in Italia nonostante la rituale notifica dell'ordine di
lasciare  il Paese, deve procedere alla deliberazione della sentenza,
e  ritiene  che i valori edittali della sanzione da infliggere per il
caso  di  condanna  siano  irragionevolmente  alti,  comportando  una
violazione   del   principio   di   uguaglianza   e   di   necessaria
finalizzazione rieducativa della pena.
    L'inasprimento    sanzionatorio    deliberato    nel   2004   non
risponderebbe  a  mutate esigenze di politica criminale, ma alla sola
finalita'  di «surrettiziamente ripristinare l'arresto obbligatorio»,
come  dovrebbe  desumersi,  secondo  il rimettente, dalla successione
riscontrabile  tra  la sentenza n. 223 del 2004 (che aveva dichiarato
l'illegittimita'   della   previsione   concernente   l'arresto),  il
decreto-legge  n. 241  del  2004  (il  cui  tenore, ferma restando la
natura  contravvenzionale  della  fattispecie,  mirava  a  sopprimere
formalmente  la  previsione  dichiarata  illegittima)  e  la legge di
conversione  n. 271  del  2004  (segnata  invece dalla trasformazione
dell'indebito  trattenimento  in  fattispecie  delittuosa, e di fatto
mirata - come risulterebbe da vari passaggi dei lavori parlamentari -
a  fissare  la pena in guisa da consentire, a norma dell'art. 280 del
codice  di  procedura penale, l'adozione della misura cautelare della
custodia in carcere, e da legittimare, conseguentemente, la rinnovata
previsione dell'arresto obbligatorio).
    In  primo  luogo, dunque, il giudice a quo ravvisa una violazione
dell'art. 3   Cost.   in  ragione  dell'assenza,  per  l'inasprimento
sanzionatorio,  di  una  giustificazione  realmente  connessa  ad  un
mutamento  sostanziale  del fenomeno regolato. La previsione edittale
della  pena  contrasterebbe poi, specie per quanto concerne il valore
minimo,  con  il  principio  di proporzionalita', essendo tra l'altro
riferibile ad un reato di mero pericolo.
    Un   segnale   di  incongruenza  della  norma  censurata  sarebbe
costituito,  secondo il Tribunale, dalla parificazione oggi esistente
tra  la  pena fissata per l'indebito trattenimento e quella comminata
nella  prima  parte dell'art. 13, comma 13-bis, del piu' volte citato
d.lgs.  n. 286  del 1998, che punisce lo straniero gia' colpito da un
provvedimento  giudiziale di espulsione e rientrato indebitamente nel
territorio  dello  Stato.  Sarebbe,  questa, una fattispecie ben piu'
grave  di  quella in esame, perche' realizzata - con un comportamento
attivo   e   non   semplicemente  omissivo  -  da  un  soggetto  gia'
responsabile  di  altro reato e gia' destinatario da un provvedimento
che  presuppone  la  sua concreta pericolosita'. Non a caso, a parere
del  rimettente,  il  legislatore aveva tenuto ben distinti i livelli
sanzionatori  fino  alla  legge  n. 271  del 2004, che avrebbe invece
equiparato,  del  tutto arbitrariamente, il trattamento di situazioni
tanto diverse.
    Una  violazione  ulteriore  del  principio  di  uguaglianza  (per
l'analogo  trattamento  instaurato  tra  fattispecie  eterogenee)  si
riscontrerebbe  rapportando  la norma censurata alla previsione della
seconda  parte  del  citato  comma 13-bis  dell'art. 13,  a sua volta
riformata  nel  2004:  il  minimo edittale ancor oggi previsto per la
condotta dello straniero rientrato in Italia dopo l'esecuzione di due
precedenti  provvedimenti  di espulsione, considerata tanto grave che
il  massimo  della pena e' stato portato a cinque anni di reclusione,
coincide  esattamente  con il minimo fissato, nella norma de qua, per
il  comportamento  assai  meno  significativo  dell'inottemperanza al
primo ordine del questore.
    Il rimettente conclude osservando che la sproporzione per eccesso
delle  sanzioni  comminate dall'art. 14, comma 5-ter, non emerge solo
dal raffronto con altre previsioni incriminatrici dello stesso d.lgs.
n. 286  del  1998. Sarebbe infatti ingiustificata anche la differenza
di   trattamento  instaurata  con  fattispecie  criminose  ulteriori,
assimilabili  perche' relative a fenomeni di disobbedienza rispetto a
provvedimenti assunti per ragioni di ordine pubblico: il riferimento,
nella specie, riguarda l'art. 650 cod. pen.
    La  violazione  del  principio  di  proporzionalita',  secondo il
giudice   a   quo,  priverebbe  la  pena  della  necessaria  funzione
rieducativa, posto che l'autore del reato non potrebbe viverla se non
quale  punizione  immeritata,  con conseguente induzione ad ulteriori
comportamenti trasgressivi.
    3.  -  Il  Tribunale  di  Torino in composizione monocratica, con
ordinanza  del  24 febbraio  2005  (reg.  ord.  n. 332  del 2005), ha
sollevato  -  in  riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. -
questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 5-ter,
del  d.lgs.  n. 286 del 1998, come sostituito dall'art. 1 della legge
n. 271  del 2004, nella parte in cui prevede la pena della reclusione
da  uno  a  quattro  anni  per  lo  straniero che, senza giustificato
motivo,  si  trattenga  nel  territorio  dello  Stato  in  violazione
dell'ordine  di allontanarsene, impartitogli dal questore a norma del
precedente comma 5-bis.
    Il  rimettente, chiamato a celebrare il giudizio nei confronti di
persona  accusata  del reato di indebito trattenimento, deve valutare
una  richiesta  congiunta di applicazione della pena ex art. 444 cod.
proc.  pen.,  ma  dubita  della  legittimita' della norma che fissa i
valori  edittali  della  sanzione che dovrebbe essere applicata. Tale
norma  e' censurata in quanto irrazionale, e comunque discriminatoria
per   il   piu'  severo  trattamento  instaurato  rispetto  a  quello
concernente  altre condotte, del tutto assimilabili eppure sanzionate
in misura assai minore, o addirittura immuni da conseguenze penali.
    I  tertia  comparationis sono individuati anzitutto in previsioni
contenute  nello  stesso d.lgs. n. 286 del 1998, che riguardano altre
condotte di inottemperanza all'ordine di lasciare il territorio dello
Stato. Tale inottemperanza - punita dall'art. 14, comma 5-ter, con la
reclusione  da  uno  a quattro anni (se conseguente ad una espulsione
disposta  a seguito di ingresso illegale nel territorio dello Stato o
per  altre  ipotesi equivalenti) - e' sanzionata con l'arresto da sei
mesi  ad  un anno per l'espulsione conseguente a mancata richiesta di
rinnovo del permesso di soggiorno, e sarebbe addirittura irrilevante,
per   il   divieto   di   estensione   analogica   delle  fattispecie
incriminatrici,   nel   caso  di  espulsione  disposta  dal  Ministro
dell'interno a norma del comma 1 del precedente art. 13.
    A  parere  del  rimettente,  il  legislatore  non  avrebbe potuto
differenziare  il  trattamento  delle condotte indicate sulla base di
situazioni  ad  esse  preesistenti  (cioe'  le  cause  e le forme del
provvedimento di espulsione), posto che la lesione del bene giuridico
sarebbe  per  tutte  identica,  e  per  tutte  si  realizzerebbe  con
l'inutile   scadenza  del  termine  per  l'abbandono  del  territorio
nazionale.  L'omessa  parificazione sarebbe il sintomo di un distacco
delle   scelte   sanzionatorie  dal  livello  di  offensivita'  delle
fattispecie, e dunque dal criterio di proporzionalita'.
    Il Tribunale ritiene, per altro verso, che il legislatore avrebbe
dovuto  assimilare il trattamento della condotta in esame a quello di
comportamenti   delineati   da  altre  leggi  di  tutela  dell'ordine
pubblico.   Si   allude,  nella  specie,  all'art. 650  cod.  pen.  e
all'art. 2  della legge n. 1423 del 1956. La comunanza di struttura e
di  oggetto giuridico tra le varie figure in esame documenterebbe che
il  piu'  severo  trattamento  previsto dalla norma censurata dipende
dalla  cittadinanza  straniera  dell'interessato, ed introduce quindi
una  discriminazione  inammissibile, almeno se riferita ad un diritto
fondamentale, qual e' la liberta' della persona.
    Sarebbe  chiaro del resto, a parere del rimettente, che l'opzione
maturata  con  la  legge  n. 271  del  2004  e' frutto della volonta'
legislativa  di  sanzionare  la  condotta  de  qua  con  una pena che
consenta,  a  mente  dell'art. 280 Cod. proc. pen., l'applicazione di
una  misura  cautelare  carceraria  e  dunque,  pure  alla luce della
sentenza  n. 223  del  2004, la previsione dell'arresto obbligatorio:
una  scelta  scollegata  dalla  gravita' effettiva del fatto e dunque
incompatibile con il principio di proporzionalita'.
    Il  giudice  a  quo rileva, da ultimo, che l'osservanza del terzo
comma dell'art. 27 Cost. deve essere assicurata non solo con riguardo
alla  fase  esecutiva,  ma  anche  in sede di astratta determinazione
della  pena,  poiche'  il  fine  rieducativo  cui questa deve tendere
sarebbe   vanificato   da   una  punizione  manifestamente  eccessiva
dell'interessato  (e'  citata,  qui,  la  sentenza n. 343 del 1993 di
questa Corte).
    3.1.  - Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato, si e' costituito con
atto depositato il 26 luglio 2005.
    Secondo  la  difesa erariale, la questione proposta e' infondata,
per  le  stesse ragioni che l'Avvocatura dello Stato ha enunciato con
la memoria citata in precedenza.
