N. 491 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 gennaio 2007

Ordinanza  emessa  il  30  gennaio  2007 dal tribunale amministrativo
regionale  della  Sicilia  - Sezione staccata di Catania, sul ricorso
proposto  da  comune  di  Acquedolci  contro Commissario delegato per
l'emergenza rifiuti e tutela delle acque ed altri.

Giustizia  amministrativa  -  Tribunali  amministrativi  regionali  -
  Controversie  relative  alla  legittimita'  delle  ordinanze  e dei
  conseguenziali  provvedimenti  commissariali  adottati  in tutte le
  situazioni  di  emergenza dichiarate ai sensi dell'art. 5, comma 1,
  della   legge   24 febbraio  1992,  n. 225  -  Competenza,  in  via
  esclusiva,  in  primo grado, attribuita al Tribunale amministrativo
  regionale  del  Lazio  -  sede  di  Roma  - Irragionevole deroga al
  principio  della  competenza del Tribunale amministrativo regionale
  della  Regione  in  cui  il  provvedimento  e'  destinato  ad avere
  incidenza  -  Violazione  del diritto di difesa e del principio del
  giudice  naturale  -  Violazione  del  principio  del decentramento
  territoriale  della giurisdizione amministrativa - Violazione della
  norma   statutaria  che  attribuisce  al  Tribunale  amministrativo
  regionale Sicilia le controversie di interesse regionale.
- Decreto-legge  30 novembre 2005, n. 245, art. 3, commi 2-bis, 2-ter
  e 2-quater, introdotti dalla legge 27 gennaio 2006, n. 21.
- Costituzione,   artt. 3,  24,  25  e  125;  Statuto  della  Regione
  Siciliana, art. 23.
(GU n.26 del 4-7-2007 )
                IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha pronunciato la seguente ordinanza ai sensi dell'art. 23, comma
2;  legge n. 87/1953; sul ricorso n. 1529/05 R.G., proposto Comune di
Acquedolci  rappresentato  e  difeso  da  Cintioli  avv.  Fulvio  con
domicilio  eletto  in  Catania, Via della Scogliera 1, presso Toscano
avv. Carmelo;
    Contro  Commissario delegato per emergenza rifiuti e tutela acque
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  dello Stato, con domicilio
eletto in Catania, Via Vecchia Ognina, 149, presso la sua sede; e nei
confronti  di  Sicil  Pover  S.p.a., rappresentata e difesa dall'avv.
Briguglio  Carmelo  ed  Abbamonte  Andrea,  con  domicilio  eletto in
Catania,  piazza  Lanza,  18/A,  studio  Nicolo); comuni di: Catania,
Messina,  Rometta,  Calatabiano,  ciascuno  in  persona  del  proprio
sindaco,   legale  rappresentante  p.t.;  il  Comune  di  Catania  e'
rappresentato  e difeso dall'avv. Paolo Patane', con domicilio eletto
in  via  G.  Oberdan,  presso  gli  uffici dell'Avvocatura dell'Ente;
Provincia  Regionale  di:  Catania e Messina, ciascuna in persona del
proprio presidente, legale rappresentate pro tempore; ATO: Catania 1,
Catania  2,  Catania  3,  Catania 4, Messina 1, Messina 2, Messina 3,
Messina  4, ciascuno in persona del proprio legale rappresentante pro
tempore;  Societa':  D.G.I.  Daneco  Gestione  Impianti S.p.A., Waste
Italia S.p.A., Siemens S.p.A., Techinp Italy S.p.A., DB Group S.p.A.,
ciascuna  in  persona  del proprio legale rappresentante pro tempore;
l'Altecoen  S.p.A.,  in  persona  del  suo  legale rappresentante pro
tempore,  e'  rappresentata  e  difesa  dall'avv. Fulvia  Fazzi,  con
domicilio  eletto  in Catania, via Crociferi 60, presso l'avv. Bianca
