N. 47 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 luglio 2006
Ordinanza dell'11 luglio 2006 (pervenuta alla Corte costituzionale il 24 gennaio 2007) emessa dalla Corte dei conti - Sezione giurisdizionale d'appello per la Regione Siciliana - Palermo, sull'appello proposto da Impicciche' Maurizio contro Procuratore Regionale presso la Sezione giurdisdizionale per la Regione Siciliana. Corte dei conti - Giudizi di responsabilita' - Soggetti condannati per fatti commessi prima dell'entrata in vigore della legge censurata - Possibilita' di chiedere, in sede di appello, la definizione del giudizio mediante il pagamento di una somma non inferiore al 10 per cento e non superiore al 20 per cento del danno quantificato nella sentenza di primo grado - Irrazionalita' - Violazione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione - Interferenza sulla funzione giurisdizionale - Violazione del principio di separazione del potere legislativo dal potere giudiziario. - Legge 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 231. - Costituzione, artt. 3, 97, 101 e 103. Corte dei conti - Giudizio di responsabilita' - Soggetti condannati per fatti commessi prima dell'entrata in vigore della legge censurata - Giudizio di impugnazione - Possibilita' della sezione di appello della Corte dei conti, in caso di accoglimento della richiesta di riduzione del danno, di determinare la riduzione della somma dovuta in misura non superiore al 30 per cento del danno quantificato nella sentenza di primo grado - Irrazionalita' - Violazione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione - Interferenza sulla funzione giurisdizionale. - Legge 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 232. - Costituzione, artt. 3, 97, 101 e 103. Corte dei conti - Giudizi di responsabilita' - Soggetti condannati per fatti commessi prima dell'entrata in vigore della legge censurata - Fase di appello - Previsione che il giudizio si intende definito a decorrere dalla data di deposito della ricevuta di versamento presso la segreteria della sezione di appello della somma dovuta dal condannato - Irrazionalita' - Violazione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione - Interferenza sulla funzione giurisdizionale. - Legge 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 233. - Costituzione, artt. 3, 97, 101 e 103.(GU n.9 del 28-2-2007 )
LA CORTE DEI CONTI Ha pronunciato la seguente ordinanza sull'istanza avanzata, ai sensi e per gli effetti dell'art. 1, comma 231, legge 23 dicembre 2005, n. 266, nel giudizio d'appello, iscritto al n. 1840/Aresp del reg. segr., promosso dal sig. Maurizio Impicciche', rappresentato e difeso dagli avv.ti prof. Giovanni Pitruzzella e Massimiliano Mangano presso lo studio dei quali in Palermo, Via n. Morello, n. 40, e' elettivamente domiciliato, contro la procura regionale presso la sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la regione siciliana, per l'annullamento della sentenza della sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la regione siciliana n. 1797/2005 del 18 luglio - 6 ottobre 2005. Visti gli atti ed i documenti di causa. Uditi nella camera di consiglio del 29 giugno 2006 il relatore, cons Giuseppe Cozzo, l'avv. Massimiliano Mangano e il vice procuratore generale, dott. Diana Calaciura Traina. F a t t o La sezione giurisdizionale delta Corte dei conti per la regione siciliana, con la sentenza n. 1797/2005 del 18 luglio - 6 ottobre 2005, ha condannato il sig. Maurizio Impicciche' dipendente regionale, membro del consiglio di amministrazione e del comitato tecnico del consorzio fidi industrie di Palermo, condannato, per il reato di bancarotta fraudolenta di cui all'art. 223, commi 1 e 2 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, consumato in concorso con altri amministratori e dipendenti dell'Ente con sentenza del Tribunale di Palermo n. 404/02, confermata dalla Corte di appello di Palermo con sentenza n. 2839/02 divenuta irrevocabile il 13 gennaio 2004 - riconoscendo la sua responsabilita' amministrativa per gli stessi fatti oggetto del procedimento penale, al pagamento in favore della Regione siciliana detta somma complessiva di 110.896,20 euro, oltre alla rivalutazione monetaria da calcolarsi secondo l'indice ISTAT di cui all'art. 150 delle disposizioni d'attuazione del codice di procedura civile, a decorrere dal 17 giugno 2004 e fino all'effettiva pubblicazione della presente sentenza, e agli interessi legati da tale data e sino al