    4.  -  Il  Tribunale  di Bologna in composizione monocratica, con
ordinanza del 4 maggio 2005 (reg. ord. n. 344 del 2005), ha sollevato
- in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. - questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 14,  comma 5-ter,  del d.lgs.
n. 286  del  1998, come sostituito dall'art. 1 della legge n. 271 del
2004,  nella  parte  in cui prevede la pena della reclusione da uno a
quattro  anni  per  lo  straniero  che, senza giustificato motivo, si
trattenga  nel  territorio  dello  Stato in violazione dell'ordine di
allontanarsene,  impartitogli  dal  questore  a  norma del precedente
comma 5-bis.
    Il  rimettente,  in  esito  al relativo giudizio, deve deliberare
sentenza   nei   confronti  di  persona  di  nazionalita'  straniera,
trattenutasi  in Italia nonostante la rituale notifica dell'ordine di
lasciare  il  Paese,  e  dubita, in vista dell'eventuale decisione di
condanna,  che  la  norma incriminatrice sia legittima nella parte in
cui concerne i valori edittali della pena.
    Il  Tribunale prospetta una «sorta di "eterogenesi" dei fini» cui
avrebbe dato luogo il recente innalzamento delle sanzioni per la gran
parte dei fatti di indebito trattenimento: perseguendo l'obiettivo di
un  governo  delle  espulsioni  mediante  lo  strumento  dell'arresto
obbligatorio, il legislatore avrebbe conseguito il diverso effetto di
un  inasprimento  delle pene non giustificato da esigenze di politica
criminale.
    Secondo   il   rimettente,   la   soddisfazione   di  un'esigenza
processuale  attraverso  gli strumenti del diritto penale sostanziale
sarebbe  di  per se' in contrasto con i principi di razionalita' e di
necessario  finalismo  rieducativo  della  pena. In ogni caso avrebbe
dato   luogo,  nella  specie,  ad  una  irragionevolezza  della  pena
edittale,    specie   quanto   al   valore   minimo,   manifestamente
sproporzionato  per  eccesso  quando  si  pensi che del reato possono
essere  chiamati  a  rispondere  soggetti  non  pericolosi,  ne'  mai
processati o condannati per altri comportamenti criminosi.
    A  conferma  della  soluzione  di  corrispondenza tra il fatto in
esame  e  la  relativa sanzione, il Tribunale si sofferma su casi nei
quali   una   sanzione  della  stessa  entita'  sarebbe  collegata  a
comportamenti  piu'  gravi,  e su casi nei quali e' prevista una pena
assai  inferiore,  pur trattandosi di fattispecie che presenterebbero
gravita' analoga a quella del reato in contestazione.
    E' citata al riguardo, anzitutto, la prima parte del comma 13-bis
dell'art. 13  del  d.lgs.  n. 286  del  1998, ove una pena identica a
quella  concernente  l'indebito  trattenimento  sarebbe  comminata, a
parere  del rimettente, per una ipotesi di reato ben piu' grave, dato
che  la  relativa  condotta  e'  attiva  e  non meramente omissiva, e
soprattutto  e'  posta  in  essere  da  un  soggetto  necessariamente
recidivo  e  gia'  giudicato  in concreto pericoloso. Un ragionamento
analogo  e'  proposto  con  riferimento alla condotta delineata nella
seconda  parte  del  citato  comma 13-bis, punita con una pena appena
superiore  (nel  massimo)  a  quella  prevista dalla norma censurata,
eppure  molto  piu'  grave, trattandosi del reingresso di un soggetto
gia'   colpito   da   due   provvedimenti  di  espulsione.  L'analogo
trattamento  di situazioni non assimilabili comporterebbe, secondo il
rimettente,  una  violazione  del  principio  di  uguaglianza  ed una
conseguente violazione dell'art. 27, terzo comma, Cost.
    Identica    valutazione    si   imporrebbe,   mutatis   mutandis,
confrontando  il trattamento sanzionatorio della fattispecie in esame
con  quello, assai piu' lieve, che la legge collega ad altre condotte
di  inottemperanza,  come  quelle delineate all'art. 650 cod. pen. ed
all'art. 2  della  legge  n. 1423  del 1956, quest'ultima addirittura
piu'  grave, posto che il destinatario del foglio di via obbligatorio
sarebbe,   a   differenza   dello   straniero   espulso,  persona  di
pericolosita' gia' in concreto accertata.
    La  normativa censurata si troverebbe in contrasto con l'art. 3 e
con  l'art. 27,  terzo  comma,  Cost.,  in  definitiva,  anche per il
difforme trattamento di situazioni assimilabili.
    4.1.  - Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato, si e' costituito con
atto depositato il 2 agosto 2005.
    Secondo   la   difesa   erariale,   la   questione   proposta  e'
inammissibile e, comunque, infondata.
    Il  rimettente  non  avrebbe dato adeguatamente conto, anzitutto,
della  rilevanza  della questione, che sarebbe solo enunciata, «senza
alcun  ragguaglio sulla posizione dell'imputato». Nel merito, poi, il
dubbio  di  legittimita'  sarebbe infondato per le stesse ragioni che
l'Avvocatura  dello  Stato  ha  illustrato  con  le memorie citate in
precedenza.
    5.  -  Il  Tribunale  di  Torino in composizione monocratica, con
ordinanza  del  13 aprile  2005  (reg.  ord.  n. 351  del  2005),  ha
sollevato, in riferimento all'art. 3 Cost., questione di legittimita'
costituzionale  dell'art. 14,  comma 5-ter,  prima  parte, del d.lgs.
n. 286  del  1998, come sostituito dall'art. 1 della legge n. 271 del
2004,  nella  parte  in cui prevede la pena della reclusione da uno a
quattro  anni  per  lo  straniero  che, senza giustificato motivo, si
trattenga  nel  territorio  dello  Stato in violazione dell'ordine di
allontanarsene,  impartitogli  dal  questore  ai sensi del precedente
comma 5-bis.
    E'  inoltre  sollevata  questione  di legittimita' costituzionale
dell'art. 14,  comma 5-quinquies,  ultimo  periodo, del d.lgs. n. 286
del  1998, in riferimento agli artt. 3 e 13 Cost., nella parte in cui
prevede   l'arresto   obbligatorio   dello   straniero   che,   senza
giustificato  motivo,  si  trattenga  nel  territorio  dello Stato in
violazione del precedente comma 5-ter.
    Una   cittadina   straniera   accusata   del  reato  di  indebito
trattenimento  e'  stata  presentata  al  giudice  rimettente  per la
convalida  dell'arresto e per il successivo giudizio direttissimo. Lo
stesso,  nel  sollevare  le  questioni sopra indicate, ha disposto la
sospensione  del procedimento di convalida, ordinando nel contempo la
liberazione dell'imputata.
    A  parere  del  Tribunale,  il  comma 5-ter dell'art. 14 del piu'
volte  citato  d.lgs.  n. 286  del  1998  delinea un illecito di mera
disobbedienza,   non   condizionato  dalla  violazione  di  interessi
sottostanti  che  assumano  un  diretto  significato  penale,  ed  in
particolare non sanzionato per la connotazione clandestina o comunque
illegale  del  pregresso  soggiorno  dello  straniero  in  territorio
italiano.
    Cio'   premesso,   il  rimettente  considera  irragionevole  che,
nell'ambito  della  stessa  norma censurata, sia stata introdotta una
vistosa   divergenza   di   trattamento   per  analoghe  condotte  di
disobbedienza.   Non   vi   sarebbero   differenze   sostanziali,  in
particolare,  tra  l'inottemperanza  di chi sia stato espulso per non
aver  chiesto il rinnovo del permesso di soggiorno (condotta punita a
titolo  di contravvenzione, secondo il disposto dell'ultima parte del
comma 5-ter) e quella di chi sia stato espulso per non aver richiesto
detto  permesso  dopo  la  scadenza  di  un visto turistico (caso che
ricorre  nel  giudizio  a  quo). La sperequazione non potrebbe essere
giustificata  in base al carattere legale o non dell'ingresso o della
precedente permanenza sul suolo nazionale, perche' sarebbe altrimenti
contraddetta  la scelta legislativa di non sanzionare, per se stessa,
la condizione di clandestinita'.
    Sarebbero   per   altro   verso   ingiustificate,  a  parere  del
rimettente,  le  differenze di trattamento sanzionatorio tra la norma
censurata  e  l'art. 650  cod.  pen., o l'art. 2 della legge 1423 del
1956,  ove  pure  viene  incriminata  una  violazione  dell'ordine di
lasciare  un  luogo  determinato,  con  la differenza, semmai, che si
tratterebbe   di   condotte   sempre   riferibili   ad   un  soggetto
comprovatamente pericoloso.
    La   violazione  del  principio  di  ragionevolezza  emergerebbe,
infine,  guardando  alla norma censurata «in prospettiva diacronica».
L'esame  dei lavori parlamentari concernenti la legge n. 271 del 2004
porrebbe  in  evidenza  come il legislatore si fosse astenuto da ogni
valutazione  sostanziale  circa  l'intrinseca  gravita'  del reato in
questione,  ed  avesse  semplicemente  voluto «reagire» alla sentenza
n. 223  del  2004,  creando  le  premesse per una nuova previsione di
arresto  obbligatorio: si assisterebbe qui, secondo il Tribunale, «al
capovolgimento  di  quello  che  e' il fisiologico rapporto tra norme
penali sostanziali e processuali».
    Riguardo all'ulteriore questione concernente il comma 5-quinquies
dell'art. 14  del  d.lgs. n. 286 del 1998, il rimettente osserva che,
una volta stabilita l'illegittimita' della norma incriminatrice nella
parte  in  cui  fissa  il  massimo  della  pena  in  quattro  anni di
reclusione,  la  disposizione  processuale  risulterebbe  a sua volta
illegittima, proprio per le ragioni gia' indicate da questa Corte con
la  citata  sentenza  n. 223  del  2004:  la  previsione dell'arresto
sarebbe   contraria   al  disposto  degli  artt. 3  e  13  Cost.,  se
(nuovamente)  riferita ad un reato che non consentirebbe, in seguito,
l'applicazione di «alcuna misura cautelare».