Pellegrino;  la  Provincia  regionale  di  Catania e' rappresentata e
difesa   dall'avv.   Francesco   Mineo,  dell'Avvocatura  Provinciale
dell'Ente  e con domicilio eletto presso l'ufficio di quest'ultima in
Catania,  via  Umberto  285;  per  l'annullamento  dell'ordinanza del
Commissario  delegato per l'emergenza rifiuti e tutela delle acque in
Sicilia  del  1° marzo 2005 numero 183, pubblicata nella GURS dell'08
aprile  2005,  con la quale e' stato concesso il giudizio positivo di
compatibilita'  ambientale  sul progetto meglio «di sistema integrato
per  l'utilizzo  della  frazione Lesidua dei rr.ss.uu. al netto della
raccolta differenziata nei comuni della Sicilia, Sistema Paterno' ATO
ME1, ME2, ME3, ME4, CT1, CT2, CT3» nonche' autorizzazioni ex artt. 27
e  28  del  D.lgs. n. 22/1997, nella parte riguardante la stazione di
trasferenza nel territorio di Caronia;
    Vista il ricorso introduttivo del giudizio;
    Visti gli atti e i documenti depositati con il ricorso;
    Vista   la   domanda   di   sospensione   della   esecuzione  del
provvedimento impugnato;
    Visti  gli  atti  di  costituzione in giudizio di: Assess. reg/le
territorio  ed  ambiente - Dipart. urbanistica; Assessorato regionale
lavori  pubblici;  Commissario  delegato  per  l'emergenza  rifiuti e
tutela  acque,  Ministero  dell'ambiente  e  tutela  del  territorio;
Ministero   dell'interno  e  per  il  coordinamento  protez.  civile;
Presidenza  Consiglio  dei  ministri  -  Dipart.  protezione  civile;
Presidenza    della    Regione   Siciliana;   Sicil   Power   S.p.A.;
Soprintendenza,  beni  culturali  ed  ambientali  di Catania, Ufficio
genio   civile  di  Catania,  Altecoen  S.p.A.,  Comune  di  Catania,
Provincia Regionale di Catania.
    Udita  nella  Camera  di  Consiglio del 6 aprile 2006 il relatore
ref. Salvatore Gatto Costantino;
    Uditi gli avvocati come da verbale;
    Vista la documentazione tutta in atti;
    Ritenuto in fatto ed in diritto quanto segue:

                              In fatto

    Espone  il  comune  ricorrente  di essere venuta a conoscenza del
procedimento  avviato  dal  Commissario delegato per la realizzazione
dell'impianto  di  trasferenza  dei  rifiuti  solidi  urbani  in c.da
Badetta  del  comune di Baronia, e, pertanto, inoltrava alla predetta
Autorita' apposita istanza di ammissione al procedimento, istanza che
rimaneva insoddisfatta.
    Cio'  posto,  nella  GURS  dell'8  aprile  2005 veniva pubblicata
l'ordinanza  n. 183  del  1°  marzo 2005, con la quale il Commissario
delegato ha espresso il proprio parere favorevole al progetto.
    Avverso  quest'ultimo  atto  e  la  relativa procedura, ha quindi
proposto  il Comune di Acquedolci l'odierno ricorso, sollevando varie
censure meglio articolate in atti.
    Si  sono  costituiti  in  giudizio  l'Avvocatura  di  Stato  e la
societa'  ricorrente,  difendendo  la  legittimita' del provvedimento
impugnato e chiedendo il rigetto del ricorso avversario.
    Alla camera di consiglio del 21 giugno 2005 e' stata disposta dal
collegio  la integrazione del contraddittorio, eseguita nei termini e
con  le modalita' ivi prescritte (ricorso notificato il 3 agosto 2005
e  depositato  con  le  prove  dell'avvenuta  notifica il 9 settembre
successivo.
