N. 25 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 24 maggio 2007
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 24 maggio 2007 (della Regione Veneto) Sanita' pubblica - Servizio sanitario nazionale - Ripiano dei disavanzi sanitari delle Regioni con efficacia retroattiva mediante subentro statale - Stanziamento di 3.000 milioni di euro per il periodo 2001-2005 - Ricorso della Regione Veneto - Lamentata irragionevole penalizzazione delle Regioni virtuose, incidenza nelle materie della tutela della salute e del coordinamento della finanza pubblica con disposizioni di dettaglio ed autoapplicative e con istituzione di finanziamenti a destinazione vincolata - Denunciata lesione del riparto delle competenze legislative, lesione dell'autonomia finanziaria delle Regioni, violazione del principio della responsabilita' finanziaria, lesione del principio di eguaglianza, del principio di buon andamento della pubblica amministrazione, pregiudizio del diritto alla salute, violazione del principio di leale collaborazione. - D.L. 20 marzo 2007, n. 23, artt. 1 e 2. - Costituzione, artt. 3, 5, 32, 97, 117, 119 e 120; Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, art. 11.(GU n.22 del 6-6-2007 )
Ricorso per la Regione Veneto, in persona del presidente pro tempore della giunta regionale, autorizzato mediante deliberazione della giunta stessa n. 830 del 28 marzo 2007, rappresentata e difesa, come da procura speciale a margine del presente atto, dagli avv. prof. Mario Bertolissi del Foro di Padova, Ezio Zanon dell'Avvocatura regionale e Luigi Manzi del Foro di Roma, presso qust'ultimo domiciliata in Roma, via F. Confalonieri, n. 5; Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso la quale e' domiciliato ex lege, in Roma, via dei Portoghesi n. 12, per la declaratoria di illegittimita' costituzionale - per violazione degli artt. 3, 32, 97, 117 e 119 Cost., nonche' del principio di leale collaborazione, di cui agli artt. 5 e 120 Cost. e 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 - delle norme contenute negli artt. 1 e 2 del decreto-legge 20 marzo 2007, n. 23, recante «Disposizioni urgenti per il ripiano selettivo dei disavanzi pregressi nel settore sanitario», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 66 del 20 marzo 2007. F a t t o e d i r i t t o 1. - Con decreto-legge 20 marzo 2007, n. 23, il Governo ha introdotto, nell'ambito dell'ordinamento sezionale relativo alla «tutela della salute», «Disposizioni urgenti per il ripiano selettivo dei disavanzi pregressi nel settore sanitario». Piu' precisamente, l'esecutivo nazionale ha ritenuto - politicamente e giuridicamente - opportuno e conforme a sistema operare «in deroga» rispetto a precedenti determinazioni normative regolatrici della materia, e cio' alla scopo di «concorrere al ripiano dei disavanzi del Servizio sanitario nazionale per il periodo 2001-2005 nei confronti delle regioni» che si impegnano ad assumere le decisioni indicate nel comma 1, lettere a) e b) dell'art. 1. Quel che, sul piano finanziario, implichino le accennate statuizioni normative e' presto detto: infatti - recita il comma 3 dell'art. 1 -, «per le finalita' di cui al comma 2 e' autorizzata, a titolo di regolazione debitoria, la spesa di 3.000 milioni di euro per l'anno 2007» (si tratta di circa 5.800 miliardi di vecchie lire). E il medesimo comma prosegue precisando che «le predette disponibilita' finanziarie sono ripartite tra le regioni interessate con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della salute, sentito il Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali, sulla base dei debiti accumulati fino al 31 dicembre 2005, della capacita' fiscale regionale e della partecipazione delle regioni al finanziamento del fabbisogno sanitario. Nell'ambito dei predetti piani di rientro sono disciplinate le modalita' di monitoraggio e di riscontro dell'estinzione dei debiti. Alla relativa copertura si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2007-2009, nell'ambito dell'unita' previsionale di base di conto capitale "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2007, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero dell'economia e delle finanze». 2. - Dunque, posta la regola della responsabilita' finanziaria per le eccedenze di spesa, se ne prescinde, «in deroga» appunto, e si dispone circa la «regolazione debitoria» di quelle che il decreto-legge n. 23/2007 qualifica come le «Regioni interessate»: interessate a fruire di una solidarieta' senza presupposti e di una sussidiarieta' verticale fuori luogo perche' premiano chi sperpera e puniscono chi bene amministra, facendo addirittura ricadere - utilizzando i proventi della fiscalita' generale - sul secondo e sulle relative collettivita' gli eccessi del primo. Tant'e' che la Regione Veneto - d'accordo su cio' con la Regione Lombardia - ha individuato, con singolare nitidezza, «numerosi e gravi profili di illegittimita' costituzionale», che vale la pena di richiamare nella loro letteralita': «il decreto-legge prevede un meccanismo di subentro statale diretto a ripianare i disavanzi sanitari delle regioni con efficacia retroattiva introducendo, di fatto, una sanatoria a favore delle regioni la cui gestione sanitaria, non improntata a criteri virtuosi, ha comportato i disavanzi ora sanati dallo Stato; in tale modo, vengono penalizzate irragionevolmente quelle regioni, come il Veneto che, al contrario hanno posto in essere tutte le misure volte a garantire il rispetto dei vincoli previsti dalla normativa statale. Viene cosi' ad essere palesemente violato il principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione, nonche' il principio del rispetto del buon andamento della pubblica amministrazione previsto dall'art. 97 del medesimo testo costituzionale; il decreto-legge, peraltro, incide pesantemente nella materia della tutela della salute attribuita dall'art. 117 della Costituzione alla competenza legislativa delle regioni con disposizioni autoapplicative che, certo, non possono configurarsi quali disposizioni di principio; il contenuto del decreto-legge in oggetto diretto a coprire in sanatoria i disavanzi delle regioni non virtuose, si pone in contrasto anche con l'art. 119 della Costituzione che sancisce il principio della piena responsabilita' finanziaria di cui ciascun ente deve farsi carico in relazione alle funzioni per le quali e' competente; infine, non si puo' non rilevare che il Governo, con il decreto-legge in esame, di fatto legittima i comportamenti meno oculati di talune regioni pregiudicando conseguentemente il fondamentale diritto alla salute sancito dall'art. 32 della Costituzione; in ogni caso si rileva come il comportamento del Governo sia irrispettoso del principio di leale collaborazione con le regioni atteso che nessun accordo e' stato cercato e, tanto meno raggiunto, tra tutte le regioni per giustificare l'intervento statale» (Giunta regionale, deliberazione 28 marzo 2007, n. 830, di autorizzazione a proporre ricorso). 