    6.  -  Il  Tribunale  di  Ancona, sezione distaccata di Jesi, con
ordinanza del 9 giugno 2005 (reg. ord. n. 459 del 2005), ha sollevato
-  in  riferimento  agli  artt. 2,  3  e  27  Cost.  -  questione  di
legittimita'    costituzionale    degli   artt. 14,   commi 5-ter   e
5-quinquies,  del d.lgs. n. 286 del 1998, come sostituiti dall'art. 1
della   legge   n. 271  del  2004,  nella  parte  in  cui  prevedono,
rispettivamente,  la  pena della reclusione da uno a quattro anni per
lo  straniero  che,  senza  giustificato  motivo,  si  trattenga  nel
territorio  dello  Stato in violazione dell'ordine di allontanarsene,
impartitogli  dal  questore  ai  sensi  del precedente comma 5-bis, e
l'arresto obbligatorio per il responsabile di detta violazione.
    Il  rimettente,  investito  d'una  «richiesta  di convalida della
misura  cautelare»  (recte,  per quanto si desume dal complesso della
motivazione,  di  una  richiesta di convalida dell'arresto), richiama
esplicitamente,  riportandole  per  esteso, le censure prospettate in
una ordinanza di rimessione in precedenza deliberata dal Tribunale di
Trani, meglio descritte al punto 10 che segue.
    In  sintesi,  secondo  il  giudice  a  quo, solo la condizione di
«straniero    irregolare    inottemperante»    spiegherebbe    (senza
giustificarlo)  il  trattamento  deteriore della fattispecie in esame
rispetto  a  quella  dell'art. 650 cod. pen., od a quella dell'art. 2
della  legge  n. 1423  del  1956.  La  sproporzione per eccesso della
previsione  sanzionatoria violerebbe, oltre che la regola di uniforme
garanzia  dei diritti essenziali della persona, anche il principio di
necessaria finalizzazione rieducativa della pena.
    Il  Tribunale  riferisce infine, svolgendo diffuse considerazioni
concernenti  le  «peculiarita'  del caso concreto», che il giudizio a
quo riguarda un soggetto gravato da molti precedenti, il che parrebbe
renderebbe  adeguata  -  secondo  lo  stesso rimettente - la risposta
sanzionatoria   prescritta  dalla  norma  censurata.  Il  trattamento
cautelare  e  sanzionatorio dell'indebito trattenimento costituirebbe
per  altro  un «espediente» per assicurare tutela a beni diversi, non
efficacemente  garantiti mediante le fattispecie poste a loro diretta
protezione:  il  Tribunale lamenta, in sostanza, che l'imputato abbia
potuto  essere scarcerato dopo aver commesso reati di vario genere, e
che  debba  essere  «paradossalmente»  detenuto,  invece, per il solo
fatto della inottemperanza all'ordine di allontanamento. A parere del
rimettente,   «qualcosa  non  funziona  nel  sistema»,  che  vorrebbe
garantire  con  espedienti «di natura assolutamente rozza e generica»
beni che, in ipotesi, «non si e' riusciti a tutelare in via normale e
lineare».
    6.1.  - Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato, si e' costituito con
atto depositato il 18 ottobre 2005.
    Secondo la difesa erariale, la questione proposta e' infondata, a
prescindere   dal   carattere   contraddittorio,   fino   al   limite
dell'incongruenza   tra   argomenti  e  conclusioni,  che  segnerebbe
l'ordinanza di rimessione, specie nella sua parte finale.
    Nel  merito,  le  scelte  compiute  dal  legislatore  in punto di
dosimetria  della pena dovrebbero ritenersi pienamente rispettose del
limite  della  ragionevolezza,  alla  luce  dei  rilievi gia' esposti
dall'Avvocatura dello Stato con le memorie citate in precedenza.
    7.  -  Il  Tribunale  di Gorizia in composizione monocratica, con
ordinanza   dell'8  giugno 2005  (reg.  ord.  n. 461  del  2005),  ha
sollevato  -  in  riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. -
questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 5-ter,
primo   periodo,   del   d.lgs.  n. 286  del  1998,  come  sostituito
dall'art. 1  della  legge n. 271 del 2004, nella parte in cui prevede
il  limite  edittale minimo di un anno di reclusione per lo straniero
che,  senza  giustificato  motivo,  si trattenga nel territorio dello
Stato  in  violazione dell'ordine ai allontanarsene, impartitogli dal
questore a norma del precedente comma 5-bis.
    Il  rimettente  deve deliberare, nel procedimento a carico di uno
straniero  per il delitto di indebito trattenimento, in merito ad una
richiesta congiunta di applicazione della pena ex art. 444 cod. proc.
pen.,  elaborata  a  partire  dal minimo edittale fissato nella norma
censurata.
    Il  giudice  a  quo,  che  ricorda  d'essere chiamato anche ad un
vaglio  di congruenza della pena concordata tra le parti, osserva che
le  scelte sanzionatorie del legislatore sarebbero discrezionali solo
fino  al  limite  della  ragionevolezza,  e non potrebbero risolversi
nella  comminatoria  di  pene  sproporzionate  al disvalore del fatto
criminoso  (e'  citata,  tra  le  altre,  la sentenza di questa Corte
n. 409 del 1989). La stessa funzionalita' rieducativa del trattamento
sarebbe  pregiudicata  da  una  palese eccedenza del sacrificio della
liberta'  personale  in  proporzione all'offesa recata dalla condotta
punibile (sentenze n. 343 del 1993 e n. 313 del 1990).
    Nel  caso  di  specie,  la  discrezionalita'  del legislatore non
sarebbe   stata  esercitata  secondo  i  parametri  appena  indicati.
L'assunto e' basato in primo luogo sui lavori preparatori della legge
n. 271  del  2004,  ove  mai si darebbe conto di una «giustificazione
contingente  e  sostanziale»  dell'inasprimento  della  sanzione, del
quale  anzi sarebbe svelata la strumentalita' in senso processuale (a
fini   di   legittimazione  della  rinnovata  previsione  concernente
l'arresto).
    Il  cattivo  bilanciamento tra diritto di liberta' dei singoli ed
esigenze   tutelate   mediante   l'incriminazione  sarebbe  posto  in
evidenza,  a  parere  del  Tribunale, anche dal raffronto fra le pene
comminate   nella   norma  censurata  e  quelle  previste  per  altre
fattispecie  di  inottemperanza  a provvedimenti amministrativi. Sono
citati,  al  proposito,  i  reati  di  cui  all'art. 650 cod. pen. ed
all'art. 2 della legge n. 1423 del 1956.
    Da  ultimo,  il  rimettente osserva che la riforma concernente le
pene  per l'indebito trattenimento non sarebbe congruente neppure con
il fine concretamente perseguito dal legislatore, cioe' la previsione
di  un trattamento sanzionatorio tale da consentire l'applicazione di
misure   cautelari   detentive   e   da   legittimare,   dunque,   la
reintroduzione  dell'arresto  obbligatorio.  Le  norme  generali  che
disciplinano   la   restrizione  cautelare  della  liberta'  -  cioe'
l'art. 280  e  l'art. 274,  lettera c),  del  codice  di rito - hanno
infatti  riguardo al valore massimo della pena prevista per i singoli
delitti,  senza  che  il  minimo  assuma  alcuna rilevanza. La scelta
legislativa di fissare in un anno di reclusione la pena minima per il
reato in questione sarebbe dunque del tutto ingiustificata.
    7.1.  - Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato, si e' costituito con
atto depositato il 18 ottobre 2005.
    Secondo la difesa erariale, la questione proposta e' infondata. A
tale proposito l'Avvocatura dello Stato riproduce rilievi gia' svolti
con altri atti di costituzione, sopra richiamati.
    8.  -  Il  Tribunale  di Trieste in composizione monocratica, con
ordinanza del 2 luglio 2005 (reg. ord. n. 487 del 2005), ha sollevato
- in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. - questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 5-ter, primo periodo,
del  d.lgs.  n. 286 del 1998, come sostituito dall'art. 1 della legge
n. 271  del 2004, nella parte in cui prevede la pena della reclusione
da  uno  a  quattro  anni  per  lo  straniero che, senza giustificato
motivo,  si  trattenga  nel  territorio  dello  Stato  in  violazione
dell'ordine di allontanarsene, impartitogli dal questore ai sensi del
precedente comma 5-bis.
    Il  rimettente,  chiamato  a deliberare sentenza nei confronti di
uno  straniero  imputato  del reato di indebito trattenimento, per il
quale  il  pubblico ministero ha sollecitato una condanna alla minima
pena  prevista  dalla legge, dubita in particolare della legittimita'
della  previsione che fissa il relativo valore edittale in un anno di
reclusione.
    Il  giudice  a  quo  -  dopo  aver  richiamato  la giurisprudenza
costituzionale  concernente  l'illegittimita'  di norme che prevedano
sanzioni  irragionevoli  o sproporzionate (sono citate, tra le altre,
le  sentenze n. 313 del 1995, n. 25 del 1994, n. 343 del 1993, n. 409
del  1989)  -  concentra  l'attenzione  sulla  pronuncia con la quale
questa  Corte  ha  dichiarato  manifestamente infondata una questione
posta riguardo alla pena minima fissata per il delitto di estorsione,
che  il  legislatore aveva recentemente elevato da tre a cinque anni.
L'ordinanza  (n. 368 del 1995) era stata motivata sul presupposto che
l'inasprimento   non  aveva  determinato  «macroscopiche  differenze»
rispetto  al  trattamento  sanzionatorio  della  rapina,  fattispecie
giudicata   per   altro   «non   del  tutto  assimilabile»  a  quella
dell'estorsione,  ed era stato attuato anche per indurre una risposta
repressiva  piu'  determinata  ad  un  fenomeno  criminale  in  piena
evoluzione.  Il  rimettente  deduce,  allora,  che  una «macroscopica
differenza»  nel  trattamento sanzionatorio introdotto da una riforma
legislativa,  non  giustificata  da  mutamenti del fenomeno criminale
sottostante,   darebbe   luogo   ad   un  contrasto  con  i  principi
costituzionali   di   uguaglianza   e  di  necessaria  finalizzazione
rieducativa della pena.
