N. 358 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 agosto 2006
Ordinanza emessa il 16 agosto 2006 dal G.I.P. del Tribunale di Reggio Calabria nel procedimento penale a carico di Chiaramonte Salvatore Processo penale - Misure cautelari personali - Termini di durata - Computo - Pluralita' di ordinanze emesse per piu' reati non legati da connessione qualificata, oggetto di indagine in procedimenti separati pendenti presso la stessa autorita' giudiziaria - Decorrenza dei termini dalla prima ordinanza, in caso di accertata sussistenza di idonei indizi di colpevolezza gia' al momento dell'emissione del primo provvedimento cautelare - Mancata previsione - Disparita' di trattamento tra il soggetto indagato per piu' fatti non connessi nel medesimo procedimento e quello indagato in procedimenti distinti dinanzi alla medesima autorita' - Irragionevolezza - Violazione del principio del minimo sacrificio per la liberta' personale. - Codice di procedura penale, art. 297, comma 3. - Costituzione, artt. 3 e 13.(GU n.20 del 23-5-2007 )
IL TRIBUNALE Sulla istanza presentata nell'interesse di Chiaramonte Salvatore e diretta ad ottenere la dichiarazione di inefficacia della misura cautelare in atto a carico del medesimo, per decorso dei termini massimi di custodia cautelare, O s s e r v a Il Chiaramonte presentava istanza con la quale rilevava come il termine di fase per la misura cautelare della custodia in carcere in atto a carico del medesimo fosse gia' decorso, chiedendone, quindi, la dichiarazione di inefficacia della misura in atto. L'imputato era stato dapprima arrestato in data 4 giugno 2003 per detenzione di stupefacenti e poi condannato ad anni quattro di reclusione. In data 13 dicembre 2004, era stato raggiunto da altra misura cautelare, emessa dalla medesima a.g. (G.i.p. Tribunale Reggio Calabria), per fatti accertati nel 2002, della stessa indole - detenzione di droga e relativo delitto associativo, con contestazione chiusa all'agosto 2002 -, ma non connessi al primo, e per i quali veniva poi condannato ad anni dieci di reclusione. L'interessato opina nel senso che gli effetti del provvedimento cautelare eseguito il 13 dicembre 2004 andrebbero retrodatati al momento dell'esecuzione del primo provvedimento, il 4 giugno 2003, con conseguente dichiarazione di inefficacia della seconda misura, da pronunciare ora per allora, scaduta il 3 giugno 2004. Tutto cio' troverebbe fondamento alla luce delle pronunce della Corte di cassazione, sezioni unite, n. 21957 del 2005, e della Corte costituzionale n. 408 del 2005. La prima aveva ritenuto applicabile il meccanismo di cui all'art. 297/3 c.p.p. anche a fatti tra loro non connessi, purche' il quadro indiziario legittimante la misura cautelare per un secondo reato risultasse gia' agli atti prima dell'emissione del primo provvedimento restrittivo, spedito per reato non connesso. La seconda ha successivamente innovato lo stato della legislazione, con sentenza additiva, rendendo cogente l'interpretazione cui era giunta la Corte suprema, nel senso che l'art. 297/3 c.p.p. e' stato dichiarato costituzionalmente illegittimo «nella parte in cui non si applica anche a fatti diversi non connessi, quando risulti che gli elementi per emettere la nuova ordinanza erano gia' desumibili dagli atti al momento della emissione della precedente ordinanza». Gli elementi in fatto della questione risultano pacifici, per come descritti. Sicche', i reati per i quali e' stato eseguito il secondo provvedimento cautelare erano stati commessi prima dell'emissione del primo provvedimento cautelare e gli elementi indiziari relativi erano parimenti emersi prima dell'emissione del medesimo, come si desume dal contenuto dell'ordinanza stessa, che riporta le intercettazioni salienti e riferibili all'anno 2002. In essa sono racchiusi tutti gli elementi indiziari idonei all'emissione del provve-dimento, acquisiti in un tempo anteriore al 4 giugno 2003, data di emissione del primo