N. 252 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 novembre 2006
Ordinanza emessa il 7 novembre 2006 dal tribunale di Perugia nel procedimento penale a carico di Haouali Wahid Ben Ali Reati e pene - Circostanze del reato - Concorso di circostanze aggravanti e attenuanti - Divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309/1990 (in materia di traffico e detenzione illeciti di stupefacenti nel caso di imputato recidivo) - Violazione del principio di uguaglianza - Lesione dei principi della responsabilita' penale personale e della funzione rieducativa della pena. - Codice penale, art. 69, comma quarto, modificato dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251. - Costituzione, artt. 3, 27, commi primo e terzo.(GU n.1000 del 26-4-2007 )
IL TRIBUNALE Letti gli atti del procedimento a carico di Haouli Whaid Ben Ali, imputato, tra l'altro, del reato di cui all'art. 73, primo comma d.P.R. n. 309/1990, per aver detenuto a fini di spaccio un quantitativo pari a g. 13,61 lordi di sostanza stupefacente del tipo eroina e cocaina, appartenenti alla tabella I dell'art. 14 dello stesso decreto, con principio attivo pari a gr. 0,806 di eroina pura e gr. 1,153 di cocaina pura; Rilevato che la difesa dell'imputato in sede di discussione del giudizio abbreviato ha prospettato eccezione di illegittimita' costituzionale del riformulato art. 69, quarto comma c.p. per contrasto con gli artt. 3, 25 e 27 Cost.; Rilevato che all'Haouli Whaid Ben Ali e' stata contestata la recidiva reiterata di cui all'art. 99, quarto comma c.p.; Atteso che in concreto, valutate le modalita' del fatto, la quantita' di stupefacente detenuta e l'offensivita' della condotta, potrebbe risultare applicabile l'attenuante di cui all'art. 73, quinto comma d.P.R. n. 309/1990, che prevede una pena compresa tra anni uno di reclusione ed euro 3.000,00 di multa ad anni sei di reclusione ed euro 26.000,00 di multa in luogo della pena edittale compresa tra un minimo di anni sei di reclusione ed euro 26.000,0000 di multa ed un massimo di anni venti di reclusione ed euro 260.000,00 di multa; Considerato che ai sensi dell'art. 69, quarto comma c.p., come modificato dall'art. 3 legge n. 251/2005, essendo contestata e ravvisabile la recidiva reiterata, l'attenuante potrebbe al piu' essere reputata equivalente, con la conseguenza che per il fatto dovrebbe in sede di condanna irrogarsi una pena minima di anni sei di reclusione ed euro 260.000,00 di multa; Osserva quanto segue 1. - Il legislatore dispone di ampia discrezionalita' nella determinazione delle pene, mentre il giudice deve a sua volta procedere alla determinazione della pena da irrogare in concreto entro i limiti stabiliti e nell'esercizio della sfera di discrezionalita' riservatagli. Ma tanto il legislatore quanto il giudice non possono prescindere dalla considerazione delle finalita' della pena, in primis della necessaria destinazione della sanzione penale alla rieducazione del condannato. Ed invero, a coronamento di una lenta evoluzione interpretativa, la Corte costituzionale ha rilevato nelle sentenza n. 313/1990 che, se la pena non puo' non avere un contenuto afflittivo e se ad essa ineriscono caratteri di difesa sociale e di prevenzione generale, tuttavia non puo' in alcun modo pregiudicarsi la finalita' rieducativa espressamente consacrata dall'art. 27, terzo comma Cost. Secondo la Corte costituzionale in pratica la finalita' rieducativa non e' estranea alla legittimazione e alla funzione della pena. La circostanza che, secondo il tenore della norma costituzionale, la pena debba tendere alla rieducazione sta ad indicare una qualita' essenziale di essa nel suo contenuto ontologico, a partire dalla fase della previsione fino a quella della sua estinzione, dovendosi correlare al verbo «tendere» la concreta possibilita' di una divaricazione tra la finalita' e l'adesione ad essa del soggetto da rieducare. In pratica, tutto cio' implica che la finalita' rieducativa rilevi non solo nella fase dell'esecuzione, come affermato in precedenti e anche remote sentenze della Corte costituzionale (si consideri ad es. la sentenza n. 12/1966), ma piu' in generale, in quanto connaturata alla pena, in ogni fase, compresa quella della previsione e della sua irrogazione, dovendosi ritenere che il precetto dell'art. 27, terzo comma Cost. vincoli sia il legislatore sia il giudice della cognizione, prima che il giudice della sorveglianza. 