    Nel  caso  di  specie,  la nuova previsione sanzionatoria darebbe
luogo  ad  una  «macroscopica  differenza»  in una duplice direzione:
rispetto  alla  pena  che  per  lo  stesso reato il legislatore aveva
fissato  appena  due  anni prima, con la legge n. 189 del 2002, senza
che  il  fenomeno disciplinato abbia subito modificazioni sostanziali
(non  prospettate,  in alcun modo, nei lavori preparatori della legge
n. 271   del   2004);   rispetto  alla  pena  prevista  per  analoghe
fattispecie  di  inottemperanza  ad un ordine dato dall'autorita' per
ragioni  di sicurezza ed ordine pubblico (sono citati l'art. 650 cod.
pen. e l'art. 2 della legge n. 1423 del 1956).
    Non varrebbe obiettare - osserva il rimettente - che la normativa
in   materia   di  misure  di  prevenzione  prevede  una  fattispecie
delittuosa   assimilabile,   nei  profili  sanzionatori,  alla  norma
censurata (si tratta dell'art. 9, comma 2, della citata legge n. 1423
del  1956,  che  punisce con la pena della reclusione da uno a cinque
anni  colui  che  contravvenga  agli  obblighi  ed  alle prescrizioni
inerenti   alla  sorveglianza  speciale  con  obbligo  o  divieto  di
soggiorno).  Tale  fattispecie  concerne  infatti  un soggetto la cui
pericolosita'   e'   gia'   stata   accertata  in  concreto,  con  un
provvedimento   giudiziale  e  non  semplicemente  amministrativo,  e
sanziona una condotta di attiva violazione del precetto, consistente,
a  seconda  dei  casi,  nell'allontanarsi  o nel portarsi in un certo
luogo.  Una  figura,  dunque,  comparabile  a  quella  delineata  nel
comma 5-quater  dell'art. 14  del  d.lgs.  n. 286  del 1998 (indebito
reingresso   nel  territorio  dello  Stato)  ma  non,  a  parere  del
Tribunale,   alla   condotta  di  mera  inosservanza  dell'ordine  di
allontanamento.
    In  definitiva,  risultando sproporzionata sia rispetto ai valori
di  pena  precedentemente fissati per il medesimo reato, sia rispetto
alle  sanzioni  previste  per  fattispecie  analoghe,  la  previsione
censurata implicherebbe un sacrificio non giustificato del bene della
liberta'  personale,  che  per  lo  straniero  trova  tutela in tutto
corrispondente a quella assicurata per il cittadino.
    8.1.  - Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato, si e' costituito con
atto depositato il 25 ottobre 2005.
    Secondo la difesa erariale, la questione proposta e' infondata. A
tale proposito l'Avvocatura dello Stato riproduce rilievi gia' svolti
con altri atti di costituzione, sopra richiamati.
    9.  -  Il  Tribunale  di  Milano in composizione monocratica, con
ordinanza  del  25 maggio  2005  (reg.  ord.  n. 518  del  2005),  ha
sollevato  - in riferimento agli artt. 3, 16 e 27, terzo comma, Cost.
- questione di legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 5-ter,
primo   periodo,   del   d.lgs.  n. 286  del  1998,  come  sostituito
dall'art. 1  della  legge n. 271 del 2004, nella parte in cui prevede
la  pena della reclusione da uno a quattro anni per lo straniero che,
senza giustificato motivo, si trattenga nel territorio dello Stato in
violazione  dell'ordine  di allontanarsene, impartitogli dal questore
ai sensi del precedente comma 5-bis.
    In  punto  di  rilevanza,  il  giudice  a  quo riferisce d'essere
chiamato  a  valutare,  nel  procedimento  a  carico di uno straniero
imputato  del  reato  di  indebito  trattenimento,  una  richiesta di
applicazione  della  pena  ex  art. 444  cod.  proc. pen. Della norma
censurata   dovrebbe   essere  fatta  immediata  applicazione,  posta
l'asserita insussistenza, nel caso di specie, dei presupposti per una
decisione di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen.
    La  previsione  di  pena contenuta nell'art. 14, comma 5-ter, del
citato d.lgs. n. 286 del 1998 e' palesemente sproporzionata, a parere
del  Tribunale,  rispetto all'offesa che la condotta tipica reca agli
interessi  tutelati  dall'incriminazione  (e'  citata  la sentenza di
questa  Corte  n. 341 del 1994), ed anche rispetto ai vantaggi che il
sacrificio  di  liberta'  del  condannato  comporta per quegli stessi
interessi (sentenza n. 409 del 1989).
    Una   tale   sproporzione  contrasterebbe  con  il  principio  di
uguaglianza  e  vanificherebbe  il  fine  rieducativo  della pena (e'
citata la sentenza n. 343 del 1993).
    Inoltre,   come   questa   stessa   Corte   avrebbe  riconosciuto
deliberando  su una richiesta di referendum abrogativo concernente il
d.lgs.  n. 286 del 1998 (sentenza n. 31 del 2000), il corpo normativo
nel  quale  e' inserita la disposizione censurata sarebbe strumentale
anche alla garanzia della liberta' di circolazione, in armonia con la
prescrizione dell'art. 16 Cost., che riconosce un diritto di liberta'
della  persona,  come tale riferibile anche agli stranieri. E' vero -
osserva  il rimettente - che la giurisprudenza costituzionale ha piu'
volte   legittimato   disposizioni  restrittive  riguardanti  i  soli
soggetti   di   nazionalita'   estera,  ma  per  la  discrezionalita'
legislativa sarebbe stato sempre fissato, anche su questo terreno, un
limite  concernente  le  scelte  manifestamente  irragionevoli  (sono
citate  le  sentenze  n. 62  del  1994,  n. 144 del 1970 e n. 104 del
1969).
    Sarebbe  anzitutto  eccessivo,  secondo  il  Tribunale, il valore
minimo  della  pena  prevista  dalla  norma censurata. Risulterebbero
infatti  appiattite  sull'elevato  livello  di  un anno di reclusione
situazioni soggettivamente ed oggettivamente diverse, che spaziano da
fattispecie di minimo allarme ad altre di significato lesivo ben piu'
marcato. Le situazioni in cui l'inottemperanza e la stessa precedente
espulsione  non  denotano  per  se stesse una significativa capacita'
criminale  (al  cui  novero  sarebbe riconducibile il caso di specie)
dovrebbero  essere  comparate  alla  residua figura contravvenzionale
dell'art. 14, comma 5-ter (espulsione per omessa richiesta di rinnovo
del  permesso  di soggiorno), e non certo alle piu' gravi ipotesi cui
oggi sono assimilate nel trattamento sanzionatorio.
    Il  giudice  a  quo  prospetta,  in  secondo luogo, una manifesta
irragionevolezza  per  la  previsione concernente il massimo edittale
della  pena.  La quadruplicazione del livello iniziale non troverebbe
giustificazione  in un incremento di significato lesivo del fatto, ma
solo   nella   volonta'   legislativa   di   ripristinare   l'arresto
obbligatorio  in  flagranza,  dopo la sentenza n. 223 del 2004, senza
una  formale  violazione  dei  principi  nell'occasione  enunciati da
questa  Corte.  Il  livello  attuale della sanzione, inoltre, sarebbe
sperequato   per  eccesso  rispetto  a  fattispecie  punite  in  modo
sostanzialmente  analogo,  ma  pertinenti  a  fatti  di  ben maggiore
gravita',  e  rispetto a fattispecie sanzionate in termini assai piu'
blandi, per quanto pertinenti a comportamenti essenzialmente analoghi
a quello in considerazione.
    Nella  prima  prospettiva  e' citato il reato di cui all'art. 14,
comma 5-quater,  dello  stesso  d.lgs.  n. 286 del 1998, che consiste
nell'indebito  reingresso  di  persona  gia'  espulsa  dal territorio
nazionale:  ipotesi  ben  piu' grave da quella di mera inottemperanza
all'ordine  di  allontanamento,  e come tale trattata dal legislatore
fino  alla  riforma attuata con la legge n. 271 del 2004, che avrebbe
invece  indebitamente  equiparato (salvo che per una lieve differenza
nel  massimo) il trattamento sanzionatorio delle due figure di reato.
Sarebbero  invece  comparabili  alla condotta in considerazione altre
ipotesi  criminose, pertinenti a fatti di inosservanza d'un divieto o
di  un  obbligo,  e  sanzionate  con  pene comunque assai piu' lievi:
l'inosservanza   di   un   provvedimento   dell'autorita',   di   cui
all'art. 650   cod.   pen;   la  contravvenzione  al  foglio  di  via
obbligatorio,  di  cui  all'art. 2  della  legge n. 1423 del 1956; la
contravvenzione  ai divieti od obblighi imposti a fini di prevenzione
della  violenza  nelle  manifestazioni  sportive,  di cui all'art. 6,
comma 6, della legge 13 dicembre 1989, n. 401 (Interventi nel settore
del  giuoco  e delle scommesse clandestini e tutela della correttezza
nello  svolgimento  di  manifestazioni  sportive),  sanzionata in via
alternativa  con la pena pecuniaria e quella detentiva, e tra l'altro
concernente  soggetti gia' denunciati o condannati per gravi reati, o
comunque gia' coinvolti in episodi di violenza.
    9.1  -  Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato, si e' costituito con
atto depositato il 15 novembre 2005.
    Secondo la difesa erariale, la questione proposta e' infondata. A
tale proposito l'Avvocatura dello Stato riproduce rilievi gia' svolti
con altri atti di costituzione, sopra richiamati.
