N. 32 ORDINANZA 24 gennaio - 6 febbraio 2007
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Processo penale - Appello - Modifiche normative - Impugnazione della parte civile avverso sentenze di proscioglimento - Preclusione secondo il «diritto vivente» - Lamentata violazione dei principi di eguaglianza e di parita' delle parti nonche' del diritto di difesa - Insussistenza di un «diritto vivente» conforme alla premessa ermeneutica - Omessa verifica, da parte del rimettente, della possibilita' di altre opzioni interpretative - Manifesta inammissibilita' della questione. - Cod. proc. pen. art. 576, modificato dalla legge 20 febbraio 2006, n. 46, art. 6. - Costituzione, artt. 3, 24 e 111. Processo penale - Appello - Modifiche normative - Disciplina transitoria - Facolta' per l'imputato o il pubblico ministero che abbiano appellato una sentenza di proscioglimento di presentare ricorso in Cassazione - Inapplicabilita' alla parte civile secondo il «diritto vivente» - Lamentata violazione dei principi di eguaglianza e di parita' delle parti - Insussistenza di un «diritto vivente» conforme alla premessa ermeneutica - Omessa verifica, da parte del rimettente, della possibilita' di altre opzioni interpretative - Manifesta inammissibilita' della questione. - Legge 20 febbraio 2006, n. 46, art. 10. - Costituzione, artt. 3 e 111.(GU n.6 del 7-2-2007 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: Franco BILE; Giudici: Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO;
ha pronunciato la seguente Ordinanza nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 10 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilita' delle sentenze di proscioglimento) e dell'art. 576 del codice di procedura penale, come modificato dall'art. 6 della stessa legge, promossi con ordinanze del 16 marzo 2006 dalla Corte di appello di Venezia, del 19 aprile 2006 dalla Corte di appello di Brescia e del 27 marzo 2006 dalla Corte di appello di Bologna, rispettivamente iscritte ai nn. 335, 345 e 366 del registro ordinanze 2006 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 39 e 40 1ª serie speciale, dell'anno 2006; Visti gli atti di costituzione di G.G. e della U.I. S.p.a., nonche' gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell'udienza pubblica del 23 gennaio 2007 e nella Camera di consiglio del 24 gennaio 2007 il giudice relatore Giovanni Maria Flick; uditi gli avvocati Luigi Ravagnan per G.G., Giuseppe Frigo per la U. I. S.p.a. e l'avvocato dello Stato Massimo Giannuzzi per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto che, con l'ordinanza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Bologna ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 576 del codice di procedura penale, come modificato dall'art. 6 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilita' delle sentenze di proscioglimento), nella parte in cui - ad avviso del giudice rimettente - esclude che la parte civile possa proporre appello avverso la sentenza di proscioglimento dell'imputato; che il giudice a quo - investito dell'appello proposto sia dal pubblico ministero che dalle parti civili, contro la sentenza di assoluzione emessa in primo grado nei confronti di persona imputata del reato di omicidio colposo - rileva che il nuovo testo dell'art. 576 cod. proc. pen., quale risultante a seguito della modifica operata medio tempore dall'art. 6 della legge n. 46 del 2006, non richiama piu', nel disciplinare il potere di impugnazione della parte civile avverso le sentenze di proscioglimento, i mezzi di impugnazione previsti per il pubblico ministero; che, in tal modo, la norma censurata avrebbe integralmente soppresso il potere di appello della parte civile, posto che, da un lato, l'art. 568, comma 1, cod. proc. pen. sancisce il principio di tassativita' dei mezzi di impugnazione; e, dall'altro lato, nessuna ulteriore norma prevede che la parte civile possa impugnare la sentenza di primo grado mediante appello: onde residuerebbe, a favore di detta parte, unicamente la facolta' di proporre ricorso per cassazione ai sensi del comma 2 del medesimo art. 568; che, sotto tale profilo, la disposizione si porrebbe tuttavia in contrasto con i principi costituzionali di eguaglianza (art. 3 Cost.), di parita' delle parti nel processo (art. 111 Cost.) e di tutela del diritto di azione e di difesa in giudizio (art. 24 Cost.); che - a differenza di quanto avviene per la limitazione dei poteri di appello del pubblico ministero introdotta dalla medesima legge n. 46 del 2006 (art. 593 cod. proc. pen., come sostituito dall'art. 1 di detta legge) - la soluzione normativa censurata non potrebbe essere giustificata in un'ottica di riequilibrio complessivo dei poteri delle parti contendenti: infatti, la parte civile - diversamente dalla pubblica accusa - non fruisce di alcuna posizione di «prevalenza sostanziale» rispetto all'imputato, nell'assunzione della prova nella fase