soddisfo. Avverso tale sentenza il sig. Impicciche' ha proposto appello, sostenendo il difetto di giurisdizione della Corte dei conti e, nel merito, l'assenza degli elementi necessari per l'affermazione della sua responsabilita' amministrativa (danno, nesso di causalita) e chiedendo l'annullamento della decisione appellata e, in subordine, la riduzione dell'addebito Il procuratore generale, nelle conclusioni scritte, ha chiesto il rigetto per gli effetti dell'art. 1, comma 231, legge 23 dicembre 2005, n. 266, la definizione del procedimento di appello mediante il pagamento di una somma pari al 10% (e comunque non superiore al 20%) del danno quantificato nella sentenza. Il p.m., con atto depositato il 26 giugno 2006, ha espresso parere contrario all'accoglimento dell'istanza. Nella camera di consiglio del 29 giugno 2006 le parti hanno confermato le rispettive posizioni. D i r i t t o L'art. 1 della legge 23 dicembre 2005, n. 266, intervenuta nel corso del processo di appello promosso dal sig. Maurizio Impicciche' per l'annullamento della sentenza della sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la regione siciliana n. 1797/2005 del 18 luglio-6 ottobre 2005, ha previsto un sistema di regole secondo cui con riferimento alle sentenze di primo grado pronunciate nei giudizi di responsabilita' dinanzi alla Corte dei conti per fatti commessi antecedentemente alla data di entrata in vigore delta presente legge, i soggetti nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di condanna possano chiedere alla competente sezione di appello, in sede di impugnazione, che il procedimento venga definito mediante il pagamento di una somma non inferiore al 10 per cento e non superiore al 20 per cento del danno quantificato nella sentenza (comma 131); la sezione di appello, con decreto in camera di consiglio, sentito il procuratore competente, delibera in merito alla richiesta e, in caso di accoglimento, determina la somma dovuta in misura non superiore al 30 per cento del danno quantificato nella sentenza di primo grado, stabilendo il termine per il versamento (comma 232) il giudizio di appello si intende definito a decorrere dalla data di deposito della ricevuta di versamento presso la segretena della sezione di appello (comma 233). Tali disposizioni, in sostanza, introducono nella fase dell'appello un procedimento camerale diretto alla definizione agevolata del giudizio di responsabilita' amministrativa. La sezione dubita della legittimita' costituzionale di un simile sistema di regole, applicabili nella specie poiche' il mutamento di diritto sostanziale e' avvenuto prima dell'accertamento definitivo della responsabilita' dell'intimato, in relazione agli artt. 3, 97, 101 e 103 Cost. Dalla giurisprudenza costituzionale (sentt. nn. 68 del 1971, 63 del 1973 e 1032 del 1988) sembra desumersi che la concreta garanzia dei principi costituzionali di eguaglianza, del buon andamento e del controllo contabile, i quali ultimi sono legati dal comune fine di assicurare l'efficienza e la regolarita' della gestione finanziaria e patrimoniale degli enti pubblici, sia sostanzialmente affidata alla legge ordinana. Sono riservate, infatti, al discrezionale apprezzamento del legislatore non solo la determinazione e la graduazione dei tipi e dei limiti di responsabilita' che, in relazione alle varie categorie di dipendenti pubblicio alle particolari situazioni regolate, appaiano come le forme piu' idonee a garantire l'attuazione dei predetti principi costituzionali (sent. n. 411 del 1988; ord. n. 549 del 1988, nonche', in relazione all'art. 28 Cost., le sentt. nn. 2 del 1968, 123 del 1972, 164 del 1982, 26 del 1987), ma anche la possibilita' di stabilire un limite patrimoniale della responsabilita' amministrativa (sent. n. 340 del 2001). Cio' significa in ultima analisi, per un verso, che, ancorche' non sia possibile trarre dall'ordinamento (artt. 97 e 103, secondo comma, Cost.) un principio di inderogabilita' delle comuni regole della responsabilita', si puo', tuttavia, da esso ricavare la regola secondo la quale la discrezionalita' del legislatore, per essere correttamente esercitata, deve determinare e graduare i tipi e i limiti della responsabilita', caso per caso, in riferimento alle diverse categorie di dipendenti pubblici ovvero alle particolari situazioni, stabilendo, per ciascuna di esse, le forme piu' idonee a garantire i principi del buon andamento e del controllo contabile (sent. n. 371 del 1998) e, per l'altro, che, in