3. - Diversamente da quanto e' accaduto in passato, allorche' si e' discusso, prevalentemente a livello teorico e su un piano meramente descrittivo, di modelli, ritenuti piu' o meno appropriati, relativi al se e come attuare il dettato costituzionale, ora le questioni hanno assunto il carattere del confronto dialettico reale, perche' generate da fattispecie concrete che sembrano portare incorporate in se' elementari istanze di giustizia, istanze che hanno determinato a suo tempo, ad esempio, le sezioni unite della Corte di cassazione ad affermare la risarcibilita' delle lesioni degli interessi legittimi. La difesa della regione ricorda questo singolare caso proprio perche' il revirement giurisprudenziale fu provocato - come e' espressamente scritto nella sent. n. 500/1999 - dalla constatazione che «una siffatta isola di immunita' e di privilegio (...) mal si concilia con le piu' elementari esigenze di giustizia» (in Giornale di diritto amministrativo, n. 9/1999, 836). Del resto, e' quel che emerge dalla pura e semplice lettura - funzionale alla contestualizzazione dell'odierno giudizio - di quel che e' apparso sugli organi di informazione, sui quali si e' scritto, tra l'altro, cosi': «Il Lazio ha appena ricevuto un prestito statale a condizione di favore di 5,9 miliardi, piu' altri trasferimenti per 2,3 miliardi, per ripianare il debito sanitario di 10 miliardi accumulato negli ultimi anni all'insaputa dei piu', in cambio dell'ennesimo impegno a soddisfare un piano di rientro. In termini pro capite, il salvataggio del Lazio e' molto superiore a quello dell'indonesia 1): eppure non risulta che sia saltata una sola poltrona nell'amministrazione pubblica della regione. Ogni anno dal 1981 si celebra il rito dei disavanzi della sanita' pubblica. Il fatto piu' sorprendente di questo rito e' che, regolarmente, qualcuno si stupisca e gridi allo scandalo. Cio' che veramente dovrebbe meravigliare e' che vi siano ancora parecchie regioni virtuose la cui spesa non sfora le risorse disponibili» (cosi', Perotti, Un sistema che premia chi peggio amministra, in Il Sole 24 Ore, 14 aprile 2007). In disparte ogni riferimento a singole regioni, che qui non rileva, la frase finale rende ragione dei perche' la questione qui posta dalla Regione Veneto riguardi, innanzi tutto, la forma di Stato della Repubblica e, con essa, la corretta tutela e fruizione dei diritti costituzionalmente previsti e garantiti, i quali sono sinallagmaticamente legati ai doveri: per cui - si puo' dire senza timore di essere smentiti - ogni diritto trova la sua causa in uno specifico dovere, meglio ancora in un dovere adempiuto, che, nel caso in questione, coincide con il corretto adempimento, ceteris paribus, di quel che il legislatore ordinario e costituzionale hanno stabilito. E, tuttavia, cosi' non e', poiche' le regioni che hanno generato un deficit «non hanno particolari motivi demografici o epidemiologici per registrare una spesa piu' alta: sono, semplicemente, piu' inefficienti e scialacquatrici. Lungi dal costruire una forma di solidarieta' nazionale, come qualcuno afferma, ripianare i loro debiti significa quindi premiare chi amministra peggio la cosa pubblica» (ivi). Per questo motivo elementare, che corrisponde a una sorta di vox populi tanto e' semplice e misurabile, «l'effetto ovvio di queste pratiche e' di incentivare le violazioni future, perfino peggio di quel che accade con i condoni. Ma c'e' un secondo effetto ancora piu' pernicioso. Un sistema sanzionatorio efficace punirebbe gli amministratori locali responsabili degli sforamenti; al contrario, la pratica dei salvataggi ne fa degli eroi regionali: i politici laziali possono dire ai loro elettori di aver portato a casa 10 miliardi di euro gentilmente regalati dallo Stato» (ivi). E questo e' quel che effettivamente si pensa. Se queste affermazioni corrispondono al vero - come vere sono (perche' documentate e comunque provate da quel che sta accadendo proprio nel momento in cui e' in corso di elaborazione il presente ricorso) le inquietudini sociali e istituzionali della Campania, in cui si sono spese somme enormi per non risolvere il problema dello smaltimento dei rifiuti urbani (v. le inchieste di Report, ripetutamente trasmesse da RAI Tre la domenica sera) -, c'e' da chiedersi - e il Veneto se lo chiede, doverosamente, non polemicamente - quale e' l'idea di Repubblica, e di «Repubblica, una e indivisibile», che codesta ecc.ma Corte ha sempre idealmente affermato (v., ad es., le sent. n. 470/1992 e n. 496/2000), che in concreto si materializza nelle determinazioni istituzionali assunte. Perche' - lo si deve pur concedere e su cio' e' necessario riflettere - il modello attuato dal Governo attraverso il decreto-legge n. 23/2007 corrisponde, ne' piu' ne' meno, all'intima struttura, deformante e discriminante, di quello che Antonio Pedone ha definito, in tempi ormai lontani, come il modello degli «evasori e tartassati» (Pedone, Evasori e tartassati, Il Mulino, Bologna, 1979). Si potrebbe anche ironizzare, ma lo impedisce la natura grave e preoccupante di quel che e' sotteso a questa vicenda, caratterizzata da una fiera avversione del potere centrale nei confronti del patto e del dettato costituzionale. 4. - Per individuare, con chiarezza, i termini del problema, sono indispensabili alcune brevi premesse: premesse che sono scontate perche' lapalissiane. In primo luogo, non si deve dimenticare che il binomio entrate-spese (vale a dire tutto cio' che concerne, da un lato, il reperimento delle entrate, qualunque natura e consistenza abbiano, e, d'altro lato, la decisione e la allocazione delle spese) ha carattere strumentale, nel senso (si tratta di concetti risaputi) che non si esaurisce in se', ma va sempre considerato in funzione degli obiettivi da raggiungere, che nel nostro caso hanno ad oggetto situazioni giuridiche soggettive di ordine costituzionale, quali sono il diritto alla salute (art. 32) e la tutela della salute (art. 117, terzo comma). In secondo luogo, ancorche' un tempo si fosse di differente avviso, essendo plausibile anche per ragioni di carattere ideologico distinguere le azioni negative (che si credevano non determinanti spese) dalle azioni positive (che comportano un consumo di risorse), oggi nessuno dubita del fatto che davvero tutti i diritti costano (v., in specie, Antonini, Dovere tributario, interesse fiscale e diritti costituzionali, Giuffre', Milano, 1996 e Holmes-Sunstein, Il costo dei diritti, Il Mulino, Bologna, 2000), come d'altra parte ha implicitamente ammesso, a partire dal 2001, lo stesso legislatore costituente, che ha affidato, in via esclusiva allo Stato, il potere-dovere - si badi, non il potere soltanto, ma anche il dovere - di provvedere alla «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» (art. 117, secondo comma, lett. m). In terzo luogo, va tenuta ben presente la condizione economico-istituzionale che normalmente si associa alla cosiddetta crisi fiscale dello Stato, la quale sta a indicare «uno Stato che, vittima di apprendisti stregoni che l'hanno indotto a percorrere con leggerezza la strada dell'espansione della spesa pubblica, si trova di fronte a una situazione di dissesto: sia per la reazione dei contribuenti divenuti sempre piu' intolleranti dell'aggravarsi degli oneri fiscali; sia per l'evidente incapacita' di assicurare l'adeguatezza e l'efficienza dei servizi pubblici che potrebbero in qualche modo giustificare l'espansione della spesa; sia per il processo di diffusione delle "aspettative crescenti" alimentato dalla pressione imitativa dei vari gruppi sociali» (la puntualizzazione e' di Caffe', Prefazione a OConnor, La crisi fiscale dello Stato, Einaudi, Torino, 1977, IX; v., altresi', Pedone, Evasori, cit., 129 ss.). In quarto luogo, ove si rifletta sulla circostanza che ogni euro acquisito e ogni euro speso bene concorrono, allo stesso modo, alla tutela dei diritti, e che cio' riguarda massimamente i diritti di coloro che nella vita sono i