delle indagini preliminari, ne' di altra «posizione privilegiata» nelle successive fasi processuali; che, di conseguenza, e con particolare riguardo alla dedotta violazione dell'art. 111 Cost., una volta concessa al danneggiato dal reato la facolta' di esercitare l'azione civile nel processo penale, esso non potrebbe essere discriminato in maniera irragionevole rispetto al danneggiante: sicche', disponendo quest'ultimo di uno strumento di doglianza nel merito nei confronti della decisione del primo, lo stesso strumento non potrebbe non essere riconosciuto, in caso di soccombenza, anche al danneggiato costituitosi parte civile; che la previsione di un secondo grado di giudizio nel quale solo l'imputato, ma non la parte civile, puo' svolgere le proprie doglianze verrebbe altresi' a ledere l'inviolabile diritto di azione e difesa di tale ultima parte; che nel giudizio di costituzionalita' e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, il quale ha chiesto che la questione sia dichiarata manifestamente infondata; che, ad avviso della difesa erariale, l'art. 6 della legge n. 46 del 2006 - nel sopprimere l'inciso «con il mezzo previsto per il pubblico ministero», contenuto nel testo previgente dell'art. 576 cod. proc. pen., in correlazione alla scelta di limitare drasticamente il potere del pubblico ministero e dell'imputato di proporre appello contro le sentenze di proscioglimento - non avrebbe, in realta', privato la parte civile della facolta' di appellare avverso le medesime sentenze; che, con l'ordinanza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Venezia ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 111, secondo comma, Cost., questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10, commi 2 e 3, della legge n. 46 del 2006, nella parte in cui - sancendo l'inammissibilita' dell'appello proposto contro una sentenza di proscioglimento dall'imputato o dal pubblico ministero prima della data di entrata in vigore della citata legge; ma riconoscendo a dette parti la facolta' di proporre, in sua vece, ricorso per cassazione entro quarantacinque giorni dalla notifica del provvedimento di inammissibilita' - non accorda analoga facolta' anche alla parte civile; che il giudice a quo premette di essere investito dell'appello proposto dalla parte civile contro la sentenza che aveva assolto gli imputati dai plurimi reati loro ascritti; che, anche secondo la Corte veneziana, la sopravvenuta legge n. 46 del 2006 avrebbe soppresso il potere della parte civile di proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento: e cio' tenuto conto sia del principio di tassativita' delle impugnazioni enunciato dall'art. 568 cod. proc. pen; sia dell'assenza, nel testo novellato dell'art. 576 cod. proc. pen., di ogni riferimento a specifici mezzi di impugnazione della parte civile; sia, infine, della circostanza che l'art. 593 cod. proc. pen. identifica unicamente nel pubblico ministero e nell'imputato i soggetti legittimati ad appellare contro le sentenze di primo grado; che, in forza della norma transitoria di cui all'art. 10, comma 1, della legge n. 46 del 2006, d'altro canto, la nuova disciplina introdotta da tale legge si applica anche ai procedimenti in corso, estendendo cosi' la sua efficacia agli appelli anteriormente proposti; che il medesimo art. 10, peraltro - dopo aver sancito, al comma 2, che l'appello gia' proposto dall'imputato o dal pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento debba essere dichiarato inammissibile - al successivo comma 3 rimette sostanzialmente in termini le predette parti, ai fini dell'impugnazione della sentenza mediante ricorso per cassazione, prevedendo che quest'ultimo possa venir proposto entro quarantacinque giorni dalla notifica del provvedimento di inammissibilita'; che analogo potere non e' riconosciuto, invece, alla parte civile, cui la norma censurata non fa alcun riferimento; che si determinerebbe, sotto tale aspetto, una disparita' di trattamento priva di ragionevole giustificazione, e dunque lesiva tanto del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) che di quello della parita' delle parti nel processo (art. 111 Cost.); che, rispetto all'appello anteriormente proposto dalla parte civile, troverebbe infatti applicazione la disposizione di cui all'art. 568, comma 5, cod. proc. pen., a fronte della quale l'appello stesso si convertirebbe in ricorso per cassazione; che cio' non varrebbe, tuttavia, a tutelare adeguatamente la parte civile, giacche' - qualora l'appello fosse basato esclusivamente su argomentazioni di merito, ovvero risultasse sottoscritto da un difensore non abilitato al patrocinio in cassazione - il gravame, una volta convertito in ricorso, diverrebbe automaticamente inammissibile; che nel giudizio di costituzionalita' si e' costituita G. G., parte civile nel giudizio a quo, la quale ha chiesto che la questione sia dichiarata manifestamente infondata, contestando