    Il   26   settembre   2005   ha  depositato  propria  memoria  di
costituzione  la  societa'  «Altecoen S.p.A.» che resiste al ricorso,
chiedendone il rigetto.
    Il  7  ottobre 2005 si e' costituito, ad adiuvandum, il Comune di
Catania   che,   aderendo   alle   difese  della  ricorrente,  chiede
l'annullamento degli atti impugnati.
    Alla Camera di consiglio dell'11 ottobre 2005 e' stata depositata
la costituzione della Provincia Regionale di Catania, a mezzo procura
in calce al ricorso notificato.
    Alla  Camera  di consiglio del 6 aprile 2006, il ricorso e' stato
chiamato  per  la  trattazione del regolamento di competenza proposto
della controinteressata (con il ricorso notificato il 29 giugno 2005)
con  la quale si eccepisce che la cognizione del gravame proposto con
ricorso  di  cui  sopra  spetta al Tribunale amministrativo regionale
Lazio ed e' stato trattenuto in decisione.

                            D i r i t t o

    Parte ricorrente impugna l'ordinanza commissariale di espressione
di   parere  favorevole  e  di  approvazione  del  progetto  relativo
all'impianto rilasciata a favore della societa' controinteressata.
    I)  Il  ricorso  e'  rivolto  avverso  un  provvedimento adottato
all'esito  di  una  procedura  posta  in  essere dal presidente della
regione  ne  l'esercizio dei poteri a questo conferiti in qualita' di
Commissario  delegato  di protezione civile per l'emergenza rifiuti e
tutela  delle  acque  nella  Regione Sicilia (OPCM 2983 del 31 maggio
1999).  Pertanto,  il  Collegio  deve  affrontare,  necessariamente e
preliminarmente,  la  questione relativa alla competenza inderogabile
recentemente  attribuita  al  Tribunale  amministrativo regionale del
Lazio per la cognizione di vicende quale quella in esame.
    Tale  competenza  sorge per effetto della norma di cui alla legge
n. 21/2006,  pubbl.  nella  Gazzetta  Ufficiale  n. 23 del 28 gennaio
2006, che, all'art. 3, per quel che qui rileva dispone: ... (omissis)
...  «2-bis.  In tutte le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi
dell'articolo  5,  comma  1,  della legge 24 febbraio 1992, n 225, la
competenza  di  primo  grado  a  conoscere  della  legittimita' delle
ordinanze  adottate  e dei consequenziali provvedimenti commissariali
spetta  in via esclusiva, anche per l'emanazione di misure cautelari,
al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con sede in Roma.
    2-ter.  Le  questioni  di  cui  al  comma  2-bis,  sono  rilevate
d'ufficio.  Davanti al giudice amministrativo il giudizio e' definito
con  sentenza succintamente motivata ai sensi dell'articolo 26, della
legge  6 dicembre 1971, n. 1034, e successive modificazioni, trovando
applicazione  i  commi 2 e seguenti dell'articolo 23-bis della stessa
legge.
    2-quater.  Le  norme  di  cui ai commi 2-bis e 2-ter si applicano
anche  ai  processi  in  corso.  L'efficacia  delle  misure cautelari
adottate  da  un tribunale amministrativo diverso da quello di cui al
comma  2-bis  permane  fino  alla loro modifica o revoca da parte del
Tribunale  amministrativo  regionale del Lazio, con sede in Roma, cui
la parte interessata puo' riproporre il ricorso».
      Osserva  il  Collegio  che  la fattispecie in esame e' attratta
nell'applicazione della citata legge n. 21/2006, art. 3, in quanto il
potere  amministrativo  posto  in  essere  da  parte  del Commissario
delegato  rientra nel novero delle situazioni di emergenza dichiarate
ai  sensi  dell'articolo  5,  comma  1, della legge 24 febbraio 1992,
n. 225 e «consequenziali provvedimenti commissariali applicativi».