meno fortunati, e' facile rilevare che il ripiano di deficit attuato in modo indiscriminato, senza accertamenti di responsabilita', fa strame delle regole che disciplinano la piu' banale delle convivenze civili e, con cio', distrugge, dalle fondamenta, lo Stato (v., gia', AA.VV., Lo sperpero del pubblico denaro, Giuffre', Milano, 1965). Parafrasando Ezio Vanoni, al pari di quello fiscale, si puo' convenire che il problema della spesa «non e' solo tecnico, ma e' problema morale e politico, oltreche' economico, giacche' si tratta di dare a ciascuno quello che gli spetta e di creare le basi di una societa' onesta, ben organizzata ...» (cosi', riferendone il pensiero, De Mita, La legalita' tributaria, Giuffre', Milano, 1993, 7). Ma, a ben vedere, l'impugnazione del decreto-legge n. 23/2007 (proprio la' dove questa lamenta che attraverso la fiscalita' generale e, quindi, la solidarieta' di tutti i consociati si rimedi alla cattiva gestione delle risorse pubbliche attuata da pochi) riguarda essenzialmente e radicalmente il prelievo fiscale, che ne viene disarticolato. Realizzando, cosi', il contrario di quel che auspicava Vanoni, secondo il quale «l'imposta deve essere sopportabile, non deve scoraggiare la produzione del reddito e non deve diventare causa tecnica dell'evasione; il sistema tributario deve fondarsi sul rapporto di fiducia e di collaborazione fra amministrazione e contribuente. Non e' possibile risolvere il problema dell'evasione solo con pene severe. Il segreto - diceva Vanoni - sta "nel creare attraverso la persuasione politica e morale un clima nel quale si senta che, difendendo la razionale o uguale applicazione dei tributi, si difende non una legge formale dello Stato, ma l'essenza stessa della vita dello Stato"» (De Mita, La legalita' tributaria, cit., 7-8). Il cittadino-contribuente si chiede, sempre piu' spesso: «Perche' pago?». Attraverso fumisterie giuridiche e il ricorso alla letteralita' dei combinati disposti si puo' anche eludere, retoricamente, questa domanda. Ma non si puo' eludere di certo quel che sta realmente scritto in Costituzione, che non e' solo «di carta», e che, la' dove pone il principio di copertura delle spese, ovviamente rinvia alla piu' classica delle tecniche: e', appunto, quella di incrementare le entrate o di ridurre altre spese. Si tratta di una circostanza che chiarisce, a scanso di equivoci, le riflessioni poc'anzi delineate. 5. - Onde evitare inutili contestazioni, la difesa della regione precisa, innanzi tutto, che le e' ben nota la giurisprudenza di codesto ecc.mo Collegio, secondo cui «le regioni sono legittimate a denunciare la violazione di norme costituzionali non relative al riparto di competenze con lo Stato solo quando tale violazione comporti un'incidenza diretta o indiretta sulle competenze attribuite dalla Costituzione alle regioni stesse (in tal senso, si vedano le sentenze n. 287 e n. 286 del 2004; n. 303 del 2003)» (sent., 7 luglio 2005, n. 270, punto 6 del «Considerato in diritto»). In ogni caso, ritiene opportuno indicare, in un quadro di sintesi, quali sono le prerogative costituzionali dello Stato e della regione ove si discorra del caso in questione, che forse non ha precedenti, caso che va preso in esame sia dal punto di vista di cio' che e' stato fatto sia di cio' che non e' stato fatto. (a) Quanto allo Stato, il medesimo deve curare, stando alla Costituzione, attraverso le proprie leggi e le conseguenti azioni concrete, «l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarieta' politica, economica e sociale» (art. 2); «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la liberta' e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese» (art. 3, secondo comma); realizzare un corretto contemperamento tra unita' e indivisibilita' dell'ordinamento repubblicano e pluralismo delle e nelle istituzioni (art. 5), anche attraverso la concretizzazione del principio di responsabilita' (art. 28), in assenza del quale faranno - come purtroppo fanno - difetto l'eguale (perche' riguarda «tutti») concorso alle spese pubbliche da parte di chi manifesta una capacita' contributiva (art. 53) e il buon andamento dei pubblici poteri (art. 97). E' all'interno di un simile articolato tessuto di facolta' e di doveri che si collocano le previsioni attributive di competenze funzionali, stando alle quali lo Stato ha potesta' legislativa esclusiva in tema di «perequazione delle risorse finanziarie» (art. 117, secondo comma, lett. e) e di «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» (art. 117, secondo comma, lett. m), per la tutela dei quali «il Governo puo' sostituirsi a organi delle regioni», ai sensi dell'art. 120, secondo comma); mentre lo stesso dispone di una potesta' legislativa concorrente in materia di «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario» (art. 117, terzo comma), da realizzare attraverso appunto la determinazione di «principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario» (art. 119, secondo comma) e l'istituzione di «un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacita' fiscale per abitante» (art. 119, terzo comma). (b) Quanto alla regione, ferma restando l'incidenza su di essa dei disposti di cui agli artt. 2, 3, 5, 28, 53 e 97 per gli aspetti che ne siano di volta in volta rilevanti, la stessa dispone di una potesta' legislativa concorrente finalizzata alla tutela della salute (art. 117, terzo comma) e di una analoga potesta', nei limiti puntualizzati dalla Corte, per quel che attiene al reperimento delle risorse finanziare e alle decisioni di spesa (art. 119). (c) L'insieme delle citate previsioni definisce un vero e proprio sistema di principi-base, che equivalgono ad altrettanti elementi strutturali propri delle varie funzioni pubbliche, e riparte le funzioni medesime tra i diversi livelli di governo, i quali debbono quindi adeguarsi a cio' che la Costituzione stabilisce in ordine ai diritti: ad esempio, a quel singolare diritto di prestazione che e' il diritto alla salute. Ancorche' sia intervenuta la riforma costituzionale del 2001, che ha ampliato i confini dell'originaria «assistenza sanitaria ed ospedaliera» parlando ora l'art. 117, terzo comma, di «tutela della salute», nondimeno si puo' convenire sul fatto che conservano sicura attualita' le seguenti considerazioni, svolte da codesto ecc.mo Collegio nella sentenza 5 novembre 1984, n. 245, nella quale si legge: «In realta', la Corte e' dell'avviso che l'"assistenza sanitaria ed ospedaliera", sebbene compresa nell'elenco dell'art. 117 Cost., non si risolva in una materia pienamente assimilabile agli altri settori di competenza regionale: sia per la particolare intensita' dei limiti cui sono in tal campo sottoposte la legislazione e l'amministrazione delle regioni, sia per le peculiari forme e modalita' di finanziamento della relativa spesa pubblica, sia - soprattutto - per i tipici rapporti che l'ordinamento vigente stabilisce fra le varie specie di enti ed organismi cooperanti ed interagenti nella materia medesima. Sotto diversi aspetti, le caratteristiche ora accennate hanno anzi incominciato ad evidenziarsi gia' prima della profonda riforma introdotta dalla legge n. 833/1978. Sin dalla legge n. 132/1968 sono stati infatti costituiti su tutto il territorio nazionale appositi enti ospedalieri, dotati di compiti testualmente definiti esclusivi e finanziati per mezzo d'uno specifico fondo nazionale (cfr. gli artt. 1, primo comma, e 33, legge cit.). E' quindi sopraggiunto il d.l. n. 