la correttezza della premessa da cui muove il dubbio di costituzionalita': vale a dire la supposta rimozione, ad opera della legge n. 46 del 2006, del potere della parte civile di appellare contro le sentenze di proscioglimento; che, con l'ordinanza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Brescia ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 111 Cost., questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10 della legge n. 46 del 2006, nella parte in cui non prevede un regime transitorio per l'appello proposto dalla parte civile contro una sentenza di proscioglimento, analogo a quello contemplato dai commi 2 e 3 del medesimo art. 10 per l'imputato e per il pubblico ministero; che la Corte rimettente - chiamata a pronunciarsi sull'appello proposto dalle parti civili avverso la sentenza di assoluzione degli imputati dai reati di truffa pluriaggravata e di estorsione, loro ascritti - muove anch'essa dall'assunto per cui la sopravvenuta legge n. 46 del 2006 avrebbe eliminato il potere di appello della parte civile contro le sentenze di proscioglimento; che, su tale premessa, il rimettente lamenta che il legislatore non abbia previsto, per detta parte processuale, alcun regime transitorio, omologo a quello contemplato nei commi 2 e 3 dell'art. 10 per il pubblico ministero e l'imputato; che - non risultando possibile un'interpretazione estensiva di tale disciplina, in ragione del principio di tassativita' delle impugnazioni - ne conseguirebbe, anche a parere di questo rimettente, una evidente disparita' di trattamento fra pubblico ministero ed imputato, da un lato, e parte civile, dall'altro: disparita' da ritenere priva di ragionevole giustificazione, e dunque lesiva dei principi di eguaglianza e di parita' delle parti nel processo; che nel giudizio di costituzionalita' e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, il quale ha chiesto che la questione sia dichiarata manifestamente infondata, ribadendo l'erroneita' del presupposto interpretativo secondo cui la legge n. 46 del 2006 avrebbe privato la parte civile della possibilita' di appellare contro la sentenza di proscioglimento; che si e' altresi' costituita la societa' U. I., parte nel giudizio a quo, quale responsabile civile, concludendo per l'accoglimento della questione: risulterebbe evidente, infatti - ad avviso della difesa dell'interveniente - la sussistenza di una lacuna del regime transitorio per la parte civile, lesiva del precetto costituzionale di parita' delle parti nel processo, benche', sul piano «storico», tale omissione sia spiegabile con l'erronea convinzione del legislatore di avere abolito l'appello del pubblico ministero, mantenendo invece quello della parte civile. Considerato che le ordinanze di rimessione sollevano questioni identiche o connesse, onde i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti con unica decisione; che la Corte di appello di Bologna dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 576 del codice di procedura penale, come modificato dall'art. 6 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilita' delle sentenze di proscioglimento), nella parte in cui - in asserito contrasto con i principi di eguaglianza, di parita' delle parti nel processo e di inviolabilita' del diritto di azione e di difesa (artt. 3, 24 e 111 della Costituzione) - esclude che la parte civile possa proporre appello contro la sentenza di proscioglimento dell'imputato; che, con due ordinanze di analogo tenore, la Corte di appello di Venezia e la Corte di appello di Brescia censurano, a loro volta - in relazione ai principi di eguaglianza e di parita' delle parti nel processo (artt. 3 e 111 Cost.) - le disposizioni transitorie di cui all'art. 10 della legge n. 46 del 2006, nella parte in cui prevedono solo a favore dell'imputato e del pubblico ministero, e non anche della parte civile, una «restituzione in termini» per proporre ricorso per cassazione, di seguito alla declaratoria di inammissibilita' dell'appello proposto contro una sentenza di proscioglimento, anteriormente all'entrata in vigore della medesima legge (commi 2 e 3); che i giudici a quibus muovono dalla comune premessa interpretativa in forza della quale la novella del 2006 avrebbe soppresso il potere di appello della parte civile: conclusione che si imporrebbe alla luce del generale principio di tassativita' dei mezzi di impugnazione, di cui all'art. 568, comma 1, cod. proc. pen., tenuto conto del fatto che, per un verso, l'art. 593 cod. proc. pen. non include la parte civile tra i soggetti legittimati a proporre appello; e, per un altro verso, il nuovo testo dell'art. 576 del medesimo codice - ove non compare piu' la previsione secondo la quale alla parte civile e' consentito proporre impugnazione con lo stesso mezzo previsto per il pubblico ministero - non specifica di quali mezzi di impugnazione detta parte sia ammessa a fruire; che, peraltro, la