N. 279 ORDINANZA (Atto di promovimento) 29 novembre 2006

Ordinanza  emessa  il  29  novembre  2006 dalla Corte conti - Sezione
giurisdizionale  per  la  Regione  Siciliana sull'appello proposto da
Musmarra   Rosario   contro   Procura  regionale  presso  la  Sezione
giurisdizionale per la Regione Siciliana.

Corte  dei  conti - Giudizio di responsabilita' - Soggetti condannati
  per  fatti  commessi  prima  dell'entrata  in  vigore  della  legge
  censurata   -  Fase  di  appello  -  Possibilita'  di  chiedere  la
  definizione  del  giudizio  mediante  il pagamento di una somma non
  inferiore al 10 per cento e non superiore al 20 per cento del danno
  quantificato  nella  sentenza  di  primo  grado  - Irrazionalita' -
  Violazione   del   principio   di  buon  andamento  della  pubblica
  amministrazione   -  Interferenza  sulla  funzione  giurisdizionale
  contabile,   con   specifico   riguardo   al  principio  di  libero
  convincimento del giudice - Violazione del principio di separazione
  del potere legislativo dal potere giudiziario.
- Legge 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 231.
- Costituzione, artt. 3, 24, 97, 101, 103 e 111.
Corte  dei  conti - Giudizio di responsabilita' - Soggetti condannati
  per  fatti  commessi  prima  dell'entrata  in  vigore  della  legge
  censurata - Fase di appello - Possibilita' della sezione di appello
  della  Corte  dei conti, in caso di accoglimento della richiesta di
  definizione  del  giudizio, di determinare la riduzione della somma
  dovuta   in  misura  non  superiore  al  30  per  cento  del  danno
  quantificato  nella  sentenza  di  primo  grado  - Irrazionalita' -
  Lesione  del  diritto di difesa e dei principi del giusto processo,
  con  riferimento alla compressione del ruolo del pubblico ministero
  contabile  -  Violazione  del  principio  di  buon  andamento della
  pubblica    amministrazione    -    Interferenza   sulla   funzione
  giurisdizionale  contabile,  con specifico riguardo al principio di
  libero convincimento del giudice.
- Legge 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 232.
- Costituzione, artt. 3, 24, 97, 101, 103 e 111.
Corte  dei  conti - Giudizio di responsabilita' - Soggetti condannati
  per  fatti  commessi  prima  dell'entrata  in  vigore  della  legge
  censurata - Fase di appello - Previsione che il giudizio si intende
  definito  a  decorrere  dalla  data  di  deposito della ricevuta di
  versamento  presso  la  segreteria  della  sezione di appello della
  somma  dovuta  dal  condannato  -  Irrazionalita'  - Violazione del
  principio  di  buon  andamento  della  pubblica  amministrazione  -
  Interferenza   sulla   funzione   giurisdizionale   contabile,  con
  specifico   riguardo  al  principio  di  libero  convincimento  del
  giudice.
- Legge 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 233.
- Costituzione, artt. 3, 24, 97, 101, 103 e 111.
(GU n.17 del 2-5-2007 )
                         LA CORTE DEI CONTI

    Ha  emesso  la  seguente  ordinanza  71/A/06/ORD. nel giudizio in
materia  di responsabilita' amministrativa iscritto al n. 1917/A/RESP
del  registro  di segreteria e promosso dal sig. Roario Musmarra, col
patrocinio   dell'avv.   Nunzio   Manciagli,   avverso   la  sentenza
n. 468/2006 della Sezione giurisdizionale per la Regione Siciliana.
    Visti gli atti e i documenti di causa;
    Uditi,  nella  camera  di  consiglio  del  19  ottobre  2006,  il
relatore,  consigliere  Salvatore Cilia, l'avv. Manciagli e il V.P.G.
Diana Calaciura.