264/1974 (convertito nella legge n. 386 del medesimo anno), che ha istituito a sua volta il fondo nazionale per l'assistenza ospedaliera da ripartire fra le varie regioni, sotto forma di stanziamenti "iscritti in appositi capitoli del bilancio regionale" (ex art. 14 ss. d.l. cit.). e un determinante passo verso l'istituzione del previsto servizio sanitario nazionale e' stato poi compiuto dall'art. 32, primo comma, del d.P.R. n. 616/1977, che ha senz'altro attribuito "ai comuni, singoli ed associati, ai sensi dell'art. 118, primo comma, della Costituzione, tutte le funzioni amministrative relative alla materia" dell'assistenza sanitaria ed ospedaliera, ad eccezione di quelle "espressamente riservate allo Stato, alle regioni e alle province". Rispetto a questi procedimenti normativi, la legge n. 833/1978 ha tuttavia complicato ulteriormente la distribuzione dei ruoli nel campo sanitario, fissando e distinguendo essenzialmente tre ordini di competenze: il primo dei quali spetta allo Stato, in nome del principio di eguaglianza di tutti i cittadini nei confronti dei servizio (cfr. gli artt. 3 ss., 47, 48, 51, 53, legge cit.); mentre il secondo s'impernia sulle funzioni legislative e programmatorie affidate alle regioni (specialmente in base agli artt. 11, 15, nono comma, 50 e 55, legge cit.); ed il terzo interessa in sostanza quei nuovi organismi che sono le unita' sanitarie locali (sia pure concepite come "strutture operative" dei comuni), le quali svolgono tutti i compiti residui, disponendo in tal senso d'una indubitabile autonomia gestionale e organizzativa. Ne' questo disegno, per quanto integrato, derogato e corretto piu' volte dal legislatore statale (come gia' si notava, nell'affrontare le questioni di legittimita' costituzionale concernenti l'art. 28 della legge n. 730), e' stato mai ripensato in modo organico: che' anzi lo stesso progetto di riforma delle unita' sanitarie locali, predisposto dal Ministero della sanita' continua a puntare - in ultima analisi - sull'autonomia delle USL quali "aziende speciali" dei comuni o delle comunita' montane». Dunque, la tutela della salute ha un carattere pregnante, sconta una forte ricaduta del principio costituzionale di eguaglianza - oggi reso esplicito pure dall'art. 117, secondo comma, lett. m) - e implica - come ha implicato - che il Servizio sanitario nazionale realizzi il principio universalistico nell'erogazione delle prestazioni. Tutto cio' comporta che sia lo Stato a dover disporre normativamente, per realizzare, non per disattendere, come ha fatto con il d.l. n. 23/2007, il «principio di eguaglianza di tutti cittadini nei confronti del servizio» (come si legge nella citata sent. n. 245/1984). D'altra parte, cio' e' semplicemente scontato perche': o i cittadini e no, per i quali alcune regioni hanno creato un surplus di deficit, hanno ottenuto maggiori prestazioni di carattere qualitativo e quantitativo, e il relativo onere e' fatto ricadere su chi non ne ha beneficiato e magari ha mutilato le proprie esigenze; o tali cittadini e no non ne hanno ottenute affatto di ulteriori, e l'eccedenza di spesa e' da addebitare a una gestione non esemplare delle risorse, con un aggravio traslato sui cittadini che hanno gia' dato in termini di solidarieta' e non hanno comunque concorso alla elezione dei rappresentanti che hanno speso in modo inefficiente. In entrambi i casi, lo Stato e' venuto meno ai propri doveri costituzionali, che esigono un puntuale rispetto dell'eguaglianza, qui lesa oltretutto nei modi e con i riflessi accennati sub 3. 6. - Certo e' che ben altrimenti il legislatore statale ha deciso quando ha dettato la disciplina generale della materia «tutela della salute», alla quale va dedicata una qualche attenzione, allo scopo di evidenziarne sviluppi e implicazioni, anche con specifico riferimento alle modalita' di finanziamento della relativa spesa. Nell'intento di dare attuazione all'art. 32, primo comma, Cost., per cui «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettivita», la legge 23 dicembre 1978, n. 833, ha istituito il Servizio sanitario nazionale (d'ora in poi anche S.S.N.), costituito dal «complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attivita' destinati alla promozione, al mantenimento ed al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalita' che assicurino l'eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio» (art. 1, comma 2). L'attuazione di tale servizio, demandata allo Stato, alle regioni e agli enti locali territoriali, era finanziata, originariamente, da uno specifico «fondo sanitario nazionale», il cui importo doveva venir iscritto «annualmente nel bilancio dello Stato» (artt. 51 e 53). Agli inizi degli anni novanta il Governo tento' un riordino della disciplina in materia sanitaria con il decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, il quale qualifica le disposizioni in esso contenute come «principi fondamentali ai sensi dell'art. 117 Cost.» (art. 19) e resta, ovviamente nel testo attualmente vigente cosi' come modificato da interventi successivi, il quadro normativo di riferimento per cio' che attiene alla conformazione del S.S.N. In esso si stabilisce che «il Servizio sanitario nazionale assicura, attraverso risorse finanziarie pubbliche i livelli essenziali e uniformi di assistenza» (art. 1, comma 1), la cui individuazione «e' effettuata contestualmente all'individuazione delle risorse finanziarie destinate al servizio sanitario nazionale, nel rispetto delle compatibilita' finanziarie definite per l'intero sistema di finanza pubblica» (art. 1, comma 2) e che, d'altra parte, spetta alle regioni «far fronte con risorse proprie agli effetti finanziari conseguenti all'erogazione di livelli di assistenza sanitaria superiori a quelli uniformi di cui all'art. 1 (...), nonche' agli eventuali disavanzi di gestione delle unita' sanitarie locali e delle aziende ospedaliere» (art. 13) a fronte di una loro ampia competenza legislativa e amministrativa in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera (art. 2). Il decreto prevedeva, nella sua originaria versione, in sostanza, un sistema di finanziamento cosi' articolato: fondo sanitario nazionale, di parte corrente e in conto capitale, «alimentato interamente da stanziamenti a carico dello Stato» e di «importo annualmente determinato dalla legge finanziaria», da ripartirsi tra le regioni (art. 12); autofinanziamento regionale, costituito di «risorse proprie» delle regioni con le quali queste ultime dovevano far fronte all'erogazione di livelli di assistenza sanitaria superiori a quelli essenziali e uniformi individuati dallo Stato, all'adozione di modelli organizzativi diversi da quelli minimi di indicazione statuale e agli eventuali disavanzi di gestione delle unita' sanitarie locali e delle aziende ospedaliere con conseguente progressivo esonero di interventi finanziari da parte dello Stato (art. 13) 2). Tuttavia, proprio a fronte del summenzionato riconoscimento, da parte dell'ordinamento, di una sempre piu' ampia competenza decisionale organizzativa in capo alle regioni in materia sanitaria e sulla base del principio del c.d. «parallelismo fra responsabilita' di disciplina e di controllo e responsabilita' finanziaria» piu' volte riaffermato anche da codesto ecc.mo Collegio 3), il legislatore nazionale ha deciso, agli inizi del 2000, di intervenire in modo incisivo sul summenzionato sistema di finanziamento del S.S.N. Cosi', con il decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 