    Il  collegio,  pertanto,  ritenendola  rilevante  ai  fini  della
decisione da assumere in ordine alla predetta trasmissione degli atti
al  Tribunale  amministrativo  regionale  Lazio  e non manifestamente
infondata,  solleva  questione  di  legittimita'  costituzionale  del
predetto  art. 3,  e  segnatamente del comma 2 nelle sottonumerazioni
bis,  ter,  quater,  come sara' esposto nei seguenti paragrafi e come
gia'  fatto  in  ordine  ad altra fattispecie per la cui decisione e'
venuta  in  rilievo  la  medesima  norma (cfr. T.a.r Sicilia, I, ord.
n. 90 del 7 marzo 2006 proprio in relazione all'esame del regolamento
di   competenza   in   quella  sede  proposto,  quindi  per  un  caso
perfettamente sovrapponibile a quello odierno.
    I)  La  rilevanza  della  questione  ai  fini  della decisione da
assumere e' di tutta evidenza. Il collegio sarebbe tenuto, sulla base
della    normativa   sopravvenuta   -   ove   non   dubitasse   della
incostituzionalita'   di  essa  e  quindi  non  ritenesse  necessario
investire  il  Giudice  delle  leggi  della  relativa  questione  - a
trasmettere  gli  atti al Tribunale amministrativo regionale Lazio, e
cio'   per  espressa  disposizione  della  nuova  disciplina  che  ne
prescrive  l'applicazione ai procedimenti pendenti e quindi anche per
il  procedimento  odierno,  trattenuto in decisione dopo l'entrata in
vigore  della disciplina in esame (la quale e' stata pubblicata sulla
Gazzetta  Ufficifale  del  23 gennaio 2006 ed e' entrata in vigore il
giorno successivo alla sua pubblicazione).
    II)  Circa  la  non manifesta infondatezza e le ragioni che fanno
sospettare  le  norme  in  esame  di  incostituzionalita', osserva il
collegio  che  la  normativa introdotta dal legislatore con l'art. 3,
corna   2,  da  bis  a  quater,  della  legge  n. 21/2006,  contrasta
innanzitutto con l'art. 125 della Costituzione, e segnatamente con il
principio  della articolazione su base regionale degli organi statali
di  giustizia  amministrativa  di  primo  grado  ivi espressa («Nella
regione  sono  istituiti  organi di giustizia amministrativa di primo
grado,  secondo  l'ordinamento  stabilito da legge della Repubblica»)
che  implica  il  rilievo e la garanzia costituzionale della sfera di
competenza dei singoli organi predetti.
    Non  appaiono,  all'evidenza,  manifeste  o  comunque sufficienti
ragioni logiche o di coerenza istituzionale per derogare a tale sfera
di  competenze  costituzionalmente  garantita  nella  materia  di cui
trattasi  quando,  come  nel  caso in esame, le singole situazioni di
emergenza   hanno   rilievo   spiccatamente  locale  con  conseguente
efficacia  locale  dei  relativi  provvedimenti adottati dai soggetti
delegati  alla  cura  delle  varie  situazioni emergenziali, anche se
(arg.  ex art. 2, comma 1, lett. «c» della legge n. 225/2, richiamato
dall'art. 5,  comma 1, legge cit.) essi sono adottati per fare fronte
a  situazioni  che  «per  intensita'  ed  estensione  debbono  essere
fronteggiate con mezzi e poteri straordinari».
    III)   Anzi,   sotto   questo   aspetto,   la  norma  e'  altresi
contraddittoria  ed  irrazionale  in  quanto  sottopone  al  medesimo
trattamento  processuale  situazioni,  disparate  e differenti tra di
loro.