                              F a t t o

    Con  atto  di  citazione,  depositato  in segreteria il 20 giugno
2005,  la  procura  regionale (a seguito di specifica segnalazione da
parte  del  difensore  civico del Comune di Acireale) ha convenuto in
giudizio   il  sig.  Rosario  Musmarra  per  sentirlo  condannare  al
pagamento,  in  favore  dello  stesso  comune,  della  somma  di Euro
27.165,46,  avendo  illegittimamente  disposto  la  liquidazione, nei
confronti  di  alcuni  dipendenti  del settore finanze del comune, di
compensi in aggiunta alla ordinaria retribuzione. L'Organo requirente
-   dopo   avere  ricostruito  il  quadro  normativo  che  disciplina
l'elaborazione  dei  c.d. «progetti finalizzati alla realizzazione di
nuovi  servizi  o  al  miglioramento di quelli esistenti, rispondenti
alla  necessita'  di  soddisfare  bisogni  a  carattere  produttivo e
sociale»  -  rileva  che, nella fattispecie, «i progetti finalizzati,
cosi' come, precisato dalla difesa del convenuto, sono stati disposti
dal   Musmarra  per  la  redazione  del  rendiconto  e  del  bilancio
preventivo  e  sono  stati  motivati  dall'esigenza di sopperire alla
carenza   di  organico  conseguente  al  decesso  di  un  funzionario
assegnato  al  settore finanze», concludendo nel senso che i compensi
liquidati  costituiscono  danno  erariale,  sia perche', dal punto di
vita  «oggettivo»,  la  predisposizione  dei  documenti contabili non
possono essere inquadrati nell'ambito dei «progetti finalizzati», sia
perche',   in   concreto,  «non  sussistevano  neanche  obiettive  ed
eccezionali  difficolta' nello svolgimento dello specifico compito di
ufficio».
    Con  la  sentenza  n. 468/2006,  la  sezione giurisdizionale, nel
condividere  pienamente  l'impostazione accusatoria, revoca in dubbio
tutte   le   obiezioni   difensive  (mancata  prova  in  merito  alla
effettuazione  delle  prestazioni lavorative del progetto finalizzato
al   di   fuori   dell'ordinario   orario   di   lavoro;  irrilevanza
dell'approvazione  in  sanatoria  del progetto; non ascrivibilita' al
meccanismo  dei  progetti  finalizzati di una attivita' istituzionale
come  la  redazione  dei documenti contabili; non invocabilita' della
norma con cui la legge finanziaria n. 662/1996 aveva autorizzato, per
l'anno  1997,  il  ricorso ai progetti finalizzati per svolgere, fuor
dall'orario  di  lavoro, l'attivita' istruttoria connessa al rilascio
delle  concessioni edilizie, concludendo nel senso della condanna del
convenuto nei termini quantitativi risultanti dall'atto di citazione.
    Con  atto  di appello, depositato in segreteria il 28 marzo 2006,
l'avv.  Manciagli  articola  la  difesa  del  sig.  Musmarra  su vari
profili:
        1) «omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sopra
un  punto decisivo della controversia». Su tale aspetto, il difensore
rileva  che  -  errando - il giudice di primo grado, da una parte, ha
ritenuto     «quasi     ininfluente     la     questione     relativa
all'inammissibilita'   del   ricorso  al  procedimento  del  progetto
finalizzato   per   il   miglioramento  dei  servizi  dell'ente»,  e,
dall'altra,  che  «l'esecuzione  del  progetto sia avvenuta nel corso
dell'ordinario periodo di lavoro»;
        2)  «violazione  e  falsa applicazione dell'art. 1 del d.P.R.
n. 13/1986  e dell'art. 3 del d.P.R. n.268/1987, con riferimento agli
artt.  15,  17  e  18  del  CCNL  del  1°  aprile  1999 - Mancanza di
motivazione  e  contraddittorieta».  L'avv.  Manciagli  -  dopo avere
riprodotto   le   norme   citate   -   critica   l'affermazione  (non
condivisibile)  del  giudice  di primo grado secondo cui «l'attivita'
istituzionale  tipica  di  un  servizio  non  puo',  neanche a volere
estendere  oltre  misura  il  concetto  di  attivita' produttive e di
sviluppo,  essere  inclusa  tra  le situazioni da fronteggiare con il
progetto  finalizzato»,  e  poi  rileva  che  tanto  la  legislazione
regionale  quanto  la  legislazione  statale hanno previsto, in varie
situazioni  (sempre  per  attivita'  istituzionale),  l'utilizzo  dei
progetti  finalizzati (tanto che «la stessa ANCI, nel parere espresso
in  data  8  ottobre  2004,  ribadisce  la  legittimita' del progetto
finalizzato  per  sopperire  alla  mancanza  di  personale e, quindi,
all'aumentato carico di lavoro»;
        3)   «violazione   e   falsa   applicazione  dell'art. 3  del
decreto-legge  n. 543/1996,  convertito  nella  legge  n. 639/1996  -
Carenza  e/o insufficienza della motivazione - Omessa valutazione del
conseuimento  della  finalita'  dell'ente a del mancato arricchimento
dell'imputato».  A  giudizio dell'avv. Manciagli, il giudice di primo
grado  da  una  parte,  non si sarebbe soffermato sul requisito della
colpa  grave  (previsto  dalla  legge  come presupposto minimo per la
condanna),   e,  dall'altra,  avrebbe  travalicato  il  limite  della
insindacabilita' del merito delle scelte discrezionali frapposto alle
attribuzioni giurisdizionali della Corte dei conti.