    10.  -  Il  Giudice  per le indagini preliminari nel Tribunale di
Trani,  con ordinanza del 30 maggio 2005 (reg. ord. 585 del 2005), ha
sollevato  - in riferimento agli artt. 2, 3 e 27 Cost. - questione di
legittimita'    costituzionale    degli   artt. 14,   commi 5-ter   e
5-quinquies,  del d.lgs. n. 286 del 1998, come sostituiti dall'art. 1
della   legge   n. 271  del  2004,  nella  parte  in  cui  prevedono,
rispettivamente,  la  pena della reclusione da uno a quattro anni per
lo  straniero  che,  senza  giustificato  motivo,  si  trattenga  nel
territorio  dello  Stato in violazione dell'ordine di allontanarsene,
impartitogli  dal  questore  ai  sensi  del precedente comma 5-bis, e
l'arresto obbligatorio per il responsabile di detta violazione.
    Il   rimettente,  premesso  che  procede  nei  confronti  di  uno
straniero per il reato di indebito trattenimento, riferisce, in punto
di  rilevanza,  che  «in base al combinato disposto dei commi 5-ter e
5-quinquies  l'arresto  obbligatorio  operato  dalla p.g. e' sfociato
nella convalida richiesta dal p.m.».
    Il    Tribunale   rileva,   quindi,   che   sarebbe   dubbia   la
proporzionalita'   e   la   ragionevolezza   delle  norme  impugnate,
espressione  di  un  «diritto  penale speciale» in conflitto, per sua
stessa natura, con i parametri costituzionali sopra indicati, nonche'
con  l'enunciato  dell'art. 13  della  Dichiarazione  universale  dei
diritti dell'uomo, secondo cui «ogni individuo ha diritto di lasciare
qualsiasi  Paese,  incluso  il  proprio,  e  di ritornare nel proprio
Paese».  Solo la condizione di «straniero irregolare inottemperante»,
in   effetti,   spiegherebbe  (senza  giustificarlo)  il  trattamento
deteriore  della  fattispecie  rispetto  a  quella dell'art. 650 cod.
pen.,  che  sanziona  con una blanda pena detentiva l'inosservanza di
provvedimenti dell'autorita' da parte dei «cittadini residenti», ed a
quella  dell'art. 2 della legge n. 1423 del 1956, ove pure si punisce
l'inottemperanza   di   una   persona  concretamente  pericolosa  (il
rimettente  evoca  anche  il  delitto  di cui all'art. 9 della citata
legge n. 1423 del 1956, che per altro non e' affatto punito «con pena
di  gran  lunga  meno grave», essendo prevista la reclusione da uno a
cinque anni).
    La  determinazione  della  cornice  edittale  sarebbe  tanto piu'
irragionevole,   nella  norma  censurata,  considerando  la  ritenuta
evanescenza  del  bene giuridico protetto, di carattere solo formale:
«il  diritto penale si allontana dal paradigma del reato inteso quale
lesione  di un bene giuridico, per ergersi a baluardo dell'obbedienza
[...]   di  fronte  a  provvedimenti  dell'autorita».  La  previsione
censurata  violerebbe  il principio di uguaglianza, dunque, anche per
la sua eccedenza rispetto al disvalore del fatto tipico (e' citata la
sentenza  di questa Corte n. 409 del 1989), e per la sproporzione tra
i vantaggi ottenuti a tutela dei beni protetti dall'incriminazione ed
il sacrificio di liberta' del condannato.
    La   carenza   di   proporzionalita'   del  trattamento  punitivo
comporterebbe  infine, secondo il rimettente, una deroga al principio
di    necessaria   funzionalita'   rieducativa   della   pena.   Tale
funzionalita' sarebbe pregiudicata, in particolare, dall'applicazione
di una sanzione che l'imputato non potrebbe percepire quale punizione
corrispondente  al  disvalore  del  fatto  da lui posto in essere. In
proposito il giudice a quo osserva come il legislatore abbia ritenuto
adeguate  allo  scopo  di rieducazione del condannato pene piu' miti,
pur  collegate  a  reati  che  sarebbero  piu' gravi, perche' recanti
un'offesa   diretta  ad  interessi  primari  dei  cittadini  e  della
collettivita'  (sono  citate, a tale proposito, le fattispecie di cui
agli  artt. 316,  316-bis,  318,  319,  624, 640, 644, 646 del codice
penale).
    Con l'inasprimento della sanzione per l'indebito trattenimento, e
con  il  trattamento  processuale  che  le  si  connette  (a  partire
dall'arresto  in  flagranza),  sarebbero  stati  elusi i principi che
questa  Corte avrebbe inteso fissare con la sentenza n. 223 del 2004,
sterilizzandone    «il    significato   garantistico   [...]   quanto
all'impianto costituzionale sotteso agli artt. 2, 3 e 27». In materia
di  diritti inviolabili dell'uomo, d'altra parte, la Costituzione non
ammetterebbe  discriminazioni tra la posizione del cittadino e quella
dello  straniero  (e'  citata tra le altre, in proposito, la sentenza
n. 203 del 1997).
    10.1. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato, si e' costituito con
atto depositato il 10 gennaio 2006.
    Secondo la difesa erariale, la questione proposta e' infondata. A
tale proposito l'Avvocatura dello Stato riproduce rilievi gia' svolti
con altri atti di costituzione, sopra richiamati.
    11.  -  Il  Tribunale  di Verona in composizione monocratica, con
ordinanza del 14 ottobre 2005 (reg. ord. 65 del 2006), ha sollevato -
in  riferimento  agli  artt. 3 e 27 Cost. - questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998,
come  sostituito dall'art. 1 della legge n. 271 del 2004, nella parte
in  cui  prevede, per lo straniero che, senza giustificato motivo, si
trattenga  nel  territorio  dello  Stato in violazione dell'ordine di
allontanarsene,  impartitogli  dal questore, la pena della reclusione
da  uno  a  quattro  anni,  «anziche'  una pena equiparabile a quella
prevista dagli artt. 650 c.p., 157 t.u.l.p.s. e 2 l. 1423/56».
    Il  rimettente, chiamato a celebrare il giudizio nei confronti di
uno  straniero  imputato  per  indebito  trattenimento  (dopo  averne
convalidato  l'arresto),  premette  che  le  scelte sanzionatorie del
legislatore  non  potrebbero  assimilare  una  fattispecie  ad  altre
concernenti  reati sostanzialmente piu' gravi, o distinguerla, sempre
sul   piano   della   sanzione,   da  figure  criminose  di  gravita'
sostanzialmente   analoga,   pena  la  violazione  del  principio  di
uguaglianza  e  di finalizzazione rieducativa della pena (sono citate
le sentenze n. 343 del 1993 e n. 409 del 1989).
    La  sanzione  comminata  dall'art. 14,  comma 5-ter,  del  d.lgs.
n. 286  del  1998  sarebbe  sproporzionata,  invece,  in  entrambe le
direzioni enunciate.
    Il  reato  de  quo,  anzitutto, presenterebbe struttura e valenza
assimilabili  a  quelle  di varie fattispecie contravvenzionali, pure
concernenti  l'inosservanza  di provvedimenti amministrativi adottati
per  ragioni di sicurezza e ordine pubblico. Il Tribunale richiama, a
tale  proposito,  l'art. 650 cod. pen. e l'art. 2 della legge n. 1423
del 1956, nonche' l'art. 157 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773
(Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), che
all'ultimo  comma  sanziona  con  l'arresto  da  uno  a  sei  mesi il
contravventore  al foglio di via obbligatorio per l'allontanamento da
un comune diverso da quello di residenza.
    L'indebito trattenimento, per altro verso, sarebbe punito con una
pena equiparabile a quella prevista dall'art. 9, comma 2, della legge
n. 1423 del 1956, sebbene questa norma sanzioni (con la reclusione da
uno  a  cinque  anni)  un  comportamento  ben  piu'  grave, in quanto
realizzato  non  da  un  soggetto  dalla pericolosita' solo ipotetica
(quale  sarebbe  lo  straniero  inottemperante),  bensi'  da  persona
pericolosa  in modo concreto e qualificato, in quanto tale colpita da
un provvedimento giudiziale di prevenzione.
    Infine,  secondo il rimettente, la norma censurata contrasterebbe
con  l'art. 3  Cost.  sotto  un  ulteriore  profilo. L'incriminazione
darebbe  infatti  vita  ad  un  cosiddetto  «reato ostacolo», essendo
mirata   a   prevenire  situazioni  di  rischio  per  beni  giuridici
ulteriori.   Il  legislatore,  in  particolare,  vorrebbe  assicurare
l'effettivita'  dell'espulsione  per  evitare che l'interessato possa
commettere  eventuali  reati  contro il patrimonio. Cio' premesso, il
Tribunale  osserva  che  sarebbe  priva  di  ragionevolezza una norma
«ostacolo»  con  sanzione  piu'  elevata di quella comminata da molte
figure  di  reato  contro il patrimonio, perche' una condotta di mera
potenzialita'  offensiva sarebbe punita piu' di quella direttamente e
concretamente lesiva del bene protetto dalla legge penale.
    11.1. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato, si e' costituito con
atto depositato il 4 aprile 2006.
    Secondo la difesa erariale, la questione proposta e' infondata. A
tale proposito l'Avvocatura dello Stato riproduce rilievi gia' svolti
con  altri  atti  di  costituzione,  sopra  richiamati.  Sarebbe  poi
apodittica,   e   comunque   assurda,   l'affermazione   secondo  cui
l'inottemperanza  all'ordine  di  allontanamento  non potrebbe essere
punita piu' gravemente di alcune fattispecie criminose poste a tutela
del patrimonio.

                       Considerato in diritto

    1. - Con tutte le ordinanze fin qui descritte e' stata sollevata,
anzitutto,  questione  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 14,
comma 5-ter,  primo  periodo, del decreto legislativo 25 luglio 1998,
n. 286  (Testo  unico  delle  disposizioni  concernenti la disciplina
dell'immigrazione  e  norme  sulla  condizione dello straniero), come
sostituito   dall'art. 1   della   legge   12 novembre  2004,  n. 271
(Conversione   in   legge,   con   modificazioni,  del  decreto-legge
14 settembre 2004, n. 241, recante disposizioni urgenti in materia di
immigrazione).
