N. 106 ORDINANZA 19 - 23 marzo 2007

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Reati  e  pene  -  Stato  civile  di  un  neonato - Alterazione nella
  formazione  di  un  atto  di  nascita - Trattamento sanzionatorio -
  Denunciata  violazione  del  principio  di  eguaglianza  rispetto a
  fattispecie  assimilabili  -  Esclusione  -  Manifesta infondatezza
  della questione.
- Cod. pen., art. 567, secondo comma.
- Costituzione, art. 3.
(GU n.13 del 28-3-2007 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Giovanni Maria FLICK;
  Giudici:  Francesco  AMIRANTE,  Ugo  DE  SIERVO, Romano VACCARELLA,
Paolo  MADDALENA,  Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO,
Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE,
Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 567, secondo
comma,  del  codice penale, promosso con ordinanza del 31 agosto 2005
dalla Corte di cassazione nel procedimento penale a carico di M.G. ed
altro,  iscritta  al  n. 16  del registro ordinanze 2006 e pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 5, 1ª serie speciale,
dell'anno 2006.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  Camera  di consiglio del 24 gennaio 2007 il giudice
relatore Alfio Finocchiaro.
    Ritenuto  che,  con  ordinanza  del  31 agosto  2005, la Corte di
cassazione  ha  sollevato  questione  di  legittimita' costituzionale
dell'art. 567,  secondo  comma,  del codice penale nella parte in cui
prevede  -  quale  sanzione  in  caso  di  falsita'  nella formazione
dell'atto  di  nascita  di  un  neonato - la pena della reclusione da
cinque   a   quindici   anni,   per   violazione   dell'art. 3  della
Costituzione,  in  quanto la pena comminata sarebbe irragionevolmente
elevata se comparata con quelle, piu' miti, previste per condotte non
solo simili ma addirittura piu' gravi;
        che  il  Collegio  rimettente  espone  che,  con sentenza del
Tribunale di Salerno, R.C. e G.M. sono stati dichiarati colpevoli del
delitto  di  alterazione  di  stato  previsto  dall'art. 567, secondo
comma,  cod.  pen.,  per avere reso false dichiarazioni di paternita'
naturale  - rispettivamente in data 31 luglio 1982 e 18 agosto 1983 -
in relazione a due neonate partorite da donne che non consentivano di
essere  nominate,  e  che,  con  il  riconoscimento delle circostanze
attenuanti generiche, gli imputati sono stati condannati alla pena di
tre anni e quattro mesi di reclusione ciascuno;
        che  avverso  la sentenza della Corte di appello di Salerno -
che  in data 26 maggio 2004 ha confermato la decisione di primo grado
-  gli  imputati  hanno  proposto ricorso per cassazione, chiedendone
l'annullamento per diversi motivi;
        che  il  Procuratore  generale presso la Corte di cassazione,
nel  sostenere  l'infondatezza di tali motivi, ha chiesto che venisse
sollevata  questione  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 567,
secondo  comma, cod. pen., per violazione dei principi di uguaglianza
e di proporzionalita' delle pene;
        che  il  giudice  a  quo  osserva  che  oggetto  delle  norme
incriminatici di cui all'art. 567 cod. pen. e' la tutela dello status
filiationis,  e  non della fede pubblica in quanto tale, giacche' per
la  tutela di quest'ultima sarebbe gia' sufficiente la previsione del
delitto  di  falso  ideologico  per induzione del pubblico ufficiale,
mentre  e'  evidente, nelle ipotesi di cui si tratta, un quid pluris,
che  investe  l'interesse  del  minore  e  la  rilevanza  sociale del
rapporto  familiare  riconosciuto per legge sulla base di un supporto
naturalistico;
        che  il  Collegio  rimettente rileva che nella fattispecie di
cui  all'art. 567,  primo  comma,  cod.  pen.,  che  punisce  con  la
reclusione da tre a dieci anni l'alterazione dello stato civile di un
neonato  mediante  la  sostituzione  di quest'ultimo, «si verifica un
accordo  -  il  quale  puo' essere anche anteriore alla dichiarazione
all'ufficiale  di  stato  civile - mediante il quale si attribuisce a
due  neonati  uno  status  filiationis  oggettivamente falso, perche'
diverso da quello formale»;
        che  tale  condotta,  secondo il giudice a quo, e' piu' grave
rispetto   a  quella  contemplata  dal  secondo  comma  dello  stesso
art. 567,  perche'  l'attribuzione di un falso status «presuppone una
condotta  materiale  piu' complessa, un accordo che investe un numero
maggiore  di persone, con conseguente attribuzione di un falso status
a due soggetti anziche' ad uno»;
        che   cio'   consentirebbe  di  affermare,  nella  previsione
sanzionatoria  del  secondo  comma  dell'art. 567  del codice penale,
l'esistenza  di  una  lesione  del principio di ragionevolezza di cui
all'art. 3 Cost.;
        che, aggiunge il Collegio rimettente, pur costituendo la vita
umana,  nella  coscienza  sociale, in tutto il sistema penale e nella
cultura  occidentale,  il  bene  fondamentale, tuttavia il delitto di
alterazione  previsto  dall'art. 567,  secondo  comma,  cod.  pen. e'
punito  piu'  gravemente dell'infanticidio in condizioni di abbandono
materiale  o  morale  (art. 578 dello stesso codice), per il quale e'
comminata la sanzione della reclusione da quattro a dodici anni;
        che  la  grave  pena  edittale prevista dalla norma censurata
sposta  notevolmente i tempi di compimento della prescrizione, con la
conseguenza   che,   nella   specie,  dovrebbe  oggi  «affermarsi  la
colpevolezza degli imputati [...] quando le persone, il cui status fu
in  ipotesi  alterato,  hanno raggiunto l'eta' di ventidue e ventitre
anni»;
        che  nel  giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  che  ha  concluso  per  l'inammissibilita'  e,  comunque, per
l'infondatezza della questione.
