N. 130 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 marzo 2006

Ordinanza emessa il 10 marzo 2006 dalla Corte di appello di Lecce nel
procedimento penale a carico di Tursi Emilio ed altri

Processo penale - Appello - Modifiche normative - Possibilita' per il
  pubblico  ministero  di  proporre  appello  contro  le  sentenze di
  proscioglimento   -   Preclusione,   salvo  nelle  ipotesi  di  cui
  all'art. 603,  comma 2,  se la nuova prova e' decisiva - Violazione
  del  principio  della  parita'  delle parti - Lesione del principio
  della ragionevole durata del processo.
- Codice  di  procedura penale, art. 593, come sostituito dall'art. 1
  della legge 20 febbraio 2006, n. 46.
- Costituzione, art. 111.
Processo   penale  -  Appello  -  Modifiche  normative  -  Disciplina
  transitoria - Applicabilita' della nuova disciplina ai procedimenti
  in  corso  -  Inammissibilita'  dell'appello  proposto dal pubblico
  ministero contro una sentenza di proscioglimento prima dell'entrata
  in  vigore  della  novella - Violazione del principio della parita'
  delle  parti  -  Lesione del principio della ragionevole durata del
  processo  -  Violazione  del  principio  del  buon  andamento della
  pubblica amministrazione.
- Legge 20 febbraio 2006, n. 46, art. 10.
- Costituzione, artt. 97 e 111.
(GU n.13 del 28-3-2007 )
                         LA CORTE DI APPELLO

    Visti  gli atti del procedimento penale iscritto al n. 276/2006 a
carico di Tursi Emilio ed altri, definito in primo grado con sentenza
del tribunale di Lecce in data 30 novembre 2005;
    Rilevato  che,  contro  la predetta sentenza - con la quale tutti
gli  imputati  sono stati assolti dalle imputazioni loro ascritte per
insussistenza   del  fatto  -  hanno  proposto  appello  il  pubblico
ministero con atto 11 gennaio 2006 (con cui si chiede - tra l'altro -
la  rinnovazione  del  dibattimento  e  l'assunzione  di  prove  gia'
richieste  e  non  ammesse  dal  giudice  di  primo  grado) ed in via
incidentale  l'imputato  Fiengo Giuseppe che chiede, «in accoglimento
ove necessario del proposto appello, la conferma della statuizione di
primo  grado  in  ordine  all'insussistenza  dei  fatti  reato» a lui
contestati;
    Rilevato  che nelle more e' stata promulgata la legge 20 febbraio
2006,  n. 46,  entrata  in  vigore  nella  data  odierna,  la  quale,
all'art. 1,  modificando  il  previgente  art. 593,  cod. proc. pen.,
stabilisce  che «l'imputato e il pubblico ministero possono appellare
contro   le   sentenze   di  proscioglimento  nelle  ipotesi  di  cui
all'art. 603, comma 2, se la nuova prova e' decisiva»;
    Rilevato  che  la citata legge stabilisce all'art. 10 che essa si
applica  ai  procedimenti  in  corso  alla  data della sua entrata in
vigore   e   che   l'appello   proposto   contro   una   sentenza  di
proscioglimento  dall'imputato o dal pubblico ministero prima di tale
data  viene  dichiarato  inammissibile con ordinanza non impugnabile,
salva  la  possibilita' per il pubblico ministero e per l'imputato di
proporre  nei  quarantacinque  giorni  successivi  alla comunicazione
ricorso per cassazione;
    Ritenuto che, a niente dell'ultima disposizione citata, l'appello
proposto  dal pubblico ministero contro la sentenza in esame dovrebbe
de  plano  essere  dichiarato inammissibile in quanto palesemente non
ricorre l'ipotesi prevista dall'art. 603, comma 2 c.p.p. - di appello
cioe'  fondato  su  «prove nuove o scoperte dopo il giudizio di primo
grado»  -  essendo  la  richiesta  di  rinnovazione  del dibattimento
formulata dal pubblico ministero limitata all'assunzione di prove non
ammesse  dal  giudice  di  primo  grado che non possono quindi essere
considerate nuove e scoperte successivamente;
    Ritenuto  altresi'  che  non  ricorre  neppure l'ipotesi prevista
dall'art. 580 cod. proc. pen. come modificato dall'art. 7 della legge
n. 46/2006  secondo  cui  «quando  contro  la  stessa  sentenza  sono
proposti  mezzi  di impugnazione diversi, nel caso in cui sussista la
connessione di cui all'art. 12, il ricorso per cassazione si converte
in  appello»  giacche',  ai  fini  che  qui  interessano, all'appello
proposto  dall'imputato  Fiengo  in  via  incidentale,  che  e' ex se