    La  norma  censurata  prevede  la  pena della reclusione da uno a
quattro  anni  per  lo  straniero  che, senza giustificato motivo, si
trattenga  nel  territorio  dello  Stato in violazione dell'ordine di
allontanarsene   impartitogli   dal   questore  in  applicazione  del
comma 5-bis  dello stesso art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998. Uno dei
rimettenti  (reg.  ord.  n. 461  del  2005) dubita della legittimita'
della  disposizione  nella  parte  in  cui fissa la pena minima nella
misura  di  un  anno  di reclusione. Tutti gli altri giudici a quibus
censurano  la  disposizione nel suo complesso, cioe' per il carattere
asseritamente eccessivo del trattamento sanzionatorio compreso tra il
minimo ed il massimo nella previsione edittale.
    2.  - I provvedimenti di rimessione prospettano, senza eccezioni,
profili  di  contrasto  della  disposizione de qua con l'art. 3 della
Costituzione. Si tratta, nel complesso, dei rilievi che seguono.
    2.1.  - La pena originariamente prevista per il reato di indebito
trattenimento  -  introdotto  in forma contravvenzionale dall'art. 13
della  legge  30 luglio  2002,  n. 189  (Modifica  alla  normativa in
materia  di immigrazione e di asilo) - consisteva nell'arresto da sei
mesi  ad  un anno. La sanzione e' stata poi fortemente inasprita, per
specie  e  quantita',  con la citata legge n. 271 del 2004, a seguito
della quale la medesima condotta e' punita con la reclusione da uno a
quattro   anni.  Cio'  sarebbe  avvenuto,  ad  avviso  di  parte  dei
rimettenti,  senza alcuna sostanziale modifica del fenomeno criminoso
sottostante, e dunque in violazione del principio di proporzionalita'
(reg. ord. nn. 93, 267, 332, 461, 487 e 518 del 2005).
    2.2.  - Con il descritto innalzamento della pena, in particolare,
il   legislatore   avrebbe  perseguito  una  finalita'  di  carattere
esclusivamente  processuale.  Dopo  la sentenza n. 223 del 2004 - che
aveva  dichiarato  l'illegittimita' della norma concernente l'arresto
obbligatorio  per il reato di indebito trattenimento, allora previsto
in  forma  contravvenzionale  - l'introduzione di valori sanzionatori
compatibili con l'applicazione di misure cautelari coercitive avrebbe
avuto  il  solo  scopo di legittimare una nuova previsione di arresto
obbligatorio   per   lo   straniero   inottemperante   all'ordine  di
allontanamento.  Sennonche' la manipolazione del diritto sostanziale,
in assenza di finalita' collegate a variazioni effettive del fenomeno
disciplinato,  sarebbe  di  per  se' arbitraria, e darebbe luogo, per
alcuni   dei   rimettenti,   ad   una  violazione  del  principio  di
ragionevolezza (reg. ord. nn. 344 e 351 del 2005).
    2.3.  -  Secondo  il  Tribunale  di  Gorizia,  d'altro  canto, la
riforma,   nella  parte  concernente  il  valore  minimo  della  pena
edittale, non sarebbe giustificata neppure dallo scopo di legittimare
la  nuova  introduzione  dell'arresto  in  flagranza,  attraverso  la
previsione  di  valori  sanzionatori  che  consentano  - in base agli
artt. 274,  lettera c),  e  280  del  codice di procedura penale - la
successiva  applicazione  di  una  misura coercitiva: le disposizioni
citate,  infatti, assegnano rilevanza esclusiva al massimo della pena
prevista per ciascun delitto (reg. ord. n. 461 del 2005).
    2.4.  -  Le  pene comminate mediante la norma censurata sarebbero
palesemente   sproporzionate   per  eccesso  rispetto  alla  gravita'
effettiva  del  fatto  incriminato,  che consisterebbe in un reato di
pericolo, non sintomatico per se' di pericolosita' sociale (reg. ord.
nn. 267, 332, 459 e 518 del 2005).
    Secondo uno dei rimettenti (reg. ord. n. 65 del 2006), il difetto
di proporzionalita' sarebbe evidente una volta considerato che per un
tipico  «reato  ostacolo»,  finalizzato  a rimuovere il mero pericolo
della  lesione  di beni giuridici sostanziali, sono previste sanzioni
piu' alte di quelle conseguenti alle condotte direttamente lesive dei
beni giuridici in questione (ad esempio, il patrimonio).
    Per   altro   verso,   livelli   di   pena   tanto   elevati  non
assicurerebbero  un  adeguato  bilanciamento  tra il sacrificio della
liberta'  personale  del  condannato ed i vantaggi che ne derivano in
termini   di   tutela   degli  interessi  protetti  dalla  previsione
incriminatrice (reg. ord. nn. 518 e 585 del 2005).
    2.5.  -  La  pena  minima  attualmente  prevista  dalla  norma in
questione,  data  la  sua rilevanza, non consentirebbe di modulare il
trattamento  sanzionatorio  per  le  varie  ed eterogenee fattispecie
riconducibili   alla  previsione  astratta,  cosi'  determinando  una
violazione del principio di uguaglianza (reg. ord. n. 518 del 2005).
    2.6.   -   I   valori  di  pena  fissati  nella  norma  censurata
eccederebbero  in misura macroscopica quelli previsti da disposizioni
assimilabili,   perche'   concernenti   a   loro  volta  condotte  di
inottemperanza a provvedimenti adottati dall'autorita' amministrativa
per  ragioni  di  sicurezza  e  ordine pubblico, cosi' diversificando
senza  giustificazione  il  trattamento  di  situazioni  analoghe. In
particolare  sono evocate, quali tertia comparationis, le fattispecie
di cui alle seguenti disposizioni:
        -  art. 650 del codice penale (Inosservanza dei provvedimenti
dell'autorita):  arresto  fino  a tre mesi o ammenda fino ad euro 206
(tutte le ordinanze di rimessione);
        -  art. 2  della  legge  27 dicembre 1956, n. 1423 (Misure di
prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza),
relativamente  alla  contravvenzione  a  foglio  di via obbligatorio:
arresto da uno a sei mesi (reg. ord. nn. 93, 332, 344, 351, 459, 461,
487, 518 e 585 del 2005, n. 65 del 2006);
        -  art. 14, comma 5-ter, seconda parte, del d.lgs. n. 286 del
1998,  relativamente  allo  straniero espulso per non aver chiesto il
rinnovo  del permesso di soggiorno in precedenza ottenuto: arresto da
sei mesi ad un anno (reg. ord. nn. 332, 351 e 518 del 2005);
        -  art. 6,  comma 6,  della  legge  13 dicembre  1989, n. 401
(Interventi  nel  settore  del giuoco e delle scommesse clandestini e
tutela   della   correttezza   nello  svolgimento  di  manifestazioni
sportive),  relativamente  al  contravventore  dei  provvedimenti  di
divieto ed obbligo finalizzati a prevenire atti di violenza nel corso
di manifestazioni sportive: multa o reclusione da tre a diciotto mesi
(reg. ord. n. 518 del 2005);
        -   art. 157   del   regio  decreto  18  giugno 1931,  n. 773
(Approvazione  del  testo  unico  delle leggi di pubblica sicurezza),
relativamente  al  contravventore  al  foglio  di  via  obbligatorio:
arresto da uno a sei mesi (reg. ord. n. 65 del 2006).
    2.7.  -  La pena attualmente comminata dalla norma de qua sarebbe
analoga  a  quella  prevista per comportamenti delittuosi di gravita'
molto   maggiore,   cosi'   equiparando   senza   giustificazione  il
trattamento   di  situazioni  eterogenee.  In  particolare  risultano
evocate, in chiave comparativa, le seguenti disposizioni:
        -  art. 13,  comma 13-bis, prima parte, del d.lgs. n. 286 del
1998,  relativamente  all'indebito  reingresso  dello  straniero gia'
colpito  da provvedimento giudiziale di espulsione: reclusione da uno
a quattro anni (reg. ord. nn. 267 e 344 del 2005);
        - art. 13, comma 13-bis, seconda parte, del d.lgs. n. 286 del
1998,  relativamente  all'indebito  reingresso  dello  straniero gia'
denunciato  per  un  analogo  precedente delitto: reclusione da uno a
cinque anni (reg. ord. nn. 267 e 344 del 2005);
        -  art. 14,  comma 5-quater,  del  d.lgs.  n. 286  del  1998,
relativamente  all'indebito reingresso dello straniero gia' espulso a
norma  del  precedente  comma 5-ter:  reclusione da uno a cinque anni
(reg. ord. n. 518 del 2005);
        -   art. 9,   comma 2,   della   legge   n. 1423   del  1956,
relativamente  all'inosservanza  di  obblighi e prescrizioni inerenti
alla  sorveglianza  speciale con l'obbligo o il divieto di soggiorno:
reclusione  da  uno  a cinque anni (reg. ord. n. 487 del 2005 e n. 65
del 2006).
    3.  -  Tutti i giudici a quibus, tranne uno (reg. ord. n. 351 del
2005),  prospettano  un  contrasto tra la norma censurata ed il terzo
comma   dell'art. 27   Cost.,   in   quanto  la  relativa  previsione
sanzionatoria,  essendo  priva  di proporzionalita' rispetto al fatto
incriminato,   non   potrebbe   assolvere  alla  necessaria  funzione
rieducativa della pena.
    4.  -  Tra  i  parametri costituzionali evocati figurano, infine,
l'art. 16  Cost. (la previsione di pene irragionevoli per il reato di
indebito  trattenimento  comporterebbe  una illecita compressione del
diritto  di  libera  circolazione delle persone: reg. ord. n. 518 del
2005) e l'art. 2 Cost. (reg. ord. nn. 459 e 585 del 2005).