provvedimento. Quindi, risulterebbero verificati tutti i requisiti richiesti per l'attivazione del meccanismo di cui all'art. 297/3 c.p.p., come integrato dalla sentenza n. 408 della Corte costituzionale, in relazione al tempus delicti ed al momento della disponibilita' degli elementi indiziari relativi al secondo fatto non connesso, entrambi collocabili gia' in un tempo che precede dell'emissione dei primo provvedimento restrittivo, il 4 giugno 2003. L'unica peculiarita' del caso di specie e' che si verte in una situazione in cui i fatti per i quali sono stati emessi i provvedimenti cautelari sono oggetto di procedimenti differenti. Si pone, percio', il problema di verificare se la disciplina additiva introdotta dalla sentenza della Corte costituzionale sia applicabile anche in tal caso, o non. In tale ultima ipotesi, che ne debba conseguire rispetto alla disciplina dell'istituto, in termini di compatibilita' costituzionale. La normativa allo studio ha recentemente assunto una configurazione arricchita sotto il profilo positivo, come detto, grazie all'intervento della Corte costituzionale. Ma essa ha da sempre presentato aspetti complessi. In particolare, il tema della applicabilita' dell'istituto a fatti tra loro connessi, ma separatamente pendenti in procedimenti distinti, e' stato risolto dalla pronuncia delle SS.UU. della Corte di cassazione del 25 giugno 1997, ricorrente Atene. La Corte suprema aveva ritenuto che l'istituto della retrodatazione in argomento dovesse essere applicabile anche «a fatti diversi, nell'ambito di un unico o di distinti procedimenti connessi, e quindi cumulabili innanzi allo stesso giudice ovvero nella sede giudiziaria individuabile ai sensi degli artt. 13, 15 e 16 c.p.p.». Ora, ci si chiede se anche per il caso di reati non connessi, per i quali si procede separatamente in differenti procedimenti - come nella fattispecie concreta in esame -, sia possibile sostenere l'applicabilita' della disciplina di cui all'art. 297/3 c.p.p., combinando alla integrazione normativa conseguente alla decisione della Corte costituzionale l'interpretazione dell'istituto che emerge dalla pronuncia citata della Corte di cassazione. Va, certamente, escluso il caso di procedimenti pendenti presso autorita' giudiziarie differenti. Oltre ai problemi, evidenti, relativi alla circolazione di notizie attinenti indagini del tutto autonome in corso in circondari diversi, si pone un altrettanto chiaro ostacolo, relativo alla competenza territoriale delle autorita' procedenti. Questa rimane e rimarra' separata, posto che si tratta di fatti non connessi e, quindi, destinati a non essere oggetto della disciplina del cumulo dei procedimenti (arti. 12, 371-bis e 17 c.p.p.). Quindi, nessuna ragionevole causa di interferenza tra i medesimi appare ravvisabile, in tema di applicabilita' dell'applicabilita' dell'art. 297/3 c.p.p. Di qui il convincimento secondo cui la sentenza additiva della Corte costituzionale n. 408/2005 evochi una disciplina applicabile solo a fatti tra loro non connessi, ma giacenti nell'ambito del medesimo procedimento. Del resto, questa era proprio l'ipotesi concretamente esaminata e che aveva dato luogo alla decisione della Corte costituzionale: due fatti non connessi, indagati nel medesimo procedimento. Ma, allorche' si tratti di procedimenti separati ab origine e non connessi, pendenti presso la stessa autorita' giudiziaria, si dubita che la disciplina integrata dell'art. 297/3 c.p.p. non debba trovare applicazione, malgrado lo stato attuale della legislazione lo impedisca. La ratio dell'intervento additivo della Corte costituzionale sta nell'esigenza di garantire il minimo sacrificio possibile per la liberta' personale del cittadino, senza che alcuno spazio possa «residuare in capo agli organi titolari del potere cautelare di scegliere il momento a partire dal quale possono essere fatti decorrere i termini custodiali in caso di pluralita' di titoli e di fatti reato cui si riferiscono», onde salvaguardare «i valori di certezza e di durata minima della custodia cautelare»; nonche' nella esigenza di assicurare «l'identico regime di garanzia» di cui all'art. 297/3 c.p.p. anche «in tutti i casi in cui, pur potendo i diversi provvedimenti coercitivi essere adottati in un unico contesto temporale, per qualsiasi causa l'autorita' giudiziaria abbia invece prescelto momenti diversi per l'adozione delle singole ordinanze» (motivazione della sentenza della Corte, parte finale del paragrafo 3.3 del «considerato in diritto». Quindi, minor sacrificio possibile per la liberta' personale del cittadino, tutelata dall'art. 13 Cost. come diritto inviolabile, e predisposizione di strumenti idonei ad evitare che la decorrenza del termine iniziale della custodia cautelare - in situazioni complesse, ma sostanzialmente omogenee -, possa dipendere per qualsiasi causa «da una imponderabile valutazione soggettiva degli organi titolari del potere cautelare» (ivi). Se queste sono le premesse da maneggiare per interpretare l'istituto, va osservato come le considerazioni della Corte costituzionale appaiano pertinenti pure nel caso in esame, anche alla luce della sentenza delle SS.UU. della Corte di cassazione, ricorrente Atene, citata. Quest'ultima aveva esteso l'istituto in argomento anche ai casi di fatti connessi oggetto di distinti procedimenti, eppercio' suscettivi di riunione - perche', appunto, connessi, osservando che «Di certo, la regola in esame puo' presentare difficolta' operative in caso di pluralita' di procedimenti. Difficolta' pero' che non possono giustificare soluzioni interpretative contrarie alla scelta legislativa ed agli stessi valori costituzionali, e che devono essere superate» mediante l'istituto della riunione dei procedimenti. Cio' affermava, la Corte, commentando altresi' che «la pluralita' dei procedimenti non e' contraddetta, anzi e' presupposta, dalla disposizione in esame». Ora, nel caso in esame, il Chiaramonte si vedrebbe applicare la normativa aggiunta derivante dalla pronuncia della Corte costituzionale soltanto se i fatti non connessi di cui e' accusato fossero stati pendenti nell'ambito del medesimo procedimento. Ma si ritiene che «i valori di certezza e di durata minima della custodia cautelare» debbano essere salvaguardati anche nella fattispecie attuale, che riguarda fatti oggetto di procedimenti diversi, pendenti presso la medesima autorita' giudiziaria ed in cui gli elementi indiziari gravi - contrappuntati dalle relative esigenze cautelari - per il secondo reato non connesso sono emersi, nel secondo procedimento, prima dell'emissione del provvedimento cautelare per il primo reato nel primo procedimento, con conseguente estensione della disciplina invocata. Operazione ora inibita, allo stato della legislazione. Si verte, in tal caso, non in ipotesi in cui l'interessato sia esposto ad arbitrio, malevolo o negligente, del p.m., nel far decorrere i termini a quo della custodia cautelare per uno dei fatti di cui e' accusato, bensi' in un caso in cui la complessita' e la durata del secondo procedimento (instaurato contro 27 persone e per piu' capi di accusa) hanno rallentato l'esame della posizione dei Chiaramonte, legandola inscindibilmente, per ragioni investigative, al destino dei coindagati, anche per i tempi di emissione e di esecuzione del provvedimento restrittivo. Circostanze obiettive, ma che non possono andare ex se a detrimento della posizione del cittadino, nel senso di rendere inapplicabile, alle condizioni date e per le ragioni esposte, l'istituto in trattazione. Nello specifico, pur pendendo diversi procedimenti per i diversi fatti non connessi, siccome questi stanno alla cognizione della stessa autorita' giudiziaria, oltre che assegnarli alla cognizione di diversi magistrati, sarebbe stato ben possibile - astrattamente - attribuirli anche all'esame di un medesimo magistrato, pur mantenendo distinti i procedimenti; ovvero farli confluire ab ovo - del tutto casualmente, in difetto