N. 146 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 luglio 2006
Ordinanza emessa il 17 luglio 2006 dalla Corte dei conti - Sezione giurisdizionale d'appello per la Regione Siciliana - Palermo - sull'appello proposto da Stapino Greco Corte dei conti - Giudizio di responsabilita' - Soggetti condannati per fatti commessi prima dell'entrata in vigore della legge censurata - Fase di appello - Possibilita' di chiedere la definizione del giudizio mediante il pagamento di una somma non inferiore al 10 per cento e non superiore al 20 per cento del danno quantificato nella sentenza di primo grado - Irrazionalita' - Violazione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione - Interferenza sulla funzione giurisdizionale contabile, con specifico riguardo al principio di libero convincimento del giudice - Violazione del principio di separazione del potere legislativo dal potere giudiziario. - Legge 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 231. - Costituzione, artt. 3, 24, 97, 101, 103 e 111. Corte dei conti - Giudizio di responsabilita' - Soggetti condannati per fatti commessi prima dell'entrata in vigore della legge censurata - Fase di appello - Possibilita' della sezione di appello della Corte dei conti, in caso di accoglimento della richiesta di definizione del giudizio, di determinare la riduzione della somma dovuta in misura non superiore al 30 per cento del danno quantificato nella sentenza di primo grado - Irrazionalita' - Lesione del diritto di difesa e dei principi del giusto processo, con riferimento alla compressione del ruolo del pubblico ministero contabile - Violazione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione - Interferenza sulla funzione giurisdizionale contabile, con specifico riguardo al principio di libero convincimento del giudice. - Legge 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 232. - Costituzione, artt. 3, 24, 97, 101, 103 e 111. Corte dei conti - Giudizio di responsabilita' - Soggetti condannati per fatti commessi prima dell'entrata in vigore della legge censurata - Fase di appello - Previsione che il giudizio si intende definito a decorrere dalla data di deposito della ricevuta di versamento presso la segreteria della sezione di appello della somma dovuta dal condannato - Irrazionalita' - Violazione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione - Interferenza sulla funzione giurisdizionale contabile, con specifico riguardo al principio di libero convincimento del giudice. - Legge 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 233. - Costituzione, artt. 3, 24, 97, 101, 103 e 111.(GU n.13 del 28-3-2007 )
LA CORTE DEI CONTI Ha emesso la seguente ordinanza n. 44/A/2006/ORD, nel giudizio in materia di responsabilita' amministrativa iscritto al 1820/A/RESP del registro di segreteria e promosso dal sig. Stapino Greco, col patrocinio dell'avv. Angelo Cuva, avverso la sentenza n. 1863/2005 della Sezione giurisdizionale per la Regione Siciliana. Visti gli atti e i documenti di causa; Uditi, nella Camera di consiglio del 27 giugno 2006, il relatore, consigliere Salvatore Cilia, l'avv. Cuva e il Vice Procuratore generale Diana Calaciura. F a t t o Con atto di citazione depositato in segreteria il 27 dicembre 2004, la Procura regionale - prendendo spunto dalla segnalazione del Collegio dei revisori, in data 4 dicembre 2003, dell'Ente «Fiera del Mediterraneo» concernente il mancato versamento, fra l'altro, dei contributi previdenziali e assistenziali del personale dipendente, e dopo avere ritenuto di non ascrivere qualsiasi responsabilita' a carico del sig. Francesco Biondo, dirigente amministrativo dell'Ente - ha convenuto in giudizio il dott. Stapino Greco, nella qualita' di Commissario straordinario in carica all'epoca dei fatti, per sentirlo condannare alla somma di Euro 295.312,78 (pari alle sanzioni l'omesso versamento dei contributi previdenziali e assistenziali per il periodo 2002-2003), oltre rivalutazione monetaria, interessi legali e spese di giudizio. Con la sentenza n. 1863/2005, la Sezione giurisdizionale, dopo avere rigettato la pregiudiziale eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalla difesa del convenuto (con riferimento al piu' recente orientamento giurisprudenziale della Corte di cassazione in merito alla spettanza alla Corte dei conti della giurisdizione di responsabilita' sugli enti pubblici economici), riconosce la sussistenza del danno, la piena responsabilita' del convenuto (a livello di colpa grave) e il necessario nesso di causalita' e, non riscontrando alcun presupposto giuridico per l'applicazione del c.d. potere riduttivo, condanna il sig. Greco all'intero importo indicato nell'atto di citazione (peraltro rideterminato, per effetto di errori materiali in Euro 295.272,78), oltre rivalutazione monetaria interessi legali e spese di giudizio. Con atto di appello depositato in segreteria il 15 dicembre 2005 l'avv. Cuva, da una parte, ha reiterato (analiticamente) l'eccezione del «difetto assoluto (formale e sostanziale) della giurisdizione della Corte dei conti» (rilevando peraltro la carenza di motivazione, sul punto, nella sentenza appellata), e, dall'altra, nel merito, l'infondatezza dei presupposti della contestazione e la non imputabilita' del danno, sia perche' il mancato pagamento dei contributi previdenziali e assistenziali e' da attribuire esclusivamente alla circostanza che l'Ente non disponeva dei necessari mezzi finanziari (anche perche' «si doveva prioritariamente provvedere al pagamento delle retribuzioni al presonale dipendente... al fine di evitare il grave ed irreparabile danno della interruzione dell'attivita' fieristica di interesse pubblico»); sia perche' la revoca di un mandato (di Euro 403.606,00) gia' emesso, per il pagamento dei contributi INPS per il periodo giugno-dicembre 2002 (evocata dalla Procura regionale come indizio di responsabilita), rispondeva, in effetti, ad una «scelta obbligata», stante che la «disponibilita» di cassa presentava, in effetti, una scopertura di Euro 178.018,10; sia perche' le spesa per consulenze (di cui si e' parlato ampiamente tanto nell'atto di citazione quanto nella sentenza di primo grado) erano in gran parte «indispensabili» e non discrezionali in quanto strutturalmente finalizzate alla realizzazione degli eventi fieristici (che costituiscono l'attivita' istituzionale dell'Ente) (mentre altre avevano lo scopo di studiare i meccanismi per la trasformazione dell'Ente in S.p.A., per la quale l'assessore regionale della cooperazione aveva conferito preciso mandato al Commissario straordinario, pur in assenza di specifica legge). In ultima istanza, il difensore chiede - in via subordinata - la riduzione dell'addebito (gia' richiesta e denegata con la sentenza appellata), tenendo conto, da una parte, delle «condizioni oggettive e strutturali di crisi finanziaria che hanno condotto al mancato pagamento dei contributi», e, dall'altra, dei vantaggi derivati all'Ente dal comportamento del convenuto che, continuando a pagare le tretibuzioni al personale dipendente, ha consentito la «continuazione dell'attivita' dell'Ente» (laddove, nel corso del 2005, lo stesso Ente ha subito un grave danno proprio per il mancato pagamento delle retribuzioni, come risulta dagli allegati ritagli di stampa). In data 11 maggio 2006, l'avv. Cuva ha chiesto - ai sensi dell'art. 1 comma 231, della legge n. 266/2005 - la definizione del processo «mediante il pagamento di una somma non inferiore al 10 per cento e non superiore al 20 per cento del danno quantificato nella sentenza appellata». La Procura generale, a sua volta, ha depositato in segreteria due diversi atti: col primo (6 giugno 2006), ha contrastato l'atto di appello sui vari punti in cui si articola, concludendo con la richiesta del rigetto dell'atto stesso e della conferma della sentenza appellata; col secondo (23 giugno 2006), nell'esprimere il parere di competenza in ordine ai commi 231 e 232 della legge n. 266/2005, ha concluso nel senso che «nella fattispecie l'istanza... non puo' comunque trovare accoglimento» stante che, «in tale contesto, risultano evidenti la riconoscibilita' ex ante dalle regole di condotta, per dovere professionale d'ufficio e per le tante sollecitazioni da parte degli organi di controllo dell'ente», nonche' «la