56 (Disposizioni in materia di federalismo fiscale, a norma dell'art. 10 della legge 13 maggio 1999, n. 133), il fondo sanitario nazionale e' stato soppresso e si e' deciso di compensare la rilevante sopravvenuta mancanza di una fonte di finanziamento attraverso la previsione di compartecipazioni regionali ai tributi statali e l'istituzione di un fondo perequativo nazionale. Sulla stessa scia si e' posta, in seguito, la previsione dell'art. 83, comma 4, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2001), con la quale si e' previsto spetti alle singole regioni provvedere alla copertura degli eventuali disavanzi di gestione, attivando nella misura necessaria l'autonomia impositiva secondo modalita' e procedure prestabilite. Le norme che si occupavano di queste modalita' procedimentali sono state modificate 4) dal d.l. 18 settembre 2001, n. 347. Quest'ultimo provvedimento governativo, poi convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 16 novembre 2001, n. 405, all'art. 4, comma 3, tuttora vigente, conferma il principio per cui «gli eventuali disavanzi di gestione accertati o stimati nel rispetto dell'accordo Stato-regioni di cui all'art. 1, comma 1, sono coperti dalle regioni con le modalita' stabilite da norme regionali» ossia mediante «misure di compartecipazione alla spesa sanitaria, ivi inclusa l'introduzione di forme di corresponsabilizzazione dei principali soggetti che concorrono alla determinazione della spesa», «variazione dell'aliquota dell'addizionale regionale all'imposta sul reddito delle persone fisiche o altre misure fiscali previste dalla normativa vigente» e/o «altre misure idonee a contenere la spesa, ivi inclusa l'adozione di interventi sui meccanismi di distribuzione dei farmaci». A sanzione del fondamentale principio di responsabilita' delle regioni per la gestione del servizio sanitario, l'art. 40 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Legge finanziaria 2002) ha previsto, poi, una riduzione del finanziamento dello Stato a danno delle regioni non adempienti alle prescrizioni in materia di misure organizzative stabilite nell'accordo Stato-regioni per l'anno 2001, e, con d.l. 15 aprile 2002, n. 63, questa previsione e' stata estesa anche agli anni 2002, 2003 e 2004 (art. 4). Successivamente, con legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Legge finanziaria 2003), all'art. 29, comma 2, veniva ampliato lo spettro degli adempimenti previsti per l'accesso delle regioni al finanziamento statale e, al contempo, si decideva di ridurre temporaneamente le entrate regionali sospendendo gli effetti di eventuali aumenti delle addizionali IRPEF e delle maggiorazioni IRAP. Tale riduzione veniva prorogata anche al 2004 dal disposto dell'art. 2, comma 21, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Legge finanziaria 2004). Grazie alla successiva legge finanziaria, ossia alla legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Legge finanziaria 2005) le addizionali, con riguardo al settore sanitario, venivano sbloccate (art. 1, comma 175) per divenire addirittura automatiche. L'art. 1, comma 174, del provvedimento legislativo in esame, infatti, a tutt'oggi, dispone che, qualora dal monitoraggio trimestrale dovesse emergere uno «squilibrio» economico-finanziario, la regione adotti i provvedimenti necessari e che, ove questo non dovesse avvenire e si dovesse evidenziare comunque un disavanzo di gestione nel quarto trimestre, il Presidente del Consiglio dei ministri diffidi la regione a provvedere entro il 30 aprile dell'anno successivo. Nell'ipotesi, poi, di perdurante inadempimento della regione, e' dato al presidente della regione, quale commissario ad acta, il compito di determinare gli aumenti dell'addizionale IRPEF e le maggiorazioni IRAP, aumenti e maggiorazione che sono destinate a scattare automaticamente e nella misura massima in caso di inerzia del presidente. La legge finanziaria per il 2005 ha fissato pure i nuovi tetti di spesa per il triennio 2005-2007, ma, al contempo, ha previsto, «in deroga a quanto stabilito dall'art. 4, comma 3, del d.l. 18 settembre 2001, n. 347 (...)», il concorso dello Stato «al ripiano dei disavanzi dei S.S.N. per gli anni 2001, 2002 e 2003». A partire dalla legge finanziaria del 2004, nella quale cio' e' avvenuto per la prima volta dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, il legislatore statale ha stanziato fondi per ripianare il disavanzo sanitario delle regioni, pur subordinando espressamente l'accesso a questi finanziamenti alla stipula di apposite intese fra Stato e regioni finalizzate - almeno negli intenti - a migliorare la qualita' del servizio erogato e a contenere la dinamica dei costi 5). Cosi', con l'art. 1, commi 279, 280 e 281 della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Legge finanziaria 2006) lo Stato ha deciso di concorrere al ripiano dei disavanzi regionali per gli anni 2002, 2003 e 2004 con una somma di 2.000 milioni di euro, la cui erogazione e' subordinata all'«adozione, da parte delle regioni, dei provvedimenti di copertura del residuo disavanzo posto a loro carico per i medesimi anni», all'intesa su uno schema di piano sanitario nazionale 2006-2008 e alla stipula di un accordo Stato-Regione per il contenimento dei tempi di attesa. Per il triennio 2007-2009, poi, l'art. 1, comma 796, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Legge finanziaria 2007), ha istituito un fondo complessivo di 2.550 milioni di euro da ripartirsi tra le regioni interessate da elevati disavanzi, il cui accesso risulta subordinato alla sottoscrizione di un accordo con lo Stato comprensivo di un piano di rientro. Questa la situazione fino all'entrata in vigore del d.l. n. 23 del 2007, che, a soli tre mesi di distanza dall'ultima finanziaria, prevede un ulteriore stanziamento di ben 3.000 milioni di euro per ripianare i disavanzi sanitari delle «Regioni interessate» per il periodo 2001-2005. 7. - Tenuto conto dei parametri indicati nella delibera che autorizza la presentazione dell'odierno ricorso, vale la pena di riconsiderare, per linee essenziali, il quadro normativo costituzionale di riferimento. Sembra inevitabile ricordare per primo proprio il parametro costituzionale che di tutta la complessa vicenda in esame costituisce forse il faro-guida, ossia l'art. 32, primo comma, Cost., per cui «la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettivita', e garantisce cure gratuite agli indigenti». Dunque, il compito di tutelare il bene della salute, inteso complessivamente come benessere psico-fisico della persona, di qualunque persona senza discriminazione di sorta (in conformita' all'art. 3 Cost.), diritto fondamentale dell'uomo (art. 2 Cost.) e interesse della collettivita', e' rimesso alla Repubblica. Ma la Repubblica, ai sensi dell'art. 114 Cost., primo comma, come modificato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, «e' costituita dai comuni, dalle province, dalle citta' metropolitane, dalle regioni e dallo Stato» ed e', pertanto, necessario analizzare se e quale ruolo la Costituzione abbia riservato a questa pluralita' di attori nel perseguimento del fine di cui all'art. 32 Cost. Si tratta di un settore che, gia' prima della riforma dei Titolo V, era pervenuto, almeno sotto il profilo dell'assistenza e dell'organizzazione sanitaria, ad un elevato «tasso di regionalizzazione» - come si e' tentato di rilevare ripercorrendo i principali interventi normativi in materia di S.S.N. e per il quale il legislatore