    In  questo quadro, l'art. 5 comma 1 della legge 24 febbraio 1992,
n. 225, richiama, ai fini della applicazione dell'intera disposizione
normativa,  i  casi  in cui (ex art. 2 comma 1, lett. «c» della legge
n. 225/1992)   sia   necessario   fare  fronte  con  mezzi  e  poteri
straordinari  alle  calamita' naturali, catastrofi o gli altri eventi
che  richiedano  tale  intervento  per  intensita'  ed estensione. La
previsione  di  cui  alla  legge  n. 21/2006 radica la competenza del
Tribunale  amministrativo  regionale Lazio in tutti i casi in cui sia
dichiarato  lo  stato  di  emergenza ai sensi del comma 1 dell'art. 5
appena  citato  e  quindi  con  esclusione  dei casi di intervento di
protezione  civile  per  gli  eventi  che  possano  essere affrontati
mediante  interventi  attuabili  dai  singoli  enti e amministrazioni
competenti  in  via  ordinaria  (art. 2,  lett.  a»)  e di quelli che
richiedano  intervento  coordinato  di  questi  ultimi (art. 2, lett.
«b»).
    Quindi,  il sistema della protezione civile e' articolato in vari
livelli  di  intervento,  contraddistinti dal corrispondente grado di
ampiezza  della  situazione  emergenziale. Sicche' per ogni tipologia
territoriale   e  «qualitativa»  della  situazione  di  emergenza  e'
chiamato ad intervenire in merito il «livello» di governo piu' vicino
alla  concreta  dimensione  delle  comunita'  colpite  e della natura
dell'emergenza,  secondo un chiaro criterio di sussidiarieta' e senza
escludere - funzionalmente e residualmente - che determinate funzioni
siano   «trasversali»   ossia   comprendano  le  competenze  di  piu'
amministrazioni o livelli di governo.
    A  fronte  di  questa  multiformita'  possibile di manifestazioni
concrete   dell'esercizio   del   potere,   la   regola  generale  di
ripartizione  delle  competenze  delineata  dagli artt. 2 e ss. della
legge Tribunale amministrativo regionale appresta una tutela coerente
con  l'art. 125 della Costituzione: derogando ad essa, l'art. 3 della
legge  n. 21/2006, contraddittoriamente ed immotivatamente assegna ex
lege   rilevanza   nazionale   a   qualsiasi   controversia   insorga
nell'esercizio  del  potere  di  protezione civile, facendo leva solo
sulla  necessita'  che  esso presupponga l'intervento extra ordinem e
quindi  a dispetto dell'articolazione del potere previsto dalla legge
n. 225/1992,  posto  che assegna la competenza funzionale a conoscere
delle  relative questioni al Tribunale amministrativo regionale Lazio
(e  quindi  spinge  l'interprete  a dover ritenere che il legislatore
abbia  cristallizzato  una  valutazione  di  rilevanza  nazionale  di
qualsiasi   questione,   inerente   la  protezione  civile,  richieda
interventi extra ordinem).
    Il  problema  acquista  uno  spessore  considerevole  se  solo si
riflette  sul  fatto  che, «ordinariamente» tali provvedimenti «extra
ordinem»  delegano  quali  commissari  per  l'emergenza il presidente
della regione o altri organi locali gia' titolari di poteri propri in
quella  materia; in tal senso, spesso non fanno altro che «istituire»
poteri  e  programmi  di  emergenza  affidandoli quindi (per nomina o
delega),  a  quegli  stessi organismi regionali o comunque locali che
con  i  poteri  ordinari  loro  conferiti  dall'Ordinamento non hanno
saputo fare fronte alle cause che hanno determinato l'emergenza (come
il   caso   dell'emergenza   rifiuti   o   dell'emergenza  idrica,  o
dell'emergenza  traffico).  Pertanto,  l'effetto  di  tale  prassi e'
essenzialmente   quello  di  rendere  i  provvedimenti  degli  organi
regionali «rafforzati» sotto il profilo della capacita' di derogare a
norme   dell'Ordinamento;   a   tale   gia'  rilevante  «alterazione»
dell'Ordinamento  medesimo, si aggiunge quindi una ulteriore «tutela»
giurisdizionale,  sottraendo  la  cognizione  della lite ai Tribunale
amministrativo  regionale  regionali  su  provvedimenti  che  sono  e
restano  a  tutti gli effetti locali per provenienza soggettiva oltre
che  per  effetti, per affidarla ad un unico giudice nazionale con il
quale essi non hanno alcun collegamento «naturale».