    Conclusivarnente,  il  difensore  chiede  l'assoluzione  del  suo
assistito,  «riscontrando la legittimita' degli atti impugnati» o, in
subordine dichiarando che non sussiste danno erariale e che la scelta
del  convenuto  era  insindacabile.  In  ulteriore  subordine, l'avv.
Manciagli chiede la definizione del giudizio mediante il pagamento di
una  somma  «non  inferiore  al  10% e non superiore al 20% del danno
quantificato   con  la  sentenza  di  primo  grado,  fatta  salva  la
possibilita' prevista dall'art. 232» (recte: art. 1, comma 232, della
legge n. 266/2005).
    Con  atto conclusionale, depositato in segreteria il 21 settembre
2006,  la  procura  generale  dopo  avere  individuato  il senso e la
portata  dei  «progetti  finalizzati»,  dichiara  la  piena  adesione
all'impostazione  dell'atto  di citazione e della sentenza appellata,
chiedendo   la  conferma  della  sentenza  stessa.  Con  separato  (e
contestuale)  atto,  la  procura  generale,  nel prendere atto che la
richiesta  di  definizione  agevolata  e'  prospettata «in subordine»
rispetto  all'assoluzione  nel merito, chiede che la richiesta stessa
sia  dichiarata  inammisibile  in quanto la norma che disciplina tale
definizione «prescinde da qualsiasi esito del giudizio ordinario».
    Nell'apposita  camera  di  consiglio, sia l'avv. Manciagli che il
V.P.G.  confermano  le  impostazioni  e le richieste risultanti dagli
atti scritti, mentre il primo aggiunge che il carattere «subordinato»
della  richiesta  di  «definizione  agevolata»  costituisce  una mera
conseguenza del meccanismo previsto dalla legge.

                            D i r i t t o

    In  via  pregiudiziale  la sezione deve affrontare l'eccezione di
inammissibilita',  prospettata  dalla  procura  generale  nei termini
risultanti  dall'ultima  parte  della narrativa, con riferimento alla
richiesta  di  «definizione  agevolata» del giudizio ex art. 1, commi
231, 232 e 233 legge n. 266/2005. L'eccezione e' infondata in quanto,
tenendo  conto  (come risultera' dal prosieguo della motivazione) del
fatto che tale richiesta puo' essere formulata esclusivamente in sede
di  proposizione  dell'appello,  non  pare ragionevole ipotizzare che
l'atto  di  appello,  se finalizzato alla richiesta della definizione
agevolata,   avrebbe   dovuto  limitarsi  ai  «motivi»  del  gravame,
pretermettendo    qualsiasi    richiesta    conclusiva   nel   merito
(probabilmente,  nel maggiore dei casi, di assoluzione), mentre e' da
ritenere che nell'ottica complessiva della legge, la richiesta di cui
sopra, apparentemente (ma fisiologicamente) «subordinata», acquisisce
poi  -  nell'ambito  dell'esame  della  sezione di appello - tutte le
caratteristiche della domanda «principale».
