N. 36 ORDINANZA (Atto di promovimento) 1 aprile 2006

Ordinanza   emessa   il   1°   aprile   2006  (pervenuta  alla  Corte
costituzionale  il  17  gennaio  2007)  dal  tribunale di Gorizia nel
procedimento penale a carico di Sohoreanu Constantin

Straniero  - Espulsione amministrativa - Rientro senza autorizzazione
  nel  territorio  dello  Stato dello straniero espulso - Trattamento
  sanzionatorio  -  Limite minimo edittale di un anno di reclusione -
  Irragionevolezza  -  Disparita'  di  trattamento  tra  cittadini  -
  Lesione   dei   diritti  inviolabili  dell'uomo  -  Violazione  del
  principio della finalita' rieducativa della pena.
- Decreto  legislativo  25 luglio  1998,  n. 286,  art. 13, comma 13,
  modificato dall'art. 1, comma 2-ter, del decreto legge 14 settembre
  2004,  n. 241,  convertito  con  modificazioni in legge 12 novembre
  2004, n. 271.
- Costituzione, artt. 2, 3, 10 e 27, comma terzo.
(GU n.8 del 21-2-2007 )
                            IL TRIBUNALE

    Visti  gli  atti  del  proc.  penale  con  rito  direttissimo nei
confronti  di Sohoreanu Constantin, cittadino rumeno, arrestato il 31
marzo  2006  per  violazione  dell'art. 13,  comma  13  del  d.  lgs.
n. 286/1998  come modificato dalla legge n. 12 novembre 2004, n. 271,
come  sostituito  dalla  legge  n. 12  novembre  2004 n. 271, perche'
espulso  dal  territorio  nazionale con provvedimento del Prefetto di
Lecce  di data 4 marzo 2006 notificato in pari data,faceva rientro in
territorio  italiano  senza  una speciale autorizzazione del Ministro
dell'interno, fatto accertato in Gorizia il 31 marzo 2006.
    Rilevato   che  non  essendo  state  richieste  misure  cautelari
l'imputato  e'  in  stato  rimesso  in  liberta'  dopo  la  convalida
dell'arresto,che  prima  dell'apertura  del  dibattimento  imputato e
difensore hanno chiesto l'applicazione di pena ex art. 444 c.p.p. nei
seguenti  termini:  pena  base  un anno di reclusione, ridotta per le
attenuanti  generiche a 8 mesi di reclusione e per il rito a 5 mesi e
10  giorni  di  reclusione,pena  sospesa.  Rilevato  che  il  p.m. ha
prestato  il consenso, ritenuto preliminarmente di dover escludere il
proscioglimento  ex  art. 129  c.p.p.  m  quanto  il provvedimento di
espulsione  appare legittimo e risulta di fatto ottemperato,come pure
provato   appare   il  rientro  in  Italia  senza  autorizzazione  va
affrontata  la  valutazione sulla congruita' della pena proposta e da
applicare.  Appare  sotto  questo  profilo  rilevante  il  dubbio  di
legittimita'  costituzionale,  che  viene  sollevato d'ufficio, della
norma  di  cui  all'art. 13,  comma  13,  d.  lgs. n. 286/1998 - come
sostituito  dalla  legge n. 12 novembre 2004, n. 271 - nella parte in
cui prevede il limite minimo edittale di un anno di reclusione per lo
straniero  espulso  che  rientri  nel territorio dello Stato senza la
speciale  autorizzazione del Ministro dell'interno, norma in concreto
applicabile alla fattispecie per cui si procede.
    Infatti  tale  norma  e'  rilevante  per  la  decisione  del caso
concreto  in  quanto  e'  proposta la pena ex art. 444 c.p.p. proprio
partendo  da  una  pena  base individuata nel minimo edittale, scelta
condivisibile   stante   l'incensuratezza  e  trattandosi  del  primo
episodio di questo tipo commesso dall'imputato.
    Dunque  se  la  norma  e'  conforme ai principi costituzionali la
richiesta di pena deve essere accolta ma se la norma venisse ritenuta
costituzionalmente  illegittima  laddove determina il minimo edittale
in  un anno di reclusione il giudice potrebbe rigettare l'istanza per
eccessivita' della pena rispetto alla concreta offensivita' sociale e
alla modesta gravita' della condotta.
    La norma da applicare appare invero contrastare con i principi di
cui agli artt. 2, 3, 10 e 27, comma 3 della Costituzione per i motivi
che di seguito si esporranno.