volontarieta' della condotta nonche' la insussistenza di oggettive difficolta' nello svolgimento dello specifico compito d'ufficio». Nella Camera di consiglio del 27 giugno 2006, mentre l'avv. Cuva ha confermato la richiesta di definizione agevolata del giudizio formulata con l'atto depositato l'11 maggio 2006, il V.P.G. ha reiterato l'inaccoglibilita' di tale richiesta ipotizzata col secondo atto scritto. Diritto L'art. 1 della legge 23 dicembre 2005, n. 266, pone - ai commi 231, 232 e 233 - i seguenti (nuovi) meccanismi sostanziali e processuali applicabili nei giudizi di responsabilita' dinanzi alla Corte dei conti per i fatti commessi antecedentemente alla data di entrata in vigore dalla legge stessa: 1) - «i soggetti nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di condanna possono chiedere alla competente sezione di appello, in sede di impugnazione, che il procedimento venga definito mediante il pagamento di una somma non inferiore al 10 per cento e non superiore al 20 per cento del danno quantificato nella sentenza»; 2) - «la sezione di appello, con decreto in camera di consiglio, sentito il procuratore competente, delibera in merito alla richiesta e, in caso di accoglimento, determina la somma dovuta in misura non superiore al 30 per cento del danno quantificato nella sentenza di primo grado, stabilendo il termine per il versamento»; 3) - «il giudizio di appello si intende definito a decorrere dalla data di deposito della ricevuta di versamento presso la segreteria della Sezione di appello». Tali disposizioni, in sostanza, introducono, nella fase di appello, un procedimento camerale diretto alla definizione «agevolata» del giudizio di responsabilita' innanzi la Corte dei conti; ma la Sezione dubita della legittimita' costituzionale del complesso di tali disposizioni, per violazione degli artt. 3, 24, 97, 101, 103 e 111 della Costituzione. Il ragionamento della Sezione prende la mosse da quella giurisprudenza costituzionale (fra le altre, sentenze n. 68/1971, n. 63/1973 e n. 1032/1988) in base alla quale la concreta garanzia dei principi costituzionali di eguaglianza, di buon andamento e del controllo contabile sia sostanzialmente affidata alla legge ordinaria, nel senso che sono riservate al discrezionale apprezzamento del legislatore non solo la determinazione e la graduzione dei tipi e dei limiti di responsabilita' che - in relazione alle varie categorie di dipendenti pubblici o alle particolari situzioni regolate - appaiono come le forme piu' idonee a grantire l'attuzione dei predetti principi costituzionali (sentenza n. 411/1988 e ordinanza n. 549/1988, nonche' - con riferimento all'art. 28 Cost. - le sentenze n. 2/1968, n. 123/1972, n. 164/1982 en. 26/1987), ma anche la possibilita' di stabilire un limite patrimoniale della responsabilita' amministrativa (sentenza n. 340/2001). Cio' sta a significare, in definitiva, da una parte, che, per quanto non sia possibile trarre da taluni partametri costituzionali (in particolare, artt. 97 e 103, comma 2, Cost.) un principio di inderogabilita' delle comuni regole della responsabilita', si pua' tuttavia ricavare dagli stessi parametri la regola secondo la quale la discrezionalita' del legislatore, per essere considerata corretta nel suo esercizio deve determinare e graduare, caso per caso, i tipi e i limiti della responsabilita' in riferimento alle diverse categorie di dipendenti pubblici e alle diverse situazioni concrete, fissando, per ciascuna di esse, le forme piu' idonee a garantire i principi del buon andamento e del controllo contabile (sentenza n. 371/1998); e, dall'altra, che, in sede di giudizio di legittimita' costituzionale, le leggi disciplinanti la responsabilita' dei pubblici dipendenti sono sindacabili, in riferimento ai parametri invocati, solo sotto il profilo della ragionevolezza della disciplina adottata e dalle diversita' introdotte (cioe', in relazione all'art. 3 Cost.). Conseguentemente, pur non potendosi negare, in linea di principio, la possibilita' di un intervento legislativo del tipo di quello esaminato in questa sede, e' tuttavia pur sempre necessario che l'intervento stesso