    A  questo  punto  il  Collegio  de ve rilevare che l'art. 1 della
legge  23  dicembre  2005, n. 266, pone - ai commi 231, 232 e 233 - i
seguenti (nuovi) meccanismi sostanziali e processuali applicabili nei
giudizi  responsabilita'  dinanzi  alla  Corte  dei conti per i fatti
commessi  antecedentemente alla data di entrata in vigore della legge
stessa:
        1)  «i  soggetti  nei  cui  confronti  sia  stata pronunciata
sentenza  di  condanna  possono  chiedere  alla competente sezione di
appello,  in sede di impugnazione, che il procedimento venga definito
mediante  il  pagamento  di una somma non inferiore al 10 per cento e
non superiore al 20 per cento del danno quantificato nella sentenza»;
        2) «la sezione di appello con decreto in camera di consiglio,
sentito  il procuratore competente, delibera in merito alla richiesta
e,  in  caso di accoglimento, determina la somma dovuta in misura non
superiore  al  30  per cento del danno quantificato nella sentenza di
primo grado, stabilendo il termine per il versamento»;
        3)  «Il  giudizio  di appello si intende definito a decorrere
dalla  data  di  deposito  della  ricevuta  di  versamento  presso la
segreteria della sezione di appello».
    Tali  disposizioni,  in  sostanza,  introducono,  nella  fase  di
appello,   un   procedimento   camerale   diretto   alla  definizione
«agevolata»  del  giudizio  di  responsabilita', innanzi la Corte dei
conti;  ma  la  sezione  dubita della leggitimita' costituzionale del
complesso  di tali disposizioni, per violazione degli artt. 3, 24, 97
101, 103, e 111 della Costituzione.
    Il   ragionamento   della  sezione  prende  le  mosse  da  quella
giurisprudenza  constituzionale  (fra  le altre, sentenze n. 68/1971,
n. 63/1973  e  n. 1032/1998)  in base alla quale la concreta garanzia
dei  prinicipi costituzionali di eguaglianza, di buon andamento e del
controllo   contabile   sia   sostanzialmente   affidata  alla  legge
ordinaria,   nel   senso   che   sono   riservate   al  descrezionale
apprezzamento  del  legislatore  non  solo  la  determinazione  e  la
graduazione  dei  tipi  e  dei  limiti  di  responsabilita'  che - in
relazione   alle  varie  categorie  di  dipendenti  pubblici  o  alle
partivolari situzioni regolare - appaiono come le forme piu' idonee a
garantire l'attuazione dei predetti principi costituzionali (sentenza
n. 411/1998  e  ordinanza  n. 549/1988,  nonche'  -  con  riferimento
all'art.  28 Cost. - le sentenze n. 2/1968, n. 123/ 1972, n. 164/1982
e  n. 26/1987),  ma  anche  la  possibilita'  di  stabilire un limite
patrimoniale    della    responsabilita'   amministrativa   (sentenza
n. 340/2001).
    Cio'  sta  a  significare,  in definitiva, da una parte, che, per
quanto  non  sia  possibile trarre da taluni parametri costituzionali
(in  particolare,  artt. 97 e 103, secondo comma, Cost.) un principio
di  iderogabilita' delle comuni regole della responsabilita', si puo'
tuttavia  ricavare  dagli stessi parametri la regola secondo la quale
la  discrezionalita'  del legislatore, per essere considrata corretta
nel suo esercizio, deve determinare e graduare, caso per caso, i tipi
e   i  limiti  della  responsabilita'  in  riferimento  alle  diverse
categorie  e  situazioni  concrete, fissando, per ciascuna di esse le
forme  piu'  idonee  a  garantire i principi del buon andamento e del
controllo  contabile (sentenza n. 371/1998); e dall'altra che in sede
di giudizio di legittimita' costituzionale, le leggi disciplinanti la
responsabilita'   dei   pubblici   dipendenti  sono  sindacabili,  in
riferimento  ai  parametri  invocati,  solo  sotto  il  profilo della
ragionevolezza   della   disciplina   adottata   e  delle  diversita'
introdotte (cioe', in realzione all'art. 3 Cost.).
    Conseguentemente, non potendosi negare, in linea di principio, la
possibilita'   di  un  intervento  legislativo  del  tipo  di  quello
esaminato  in  questa  sede,  e'  tuttavia  pur sempre necessario che
l'intervento  stesso  sia  strettamente (e ragionevolmente) collegato
alle  specifiche  pecularieta'  del  caso  in  modo tale da escludere
qualsiasi  ipotesi  di  arbitrio  nella  fase  di  sostituzione della
disciplina  generale  con  una (successiva) eccezionale (Corte cost.,
sentenza  n. 14/1999, e altre precedenti ivi citate) sotto il profilo
tanto  del rispetto del principio di eguaglianza, quanto della tutela
del    buon   andamento   e   della   salvaguardia   della   funzione
giurisdizionale   da   indebite  interferenze  da  parte  del  potere
legislativo.  Senonche', rispetto alle norme di cui si sta trattando,
appare  alquanto  problematica  l'individuazione  della  ratio che le
sorregge,  che  non  sia  quella  - puramente e semplicemente - della
limitazione  del risarcimento patrimoniale del soggetto condannato in
primo  grado,  circostanza  che,  proprio  per  questo,  caratterizza
l'innovazione normativa per lasua irrazionalita' e - conseguentemente
- per la sua arbitrarieta'.