sede di giudizio di legittimita' costituzionale, le leggi disciplinanti la responsabilita' dei pubblici dipendenti sono sindacabili, in riferimento ai parametri invocati, solo sotto il profilo della ragionevolezza della disciplina adottata e delle differenziazioni introdotte (art. 3 Cost.). Pur non potendosi negare, dunque, in linea di principio la possibilita' di un intervento legislativo del, tipo di quello esaminato, e', tuttavia, pur sempre necessario che esso sia, anzitutto, strettamente collegato alle specifiche peculiarita' del caso, tali da escludere che possa risultare arbitraria la sostituzione della disciplina generale - originariamente applicabile - con quella eccezionale successivamente emanata, tanto sotto il profilo del rispetto del principio costituzionale di parita' di trattamento, quanto sotto il profilo della tutela del buon andamento e della salvaguardia da indebite interferenze dell'esercizio della funzione giurisdizionale. Sennonche', nella specie le previsioni normative denunciate di incostituzionalita' sono caratterizzate da una indeterminatezza assoluta sullo scopo perseguito dal legislatore, tale da precludere definitivamente la ricerca di una qualsiasi ratio normativa che non sia quella della limitazione patrimoniale del risarcimento per se stessa; pertanto, esse, connotandosi unicamente come effetto premiale ingiustificato, si palesano come una negazione illogica e ingiustificata dei principi del buon andamento e del controllo contabile, che non puo' certamente rappresentare un termine di comparazione con gli altri valori coinvolti ai fini della verifica del rispetto dei principi di eguaglianza e di buon andamento. Le previsioni in questione appaiono viziate in relazione ai parametri costituzionali indicati anche per altro aspetto. Infatti, nel sistema positivo vigente l'attenuazione della responsabilita' amministrativa nei singoli casi, e' rimessa al potere riduttivo sul quantum affidato al giudice che puo' anche tenere conto delle capacita' economiche del soggetto responsabile, oltre che dal comportamento, al livello della responsabilita' e del danno effettivamente cagionato. In contrasto con questi principi dell'ordinamento ed assolutamente irragionevole e', pertanto, una riduzione predeterminata e pressoche' automatica della responsabilita' amministrativa e della misura del risarcimento, senza che possa soccorrere una valutazione sull'incidenza del comportamento complessivo occasione della prestazione che ha dato luogo alla responsabilita' (cfr. Corte Cost. sent. n. 340 del 2001). Ugualmente incostituzionale appare, infine, l'affidamento al giudice contabile di un potere discrezionale illimitato nella individuazione delle ragioni da porre a fondamento dell'accoglimento della domanda riduzione dell'addebito e della concreta determinazione della misura del risarcimento, avendo il legislatore indicato solo i limiti quantitativi di tale potere fra un minimo e un massimo risultanti dalla norma, senza fissare criteri direttivi ai quali il giudice stesso debba attenersi. Le norme in esame, infatti, oltre a porsi in diretto contrasto con i principi di cui gli artt. 3, 97 e 103 Cost., essendo dirette ad introdurre una disciplina limitativa in forma generalizzata della responsabilita' amministrativa con riferimento indiscriminato a tutti i pubblici dipendenti e a tutte le possibili situazioni, confliggono con il principio secondo cui il giudice e' soggetto alla legge (art. 101 Cost.), con grave vulnus del principio di separazione del potere legislativo dal potere giudiziario. La questione di leggittimita' costituzionale, non superabile in via interpretativa, e' rilevante. Qualora, infatti, le norme denunciate venissero dichiarate incostituzionali non potrebbero piu' essere applicate nel presente giudizio che proseguirebbe secondo il rito ordinario.
P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 231, 232 e 233 della legge 23 dicembre 2005, n. 266, in relazione agli artt. 3, 97, 101 e 103 Cost. Ordina l'immediata trasmissione degli atti, a cura della segreteria, alla Corte costituzionale, sospendendo conseguentemente il processo sino all'esito del giudizio incidentale di costituzionalita'. Dispone che, a cura della segreteria, la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e alle parti, e sia comunicata al presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Cosi' provveduto in Palermo, nella camera di consiglio del 29 giugno 2006. Il Presidente: Sancetta 07C0204