    I dubbi di costituzionalita' in ordine alla norma di cui all'art.
13,  comma 13, d. lgs. 286/1998 (nella parte in cui prevede il limite
minimo  edittale  di  un anno di reclusione), paiono trovare in primo
luogo   fondamento   nei  principi  giurisprudenziali  costituzionali
elaborati  in materia di limiti alla discrezionalita' del legislatore
nella  determinazione  della  quantita'  e  qualita'  della  sanzione
penale.
    In  particolare  la  Corte  costituzionale,  in  diverse pronunce
richiamate   e   ribadite   nella  sentenza  n. 341/1994,  dopo  aver
riaffermato il principio secondo cui appartiene alla discrezionalita'
del  legislatore  la  determinazione della quantita' e qualita' della
sanzione  penale  e non spetta quindi alla Corte stessa rimodulare le
scelte   punitive   effettuate   dal   legislatore,   ne'   stabilire
quantificazioni  sanzionatorie, ha pero' evidenziato come «alla Corte
rimane  il  compito  di  verficare  che  l'uso della discrezionalita'
legislativa in materia rispetti il limite della ragionevolezza.».
    Detto   principio  e'  stato  cosi'  testualmente  esplicitato  e
ricostruito nella sentenza n. 341/1994:
        "Con  la sentenza n. 409 del 1989 la Corte ha definitivamente
chiarito  che  «il principio di uguaglianza, di cui all'art. 3, primo
comma,  Cost.,  esige  che la pena sia proporzionata al disvalore del
fatto illecito commesso, in modo che il sistema sanzionatorio adempia
nel  contempo  alla  funzione di difesa sociale ed a quella di tutela
delle  posizioni  individuali;  ..  le valutazioni alluopo necessarie
rientrano  nell'ambito  del  potere discrezionale del legislatore, il
cui   esercizio   puo'  essere  censurato,  sotto  il  profilo  della
legittimita'  costituzionale,  soltanto nei casi in cui non sia stato
rispettato  il  limite  della  ragionevolezza»  (v. pure nello stesso
senso  sentenze  nn.  343 e 422 del 1993). Infatti, piu' in generale,
«il  principio  di  proporzionalita  nel  campo  del  diritto  penale
equivale  a  negare  legittimita'  alle  incrinunazioni che, anche se
presumibilmente   idonee   a   raggiungere   finalita'   statuali  di
prevenzione,  producono.  attraverso la pena, danni all'individuo (ai
suoi  diritti  fondamentali)  ed  alla  societa'  sproporzionatamente
maggiori dei vantaggi ottenuti (o da ottenere) da quest'ultima con la
tutela  dei  beni  e  valori  offesi  dalle  predette incriminazioni»
(sentenza n. 409 del 1989).
    In  altre  recenti  decisioni,  inoltre,  la Corte ha maturato la
convinzione  che la finalita' rieducativa della pena non sia limitata
alla  sola  fase  dell'esecuzione, ma costituisca «una delle qualita'
essenziali  e  generali  che caratterizzano la pena nel suo contenuto
ontologico,   e   l'accompagnano   da   quando  nasce,  nell'astratta
previsione  normativa,  fino  a quando in concreto si estingue»: tale
finalita'  rieducativa  implica  pertanto  un  costante «principio di
proporzione» tra qualita' e quantita' della sanzione, da una parte, e
offesa, dall'altra (sentenza n. 313 del 1990; v. pure sentenza n. 343
del 1993, confermata dalla sentenza n. 422 del 1993).
    In   applicazione  di  questi  principi  le  sentenze  da  ultimo
ricordate  sono  giunte  a dichiarare costituzionalmente illegittime,
come palesemente irragionevoli, diverse previsioni di sanzioni penali
giudicando   che  la  loro  manifesta  mancanza  di  proporzionalita'
rispetto  ai  fatti-reato si traduceva in arbitrarie e ingiustificate
disparita' di trattamento, o in violazioni dell'art. 27, terzo comma,
Cost. In particolare la sentenza n. 343 del 1993 ha affermato che «la
palese   sproporzione   del   sacrificio  della  liberta'  personale»
provocata  dalla  previsione  di  una  sanzione penale manifestamente
eccessiva  rispetto  al  disvalore  dell'illecito  «produce  ...  una
vanificazione    del   fine   rieducativo   della   pena   prescritto
dall'art. 27, terzo comma, della Costituzione, che di quella liberta'
costituisce  una  garanzia  istituzionale  in relazione allo stato di
detenzione».