di ragioni di riunione - in un unico procedimento, condizione alla quale soltanto si ritiene applicabile la disciplina statuita dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 408/2005, per quanto gia' detto. Sicche', tre sono le versioni in cui, alla cognizione della medesima autorita' giudiziaria, i diversi fatti non connessi potrebbero essere trattati: presso il medesimo p.m., nello stesso procedimento; presso il medesimo p.m., ma in procedimenti distinti; presso magistrati diversi della medesima Procura della Repubblica. Come gia' segnalato, la normativa in questione si applicherebbe soltanto alla prima di tali evenienze. Nelle due residue - una delle quali, la seconda, e' quella che interessa -, si manifesta pur sempre il pericolo di atteggiamenti inerti, per negligenza ovvero per malizioso artificio, del p.m. titolare. Questi potrebbe diluire nel tempo le richieste cautelari, opportunamente o casualmente ed accidentalmente dilatandone la diacronica decorrenza iniziale. L'esposizione a tale rischio implica il difetto sia del requisito dell'obiettivita' dei criteri per la determinazione del termine per la decorrenza iniziale della seconda misura, sia della garanzia del minor sacrificio possibile per la liberta' personale. Se ne deduce, pertanto, che - rispetto alla situazione di chi, del tutto casualmente, sia oggetto di indagine per due reati non connessi nell'ambito del medesimo procedimento avanti ad un'unica autorita' giudiziaria - la condizione di chi subisca indagini separate ab imis, pur da parte della stessa autorita' giudiziaria, risulta trattata in maniera deteriore. Non potrebbe fruire dell'istituto della retrodatazione, come conseguenza dell'assegnazione dei fatti non connessi a procedimenti diversi, che puo' avvenire anche sulla base di fattori che possono ben essere meramente casuali ed aleatori. Circostanze del tutto incontrollabili, che possono dar luogo ad ampi spazi di arbitrarieta', specie se si pensi che i procedimenti - se alla cognizione di un medesimo p.m. - potrebbero essere anche separati in itinere, posto che sarebbero noti nel loro integrale panorama, anche cautelare, siccome affidati al medesimo magistrato. Cosi' si eviterebbe l'applicabilita' del meccanismo della retrodatazione per il difetto della condizione relativa all'identita' del procedimento, allorche' gli altri requisiti inerenti alla desumibilita' degli elementi cautelari per il secondo reato emergessero solo dopo la separazione dei procedimenti e solo nel secondo dei due. La chiara diversita' di trattamento - tra chi e' indagato per piu' fatti non connessi nel medesimo procedimento e chi lo e' in procedimenti distinti, pur avanti alla medesima autorita' giudiziaria, quindi in situazioni sostanzialmente omogenee -, appare evidentemente irragionevole, allo stato della legislazione, poiche' risultante in violazione del canone di cui all'art. 3 Cost., proprio per la ingiustificata pretermissione dei criteri di certezza ed obiettivita' nella gestione dell'istituto in esame, e di quello del minimo sacrificio per la liberta' personale, per come richiede l'art. 13/5 Cost. Non varrebbe opporre che la attribuzione dei procedimenti ai magistrati dei p.m. e' regolamentata, o regolabile, da criteri obiettivi, posto che avverrebbe secondo parametri tabellari predeterminati. Cio' non toglie che sia, comunque, riconoscibile un tasso di aleatorieta' sulla sorte dei procedimenti, in relazione al meccanismo della loro destinazione a magistrati differenti nell'ambito del medesimo ufficio, nonche' un margine di arbitrio nella decisione di successiva separazione delle indagini per fatti originariamente e fortunosamente cumulati, ovvero nell'ipotesi di identita' di inquirente per i due fatti oggetto dall'inizio di separate indagini. Elementi, questi - aleatorieta' ed arbitrarieta' -, che sono generati dalla incidenza della casualita' e della pura sorte nella assegnazione dei procedimenti, in cui non tutti i criteri possono