sia strettamente (e ragionevolmente) collegato alle specifiche peculiarita' del caso in modo tale da escludere qualsiasi ipotesi di arbitrio nella fase di sostituzione della disciplina generale con una (successiva) eccezionale (Corte cost., sentenza n. 14/1999, e altre precedenti ivi citate) sotto il profilo tanto del rispetto del principio di eguaglianza, quanto della tutela del buon andamento e della salvaguardia della funzione giurisdizionale da indebite interferenze da parte del potere legislativo. Sennonche', rispetto alle norme di cui si sta trattando, appare alquanto problematica l'individuazione della ratio che le sorregge, che non sia quella - puramente e semplicemente - della limitazione del risarcimento patrimoniale del soggetto condannato in primo grado, circostanza che, proprio per questo, caratterizza l'innovazione normativa per la sua irrazionalita' e - conseguentemente - per la sua arbitrarieta'. In merito, potrebbe essere utile richiamare due esempi, tratti dalla normativa, che - pur eventualmente «criticabili» sul piano lato sensu «politico» - presentano una ratio che consente di superare, sul piano giuridico, i dubbi di irrazionalita' e arbitrarieta': uno, concerne il c.d. «condono fiscale» che pur attivabile «dinanzi alle commissioni tributarie od al giudice ordinario in ogni grado del giudizio e anche a seguito di rinvio (da ultimo art. 16 legge 27 dicembre 2002, n. 289), e' chiaramente finalizzato all'incremento - e, in termini brevi - delle entrate fiscali, oltre a deflazionare, in qualche misura, il contenzioso tributario; un altro, concernente la «applicazione della pena su richiesta delle parti» (ai sensi degli artt. 444 e segg. cod. proc. pen.), che, potendo essere richiesta, nel giudizio ordinario, fino alla presentazione delle conclusioni di cui agli artt. 421, comma 3, e 422, comma 3 (e, in caso di giudizio direttissimo, fino alla dichiarazione di apertura di dibattimento di primo grado), e' chiaramente finalizzata a deflazionare il carico di lavoro del giudice penale per i reati meno rilevanti e, al contempo, a limitare drasticamente le pene detentive e quindi limitare gli accessi alle carceri, notoriamente superaffollate. Conseguentemente, raffrontando le citate situazioni con il caso che interessa in questa sede, a giudizio della Sezione appaiono violati gli artt. 97 (principio di buon andamento dell'amministrazione pubblica) e 103, comma 2, Cost. (controllo contabile) stante che le norme sottoposte a scrutinio costituzionale, da una parte, non incidono minimamente (in senso riduttivo) sull'entita' del contenzioso contabile (considerando che le norme stesse operano esclusivamente in sede di appello, nel cui ambito il sostituire una pubblica udienza con una camera di consiglio e una sentenza con un decreto e' sicuramente di piccolo momento), e, dall'altra, che producono (quasi sicuramente, facendo astrazione ovviamente dall'ipotesi di condanna in sede di appello ordinario) una minore entrata (fra il 90 per cento e il 70 per cento del danno quantificato nella sentenza di primo grado), per cui rimane soltanto l'irrazionale e incongruo «effetto premiale» (nei confronti del convenuto condannato), che, in quanto tale, si appalesa del tutto ingiustificato. D'altra parte, la Sezione ritiene che tali parametri costituzionali siano violati anche sotto un altro profilo. Infatti - premesso che nel sistema vigente l'attenuazione della responsabilita' amministrativo-contabile e' rimessa, nei singoli casi, al potere riduttivo del giudice, che, a tal fine, puo' tenere conto (fondamentalmente) del comportamento e del livello di responsabilita', ma anche delle capacita' economiche del soggetto responsabile -, appare assolutamente irragionevole (e, in questo senso, viene implicato anche l'art. 3 Cost.) una riduzione predeterminata e pressoche' automatica della responsabilita' e della misura del risarcimento, lasciando al giudice una valutazione minima in ordine al comportamento complessivo dell'agente (Corte costituzionale, sentenza n. 340/2001); con la ulteriore conseguenza che il complesso normativo esaminato potrebbe incidere (limitandolo) sul principio