    Tutto  cio'  premesso,  va  osservato  che  -  nella  specie - la
discrezionalita'   del  legislatore  non  pare  esplicata  secondo  i
parametri sopra richiamati.
    Premesso  che  l'inasprimento  della sanzione penale in questione
nel   novembre   2004,benche'  abbia  riguardato  norme  sostanziali,
direttamente  incidenti  sulla liberta' personale, appare ispirato da
valutazioni ed esigenze di natura essenzialmente processuale.
    Infatti  emerge dai lavori preparatori della legge n. 271/2004 la
mancanza  di  riferimenti  a  particolari  fenomeni  nuovi o gravi da
contrastare  attraverso  un  inasprimento di pene quanto piuttosto la
dichiarata  necessita'  di  superare  le  censure  mosse  dalla Corte
costituzionale  con  le  sentenze  n. 222  e  223 del 2004 alla legge
n. 189/2002:
    Sul  cammino  della  Bossi-Fini si' e' abbattuta la mannaia della
Corte  costituzionale  .......  Ritengo  che  con il d.l. in esame il
Governo   ed   il  Parlamento  siano  intervenuti  correttamente  per
rispondere  ai  rilievi  della Corte ...» (A.C.5369 discussione dd. 2
novembre  2004  sul  testo  approvato  in  Senato il 20 ottobre 2004,
repliche del relatore alla legge).
    Va   in   proposito   rammentato  che  le  sentenze  della  Corte
costituzionale  n. 222  e  223  del 2004 hanno avuto ad oggetto norme
diverse  - rispettivamente: l'art. 13, comma 5 bis e l'art. 14, comma
5 quinquies del d. lgs. n. 286/1998.
    In particolare, la sentenza n. 223 ha dichiarato l'art. 14, comma
5  quinquies  d.  lgs.  n. 286/1998  (nel testo integrato dalla legge
n. 189/2002)  illegittimo  nella  parte  in  cui  stabiliva l'arresto
obbligatorio  per  la  contravvenzione  prevista al comma 5 ter dello
stesso articolo.
    A  seguito  di  cio',  il legislatore del novembre 2004 ha inteso
intervenire  a modifica del presupposto su cui si fondava la sentenza
n. 223/2004,  rendendo  possibile  con la trasformazione in delitto e
l'inasprimento delle pene - in astratto - l'applicazione delle misure
coercitive  secondo  i  limiti  previsti dall'art. 280, secondo comma
c.p.p.  sia  al  reato  di  cui all'art. 14, comma 5 ter che a quello
dell'art. 13, comma 13, oggetto della presente valutazione.
    La  previsione  di  un  minimo edittale cosi' elevato: un anno di
reclusione,   innanzitutto  non  pare  ragionevole  neppure  ai  fini
dichiarati  del  Legislatore: 1'esigenza di rendere la fattispecie in
esame  compatibile  con  il  sistema  generale  di applicazione delle
misure  coercitive: infatti a tali fini e' rilevante il parametro dei
massimi  edittali  inderogabili  (cfr.  274  lett.  c  e 280 II comma
c.p.p.),  non essendo invece di nessun interesse i minimi edittali di
pena.  Inoltre  giustificare una scelta di diritto penale sostanziale
con  una  esigenza  processuale  non  pare rispondente al principi di
ragionevolezza   e   proporzionalita'   della   pena   rispetto  alla
offensivita'  della condotta con conseguente violazione degli artt. 3
e 27, terzo comma Cost.
    Appare  poi  nella sostanza evidente la disparita' di trattamento
in  tal  modo  attuata  tra  cittadini  extracomunitari  e  cittadini
comunitari  che  violino  ordini amministrativi dati per finalita' di
sicurezza  o  ordine  pubblico: mentre i cittadini comunitari vengono
sanzionati  per  tale condotta solo con una contravvenzione (art. 650
c.p.  addirittura  oblabile o definibile con una condanna a pena solo
pecuniaria anche se socialmente pericolosi ( contravvenzione prevista
dall'art. 2   legge   n. 27   dicembre   1956/1423:  inosservanza  di
provvedimenti   del   questore   da  parte  di'  persone  pericolose,
sanzionata con l'arresto da uno a sei mesi);
    I  cittadini  extracomunitari  per  lo  stesso tipo di violazione
vengono puniti con una pena minima di un anno di reclusione.
    E'  dunque  evidente  che il legislatore nel bilanciare la tutela
degli  interessi dell'ordine e sicurezza pubblica da un lato e quello
della  liberta'  personale  del  soggetto agente dall'altra non abbia
rispettato  il  criterio  della  parita' di trattamento di situazioni
analoghe-eguali, sancito dall'art. 3 della Costituzione.