costituzionale del 2001 ha previsto un'articolata ripartizione del potere legislativo e amministrativo. Da un lato, infatti, ha consolidato e potenziato il ruolo centrale conquistato dalle regioni, inserendo nell'elenco delle materie di competenza concorrente di cui all'art. 117, terzo comma, nelle quali «spetta alle regioni la potesta' legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata allo Stato», la «tutela della salute». Dall'altro, pero', ha assicurato allo Stato il potere di intervenire incisivamente, esercitando la propria competenza legislativa esclusiva, in materia di «profilassi internazionale» (art. 117, secondo comma, lettera p), «tutela dell'ambiente» (art. 117, secondo comma, lettera s), ma soprattutto con la «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» (art. 117, secondo comma, lettera m). L'inserimento nel secondo comma dell'art. 117 di una tale previsione «attribuisce al legislatore statale un fondamentale strumento per garantire il mantenimento di una adeguata uniformita' di trattamento sul piano dei diritti di tutti i soggetti, pur in un sistema caratterizzato da un livello di autonomia regionale e locale decisamente accresciuto» (cosi', Corte cost., sent., 27 marzo 2003, n. 88), importante specialmente nel settore sanitario in cui, fin dall'istituzione del S.S.N. si parla di «livelli delle prestazioni sanitarie che devono essere, comunque, garantite a tutti i cittadini» (nell'art. 53 della legge 23 dicembre 1978, n. 833) e di «livelli essenziali e uniformi di assistenza definiti dal piano sanitario nazionale» (nell'art. 1 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, come modificato nel 1999) 6). Ma, «nel sistema di assistenza sanitaria - delineato dal legislatore fin dall'emanazione della legge di riforma sanitaria, 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del Servizio sanitario nazionale) - l'esigenza di assicurare la universalita' e la completezza del sistema assistenziale del nostro Paese si e' scontrata, e si scontra ancora attualmente, con la limitatezza delle disponibilita' finanziarie che annualmente e' possibile destinare, nel quadro di una programmazione generale degli interventi di carattere assistenziale e sociale, al settore sanitario» (cfr. Corte cost., sent., 8 maggio 2007, n. 162, riprendendo Corte cost., sent., 18 marzo 2005, n. 111; e Corte cost., sent., 15 febbraio 2000, n. 59), cosicche' sostanzialmente la spesa sanitaria non puo' concretamente esser rapportata al suo costo, ma alle disponibilita' della finanza pubblica (cfr. Corte cost., sent., 31 dicembre 1986, n. 296). Tanto chiarito, allora, e' necessario ammettere, soprattutto verificando con quale costanza la materia sanitaria si trovi disciplinata nelle leggi finanziarie, che la competenza concorrente tra Stato e regioni a proposito di «coordinamento della finanza pubblica» svolge un ruolo di primaria importanza anche in questo settore, soprattutto ove si discuta di spesa e disavanzi di gestione (si veda, in proposito, Corte cost., sent., 21 marzo 2007, n. 98). Proseguendo nel ragionamento, si deve annoverare tra le disposizioni costituzionali di sicuro rilievo in materia di sanita', quella di cui all'art. 119. Quest'ultima, infatti, riconosce agli enti che compongono la Repubblica, ma in particolare per quanto qui interessa, a Stato e regioni, autonomia finanziaria di entrata e di spesa e disegna il sistema di finanziamento delle funzioni loro attribuite, limitando drasticamente la possibilita' per lo Stato di disporre fondi di finanziamento a favore delle autonomie regionali e locali. Dal punto di vista dell'attuazione concreta della tutela della salute di cui all'art. 32 Cost., i protagonisti di cui sopra operano, nel rispetto del principio di sussidiarieta' (art. 118 Cost.), mediante il S.S.N., ossia, in sostanza per il tramite di un complesso apparato amministrativo soggetto, tra gli altri, ai principi di imparzialita' e, soprattutto, buon andamento previsti all'art. 97 Cost., buon andamento che - come e' noto - si articola nei principi corollari di efficienza, efficacia ed economicita'. Si puo' affermare, dunque, che, a seguito della riforma del Titolo V, la nostra Carta costituzionale disegna un sistema sanitario di stampo federale (federale ha qui un significato vastissimo), nel quale il centro procede alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni da assicurare su tutto il territorio e si fa garante del coordinamento della finanza pubblica ponendo i principi fondamentali, mentre alle autonomie e' riconosciuta una competenza legislativa che, concedendo ora la «tutela della salute» e non piu' la mera «assistenza ospedaliera», e' «assai piu' ampia rispetto a quella precedente» 7) e alla quale si accompagna il potere di organizzare il servizio modellandolo sulla base delle esigenze della popolazione e, di conseguenza, la responsabilita' delle risorse da impiegare e impiegate. Per un principio la cui validita' non puo' esser messa in dubbio dopo la riforma del 2001, ma del quale non si discuteva neppure in passato 8), infatti, la responsabilita' di disciplina e organizzazione deve viaggiare parallelamente alla responsabilita' finanziaria. Il tutto, ovviamente, data la delicatezza della materia e la complessita' dello scenario delle competenze legislative, amministrative e finanziarie articolato su piu' livelli di governo, all'insegna della massima attuazione del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost. e 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. 8. - Se ora si coordina il quadro costituzionale vigente con il complesso di disposizioni che disciplinano il S.S.N. e, in particolare, il suo finanziamento, appare chiaro che spetta a ciascuna regione, nell'ambito delle proprie accresciute potesta', assicurati gli standard minimi delle prestazioni determinati dallo Stato e rispettati i principi di coordinamento della finanza pubblica dettati da quest'ultimo, disciplinare e organizzare l'erogazione del servizio sanitario all'interno del proprio territorio secondo il principio di buon andamento, finendo con l'essere responsabile delle risorse finanziarie impiegate e da impiegarsi. Questo l'intento del legislatore nazionale quale traspare dalla disciplina posta con riferimento al S.S.N. e al suo finanziamento. Questo quanto richiesto dal dettato della Costituzione vigente. Consapevole di quanto ad essa imposto dal sistema normativo, la Regione Veneto, in questi anni, anche se con molte difficolta' derivanti dalla perdurante inattuazione del c.d. federalismo fiscale, ha informato tutti i propri interventi nel delicato settore della sanita' (sia quelli di natura normativa, sia quelli piu' propriamente attinenti l'organizzazione e il coordinamento della complessa macchina amministrativa che materialmente eroga il servizio) a criteri di efficacia, efficienza, economicita', insomma di buon andamento e di responsabilita'. Il risultato e' sotto gli occhi di tutti: un servizio sanitario tra i primi per qualita' delle prestazioni e il dato, faticosamente conseguito, di non esser gravati da disavanzi di gestione. Con sorpresa la regione ricorrente ha accolto l'emanazione del decreto 20 marzo 2007, n. 23, con il quale lo Stato ha deciso di concorrere al ripiano del disavanzo del S.S.N. per il periodo 2001-2005 per alcune regioni, stanziando l'ingente somma di 3.000 milioni di euro per il solo 2007, la quale va ad aggiungersi ai perspicui finanziamenti tutti operati allo stesso scopo e