    Appare  utile  rilevare,  in  questa sede, come la giurisprudenza
della Corte costituzionale abbia espressamente riconosciuto che:
        con  l'articolo  5 della legge n. 225 del 1992, e' attribuito
al  Consiglio  dei  ministri  il  potere  di  dichiarare  lo stato di
emergenza  in  ipotesi  di  calamita'  naturali,  ed  a seguito della
dichiarazione  di  emergenza,  e  per  fare fronte ad essa, lo stesso
Presidente  del  Consiglio dei ministri o, su sua delega, il Ministro
dell'interno   possano   adottare   ordinanze   in   deroga  ad  ogni
disposizione    vigente,   nel   rispetto   dei   principi   generali
dell'ordinamento giuridico;
        l'art. 107, comma 1, lettere b) e c), del decreto legislativo
31   marzo   1998,   n. 112   (Conferimento  di  funzioni  e  compiti
amministrativi  dello  Stato  alle  regioni  ed  agli enti locali, in
attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), a sua volta,
chiarisce  che  tali funzioni hanno rilievo nazionale, escludendo che
il   riconoscimento   di   poteri  straordinari  e  derogatori  della
legislazione vigente possa avvenire da parte di una legge regionale.
        queste  ultime  due  previsioni,  inoltre,  sono  gia'  state
ritenute  dalla  Corte costituzionale (sentenza n. 327 del 2003) come
espressive   di   un   principio  fondamentale  della  materia  della
protezione  civile,  sicche'  deve  ritenersi  che esse delimitino il
potere normativo regionale, anche sotto il nuovo regime di competenze
legislative  delineato  dalla  legge  costituzionale 18 ottobre 2001,
n. 3 (Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione).
    Alla  luce  di  quanto  sopra  ricordato,  la Corte ha dichiarato
illegittimo l'articolo 4, comma 4, della legge della Regione Campania
n. 8  del  2004, nella misura in cui essa ha attribuito al Sindaco di
Napoli  i  poteri  commissariali  dell'ordinanza n. 3142 del 2001 del
Ministro  dell'interno,  dopo  la  scadenza  della emergenza alla cui
soluzione  tale ordinanza era preordinata, in quanto in contrasto con
l'art. 117, terzo comma, della Costituzione (Corte cost. n. 82/2005).
    Tale   ragionamento   comporta   che,  in  relazione  alla  legge
n. 225/1992   ed   all'art. 107,  comma  1,  lettere  b  e  c  d.lgs.
n. 112/1998,  possiedono  rilievo  nazionale «solamente» il potere di
dichiarare lo stato di emergenza e quello, distinto dal primo seppure
ad    esso   finalisticamente   connesso,   di   derogare   a   norme
dell'ordinamento.
    Ne  consegue  dunque che, sotto questo profilo, la norma in esame
e'  irragionevole  per contraddittorieta' e disparita' di trattamento
processuale,  poiche'  utilizza  lo stesso trattamento per situazioni
del  tutto  differenti  quanto  ad  ambito  territoriale  e livello e
qualita'  degli  interessi  pubblici coinvolti, nonche' per contrasto
con  l'art. 117  della  Costituzione, poiche' implicitamente, finisce
per  attribuire rilievo nazionale anche alle questioni riservate alla
competenza regionale.