    5.  -  Con  alcune delle ordinanze in epigrafe e' stata sollevata
una  ulteriore  questione di legittimita' costituzionale, concernente
l'art. 14,  comma 5-quinquies,  ultimo periodo, del d.lgs. n. 286 del
1998,  come sostituito dall'art. 1 della legge n. 271 del 2004, nella
parte  in  cui  prevede l'arresto obbligatorio dello straniero che si
trattenga  nel  territorio  dello  Stato in violazione del precedente
comma 5-ter, primo periodo (reg. ord. nn. 351, 459 e 585 del 2005).
    La  disposizione  violerebbe  gli  artt. 3 e 13 Cost., poiche' la
previsione  dell'arresto,  posta l'asserita illegittimita' della pena
edittale  pari  nel  massimo a quattro anni di reclusione, necessaria
per   la   successiva   applicazione   di   una   misura  coercitiva,
contrasterebbe  con  i  principi  di  ragionevolezza e inviolabilita'
della liberta' personale (reg. ord. n. 351 del 2005).
    Secondo  altri  rimettenti la disposizione concernente l'arresto,
coniugata  ai  livelli  della pena introdotta con la legge n. 271 del
2004, realizzerebbe un trattamento «sanzionatorio» sproporzionato per
un  reato  privo  di  concreta  offensivita',  «conferendo alla norma
penale  una  impropria torsione in senso amministrativo, in contrasto
con  il  principio  di  sussidiarieta'  del  diritto penale». Da cio'
discenderebbe,  in  particolare, una violazione degli artt. 2, 3 e 27
Cost. (reg. ord. nn. 459 e 585 del 2005).
    6.   -   Poiche'  tutte  le  questioni  sollevate  riguardano  il
trattamento   sanzionatorio   e   processuale   del   reato  previsto
dall'art. 14, comma 5-ter, primo periodo, del d.lgs. n. 286 del 1998,
puo' essere disposta la riunione dei relativi giudizi.
    7.  -  Le  questioni  di  legittimita' costituzionale concernenti
l'art. 14,  comma 5-ter,  primo periodo, del d.lgs. n. 286 del 1998 -
come  modificato  dall'art. 1  della  legge  n. 271  del  2004 - sono
inammissibili.
    7.1. - Le ordinanze di rimessione prospettano, in primo luogo, un
contrasto  della norma censurata con l'art. 3 Cost., che si asserisce
violato  sia  in  comparazione  con  altre norme penali che prevedono
fattispecie   simili,  sia  per  intrinseca  irragionevolezza,  avuto
riguardo  al rapporto di proporzionalita' necessaria tra gravita' del
disvalore sociale del fatto ed entita' delle sanzioni.
    7.2.  -  Un  primo gruppo tra le norme penali assunte come tertia
comparationis comprende - come in dettaglio si e' visto ai precedenti
punti  2.6 e 2.7 - previsioni che trovano la loro ratio nell'esigenza
di  approntare  una  sanzione  di  carattere generale e residuale per
qualsiasi   tipo   di   inottemperanza   ad  ordini  legalmente  dati
dall'autorita'  per  i  motivi indicati dall'art. 650 cod. pen., o di
fronteggiare  specifiche  situazioni  di  pericolo  per  la sicurezza
pubblica   provocate   dalla   condotta   dei  soggetti  che  violino
determinati  ordini amministrativi. In tutti i casi richiamati non e'
rinvenibile la finalita' che il legislatore intende perseguire con la
norma  oggetto  delle  questioni  sollevate nel presente giudizio: il
controllo  dei flussi migratori e la disciplina dell'ingresso e della
permanenza degli stranieri nel territorio nazionale.
    Si  tratta  di un grave problema sociale, umanitario ed economico
che  implica  valutazioni di politica legislativa non riconducibili a
mere   esigenze   generali   di   ordine  e  sicurezza  pubblica  ne'
sovrapponibili  o  assimilabili  a problematiche diverse, legate alla
pericolosita'  di alcuni soggetti e di alcuni comportamenti che nulla
hanno a che fare con il fenomeno dell'immigrazione.
    Per  quanto detto, la comparazione con le norme penali suindicate
non  puo'  certo  essere condotta in chiave di confronto rivolto alla
rilevazione  di  ingiustificate disparita' di trattamento censurabili
dal giudice delle leggi, ma puo' servire eventualmente al legislatore
per  una  considerazione  sistematica di tutte le norme che prevedono
sanzioni  penali  per  violazioni  di provvedimenti amministrativi in
materia  di  sicurezza  pubblica,  senza  dimenticare peraltro che il
reato  di  indebito  trattenimento  nel  territorio  nazionale  dello
straniero  espulso  riguarda  la  semplice  condotta  di inosservanza
dell'ordine  di allontanamento dato dal questore, con una fattispecie
che  prescinde da una accertata o presunta pericolosita' dei soggetti
responsabili.  In  altri termini, cio' che puo' costituire materia di
utile riflessione per il legislatore non puo' rendere ammissibile una
pronuncia  di  questa Corte, cui non e' consentito trasporre sanzioni
penali  da  una  fattispecie  ad un'altra in esito ad una altrettanto
inammissibile scelta tra quelle che potrebbero presentare una qualche
affinita'.
    7.3.  -  A conclusioni analoghe conduce l'analisi delle questioni
basate   su   una   pretesa   violazione   dell'art. 3  Cost.,  quale
risulterebbe  da  una  comparazione, per cosi' dire «interna», tra la
norma  censurata  ed  altre  contenute  nello  stesso  testo unico in
materia di immigrazione.
    Occorre  tuttavia  riconoscere che il quadro normativo in materia
di  sanzioni  penali  per  l'illecito  ingresso  o  trattenimento  di
stranieri  nel  territorio  nazionale, risultante dalle modificazioni
che  si  sono  succedute  negli  ultimi  anni,  anche  per interventi
legislativi   successivi   a   pronunce  di  questa  Corte,  presenta
squilibri, sproporzioni e disarmonie, tali da rendere problematica la
verifica   di   compatibilita'   con  i  principi  costituzionali  di
uguaglianza  e  di  proporzionalita'  della  pena  e con la finalita'
rieducativa della stessa.
    Parte  dei  ricorrenti censura la scelta di maggior severita' nel
trattamento   della  fattispecie  in  questione  rispetto  a  quella,
strutturalmente   analoga,   dell'inottemperanza   ad  un  ordine  di
allontanamento   conseguente  ad  espulsione  disposta  per  l'omessa
richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno (art. 14, comma 5-ter,
secondo  periodo, del citato d.lgs. n. 286 del 1998). La scelta della
pena, commisurata dal legislatore alla differente gravita' dei reati,
non puo' tuttavia essere sindacata da questa Corte.
    Si  deve  segnalare,  poi,  come condotte che possono essere piu'
gravi  di  quella  prevista dalla norma oggetto del presente giudizio
siano  punite  con  sanzioni  pressoche' equivalenti. Difatti, mentre
l'art. 14,  comma 5-ter,  del  t.u.  citato  prevede  la  pena  della
reclusione  da  uno  a  quattro  anni  per  il semplice trattenimento
indebito   nel   territorio   nazionale,   il   precedente   art. 13,
comma 13-bis,   prima   parte,  stabilisce  la  medesima  pena  della
reclusione  da  uno  a  quattro  anni per l'indebito reingresso dello
straniero  gia' colpito da provvedimento giudiziale di espulsione; e'
prevista la pena della reclusione da uno a cinque anni per l'indebito
reingresso  dello straniero gia' denunciato per un analogo precedente
delitto  (art. 13,  comma 13-bis,  seconda parte); infine, l'art. 14,
comma 5-quater,  prima parte, dello stesso t.u. prevede la pena della
reclusione  da  uno  a  cinque anni per lo straniero, gia' espulso ai
sensi   del   comma 5-ter,  primo  periodo,  che  venga  trovato,  in
violazione delle norme vigenti, nel territorio dello Stato, mentre la
seconda  parte dello stesso comma prevede la pena della reclusione da
uno  a  quattro  anni  se  lo straniero che rientra indebitamente nel
territorio  nazionale  sia  stato  espulso  ai sensi del comma 5-ter,
secondo periodo.
    Potrebbero  in  effetti  trovarsi sullo stesso piano lo straniero
che  si  rende  responsabile per la prima volta del reato di indebito
trattenimento  nel  territorio  nazionale  e  lo  straniero che, dopo
essere  stato  effettivamente  estromesso  a  seguito  di  uno o piu'
provvedimenti  di  espulsione  (eventualmente  collegati  a  fatti di
significato  criminoso), si attiva per reiterare una violazione delle
vigenti    disposizioni   in   materia,   vanificando   gli   effetti
dell'attivita'  giudiziale  ed  amministrativa  culminata  con il suo
allontanamento.
    Il  sindacato  di  costituzionalita', tuttavia, puo' investire le
pene  scelte  dal  legislatore  solo  se  si  appalesi  una  evidente
violazione  del canone della ragionevolezza, in quanto ci si trovi di
fronte   a   fattispecie   di  reato  sostanzialmente  identiche,  ma
sottoposte  a  diverso trattamento sanzionatorio (ex plurimis, tra le
pronunce  piu'  recenti,  sentenze  n. 325 del 2005, n. 364 del 2004;
ordinanze  numeri  158  e  364  del  2004).  Se  non si riscontra una
sostanziale  identita'  tra le fattispecie prese in considerazione, e
si   rileva   invece,  come  nel  caso  in  esame,  una  sproporzione
sanzionatoria rispetto a condotte piu' gravi, un eventuale intervento
di riequilibrio di questa Corte non potrebbe in alcun modo rimodulare
le  sanzioni  previste  dalla  legge,  senza  sostituire  la  propria
valutazione a quella che spetta al legislatore.