    In  merito,  potrebbe  essere utile richiamare due esempi, tratti
dalla normativa, che - pur eventualmente «criticabili» sul piano lato
sensu «politico» - presentano una ratio che consente di superare, sul
piano  giuridico,  i  dubbi  di  irrazionalita' e arbitrarieta': uno,
concerne  il c.d. «condono fiscale» che, pur attivabile «dinanzi alle
commissioni  tributarie  od  al  giudice  ordinario in ogni grado del
giudizio  e  anche  a  seguito di rinvio (da ultimo, art. 16 legge 27
dicembre  2002, n. 289)», e' chiaramente finalizzato all'incremento -
e  in termini brevi - delle entrate fiscali, oltre a deflazionare, in
qualche  misura,  il  contenzioso tributario un altro, concernente la
«applicazione  della  pena  su richiesta delle parti» (ai sensi degli
artt. 444 e segg. cod. proc. pen.), che, potendo essere richiesta nel
giudizio  ordinario, fino alla presentazione delle conclusioni di cui
agli  artt. 421,  comma  3,  e  422,  comma 3 (e, in caso di giudizio
direttissimo,  fino alla dichiarazione di apertura di dibattimento di
primo  grado), e' chiaramente finalizzata a deflazionare il carico di
lavoro  del giudice penale per i reati meno rilevanti e, al contempo,
a  limitare  drasticamente  le  pene  detentive e quindi limitare gli
accessi alle carceri, notoriamente superaffollate.
    Conseguentemente,  raffrontando  le citate situazioni con il caso
che  interessa  in  questa  sede,  a  giudizio della sezione appaiono
violati     gli     artt. 97    (principio    di    buon    andamento
dell'amministrazione pubblica) e 103, secondo comma, Cost. (controllo
contabile)    stante   che   le   norme   sottopposte   a   scrutinio
costituzionale,  da  una  parte,  non  incidono  minimamente in senso
riduttivo) sull'entita' del contenzioso contabile (considerato che le
norme  stesse  operano  esclusivamente  in  sede  di appello, nel cui
ambito il sostituire una pubblica udienza con una camera di consiglio
e  una sentenza con un decreto e' sicuramente di piccolo momento), e,
dall'altra,  che  producono  (quasi  sicuramente  facendo  astrazione
ovviamente dall'ipotesi di condanna in sede di appello ordinario) una
minore  entrata  (fra  il  90  per  cento e il 70 per cento del danno
quantificato  nella sentenza di primo grado), per cui rimane soltanto
l'irrazionale  e  incongruo  «effetto  premiale»  (nei  confronti del
convenuto  condannato)  che,  quanto  in  tale, si appalesa del tutto
ingiustificato.
    D'altra   parte,   la   sezione   ritiene   che   tali  parametri
costituzionali  siano violati anche sotto un altro profilo. Infatti -
premesso che nel sistema vigente l'attenuazione della responsabilita'
amministrativo-contabile  e'  rimessa,  nei  singoli  casi, al potere
riduttivo   del   giudice,   che,  a  tal  fine,  puo'  tenere  conto
(fondamentalmente)    del    comportamento    e    del   livello   di
responsabilita',  ma  anche  delle  capacita' economiche del soggetto
responsabile  -,  appare  assolutamente  irragionevole  (e, in questo
senso,   viene   implicato   anche   l'art.3   Cost.)  una  riduzione
predeterminata  e pressoche' automatica della responsabilita' e della
misura  del risarcimento, lasciando al giudice una valutazione minima
in   ordine   al   comportamento   complessivo   dell'agente   (Corte
costituzionale  sentenza  n. 340/2001);  con la ulteriore conseguenza
che  il complesso normativo esaminato potrebbe incidere (limitandolo)
sul  principio del «libero convincimento del giudice», violando cosi'
l'art. 101 Cost, limitandolo anche nel senso che l'inciso «in caso di
accoglimento»  della  richiesta  del soggetto condannato (comma 232),
non  contenendo  alcun  criterio  di  orientamento  per  il  giudice,
comporta  -  in  conclusione  e  in sostanza - l'assenza di qualsiasi
«discrezionalita»  nell'an  (per  cui  il procedimento, in certo qual
modo, diventa «obbligatorio»).