    IV)  Ancora, l'aggravio della tutela giurisdizionale, soprattutto
ove,  come  nella  specie, esso non sia giustificato da una effettiva
natura accentrata (o dall'efficacia estesa a tutto il territorio) dei
provvedimenti  sui quali deve esercitarsi la cognizione del Tribunale
amministrativo   regionale   Lazio,   comporta   indubbia  violazione
dell'art. 24 della Costituzione, in particolare della possibilita' di
tutela  dei  propri  diritti  ed  interessi enunciata al primo comma;
detta   tutela   ne   risulta  minorata,  per  la  evidente  maggiore
difficolta'  di  esercitare  le  relative  azioni presso il Tribunale
amministrativo  regionale  del  Lazio piuttosto che presso gli organi
giurisdizionali  localmente  istituiti.  Cio'  vale  sia  per la fase
transitoria  in  cui  i  giudizi  pendenti  trasmigrano  al Tribunale
amministrativo   regionale   del  Lazio,  sia  per  le  future  nuove
controversie  che  secondo  la  nuova  normativa dovrebbero essere ab
initio instaurate presso detto Tribunale amministrativo regionale
    La  Corte  ha  ritenuto,  in  un caso in cui il legislatore aveva
disposto  l'estinzione  ope legis di giudizi pendenti (art. 10, comma
primo,   legge  n. 425/1984  che  siffatta  disposizione,  in  quanto
«preclude   al   giudice  la  decisione  di  merito  imponendogli  di
dichiarare  d'ufficio l'estinzione dei giudizi pendenti, in qualsiasi
stato  e  grado si trovino alla data di entrata in vigore della legge
sopravvenuta»,  percio'  stesso  «viola  il valore costituzionale del
diritto  di  agire,  in quanto implicante il diritto del cittadino ad
ottenere  una  decisione di merito senza onerose reiterazioni» (Corte
costituzionale, sentenza n. 123 del 1987).
    Sebbene  la  fattispecie  in  esame sia diversa da quella oggetto
della citata pronuncia, il principio tuttavia, ad avviso di collegio,
e'  nello stesso modo applicabile. Accade infatti, nel caso presente,
che  chi  abbia  gia'  un  giudizio  pendente  davanti  al  Tribunale
amministrativo  regionale  locale,  ed addirittura abbia ottenuto una
decisione   cautelare,   debba   proseguire   altrove  nella  propria
iniziativa giudiziaria, addirittura (se ne parlera' piu' diffusamente
inifra)   rimanendo   esposto  ad  una  seconda  pronuncia  cautelare
sollecitata  dalla  parte  soccombente davanti al giudice adito prima
dell'entrata in vigore della legge in questione.
    V)  Altro  profilo  di incostituzionalita' va ravvisato, inoltre,
nella violazione del principio del giudice naturale precostituito per
legge, di cui all'art. 25 della Costituzione. La norma costituzionale
ora  citata, stabilendo che «nessuno puo' essere distolto dal giudice
naturale  precostituito  per  legge»,  esclude,  come la stessa Corte
costituzionale  afferma, «che vi possa. essere una designazione tanto
da  parte del legislatore con norme singolari, che deroghino a regole
generali,  quanto  da  altri  soggetti,  dopo che la controversia sia
insorta (sentenze n. 419 del 1998; n. 460 del 1994 e n. 56 del 1967»;
il principio e' in tali termini, e con tali citazioni dei precedenti,
richiamato nella sentenza della Corte n. 393 del 2002).
    Come   la  Corte  ha  insegnato,  perche'  tale  principio  possa
considerarsi  rispettato occorre che «... la regola di competenza sia
prefissata   rispetto  all'insorgere  della  controversia»  (sentenza
n. 193  del 2003); e basta scorrere le numerose decisioni della Corte
costituzionale  in  materia  di  principio  del  giudice naturale per
rilevare che e' proprio la preesistenza della regola che individua la
competenza  rispetto  al giudizio il criterio fondamentale in base al
quale sono state valutate le questioni sollevate.