inammissibile gia' secondo il testo previgente dell'art. 593, comma 2
cod. proc. pen., non puo' riconoscersi alcuna efficacia, data appunto
la  sua  dichiarata  natura  di impugnazione incidentale condizionata
quindi all'ammissibilita' dell'impugnazione principale e che per tale
ragione  non  potrebbe  produrre  l'effetto  di  rendere  ammissibile
l'impugnazione del pubblico ministero che tale non e';
    Ritenuto tuttavia di dover sottoporre al vaglio del Giudice delle
leggi  le  questioni di legittimita' costituzionale sollevate da piu'
parti  gia'  durante  l'iter  di  approvazione  della legge e che non
appaiono a questa corte manifestamente infondate;
    Considerato a riguardo che:
        la  Corte  costituzionale  ha ripetutamente affermato che «il
doppio grado di giurisdizione di merito non forma oggetto di garanzia
costituzionale»   e  neppure  puo'  essere  derivato  da  convenzioni
internazionali  con riferimento all'art. 2 del protocollo addizionale
n. 7  della  convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei diritti
dell'uomo  e delle liberta' fondamentali approvata a Strasburgo il 22
novembre 1984;
        la Corte ha ritenuto altresi' costituzionalmente legittime le
limitazioni, per esempio in materia di giudizio abbreviato, al potere
del pubblico ministero di impugnare una sentenza di proscioglimento o
di  proporre,  sempre nel rito abbreviato, appello incidentale quando
sia  stato proposto appello da parte dell'imputato (Corte cost. n. 98
del  1994)  e  tuttavia  la  Corte,  in quest'ultima sentenza, non ha
mancato di rilevare che «la configurazione dei poteri di impugnazione
del  pubblico  ministero  rimane  affidata  alla  legge ordinaria che
potrebbe  essere  censurata  per  irragionevolezza  solo  se i poteri
stessi,    nel   loro   complesso,   dovessero   risultare   inidonei
all'assolvimento   dei   compiti   previsti   dall'art.   112   della
Costituzione»,  col  principio cioe' dell'obbligatorieta' dell'azione
penale;
        gia'  alla stregua della giurisprudenza esistente della Corte
costituzionale,   anteriore   peraltro   alle   modifiche   apportate
all'art. 111   della   Costituzione  dalla  legge  costituzionale  23
novembre 1999, n. 2, sembrerebbe esclusa la possibilita' di negare in
linea  generale  al  pubblico  ministero  il  potere di impugnare con
appello le sentenze di proscioglimento;
        una   cosi'   pesante  limitazione  ai  poteri  del  pubblico
ministero si pone comunque in palese contrasto col disposto dell'art.
111,  secondo comma della Costituzione, secondo cui «ogni processo si
svolge  nel  contraddittorio  delle  parti, in condizioni di parita',
davanti  a  giudice terzo e imparziale»; sembrerebbe evidente infatti
che  la  condizione di parita' delle parti garantita nel processo dal
dettato  costituzionale  e'  seriamente  compromessa  dal  fatto  che
all'una - l'imputato - e' giustamente garantita la possibilita' di un
nuovo  processo  di  merito  nel  caso  di  condanna,  mentre analoga
possibilita'  non  e'  data  -  e senza alcun ragionevole motivo - al
pubblico  ministero (e neppure, ma e' problema che in questo processo
non  si  pone, alla persona offesa dal reato costituita parte civile)
nella ipotesi speculare di assoluzione dell'imputato;
        questo  profilo di possibile illegittimita' costituzionale e'
stato gia' rilevato dal Presidente della Repubblica nel suo messaggio
alle  camere  del  20  gennaio  2006 con cui si chiese un nuovo esame
della   legge  e  nel  quale  si  sottolineo'  che  «la  soppressione
dell'appello   delle  sentenze  di  proscioglimento,  a  causa  della
disorganicita'  della  riforma,  fa  si che la stessa posizione delle
parti del processo venga ad assumere una condizione di disparita' che
supera  quella  compatibile  con  la diversita' delle funzioni svolte
dalle  parti  stesse nel processo» mentre «le asimmetrie tra accusa e
difesa  costituzionalmente  compatibili  non devono mai travalicare i
limiti  posti  dall'art.  111, secondo comma della Costituzione» e si
sottolinea  ancora «l'ulteriore incongruenza» derivante dal fatto che
il  pubblico  ministero  totalmente  soccombente  non  puo'  proporre