    7.4.   -  Quanto  all'eccessivo  rigore  della  norma  censurata,
lamentato  in  gran  parte  delle  ordinanze di rimessione, da cui si
dedurrebbe  una  irragionevolezza  intrinseca  della norma stessa, si
deve  anzitutto  ricordare  che  questa Corte, conformemente alla sua
recente  giurisprudenza (sentenza n. 5 del 2004; ordinanze numeri 302
e  80  del  2004),  ha  sottolineato  «il  ruolo  che,  nell'economia
applicativa  della  fattispecie  criminosa, e' chiamato a svolgere il
requisito   negativo   espresso  dalla  formula  «senza  giustificato
motivo»,  presente nella descrizione del fatto incriminato dal citato
comma 5-ter dell'art. 14» (ordinanza n. 386 del 2006).
    Tale  formula,  secondo  la citata giurisprudenza, copre tutte le
ipotesi di impossibilita' o di grave difficolta' (mancato rilascio di
documenti  da parte dell'autorita' competente, assoluta indigenza che
rende  impossibile  l'acquisto di biglietti di viaggio e altre simili
situazioni),  che,  pur  non  integrando  cause di giustificazione in
senso  tecnico,  impediscono  allo  straniero  di prestare osservanza
all'ordine di allontanamento nei termini prescritti.
    I  giudici  rimettenti, in realta', hanno censurato la previsione
legislativa  della  misura  delle  pene,  minima  e  massima,  per la
fattispecie   di  cui  alla  norma  oggetto  del  presente  giudizio,
indipendentemente  dalla  restrizione  dell'ambito  applicativo  che,
nell'apprezzamento   della   concreta   offensivita'  delle  condotte
sanzionate, deve essere operata in via d'interpretazione.
    Si  deve  aggiungere  a  quanto  detto sopra che questa Corte non
puo',  in  ogni  caso,  procedere  ad un nuovo assetto delle sanzioni
penali  stabilite  dal  legislatore,  giacche'  mancano  nell'attuale
quadro normativo in subiecta materia precisi punti di riferimento che
possano condurre a sostituzioni costituzionalmente obbligate. Ne' una
pronuncia   caducatoria   ne'   una   pronuncia  additiva  potrebbero
introdurre  nuove  sanzioni  penali  o trasporre pene edittali da una
fattispecie  ad  un'altra,  senza  l'esercizio,  da parte del giudice
delle leggi, di un inammissibile potere discrezionale di scelta.
    Non  sarebbe neppure possibile dichiarare - come richiesto da uno
dei giudici rimettenti (reg. ord. n. 461 del 2005) - l'illegittimita'
costituzionale della sola disposizione concernente il minimo edittale
di  un  anno, facendo espandere di conseguenza la previsione generale
di  cui  all'art. 23  cod.  pen.  Il precedente invocato in proposito
(sentenza  n. 341 del 1994) non puo' valere nel presente giudizio. La
Corte,  in  quell'occasione, ha basato la sua decisione sull'evidente
anacronismo  di una sanzione penale (riferita al reato di oltraggio a
pubblico  ufficiale)  legata ad una concezione autoritaria precedente
alla  Costituzione  e  con  questa  apertamente  in  contrasto. Nella
motivazione  della  citata  pronuncia  non  si  mancava  peraltro  di
sottolineare  che  la  decisione  interveniva  dopo «ripetuti inviti»
dalla  stessa  Corte  rivolti  al legislatore «perche' provvedesse ad
adeguare  la  disciplina  in  oggetto ai principi costituzionali». Il
rilevato  anacronismo  e'  stato  successivamente  riconosciuto dallo
stesso  legislatore,  che ha abrogato l'intero articolo 341 cod. pen.
mediante  l'art. 18,  comma 1,  della  legge  25  giugno 1999, n. 205
(Delega  al  Governo  per  la  depenalizzazione  dei  reati  minori e
modifiche al sistema penale e tributario).
    La  norma  censurata  dalle  attuali  ordinanze  di rimessione e'
frutto,  invece,  di  una  scelta recente del legislatore, che non si
caratterizza   soltanto  per  un  notevole  inasprimento  del  minimo
edittale,  ma  per  un  complessivo innalzamento delle pene, le quali
devono  essere  prese  in  considerazione  nell'ambito  di  un  esame
comparativo  dell'intero quadro della normativa in materia, spettante
al  legislatore  stesso.  Una eventuale pronuncia di questa Corte sul
solo  minimo  edittale  inciderebbe in modo parziale sul quadro degli
squilibri  denunciati,  senza determinarne un superamento completo ed
effettivo,   surrogando   un  intervento  legislativo  che  ben  piu'
efficacemente  potrebbe  ripristinare  un sistema sanzionatorio dagli
equilibri compatibili coi valori costituzionali evocati.
    In  estrema sintesi, la rigorosa osservanza dei limiti dei poteri
del  giudice  costituzionale  non  esime  questa  Corte  dal rilevare
l'opportunita'  di  un sollecito intervento del legislatore, volto ad
eliminare  gli  squilibri,  le  sproporzioni  e  le  disarmonie prima
evidenziate.
    8.  -  La  rilevata,  e  sopra  motivata,  inammissibilita' di un
intervento  manipolativo  di  questa  Corte  sull'entita'  delle pene
fissate dal legislatore rende superflua una disamina nel merito delle
diverse   censure   prospettate  dalle  ordinanze  di  rimessione  in
riferimento  agli artt. 2, 16 e 27, nonche', sotto profili diversi da
quelli  prima  esaminati,  all'art. 3  della Costituzione (tra cui la
commistione  di  implicazioni  sostanziali  e valutazioni processuali
sottesa,  secondo  la  prospettazione  di  parte dei rimettenti, alla
norma  censurata),  giacche'  ogni  possibile  conclusione cui questa
Corte  potrebbe  arrivare  incontrerebbe  il  medesimo  ostacolo gia'
segnalato con riferimento ai profili presi in considerazione.
    9.  -  Alcune  delle  ordinanze  di  rimessione, come sopra si e'
visto,  pongono  questioni  di  legittimita'  anche con riguardo alla
norma  che  -  dopo  la  sentenza  di questa Corte n. 223 del 2004, e
contestualmente  alla  riforma  per specie e quantita' delle sanzioni
previste  per  il  reato  di  indebito  trattenimento - ha nuovamente
introdotto  per  tale  reato  la previsione dell'arresto obbligatorio
(art. 14,  comma 5-quinquies,  ultimo  periodo, del d.lgs. n. 286 del
1998, come sostituito dall'art. 1 della legge n. 271 del 2004).
    Si tratta, in tutti i casi, di questioni inammissibili.
    9.1.  -  La  questione  costruita  sulla  pretesa  illegittimita'
costituzionale  della  norma  che  fissa  in  quattro  anni il valore
edittale  massimo  per  il  delitto  in considerazione e' interamente
fondata  su  un quadro normativo ipotetico, dato dal superamento, per
effetto  di  una  eventuale  sentenza  di  accoglimento, dell'attuale
regime  di  applicabilita'  d'una  misura  cautelare  coercitiva dopo
l'arresto, cosi' difettando gia' sul piano della rilevanza.
    9.2.  -  Le  ulteriori questioni concernenti la norma processuale
sono  inammissibili  per  carenza  assoluta  di  motivazione circa le
specifiche  ragioni  di  contrasto  con  i  parametri  costituzionali
evocati.  La  pretesa confluenza di regole sostanziali e processuali,
in  una  sorta  di  complessiva  «fattispecie discriminatoria», priva
della  minima specificita' le doglianze dei rimettenti. Analogo vizio
segna un rilievo che pure concerne il tema dell'arresto obbligatorio,
il  quale  sarebbe indebitamente prescritto per un «reato di pericolo
astratto»   in  un  sistema  che,  per  il  resto,  adotterebbe  tale
trattamento  solo  per  condotte  di offesa «ad interessi protetti di
rango  costituzionale».  E'  assente,  infatti,  la  motivazione  del
perche'  l'interesse protetto dalla norma censurata non avrebbe rango
costituzionale.  A  prescindere  poi  dal fondamento delle asserzioni
richiamate,  l'ordinanza e' priva di argomentazioni che giustifichino
una  comparazione,  tra  norme concernenti misure cautelari, condotta
sul solo piano dell'offensivita' piuttosto che su quello, piu' ampio,
delle  complessive  esigenze che possono essere assicurate attraverso
le misure in questione.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Riuniti i giudizi,
    Dichiara    inammissibili    le    questioni    di   legittimita'
costituzionale  dell'art. 14, comma 5-ter, primo periodo, del decreto
legislativo  25 luglio  1998,  n. 286 (Testo unico delle disposizioni
concernenti  la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione
dello straniero), come sostituito dall'art. 1 della legge 12 novembre
2004,   n. 271   (Conversione   in   legge,  con  modificazioni,  del
decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, recante disposizioni urgenti
in materia di immigrazione), nella parte in cui prevede la pena della
reclusione  da  uno  a  quattro  anni  per  lo  straniero  che, senza
giustificato  motivo,  si  trattenga  nel  territorio  dello Stato in
violazione dell'ordine di allontanarsene, impartitogli dal questore a
norma  del  precedente  comma 5-bis,  sollevate,  in riferimento agli
artt. 2,  3,  16  e  27  della Costituzione, dai Tribunali di Genova,
Torino,  Bologna,  Ancona  (sezione  distaccata  di  Jesi),  Gorizia,
Trieste,  Milano,  Trani  e  Verona,  con  le  ordinanze  indicate in
epigrafe.
    Dichiara    inammissibili    le    questioni    di   legittimita'
costituzionale dell'art. 14, comma 5-quinquies, del d.lgs. n. 286 del
1998,  come sostituito dall'art. 1 della legge n. 271 del 2004, nella
parte  in  cui  prevede l'arresto obbligatorio dello straniero che si
trattenga  nel  territorio  dello  Stato in violazione del precedente
comma 5-ter,  primo  periodo, sollevate, in riferimento agli artt. 2,
3, 13 e 27 Cost., dai Tribunali di Torino, Ancona (sezione distaccata
di Jesi) e Trani, con le ordinanze indicate in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 gennaio 2007.
                        Il Presidente: Flick
                       Il redattore: Silvestri
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 2 febbraio 2007.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
07C0120