    Otto mesi di reclusione appaiono pertanto una pena sproporzionata
in  eccesso  per  non  aver  rispettato  l'ordine di non rientrare in
Italia  in  confronto  alla sanzione massima possibile di tre mesi di
arresto   per   un  cittadino  italiano  che  ad  esempio  non  abbia
ottemperato   all'ordine  di  demolizione  di  edificio  pericolante,
condotta  oggettivamente  piu' pericolosa per la pubblica incolumita'
di quella oggetto del presente giudizio.
    La norma di cui all'art. 13, comma 13 d.lgs. n. 286/1998 non pare
pertanto  neppure  conforme  ai  principi  di ragionevolezza, sotto i
profili  della  proporzione  tra  la pena e il disvalore per il fatto
illecito  commesso  ex  artt. 3  e  27,  III comma Cost. impedendo al
giudice  di determinare la pena ex art. 133 c.p. anche al di sotto di
tale limite minimo per i casi di gravita' minima come il presente con
proporzionalita' rispetto alla gravita' concreta del fatto.
    La  norma  appare dunque in contrasto, nella parte in cui prevede
un  minimo edittale di un anno di reclusione, con gli artt. 3 e 2, in
rel.  all'art. 10  della  Costituzione  che  sanciscono e delineano i
principi  fondamentali  di  uguaglianza  davanti  alla  legge  e pari
dignita'   sociale,  nonche'  di  garanzia  dei  diritti  inviolabili
dell'uomo  tra i quali rientra evidentemente il diritto alla liberta'
individuale, e non pare dubitabile che, in ragione dell'art. 10 della
Costituzione,  tali  principi  fondamentali  spieghino  piena vigenza
anche  nei  confronti  degli  stranieri presenti sul territorio della
Repubblica.
    La  norma  citata  appare  infine in contrasto con l'art. 27, III
comma  Cost.  anche  sotto il profilo della mancanza di soggettivita'
criminale  da  rieducare,  in  relazione  a  condotte determinate con
evidenza  da  pressanti  esigenze economiche nel paese di origine che
spingono  alla emigrazione, senza dolo criminale o volonta' di creare
danno a terzi, sia sotto il profilo della impossibilita' materiale di
attuazione  della  finalita' rieducativa della pena per una categoria
di  soggetti  come  gli  extracomunitari presenti clandestinamente in
Italia  e gia' oggetto di legittima espulsione, infatti, tenuto conto
delle  finalita'  e  della intera disciplina legislativa di contrasto
alla  immigrazione  clandestina,  queste  persone  non  potranno  mai
rimanere   in  Italia,  dunque  non  ha  senso  parlare  di  un  loro
inserimento   sociale   in   Italia-Europa,   l'unico  rilevante  per
l'ordinamento.
    La  questione  della  illegittimita' costituzionale dell'art. 13,
comma  13,  d.  lgs.  n. 286/1998 come sopra illustrata appare quindi
rilevante  per  la  decisione e non manifestamente infondata e induce
pertanto la giudicante a rimettere gli atti alla Corte costituzionale
per le valutazioni di competenza.
                              P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge n. 11 marzo 1953, n. 87;
    Ritenuto   che  ai  fini  della  presente  decisione  non  appare
manifestamente  infondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 13,  comma  13  d. lgs. n. 286/1998 - come sostituito dalla
legge  n. 12  novembre  2004  n. 271  - nella parte in cui prevede il
limite  minimo  edittale  di  un  anno di reclusione per lo straniero
espulso  che  rientri  nel  territorio  dello Stato senza la speciale
autorizzazione  del  Ministro  dell'interno,  per  contrasto  con gli
articoli  2,  3,  10  e 27, comma 3 della Costituzione secondo quanto
esposto nella motivazione;
    Ritenuto che la stessa sia rilevante ai fini del decidere;
    Sospende  il procedimento in corso per giudizio direttissimo, nei
confronti di Sohoreanu Constantin e,
    Ordina   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale;
    Ordina  altresi'  che,  a  cura  della  Cancelleria,  la presente
ordinanza  sia  notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e
che  la  stessa  venga  comunicata ai Presidenti delle due Camere del
Parlamento.
    La lettura in udienza equivale a notifica alle parti presenti.
        Gorizia 31 marzo 2006
                      La giudice: Bigattin Nagm
07c0181