    Considerato  che la Corte di cassazione dubita della legittimita'
costituzionale dell'art. 567, secondo comma, del codice penale, nella
parte  in  cui  commina  la  reclusione  da  cinque a quindici anni a
chiunque,  nella  formazione  di  un atto di nascita, altera lo stato
civile   di   un   neonato,   mediante   false  dichiarazioni,  false
attestazioni  o  altre  falsita',  per  violazione  dell'art. 3 della
Costituzione,  in  quanto  la  pena  comminata  e'  irragionevolmente
elevata se comparata con quelle, piu' miti, previste per condotte non
solo simili ma addirittura piu' gravi;
        che,  quali  tertia  comparationis, il giudice a quo richiama
gli  art. 567,  primo comma, cod. pen., che punisce con la reclusione
da  tre  a dieci anni l'alterazione dello stato civile di un neonato,
mediante  la  sostituzione di quest'ultimo, e l'art. 578 dello stesso
codice,  che  punisce  con  la reclusione da quattro a dodici anni la
madre che cagiona la morte del proprio neonato immediatamente dopo la
nascita  o  del feto durante il parto, quando il fatto e' determinato
da condizioni di abbandono materiale e morale connesse al parto;
        che  questa  Corte ha, anche di recente (ordinanza n. 229 del
2006), ribadito il proprio orientamento - espresso sin dalla sentenza
n. 26  del  1979 - secondo il quale la determinazione del trattamento
sanzionatorio   per   condotte  penalmente  rilevanti  rientra  nella
discrezionalita'    del    legislatore,   salvo   il   sindacato   di
costituzionalita'   su  scelte  normative  palesemente  arbitrarie  o
radicalmente  ingiustificate,  tali da evidenziare un uso distorto di
tale discrezionalita' (sentenza n. 325 del 2005);
        che  detto  sindacato  e'  possibile  qualora ci si dolga del
fatto  che  per un certo reato sia prevista una pena troppo elevata e
siano  indicate,  come  tertia comparationis, norme che prevedano, in
relazione  a  «fattispecie  di  reato sostanzialmente identiche», una
pena piu' mite;
        che  le  fattispecie  descritte  dal  primo comma (scambio di
neonati  senza  commettere  alcun  falso)  e dal secondo comma (falsa
attestazione   all'ufficiale   dello  stato  civile  in  ordine  alla
identita'  dei  genitori del neonato) dell'art. 567 del codice penale
sono  oggettivamente diverse perche', seppure in entrambe e' tutelato
il  medesimo  bene  giuridico  (l'interesse  del  minore alla verita'
dell'attestazione  ufficiale  della propria ascendenza), nel caso del
primo comma la condotta consiste in uno scambio materiale di neonati,
mentre la fattispecie prevista dal secondo comma si realizza mediante
la  commissione  di  altro reato (quello di falso ideologico, che non
concorre  con  quello  di  alterazione  di stato), rivelando una piu'
intensa  carica  criminosa,  di  tal  che il principio di eguaglianza
appare rispettato, avendo il legislatore trattato, dal punto di vista
sanzionatorio, situazioni diverse in modo diverso;
        che  proprio la rilevata diversita' tra le condotte criminose
prese  in  esame, unitamente al fatto che la fattispecie prevista dal
secondo  comma  dell'art. 567  del  codice  penale  si concreta in un
comportamento  che  gia'  di per se' realizzerebbe un reato di falso,
hanno,  tra  l'altro,  ripetutamente indotto la Corte di cassazione a
ritenere manifestamente infondata la questione all'odierno esame;
        che, parimenti, non sono assimilabili le fattispecie previste
dall'art. 578  del  codice  penale  e  dalla  norma censurata, per la
diversita' della condotta contemplata e del bene giuridico protetto;
        che, pertanto, la questione e' manifestante infondata.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita'  costituzionale dell'art. 567, secondo comma, del codice
penale,  sollevata,  in  riferimento  all'art. 3  della Costituzione,
dalla Corte di cassazione, con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 19 marzo 2007.
                        Il Presidente: Flick
                      Il redattore: Finocchiaro
                       Il cancelliere:Melatti
    Depositata in cancelleria il il 23 marzo 2007.
                       Il cancelliere:Melatti
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