2. - Va a questo punto aggiunto che, pronunciandosi sulla questione, in parte diversa, della legittimita' costituzionale di pene fisse, la Corte costituzionale ha piu' volte rilevato (cfr. sentenze n. 50/1980 e n. 299/1992) che l'individualizzazione della pena, in modo da tenere conto dell'effettiva entita' e delle specifiche esigenze dei singoli casi, si pone come naturale attuazione e sviluppo dei principi costituzionali tanto di ordine generale (principio di uguaglianza) quanto attinenti direttamente alla materia penale, tanto piu' che lo stesso principio di legalita' della pena ex art. 25, secondo comma Cost. si inserisce in un sistema, in cui si esige la differenziazione piu' che l'uniformita'. In tale quadro, si e' osservato che ha un ruolo centrale la discrezionalita' giudiziale, nell'ambito dei criteri segnati dalla legge. L'adeguamento della pena ai casi concreti contribuisce cosi', secondo la Corte costituzionale, a rendere il piu' possibile personale la responsabilita' penale, in ossequio a quanto previsto dall'art. 27, primo comma Cost., e ad assicurare una pena quanto piu' possibile finalizzata, nella prospettiva dell'art. 27, terzo comma Cost. Il soddisfacimento di tali presupposti e di tali finalita' costituisce anche uno strumento per l'attuazione dell'uguaglianza di fronte alla pena, intesa come proporzione della pena rispetto alle personali responsabilita' e alle esigenze di risposta che ne conseguono. La sentenza n. 299/1992 aggiunge anche che l'individuazione del disvalore oggettivo dei fatti-reato tipici e quindi del loro diverso grado di offensivita' spetta al legislatore, competendo al giudice di valutare la particolarita' del caso singolo onde individualizzare la pena, stabilendo quella adeguata al caso concreto nella cornice posta dai limiti edittali. 3. - Orbene, pur dovendosi riconoscere che, anche nel caso in cui sia preclusa, come ora previsto per i recidivi reiterati dal riformulato art. 69, quarto comma c.p., la formulazione di un giudizio di prevalenza delle attenuanti sulle aggravanti, permane un residuo margine di graduabilita' della pena, deve pur sempre esigersi che tale graduabilita' sia idonea ad assicurare la finalita' rieducativa e nel contempo sia connotata da razionalita' e proporzionalita', intesi quali parametri per il soddisfacimento del principio di uguaglianza. Cosi', venendo al caso in cui per valutazioni afferenti alla concreta offensivita' del reato di cui all'art. 73, primo comma d.P.R. n. 309/1990, quest'ultimo possa considerarsi come di lieve entita', pare incongruo precludere con riguardo al recidivo reiterato la formulazione di un giudizio di prevalenza dell'attenuante di cui al comma 5 di quella norma, giacche' in tal modo, sulla base di una mera presunzione, svincolata dall'apprezzamento del fatto concreto e dall'effettiva personalita' del reo, il quale potrebbe essere gravato da precedenti assai tenui, sia pur della stessa indole, si imporrebbe l'irrogazione di un trattamento sanzionatorio corrispondente a quello che il legislatore ha, com'e' sua facolta', determinato invece in rapporto al disvalore oggettivo del reato nella sua dimensione ordinaria. In questo caso l'impossibilita' di modulare la pena entro il minimo e il massimo previsto per il caso di concessione dell'attenuante di cui all'art. 73, quinto comma d.P.R. n. 309/1990 produce un risultato irrazionale, comportante una rilevante disparita' di trattamento, potendo appalesarsi priva di giustificazione la siderale distanza intercorrente tra l'irrogazione di una pena minima di anni uno di reclusione ed euro 3.000,00 multa e quella di una pena minima di anni sei di reclusione ed euro 26.000,00 multa, derivante dalla formulazione, al piu', di un giudizio di equivalenza. Inoltre poiche' puo' tendere ad una finalita' rieducativa solo una pena che sia intrinsecamente avvertibile come giusta e proporzionata e che tenga conto delle molteplici peculiarita' del caso concreto, il limite alla formulazione del giudizio di prevalenza appare in contrasto, anche con l'art. 27 comma Cost. In tal senso la questione di illegittimita' prospettata dalla difesa in relazione agli artt. 3, 25 e 27 Cost. appare condivisibile con riferimento agli artt. 3 e 27, primo e terzo comma Cost., dovendosi riportare a tali norme la esplicazione in concreto del potere dovere di individualizzazione del trattamento sanzionatorio e la ritenuta non conformita' a detti parametri delle disposizioni di legge da applicare a questo fine. Si reputa quindi nella specie rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 69, quarto comma c.p., come modificato dall'art. 3 legge n. 251/2005, nella parte in cui non consente di formulare un giudizio di prevalenza dell'attenuante di cui all'art. 73, quinto comma d.P.R. n. 309/1990, nel caso di imputato recidivo ex art. 99, quarto comma c.p., per contrasto con gli artt. 3 e 27, primo e terzo comma Cost.
P. Q. M. Visto l'art. 23, legge n. 87/1953, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 69, quarto comma c.p. per contrasto con gli artt. 3, 27, primo e terzo comma Cost.; Sospende il processo e ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Dispone che l'ordinanza, di cui e' data lettura in udienza alle parti, sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti della Camera e del Senato della Repubblica. Perugia, addi' 7 novembre 2006 Il giudice: Bellucci 07c0500