a piu' riprese, a partire dalla legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Legge finanziaria per il 2005), con le successive manovre finanziarie fino a quella recentissima di cui alla legge 27 dicembre 2006, n. 296. Il tutto in cambio dell'ennesimo impegno a soddisfare un piano di rientro o, comunque, a reperire maggiori risorse finanziarie. Lo Stato, dunque, chiede - rectius - impone alle regioni «virtuose», nelle quali la spesa sanitaria non ha ecceduto le risorse disponibili grazie allo sforzo congiunto di attuare una legislazione responsabile e un'organizzazione dell'apparato amministrativo rispettoso del principio di buon andamento, di «sanare» pro parte i debiti di regioni che, ignorando le prescrizioni ordinamentali, hanno speso piu' del dovuto per l'erogazione non di un qualunque servizio, bensi' del servizio con il quale la Repubblica tutela il diritto alla salute e lo fa con una disciplina che il ricorrente ritiene lesiva della propria autonomia e costituzionalmente illegittima sotto molteplici profili, gia' delineati nella piu' ampia prospettiva ordinamentale e di seguito riassunti alla luce dei puntuali motivi del ricorso prospettati dalla giunta regionale. 8.1. - La disposizione di cui all'art. 1 del decreto-legge 20 marzo 2007, n. 23 viola, innanzitutto, il riparto delle competenze legislative disegnato dall'art. 117 Cost. Si e' detto come, in materia sanitaria e di relativa spesa, allo Stato spetti, ai sensi dell'art. 117 Cost. nel testo attualmente vigente, una potesta' legislativa esclusiva per quanto attiene alla «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali» e la competenza a porre i principi fondamentali nell'ambito della «tutela della salute» e del «coordinamento della finanza pubblica», materie di potesta' legislativa concorrente tra Stato e regione. Ora, risulta di tutta evidenza che l'intervento legislativo di cui all'articolo impugnato non puo' sussumersi nella prima fattispecie astratta, ossia quella di competenza esclusiva, perche', come codesto giudice delle leggi ha gia' osservato, i conflitti che sorgano in materia di interventi di ripiano dei disavanzi di gestione del S.S.N. vanno valutati «nel quadro della competenza legislativa regionale concorrente in materia di salute (...) e specialmente nell'ambito di quegli obiettivi di finanza pubblica e di contenimento della spesa, al cui rispetto sono tenute regioni e province autonome» (cfr. Corte cost., sent. 21 marzo 2007, n. 98; Corte cost., sent. 27 gennaio 2005, n. 36). Giova, pero', a questo proposito rilevare che le previsioni di cui all'articolo che si censura non possono in alcun modo definirsi «principi fondamentali», giacche' tali possono essere ritenuti solo le disposizioni normative che esprimono la consapevole scelta del legislatore di disciplinare un determinato settore ponendo delle norme di maggiore astrattezza rispetto a quelle poi adottabili dalle regioni e in grado di orientare i futuri interventi regionali 9). La disciplina impugnata si segnala, invece, per il suo carattere minuzioso, dettagliato, autoapplicativo, dal momento che indica quali regioni e secondo quali modalita' potranno beneficiare del finanziamento statale per ripianare i propri debiti sanitari. Nella denegata e assolutamente inopinata ipotesi per cui si intendesse riconoscere alla disposizione in esame il carattere di «principio», poi, si dovrebbe ritenere che, tramite essa, l'ordinamento abbia recepito la regola dell'assoluta deresponsabilizzazione degli enti regionali. Ma cosi' non puo' essere e non e'. Si chiede, pertanto, che codesto ecc.mo giudice voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale del d.l. 20 marzo 2007, n. 23 per contrasto con l'art. 117 Cost. 8.2. - La disposizione in esame, poi, viola anche il disposto di cui all'art. 119 Cost. Chiarito che la norma va collocata, come si e' detto, a cavallo tra la materia «tutela della salute» e quella del «coordinamento della finanza pubblica» e che entrambe le suddette materie sono annoverate nell'elenco di cui al terzo comma dell'art. 117 e, pertanto, relativamente ad esse, la Costituzione ha previsto una potesta' legislativa concorrente tra Stato, al quale e' riservata la determinazione dei principi fondamentali, e regioni, alle quali spetta una piena capacita' di porre la disciplina ulteriore, e' necessario richiamare con un cenno il contenuto della previsione legislativa. Con l'art. 1 del d.l. n. 23/2007, lo Stato finanzia, mediante uno stanziamento di 3.000 milioni di euro per il solo 2007, alcune regioni onde ripianare il loro disavanzo di gestione. Secondo il costante orientamento di codesta ecc.ma Corte, l'art. 119 Cost., pero', non consente allo Stato di istituire e disciplinare finanziamenti a destinazione vincolata ne' nelle materie di potesta' legislativa concorrente (art. 117, terzo comma, Cost.), ne' nelle materie di potesta' legislativa residuale della regione (art. 117, quarto comma, Cost.), sia che questi fondi prevedano la diretta attribuzione di risorse a regioni, province, citta' metropolitane o comuni (Corte cost., sent. 23 dicembre 2003, n. 370; Corte cost., sent. 16 gennaio 2004, n. 16; Corte cost., sent. 29 gennaio 2004, n. 49), sia che prevedano la diretta attribuzione di risorse a soggetti privati, persone fisiche o giuridiche (Corte cost., sent. 29 dicembre 2004, n. 423; Corte cost., sent. 18 febbraio 2005, n. 77; Corte cost., sent. 18 marzo 2005, n. 107; Corte cost., sent. 24 marzo 2006, n. 118), poiche' «il ricorso a finanziamenti ad hoc rischierebbe di divenire uno strumento indiretto, ma pervasivo, di ingerenza dello Stato nell'esercizio delle funzioni delle regioni e degli enti locali, e di sovrapposizione di politiche e di indirizzi governati centralmente a quelli legittimamente decisi dalle regioni negli ambiti materiali di propria competenza» (cosi' Corte cost., sent. 16 gennaio 2004, n. 16). E cio' vale anche se il finanziamento riguarda non il Veneto come beneficiario, ma come «coobbligato solidale» sul piano passivo. Nel contesto dell'art. 119 Cost., infatti, sono previste solamente due tipologie di fondi: (i) un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacita' fiscale per abitante (art. 119, terzo comma, Cost.), che, insieme ad entrate e tributi propri e compartecipazione al gettito di tributi erariali riferibile al proprio territorio (art. 119, secondo comma, Cost.), serve a finanziare integralmente le funzioni pubbliche attribuite a regioni ed enti locali (art. 119, quarto comma, Cost.) e (ii) «risorse aggiuntive» ed «interventi speciali» in favore di determinate regioni, province, citta' metropolitane e comuni, al fine di «promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarieta' sociale, (...) rimuovere gli squilibri economici e sociali, (...) favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, (...) provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni» (art. 119, quinto comma, Cost.). In ordine a questi ultimi, codesto ecc.mo Giudice delle leggi ha precisato che essi «non solo debbono essere aggiuntivi rispetto al finanziamento integrale (...) delle funzioni spettanti ai comuni o agli altri enti, e riferirsi alle finalita' di perequazione e di garanzia enunciate nella norma costituzionale, o comunque a scopi diversi dal normale esercizio delle funzioni, ma debbono essere indirizzati a determinati comuni o categorie di comuni (o province, citta' metropolitane, regioni)» e che «l'esigenza di rispettare il riparto costituzionale