del «libero convincimento del giudice», violando cosi' l'art. 101 Cost., limitandolo anche nel senso che l'inciso «in caso di accoglimento» della richiesta del soggetto condannato (comma 232), non contenendo alcun criterio di orientamento per il giudice, comporta - in conclusione e in sostanza - l'assenza di qualsiasi «discrezionalita» dell'an (per cui il procedimento, in certo qual modo, diventa «obbligatorio», con la conseguenza, fra l'altro, che l'ipotesi, formulata dalla Procura Generale, di «inaccoglibilita», nella specie, della richiesta, promanante dalla parte privata di «definizione agevolata del giudizio», non potrebbe essere recepita dalla Sezione proprio per la mancanza di qualsiasi parametro cui collegare il predetto inciso «in caso di accoglimento».). A sua volta, il principio di eguaglianza appare ulteriormente violato nella considerazione che la normativa e' applicabile soltanto ai «soggetti nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di condanna», con la conseguenza che la situazione concreta potrebbe rilevarsi negativa nei confronti dei soggetti che risultino assolti in primo grado nel senso che la relativa sentenza potrebbe essere appellata dal pubblico ministero e che la sentenza di appello potrebbe essere di condanna, senza che il convenuto possa fruire dei vantaggi della norma «di condono». E' ben vero che, nella specie, si e' in presenza di soggetti condannati in primo grado, con la conseguenza che la prospettazione che precede potrebbe apparire non rilevante, ma, nell'economia complessiva della normativa, appare comunque irrazionale una previsione legislativa che esclude dai benefici qui soggetti la cui posizione - dopo la sentenza di primo grado - appare chiaramente meno «pesante» di quella dei convenuti condannati; mentre difficilmente potrebbe pervenirsi ad una interpretazione «adeguatrice», non solo perche', in tale caso, dovrebbe superarsi la «lettera» della «condanna» in primo grado, ma anche perche' si dovrebbe «creare» il criterio al quale correlare le percentuali del 10, del 20 o del 30 previste dalla legge. Appare violato anche l'art. 24 Cost. (in particolare, il comma 2: «La difesa e' diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento») nella parte in cui il pubblico ministero presso la Corte dei conti viene evocato nel solo comma 232 e solo per «essere sentito» in Camera di consiglio quando la Sezione di appello deve deliberare «in merito alla richiesta»; infatti, per tale funzione, limitata e marginale (che si sostanzia nell'espressione di un «parere»), del pubblico ministero, il procedimento regolato dai commi 231-233 dell'art. 1 della legge n. 266/2005 non assume, sostanzialmente, carattere bilaterale, per cui la funzione di «parte» del pubblico ministero contabile (nell'ottica - anche del «giusto processo» - dell'art. 111 Cost.) viene, nella specie, quasi pretermessa (con la conseguenza - fra l'altro - che, in tal modo, vengono pesantemente compressi i diritti e gli interessi della pubblica amministrazione, dei quali il pubblico ministero e' chiaramente portatore, in uno all'interesse generale dell'Ordinamento). Le questioni di legittimita' costituzionale che precedono, non superabili in via interpretativa, sono non manifestamente infondate per i motivi che procedono e rilevanti in quanto le norme denunciate, ove venissero dichiarate incostituzionali, non potrebbero essere applicabili nel presente giudizio, che proseguirebbe secondo il rito ordinario.
P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 231, 232 e 233 della legge 23 dicembre 2005, n. 266, in relazione agli artt. 3, 24, 97, 101, 103 e 111 della Costituzione. Ordina l'immediata trasmissione degli atti, a cura della segreteria, alla Corte costituzionale, sospendendo conseguentemente il processo fino all'esito del giudizio incidentale di costituzionalita'. Dispone che, a cura della segreteria, la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e alle parti, e sia comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Cosi' provveduto in Palermo, nella Camera di consiglio del 27 giugno 2006. Il Presidente: Sancetta L'estensore: Cilia 07C0359