Corte di cassazione ha avuto modo di affermare l'opposta tesi, in virtu' della quale la citata novella non avrebbe affatto determinato il venir meno, in capo alla parte civile, del potere di appello contro le sentenze di proscioglimento, ai soli effetti della responsabilita' civile (si veda Cassazione, sezione III, sentenza 11 maggio 2006, n. 22924); che la Corte di legittimita' ha fatto segnatamente leva, in questa direzione, sulla voluntas legis, quale risultante alla luce dei lavori parlamentari: lavori da cui emergerebbe in modo univoco come le modifiche apportate al testo normativo originariamente approvato dal Parlamento, dopo il suo rinvio alle Camere da parte del Presidente della Repubblica ai sensi dell'art. 74 Cost. - e, in particolare, la soppressione, nell'art. 576 cod. proc. pen., dell'inciso «con il mezzo previsto dal pubblico ministero» - mirassero a recepire il rilievo formulato nel messaggio presidenziale, circa l'eccessiva compressione della tutela degli interessi civili delle vittime del reato che sarebbe scaturita dalle soluzioni legislative inizialmente adottate, ripristinando il potere di appello della parte civile; che, a fronte di questa diversa opzione ermeneutica, altra sezione della stessa Corte di cassazione ha quindi rimesso la questione alle Sezioni Unite, a norma dell'art. 618 cod. proc. pen., onde dirimere il contrasto interpretativo insorto sul punto; che, pertanto, deve registrarsi l'assenza, allo stato, di un «diritto vivente», conforme alla premessa interpretativa posta a base dei dubbi di legittimita' costituzionale: risultando al riguardo formulata anche una diversa soluzione, che varrebbe a soddisfare il petitum della Corte di appello di Bologna (che censura la disciplina «a regime»); ed a rimuovere, altresi', il presupposto logico-giuridico dell'esigenza - postulata dalle Corti d'appello di Venezia e di Brescia - di dettare, per i gravami della parte civile, una disciplina transitoria analoga a quella stabilita per l'imputato e per il pubblico ministero, in correlazione alla limitazione dei poteri di appello di queste ultime parti disposta dall'art. 1 della legge n. 46 del 2006; che a cio' va aggiunto come neppure in ordine alla disciplina transitoria si riscontri uniformita' di vedute: essendosi affermato, da una parte della giurisprudenza di legittimita', che ove pure la nuova legge avesse effettivamente rimosso il potere di appello della parte civile, non ne conseguirebbe comunque - contrariamente a quanto assumono i rimettenti - l'inammissibilita' dell'appello anteriormente proposto da detta parte; e cio' in quanto la disposizione transitoria di cui all'art. 10, comma 1 - evocata dai giudici a quibus a sostegno del loro assunto - nello stabilire che «la presente legge si applica ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della medesima», si sarebbe limitata soltanto a riaffermare il generale principio tempus regit actum, tipico della materia processuale; che i giudici rimettenti hanno omesso, d'altro canto, di fornire una adeguata motivazione sulle ragioni per le quali gli argomenti che sostengono l'opposto orientamento interpretativo non possano essere condivisi; che a cio' consegue la manifesta inammissibilita' delle questioni: giacche', secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la mancata utilizzazione dei poteri interpretativi che la legge riconosce, in via esclusiva, al giudice rimettente e la carenza di una verifica di altre e diverse soluzioni interpretative - per far fronte al dubbio di costituzionalita' ipotizzato - integrano, nel modello del giudizio incidentale di costituzionalita', omissioni significative e tali da non abilitare il giudice a sollevare la questione di legittimita' costituzionale (ex plurimis, ordinanze n. 34 del 2006, n. 381 del 2005 e n. 279 del 2003); che le questioni vanno dichiarate, pertanto, manifestamente inammissibili. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
Per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE Riuniti i giudizi, 1) dichiara la manifesta inammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 576 del codice di procedura penale, come modificato dall'art. 6 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilita' delle sentenze di proscioglimento), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, dalla Corte di appello di Bologna con l'ordinanza indicata in epigrafe; 2) dichiara la manifesta inammissibilita' delle questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 10 della legge 20 febbraio 2006, n. 46, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, dalla Corte di appello di Venezia e dalla Corte di appello di Brescia con le ordinanze indicate in epigrafe. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 gennaio 2007. Il Presidente: Bile Il redattore: Flick Il cancelliere:Di Paola Depositata in cancelleria il 6 febbraio 2007. Il direttore della cancelleria: Di Paola 07C0130