N. 283 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 ottobre 2006
Ordinanza emessa il 5 ottobre 2006 dal tribunale di Cagliari nel procedimento penale a carico di Sedda Sandro Reati e pene - Circostanze del reato - Concorso di circostanze aggravanti e attenuanti - Divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle circostanze inerenti alla persona del colpevole nel caso previsto dall'art. 99, quarto comma, cod. pen. (recidiva reiterata) - Contrasto con il principio di ragionevolezza - Violazione del principio d'uguaglianza - Contrasto con il principio di offensivita' - Lesione dei principi di personalita' della responsabilita' penale e della funzione rieducativa della pena. - Codice penale, art. 69, comma quarto, come modificato dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251. - Costituzione, artt. 3, 25, comma secondo, e 27, commi primo e terzo.(GU n.17 del 2-5-2007 )
IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale ai sensi dell'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87 pronunciata alla pubblica udienza del 5 ottobre 2006 nel procedimento iscritto al n. 7467/06 RG. Trib. CA nei confronti di Sedda Sandro imputato del reato di cui all'art. 73 d.P.R. n. 309/1990 per avere coltivato senza autorizzazione due piante di marijuana. In Serramanna il 20 agosto 2006. Con la recidiva di cui all'art. 99, comma 2, c.p. Con decreto del 21 agosto 2006 la Procura della Repubblica di Cagliari disponeva che Sedda Sandro, arrestato il giorno precedente, fosse presentato al Tribunale in composizione monocratica per la convalida dell'arresto e il contestuale giudizio accusandolo del delitto sopra indicato. Disposto il giudizio direttissimo a seguito della convalida dell'arresto, il processo proseguiva nelle forme del rito abbreviato. Disposto il rinvio al 5 ottobre 2006 per la discussione, il pubblico ministero domandava la condanna a mesi 16 di reclusione ed euro 4000 di multa con la concessione dell'attenuante di cui all'art. 73, comma 5, T.U. Stup. e quella di cui all'art. 62-bis c.p., mentre il difensore eccepiva preliminarmente l'illegittimita' costituzionale dell'art. 73, T.U. Stup. nella parte in cui non prevede la non punibilita' della coltivazione di sostanze stupefacenti per uso esclusivamente personale. Come emerge dall'esame degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, il 20 agosto 2006 carabinieri di Serramanna si recavano presso l'abitazione dell'imputato su richiesta della centrale operativa che segnalava di avere ricevuto una chiamata da parte dello stesso Sedda che si dichiarava in possesso di due piante di marijuana. Giunti al civico n. 25 della via Satta di Serramanna dove Sedda Sandro vive con la madre, i militari venivano ricevuti dallo stesso imputato che li conduceva nella stanza ove erano custodite le due piante che venivano sottoposte a sequestro. Nel frattempo arrivava sul luogo anche uno zio dell'imputato, Tocco Ettore, che rivendicava la proprieta' delle piante che a suo dire, aveva lasciato al nipote soltanto in custodia. La parziale inutilizzabilita' degli elementi che si sono esposti risulta superata dalla ricostruzione dei fatti fornita dall'imputato in sede di interrogatorio. Questi ha infatti affermato che «le due piante erano le mie. Ho chiamato i carabinieri perche' ho avuto una discussione accesa con mia madre, abbiamo litigato sia per le piante che per altre cose. Mia madre diceva che le piante non le voleva e che avrebbe chiamato i carabinieri. Allora ho chiamato io i carabinieri per ripicca. Tocco Ettore e' un mio parente [...] se ha detto che le piante erano le sue [...] l'avra' fatto per proteggermi». Le circostanze del sequestro e le dichiarazioni rese dall'imputato consentono di ritenere fondata l'accusa mossa dal pubblico ministero, pur apparendo non irragionevole che la coltivazione, per le ridotte dimensioni ed il carattere domestico, fosse effettivamente destinata al consumo dell'imputato. Il fatto integra il reato di cui all'art. 73, comma 1, T.U. Stup. cosi' come novellato dal d.l. n. 272/2005, convertito con modificazioni dalla legge n. 49/2006 che ha ridisegnato la fattispecie, le cui maggiori novita' sono rappresentate dalla equiparazione delle droghe leggere alle droghe pesanti e dalla previsione di due distinti reati, uno relativo alle condotte sinteticamente sussumibili nella produzione e cessione di stupefacenti (comma 1) e l'altro relativo alla detenzione e alle condotte connesse a quest'ultima (comma 1-bis). La tipizzazione distinta delle condotte punibili e la circostanza che la destinazione ad uso non esclusivamente personale sia elemento costitutivo del solo reato di cui all'art. 73, comma 1-bis, conforta l'orientamento formatosi nel vigore della previgente disciplina per il quale l'elemento menzionato non incide sulla punibilita' della condotta di coltivazione. La questione di legittimita' costituzionale eccepita dal difensore relativa all'art. 73, T.U. Stup. nella parte in cui non prevede la non