    A  sua  volta  il  principio  di eguaglianza appare ulteriormente
violato nella considerazione che la normativa e' applicabile soltanto
ai  «soggetti  nei  cui  confronti  sia stata pronunciata sentenza di
condanna»,  con  la  conseguenza  che la situazione concreta potrebbe
rilevarsi  negativa  nei confronti dei soggetti che risultino assolti
in  primo  grado  nel  senso che la relativa sentenza potrebbe essere
appellata  dal  pubblico  ministero  e  che  la  sentenza  di appello
potrebbe  essere di condanna, senza che il convenuto possa fruire dei
vantaggi della norma «di condono». E' ben vero che, nella specie, si'
e  in  presenza  di  soggetti  condannati  in  primo  grado,  con  la
conseguenza  che  la prospettazione che precede potrebbe apparire non
rilevante,  ma,  nell'economia  complessiva  della  normativa, appare
comunque  irrazionale  una  previsione  legislativa  che  esclude dai
beneflci  quei  soggetti la cui posizione - dopo la sentenza di primo
grado  -  appare  chiaramente  meno «pesante» di quella dei convenuti
condannati;   mentre   difficilmente   potrebbe   pervenirsi  ad  una
interpetazione «adeguatrice», non solo perche', in tale caso dovrebbe
superarsi  la  «lettera»  della  «condanna»  in primo grado, ma anche
perche'  si  dovrebbe  «creare»  il  criterio  al  quale correlare le
percentuali del 10, del 20 o del 30 previste dal la legge.
    Appare violato anche l'art. 24 Cost. (in particolare, il comma 2:
«La  difesa  e'  diritto  inviolabile  in  ogni  stato  e  grado  del
procedimento»)  nella  parte  in  cui il pubblico ministero presso la
Corte  dei  conti viene evocato nel solo comma 232 e solo per «essere
sentito»  in  camera  di  consiglio quando la Sezione di appello deve
deliberare  «in  merito  alla  richiesta»; infatti, per tale funzione
limitata   e  marginale  (che  in  sostanza  nell'espressione  di  un
«parere»), del pubblico ministero, il procedimento regolato dai commi
231   -   233   dell'art. 1   della  legge  n. 266/2005  non  assume,
sostanzialmente,  carattere bilaterale per cui la funzione di «parte»
del  pubblico  ministero  contabile  (nell'ottica - anche del «giusto
processo»   -   dell'art.  111  Cost.)  viene,  nella  specie,  quasi
pretermessa  (con  la  conseguenza  -  fra l'altro - che in tal modo,
vengono  pesantemente  compressi  i  diritti  e  gli  interessi della
pubblica   amministrazione,   dei  quali  il  pubblico  ministero  e'
chiaramente   portatore,   in   uno   all'interesse   generale  dell'
Ordinamento).
    Le  questioni  di leggittimita' costituzionale che precedono, non
superabili  in  via interpretativa, sono non manifestamente infondate
per i motivi che precedono e rilevanti in quanto le norme denunciate,
ove  venissero  dichiarate  incostituzionali,  non  potrebbero essere
applicabili  nel presente giudizio, che proseguirebbe secondo il rito
ordinario.
                              P. Q. M.
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 1, commi 231, 232 e 233 della
legge  23  dicembre  2005,  n. 266 in relazione agli artt. 3, 24, 97,
101, 103 e 111 della Costituzione.
    Ordina   l'immediata   trasmissione  degli  atti,  a  cura  della
segreteria,  alla  Corte costituzionale, sospendendo conseguentemente
il    processo   fino   all'esito   del   giudizio   incidentale   di
costituzionalita'.
    Dispone  che  a  cura della segreteria, la presente ordinanza sia
notificata  al  Presidente del Consiglio dei ministri e alle parti, e
sia  comunicata  ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato
della Repubblica.
    Cosi'  provveduto  in  Palermo,  nella Camera di consiglio del 19
ottobre 2006.
                       Il Presidente: Sancetta
L'estensore: Cilia
07C0527