delle competenze legislative fra Stato e regioni comporta altresi' che, quando tali finanziamenti riguardino ambiti di competenza delle regioni, queste siano chiamate ad esercitare compiti di programmazione e di riparto dei fondi all'interno del proprio territorio» (cosi' Corte cost., sent. 16 gennaio 2004, n. 16; Corte cost., sent. 8 giugno 2005, n. 222). Codesto ecc.mo Collegio ha riconosciuto, inoltre, che lo Stato puo' istituire e disciplinare fondi a destinazione vincolata nelle materie di sua competenza legislativa esclusiva (in questo senso, Corte cost., sent., 16 gennaio 2004, n. 16; Corte cost., sent., 29 gennaio 2004, n. 49). Si potrebbe sostenere, allora, in senso contrario a quanto qui affermato, che la norma di cui si discute si inquadri nella potesta' legislativa esclusiva dello Stato in materia di «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» (art. 117, secondo comma, lett. m), Cost.). Tuttavia, la giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte - come si e' visto - ha ritenuto che i conflitti che sorgano in materia di interventi di ripiano dei disavanzi di gestione del S.S.N. vadano valutati «nel quadro della competenza legislativa regionale concorrente in materia di salute (...) e specialmente nell'ambito di quegli obiettivi di finanza pubblica e di contenimento della spesa, al cui rispetto sono tenute regioni e province autonome» (cfr. Corte cost., sent., 21 marzo 2007, n. 98; Corte cost., sent., 27 gennaio 2005, n. 36). Alla luce di quanto esposto, si chiede, pertanto, che codesto ecc.mo Collegio voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale del d.l. 20 marzo 2007, n. 23 per contrasto con l'art. 119 Cost. 8.3. - Ma, stando alle deduzioni svolte nella prima parte del ricorso, nella quale sono state delineate alcune premesse essenziali circa il costo dei diritti, la loro copertura, l'incidenza della solidarieta' e dell'eguaglianza (di cui c'e' una indiscutibile eco nell'art. 117, secondo comma, lett. m), Cost.), con specifico riferimento a quel particolare diritto di prestazione che e' il diritto di salute, ne deriva, davvero de plano, l'illegittimita' dell'atto normativo impugnato, il quale risulta, non solo dal punto di vista della competenza a porre una disciplina (come si e' detto sub 8.1 e 8.2), ma pure sotto il profilo sostanziale (vale a dire della tutela accordata a ciascuno dall'art. 32 Cost.) contrario a sistema. E lo e', appunto, la' dove pregiudica, disconoscendo il principio di responsabilita' finanziaria, qualita' e quantita' delle prestazioni rese dalla Regione Veneto attraverso proprie ASL e ULSS, le quali hanno, in sede di attuazione della pregressa normativa, ottemperato alla legge non dilatando oltre il lecito le proprie azioni concrete, mentre ora sono chiamate a concorrere, a motivo della natura delle risorse che lo Stato destinera' al ripiano dei deficit ottenute attraverso la fiscalita' generale, alla sopportazione degli oneri generali di una spesa inefficiente ed eccessiva. Cio', oltretutto, contraddicendo la legislazione dello Stato che pone a carico delle regione che ha «sforato» l'obbligo di «rientrare» all'interno dei parametri che sono misura della ragionevolezza dell'operato astratto e concreto dei vari livelli di governo. Dunque, la discriminazione irragionevole genera disuguaglianza (in violazione dell'art. 3 Cost.) e quest'ultima mortifica il buon andamento del S.S.N. (art. 97 Cost.), incidendo sui diritto alla salute (art. 32 Cost.) di chi risiede nel Veneto. Anche perche' l'elargizione prescinde da qualunque forma di controllo. Pertanto, si chiede che codesto ecc.mo Collegio voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale del d.l. 20 marzo 2007, n. 23, per contrasto con gli artt. 3, 32 e 97 Cost. 1) Presa a termine di paragone dall'articolista. 2) La Corte costituzionale, con sentenza 28 luglio 1993, n. 355, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale del comma 1 del suddetto articolo 13, nella parte in cui, nello stabilire l'esonero immediato e totale dello Stato da interventi finanziari volti a far fronte a disavanzi di gestione delle unita' sanitarie locali e delle aziende ospedaliere, non prevede un'adeguata disciplina diretta a rendere graduale il passaggio e la messa a regime del sistema di finanziamento previsto dallo stesso decreto legislativo n. 502 del 1992 in esame. 3) Quest'espressione si ritrova, tra le altre, in Corte cost., sent., 28 luglio 1993, n. 355. 4) Come ha rilevato anche codesta Corte nella sent. 7 novembre 2003, n. 334. 5) Tutte queste condizioni di accesso al riparto - sembra opportuno rilevare in questa sede - sono state ritenute da codesto ecc.mo giudice conformi a Costituzione, avendo il medesimo fatto perno sul rilevante ruolo svolto, nel sistema vigente e pur nella perdurante inattuazione dell'art. 119 Cost., proprio dalle regioni nella gestione e nel finanziamento dei Servizio sanitario nazionale, che non permetterebbe piu' di «attribuire esclusivamente allo Stato la causa dei deficit dei servizio sanitario» (cosi', recentemente, in Corte cost., 21 marzo 2007, n. 98). 6) Poiche', con riguardo ai livelli essenziali delle prestazioni, non si puo' parlare di «materia» ma di «competenza del legislatore statale idonea ad investire tutte le materie, rispetto alle quali il legislatore deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull'intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite» (cosi' Corte cost., sent., 26 giugno 2002, n. 282), la previsione di cui all'art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. puo' tradursi in un pericoloso limite alla potesta' legislativa regionale. Per questo e' piu' che mai opportuno che la fissazione di tali livelli sia adottata mediante procedure nelle quali le regioni vengano coinvolte. Sul punto, Corte cost., sent., 27 marzo 2003, n. 88. 7) In tal senso Corte cost., sent., 8 maggio 2007, n. 162. Ma gia' prima, Corte cost., sent., 2006, n. 134; Corte cost., sent., 7 luglio 2005, n. 270 e Corte cost., sent., 26 maggio 2002, n. 282. 8) Gia' nella sentenza di codesta ecc.ma Corte, 28 luglio 1993, n. 355, ad esempio, proprio con riguardo alla materia sanitaria, si trova affermato quanto segue: «Questi principi - e, in particolare, quello concernente il parallelismo fra responsabilita' di disciplina e di controllo e responsabilita' finanziaria - non sono, certo, contrari a Costituzione, ma, se mai, interpretano lo spirito del requisito di efficienza, e quindi dell'equilibrio finanziario, valevole, a norma dell'art. 97 della Costituzione, anche per il sistema pubblico di assistenza sanitaria nel suo complesso». Cfr., anche, Corte cost., sent., 18 giugno 1991, n. 283; Corte cost., sent., 28 luglio 1995, n. 416 e Corte cost., sent., 5 novembre 1984, n. 245. 9) Sul punto si rinvia a Corte cost., sent. 7 novembre 1995, n. 482 del 1995 e a Corte cost., sent. 16 marzo 2001, n. 65.
P. Q. M. Voglia l'ecc.ma Corte costituzionale dichiarare l'illegittimita' costituzionale del d.l. 20 marzo 2007, n. 23, recante «Disposizioni urgenti per il ripiano selettivo dei disavanzi pregressi nel settore sanitario», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 66 del 20 marzo 2007, per violazione degli artt. 3, 32, 97, 117, 119 Cost., nonche' del principio di leale collaborazione, di cui agli artt. 5 e 120 Cost. e 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. Padova-Roma, addi' 15 maggio 2007 Avv. Prof. Mario Bertolissi - Avv. Ezio Zanon - Avv. Luigi Manzi 07C0721