punibilita' della coltivazione per uso personale appare manifestamente infondata, per le ragioni gia' espresse dalla Corte costituzionale con sentenza n. 360 del 1995. La Corte, condiviso il presupposto sulla base del quale la questione di costituzionalita' era stata sollevata, ossia l'irrilevanza della destinazione all'uso personale dello stupefacente con riferimento alle condotte di coltivazione, aveva escluso che la diversita' di trattamento fra chi coltiva e chi detiene contrastasse col principio di uguaglianza: «si ha infatti, da una parte, che la detenzione, l'acquisto e l'importazione di sostanze stupefacenti per uso personale rappresentano condotte collegate immediatamente e direttamente all'uso stesso, e cio' non rende irragionevole un atteggiamento meno rigoroso del Legislatore nei confronti di chi, ponendo in essere una condotta direttamente antecedente al consumo, ha gia' operato una scelta che, ancorche' valutata sempre in termini di illiceita', l'ordinamento non intende contrastare nella piu' rigida forma della sanzione penale, venendo in rilievo in un contesto emergenziale di contingente aggravamento delle conseguenze delle tossicodipendenze, il rischio alla salute dell'assuntore ove ogni condotta immediatamente antecedente al consumo fosse assoggettata a sanzione penale. Invece nel caso della coltivazione manca questo nesso di immediatezza con l'uso personale e cio' giustifica un possibile atteggiamento di maggior rigore, rientrando nella discrezionalita' del Legislatore anche la scelta di non agevolare comportamenti propedeutici all'approvvigionamento di sostanze stupefacenti per uso personale», senza contare che «nel caso della coltivazione non e' apprezzabile ex ante con sufficiente grado di certezza la quantia' di prodotto ricavabile dal ciclo piu' o meno ampio della coltivazione in atto, sicche' anche la previsione circa il quantitativo di sostanza stupefacente alla fine estraibile dalle piante coltivate, e la correlata valutazione della destinazione della sostanza stessa ad uso personale, piuttosto che a spaccio, risultano maggiormente ipotetiche e meno affidabili». Quanto alla censura riferita al principio di necessaria offensivita' della fattispecie penale, la Corte osservava che la coltivazione, pure per uso personale, e' idonea «ad attentare al bene della salute dei singoli per il solo fatto di arricchire la provvista esistente di materia prima e quindi di creare potenzialmente piu' occasioni di spaccio di droga; tanto piu' che - come gia' rilevato - l'attivita' produttiva e' destinata ad accrescere indiscriminatamente i quantitativi coltivabili». Ritenuta la rilevanza penale del fatto compiuto da Sedda Sandro, il medesimo appare attenuato ai sensi dell'art. 75, comma 5, T.U. Stup. secondo il quale la pena e' da uno a sei anni «quando per le modalita' o circostanze dell'azione, ovvero per la quantita' o qualita' delle sostanze, i fatti di cui al presente articolo sono di lieve entita». Si osserva al riguardo come oggetto della coltivazione sia stata una quantita' modesta di sostanza stupefacente, verosimilmente destinata al consumo personale, e di come lo stesso imputato abbia provocato la cessazione della condotta illecita consentendo il sequestro delle piante. Si aggiunga che l'imputato ha reso piena confessione e non ha precedenti specifici. Considerate le concrete circostanze del fatto e la disomogeneita' dei precedenti, nel bilanciamento delle circostanze l'attenuante di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990 sarebbe giudicata prevalente rispetto alla aggravante della recidiva reiterata, se non che una tale operazione e' oggi impedita dal disposto dell'art. 69, comma 4 c.p. cosi' come sostituito dall'art. 3, legge 5 dicembre 2005, n. 251 per il quale le regole del giudizio di bilanciamento «si applicano anche alle circostanze inerenti alla persona del colpevole, esclusi i casi previsti dall'art. 99 quarto comma, nonche' degli artt. 111 e 112 primo comma n. 4) per cui vi e' divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle ritenute circostanze aggravanti, ed a qualsiasi altra circostanza per la quale la legge stabilisca una pena di specie diversa o determini la misura della pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato». La disposizione trova applicazione nel caso di specie poiche' il reato oggetto del presente procedimento e' stato commesso in data successiva a quella di entrata in vigore della novella con la conseguenza che non puo' applicarsi il principio della non retroattivita' della legge penale sfavorevole, poiche' il principio di legalita' impone che il reato e le conseguenze penali siano previsti dalla legge al momento della commissione del fatto e non al momento della commissione del precedente reato che fonda la recidiva. Ad opinione del giudicante la norma in oggetto presenta dubbi di legittimita' costituzionale per violazione degli artt. 3, 25 comma 2 e 27 conuni 2 e 3 Cost. che giustificano l'intervento chiarificatore della Corte