essere ritenuti sotto controllo (si pensi all'assegnazione del turno posta ed alla attribuzione di notizie di reato che contengono contestualmente piu' indicazioni di reati differenti e non connessi, che possono senz'altro generare un solo procedimento, e ipotesi similari, come l'assegnazione a gruppi di lavoro differenti, che lasciano al caso l'unita' o la pluralita' dei procedimenti, come comunemente avviene nella prassi giudiziaria). Del resto, l'ipotesi concreta in esame comprova la diagnosi della aleatorieta' denunciata, che vi ha inciso determinando l'originaria separatezza dei procedimenti, rappresentando l'alea il contenuto di un giudizio espresso dal punto di vista dell'interessato che subisce le misure cautelari, ma non per questo elemento da cui si possa prescindere nella disamina dell'istituto. Ne' varrebbe obiettare che, applicando indiscriminatamente l'art. 297/3 c.p.p. si finirebbe per riconoscere una sorta di diritto generalizzato alla fungibilita' della custodia cautelare, impedendo l'esecuzione di piu' misure, quantomeno nella dimensione cronologica ordinaria. Il rilievo va superato opponendo che non v'e' una sollecitazione alla espansione generalizzata ed indistinta dell'istituto, che deve pur sempre rispettare i canoni formali della commissione del secondo reato prima dell'esecuzione della prima ordinanza cautelare e della desumibilita' della gravita' indiziaria, per il secondo fatto non connesso, sempre prima del medesimo momento. Cio' oltre a mantenere, in ogni caso, il divieto di applicare l'istituto in caso di procedimenti distinti pendenti sin dall'inizio presso autorita' giudiziarie differenti, non potendosi far dipendere gli effetti di un atto di un procedimento da quelli di altro compiuto presso autorita' giudiziaria diversa, qualora non vi siano ragione di comunicazione tra i procedimenti medesimi. Posto che la norma introdotta con la sentenza della Corte costituzionale si ritiene applicabile soltanto al caso di diversi fatti non connessi trattati nel medesimo procedimento, tale disciplina va allargata anche all'ipotesi di diversi fatti non connessi trattati nell'ambito di procedimenti differenti, non riunibili o successivamente separati, ma pendenti presso la medesima autorita' giudiziaria. Il dubbio di costituzionalita' della norma di cui all'art. 297/3 c.p.p., come modificata dalla sentenza della Corte costituzionale n. 408/2005, appare non manifestamente infondato, per quanto detto. Inoltre, e' certamente rilevante, nel caso in esame, giacche' la pronuncia sollecitata introdurrebbe una regola che amplierebbe le ipotesi di applicabilita' dell'istituto della retrodatazione, consentendo la scarcerazione del Chiaramonte per decorrenza dei termini di fase della custodia cautelare sofferta, maturati in data 3 giugno 2004, con provvedimento adottato ora per allora.
P. Q. M. Visti gli artt. 268, 271 c.p.p., 15 e 97 Cost. e 23, legge n. 87/1953; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 297/3 c.p.p., nella parte in cui non prevede che l'istituto si applichi anche a fatti diversi - non connessi, oggetto di indagine in procedimenti separati, ma pendenti presso la stessa autorita' giudiziaria -, quando risulta che gli elementi per emettere la nuova ordinanza per il secondo fatto, commesso prima dell'emissione della prima ordinanza, erano gia' desumibili dagli atti, del relativo procedimento, gia' al momento della emissione della stessa. Sospende la decisione sulla istanza difensiva, relativa alla liberta' personale dell'interessato; Dispone la trasmissione degli atti del procedimento incidentale alla Corte costituzionale, limitatamente all'istanza difensiva, agli allegati relativi, al parere del p.m. e a questo provvedimento; Dispone che il presente provvedimento sia notificato, a cura della cancelleria, al p.m., nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicato ai Presidenti delle due Camere. Reggio Calabria, addi' 14 agosto 2006 Il giudice: Boninsegna 07C0660