appello,  mentre cio' gli e' consentito quando la sua soccombenza sia
solo  parziale,  avendo  ottenuto  una  condanna  diversa  da  quella
richiesta;
        questi  rilievi  peraltro  furono recepiti dal Parlamento che
ritenne  di  rimediarvi  introducendo la possibilita' per il pubblico
ministero  di impugnare con appello le sentenze di proscioglimento in
caso  di prove nuove, sopravvenute al giudizio di primo grado, aventi
carattere  decisivo:  ma il carattere assolutamente marginale di tale
possibilita'  non  modifica  minimamente i termini del problema e non
elimina i dubbi di costituzionalita' della norma in esame;
        la  quale,  secondo  i  rilievi contenuti anche nel messaggio
presidenziale,   si   pone   altresi'   in  contrasto  col  principio
costituzionale  affermato  dall'art. 111 della durata ragionevole del
processo  dato  che,  in  caso  di esperimento con esito positivo del
ricorso  per  cassazione da parte del pubblico ministero, il processo
torna  irragionevolmente al primo grado, consentendo alle parti tutte
le  attivita'  processuali  che la pronuncia di una sentenza di primo
grado  avrebbe  altrimenti precluso, e cio' inevitabilmente incide in
negativo   sulla   durata   del   processo;   e  nello  stesso  tempo
l'ampliamento  dei  casi  del  ricorso  per  cassazione  non solo non
produce   alcun   effetto  compensativo  rispetto  alla  soppressione
dell'appello  ma  avrebbe  al contrario un effetto inflattivo di gran
lunga  superiore  a  quello  deflattivo  derivante dalla soppressione
dell'appello;
        la  disposizione  transitoria  contenuta  nell'art.  10 della
legge  si  pone  altresi'  in  contrasto col principio costituzionale
affermato   dall'art.   97  della  Costituzione  del  buon  andamento
dell'amministrazione,  applicabile  secondo  la  giurisprudenza della
Corte  costituzionale  anche  agli  organi dell'amministrazione della
giustizia,  in quanto vanifica, senza un'apparente ragione, il lavoro
svolto  dal  pubblico  ministero,  costringendolo a rimodulare la sua
impugnazione  e  a  trasformarla  in  ricorso,  mentre  aggrava di un
eccessivo   carico   di   lavoro   la  Corte  di  cassazione  fino  a
comprometterne  l'efficienza e la stessa funzionalita', come peraltro
pubblicamente denunciato dal primo presidente della stessa corte.
    Ritenuto  pertanto  che  i dubbi di illegittimita' costituzionale
delle  norme  in  esame,  non essendo manifestamente infondati, vanno
prospettati   alla   Corte  costituzionale  e  che  in  attesa  della
decisione,  va sospesa l'emissione dell'ordinanza di inammissibilita'
della proposta impugnazione.
                              P. Q. M.
    Visto  l'art. 1 della legge costituzionale n. 1 del 1948 e l'art.
23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Solleva   d'ufficio   questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 593 cod. proc. pen. come modificato dall'art. 1 della legge
20  febbraio  2006,  n. 46,  nella  parte in cui limita l'appello del
pubblico  ministero  alle  sole  sentenze  di  condanna e lo consente
contro   le  sentenze  di  proscioglimento  nei  soli  casi  previsti
dall'art.  603,  comma 2 cod. proc. pen., in riferimento all'art. 111
della  Costituzione,  sia  sotto il profilo della parita' delle parti
nel  processo,  sia  sotto  il  profilo  della durata ragionevole del
processo  stesso; nonche' dell'art. 10 della citata legge 20 febbraio
2006,  n. 46,  che  dichiara  applicabili ai procedimenti in corso le
disposizioni  contenute  nella  stessa  legge e prevede che l'appello
proposto  anteriormente  alla  sua  entrata  in vigore sia dichiarato
inammissibile,  in  riferimento  agli articoli 111 - sotto entrambi i
profili evidenziati - e 97 della Costituzione;
    Dispone,  a  cura  della  cancelleria, la trasmissione degli atti
alla  Corte  costituzionale,  previa  notifica di questa ordinanza al
pubblico  ministero  ed  alle parti private nonche' al presidente del
Consiglio dei ministri;
    Dispone  altresi' la comunicazione ai presidenti delle due Camere
del Parlamento;
    Sospende il processo in corso.
        Lecce, addi' 9 marzo 2006
                        Il Presidente: Buffa
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