costituzionale. Come piu' volte indicato dalla Corte, il potere attribuito al giudice dall'art. 132 c.p. di determinare la pena in modo discrezionale sulla base dei parametri forniti dall'art. 133 c.p. costituisce attuazione e sviluppo dei principi costituzionali, poiche' «l'adeguamento delle risposte punitive ai casi concreti - in termini di uguaglianza e/o differenziazione di trattamento - contribuisce da un lato a rendere quanto piu' possibile "personale" la responsabilita' penale nella prospettiva segnata dall'art. 27 primo comma; e nello stesso tempo e' strumento per la determinazione della pena quanto piu' possibile "finalizzata" nella prospettiva dell'art. 27, terzo comma Cost. Il principio di uguaglianza trova in tal modo dei concreti punti di riferimento in materia penale nei presupposti e nei fini (e nel collegamento degli uni agli altri) espressamente assegnati alla pena nello stesso sistema Costituzionale. L'uguaglianza di fronte alla pena viene a significare in definitiva proporzione della pena rispetto alle "personali" responsabilita' e alle esigenze di risposta che ne conseguono, svolgendo una funzione che e' essenzialmente di giustizia e anche di tutela delle posizioni individuali e di limite alla potesta' punitiva statale» (Corte cost., sent. n. 50 del 1980 e n. 299 del 1992). Altre pronunce mettono in rilevo il carattere polifunzionale della pena - da un lato quello di prevenzione generale e difesa sociale, con connessi caratteri di affilittivita' e retributivita', dall'altro quelle di prevenzione speciale e rieducazione in funzione dell'obiettivo della risocializzazione del reo, precisando che fra le finalita' indicate non e' possibile stabilire a priori una gerarchia statica cosi che il legislatore, nei limiti della ragionevolezza, puo' fare tendenzialmente prevalere di volta in volta l'una o l'altra finalita' della pena a patto pero' che nessuna ne risulti obliterata (Corte cost., sent. n. 306 del 1993). Secondo l'art. 133 c.p. la pena giusta deve essere determinata combinando in maniera sintetica ma razionale, ossia motivata, il giudizio in ordine alla gravita' del reato - scomposto nei tre diversi parametri delle circostanze dell'azione, della gravita' del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa e dell'intensita' dell'elemento soggettivo - e alla capacita' a delinquere del colpevole da desumere, fra l'altro, dai precedenti penali e giudiziari. Quest'ultimo criterio, quello della capacita' a delinquere, viene spesso letto come espressione della ispirazione specialpreventiva della pena, ossia proiettato nel futuro quale indice della pericolosita' sociale espressa dall'autore del reato: tanto maggiore e' il rischio di recidiva, tanto la pena deve essere elevata perche' si possa sperare nella resipiscenza del reo. Secondo altro orientamento invece anche il parametro della capacita' a delinquere andrebbe ancorato al momento del fatto e rappresenterebbe nulla altro che un aspetto del giudizio relativo alla colpevolezza, con funzione quindi retributiva. In ogni caso, anche privilegiando l'aspetto specialpreventivo e rieducativo della pena la Corte, con le sentenze sopra menzionate, ha con chiarezza indicato come tali funzioni non possano prescindere, ed anzi presuppongano, l'applicazione di una pena giusta, ossia proporzionata alla complessiva gravita' della responsabilita' dell'autore. Si aggiunga che nel contesto dell'art. 133, comma 2 c.p. - diversamente dai parametri relativi ai motivi a delinquere e alla condotta tenuta prima e dopo il reato - l'indice rappresentato dai precedenti penali e dalla complessiva condotta di vita dell'imputato e' del tutto indipendente dalla valutazione del fatto, con la conseguenza che tanto maggiore e' la rilevanza accordata a quel profilo rispetto a quello relativo alla gravita' oggettiva del reato, tanto piu' la sanzione, a causa dell'efficacia determinante svolta dal «tipo d'autore», acquista caratteri di esemplarita' incompatibili non solo col principio della finalita' rieducativa della pena, ma anche col principio di offensivita' di cui all'art. 25, comma 2, Cost. Anche il giudizio relativo alla comparazione delle circostanze di cui all'art. 69 c.p. attiene alla valutazione del fatto delittuoso nel suo complesso e deve essere condotto alla stregua dei criteri di cui all'art. 133 c.p., ossia attraverso la valutazione discrezionale degli elementi che emergono dal caso concreto, dando conto delle ragioni per le quali uno o piu' di essi riveste carattere decisivo. La discrezionalita' del giudice deve evidentemente mantenersi nei limiti fissati dal legislatore che individua le comici edittali e complessivamente i confini della discrezionalita' esplicabile in sede di determinazione della pena secondo gli orientamenti di politica criminale che ritiene di adottare, sempre che tali scelte rispettino il limite della ragionevolezza ossia non creino disparita' di trattamento prive di giustificazione razionale, poiche' diversamente, a rimanere leso sarebbe il principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost. e di riflesso, per quanto detto, il principio della personalita' della responsabilita' penale e della funzione rieducativa della pena. Il disposto dell'art. 69, comma 4, c.p. nella parte in cui fa divieto di ritenere la prevalenza delle attenuanti concorrenti con l'aggravante della recidiva reiterata, non pare rispettare questo limite. Con l'inserimento del divieto il legislatore ha evidentemente voluto irrigidire il trattamento sanzionatorio del recidivo reiterato impedendo che elementi di seguo contrario potessero travolgere, sotto il profilo della determinazione della gravita' complessiva della responsabilita' penale, l'indice negativo rappresentato dalla reiterazione del reato, introducendo in capo al suo autore una sorta di presunzione legale di pericolosita' sociale o quanto meno di spiccata tendenza a delinquere. Il dubbio circa la razionalita' di una tale previsione emerge in primo luogo dalla considerazione del carattere perpetuo della recidiva, che si configura (salvo quella infraquinquennale) indipendentemente dal lasso di tempo decorso dall'ultimo reato commesso di modo che l'indicata presunzione di pericolosita' produce effetto anche in casi in cui, per il carattere risalente dei precedenti, non abbia in concreto giustificazione. Inoltre il divieto di subvalenza della recidiva di cui all'art. 99, comma 4 c.p. si applica in maniera indistinta a tutte le attenuanti, sia quelle soggettive che quelle oggettive, sia quelle ad effetto comune che quelle ad effetto speciale. Sotto il primo profilo si rileva come l'assenza di omogeneita' fra gli elementi considerati nel giudizio di bilanciamento privi di razionalita' il divieto di prevalenza delle attenuanti: se il senso della disposizione e' quello di rendere indefettibile la valutazione della recidiva nel giudizio relativo alla personalita' dell'imputato, troverebbe forse giustificazione il divieto di prevalenza delle attenuanti che hanno fondamento nella valutazione della tendenza a detinquere del reo, mentre appare illogico con riferimento ad attenuanti di carattere oggettivo che prescindono totalmente dalla considerazione dell'autore, concentrando il giudizio di minor disvalore penale esclusivamente nel fatto. Sotto il secondo profilo si osserva come le circostanze ad effetto speciale, per quanto qui interessa quelle attenuanti, sottendano spesso una valutazione del tutto diversa della gravita' del fatto e quindi del bisogno sociale di repressione. Nel caso di specie, l'elemento attenuante e' considerato dal legislatore tanto importante da indurre alla determinazione della pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato. Mentre la produzione, il traffico e la detenzione di sostanze stupefacenti e psicotrope sono puniti ai sensi dell'art. 73, cosi' come modificato dall'art. 4-bis d.l. n. 272/2005, con la reclusione da 6 a 20 anni e la multa da 26.000 a 300.000 euro, il ricorrere dell'attenuante della lieve entita' del fatto prevista dal comma quinto, riduce la pena in modo drastico - la reclusione va da 1 a 6 anni e la multa da 3.000 a 26.000 euro - e da cio' si evince come il legislatore abbia valutato in maniera assai differente il disvalore penale della condotta. E difatti vi e' una siderale distanza fra chi coltiva in maniera organizzata sostanze stupefacenti in funzione del successivo traffico con la prospettiva di ingenti profitti e chi coltiva poche piante in vaso o nel giardino di casa, magari per il proprio consumo. L'elisione degli effetti prodotti dall'attenuante in parola sulla determinazione della pena per effetto dei limiti al bilanciamento della recidiva reiterata obbligherebbe questo giudice ad applicare al Sedda Sandro, persona priva di precedenti specifici che ha coltivato due piante di marijuana nella propria abitazione verosimilmente per farne uso personale, la stessa pena prevista per il trafficante, ossia una pena iniqua perche' non proporzionata alla gravita' della sua responsabilita' penale. Per questi motivi il tribunale ritiene che debba essere sollevata questione di legittimita' costituzionale dell'art. 69, comm 4 c.p. cosi' come novellato dall'art. 3, legge n. 251 del 5 dicembre 2005 per violazione degli artt. 3, 25, 27 Cost.
P. Q. M. Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87; Ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 69, quarto comma, c.p., come modificato dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 nella parte in cui pone il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle circostanze aggravanti nel caso previsto dall'art. 99, quarto comma, c.p. per contrasto con gli artt. 3, 25, secondo comma e 27, primo e terzo comma, Cost. Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso. Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia comunicata al Presidente del Consiglio dei ministri e ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cagliari, addi' 4 ottobre 2006 Il giudice: Malavasi 07C0532