    Tale  profilo di incostituzionalita' si apprezza particolarmente,
ad  avviso  del  collegio,  nella parte della disciplina in questione
(comma  2-quater), che non solo ne dispone l'applicazione ai processi
pendenti,  ma  addirittura  consente  una  riforma «dei provvedimenti
assunti, in sede cautelare, in tali giudizi pendenti, e cio' ad opera
di  un  organo  giurisdizionale  pariordinato a quelli di provenienza
(trattasi   di   giudici   tutti   di   primo   grado,  il  Tribunale
amministrativo  regionale  del  Lazio non essendo un «super-Tribunale
amministrativo regionale»).
    Cosi'  facendo, in sostanza, il legislatore ha introdotto rimedio
inedito,  che non e' di secondo grado e che finisce per costituire un
doppione  del  gia'  espletato  giudizio  (cautelare) di primo grado,
senza  alcuna  possibilita'  di  inquadramento  tra  i  rimedi noti e
tipizzati  (appello, revocazione, reclamo). Pertanto, anche l'art. 25
della   Carta   costituzionale   risulta  vulnerato  dalla  normativa
denunciata  dal  collegio;  e  se  ne  trae  conferma  da una recente
decisione  della  Corte  costituzionale,  che, sebbene in relazione a
disciplina   totalmente  diversa,  ha  avuto  modo  di  affermare  un
principio generale, che e' quello della appartenenza della competenza
territoriale  alla  nozione  del  giudice  naturale precostituito per
legge.  Precisamente,  la  sentenza  n. 41  del  2006  afferma, anzi,
ribadisce  (come  testualmente  essa  si  esprime,  citando  sentenze
precedenti  in  termini),  che  (alla  nozione  del  giudice naturale
precostituito  per  legge  non  e'  affatto estranea «la ripartizione
della  competenza  territoriale tra giudici, dettata da normativa nel
tempo  anteriore alla istituzione del giudizio» (sentenze n. del 1986
e n. 410 del 2005)).
    - Per altro, atteso che il principio del doppio grado di giudizio
nella  giustizia amministrativa, sia in sede cautelare sia in sede di
merito,  riceve  garanzia  costituzionale  dall'art. 125  della Carta
(cfr.  Corte  cost., sentenza n. 8 del 1982 si configura un ulteriore
profilo  di  violazione  di  detta  norma.  Viene  infatti  ad essere
introdotto, per le controversie pendenti, un anomalo percorso (su cui
gia'   il   collegio  ha  poco  prima  espresso  i  propri  dubbi  di
incostituzionalita'  che  stravolge  l'ordinario iter giudiziario. La
regola  e'  che  ad  un  giudizio  di primo grado segua, ove la parte
soccombente  appelli, un giudizio di secondo grado, sia che si tratti
di  giudizio  cautelare,  sia  che  si  tratti di giudizio di merito;
giammai  e'  prevista  una  doppia  pronuncia sulla stessa materia da
parte  di due diversi giudici di primo grado, uno dei quali abilitato
a  riformare  la  decisione  del primo giudice. Orbene, ad avviso del
collegio,   siffatta   disciplina  integra  altresi'  violazione  del
principio  del  «giusto  processo», di cui all'art. 111, comma primo,
della  medesima  Carta («La giurisdizione si attua mediante il giusto
processo regolato dalla legge»).
    Sempre  con  riferimento  ai processi pendenti, intatti, la parte
soccombente  nel giudizio cautelare verrebbe ad essere fornita di uno
strumento  giurisdizionale  anomalo  e atipico a tutela della propria
(legittima,   ma   da   esercitare   in  modi  conformi  ai  principi
costituzionali)  aspirazione  ad ottenere una pronuncia favorevole in
secondo  grado  (che deve tuttavia essere un vero giudizio di secondo
grado,  e  non,  si  ribadisce,  un inedito duplicato del giudizio di
primo grado).
    Cio' comporterebbe altresi' una evidente violazione del principio
del  ne  bis  in idem, che, se pure non espressamente contempla dalla
Carta costituzionale, deve ritenersi corollario del medesimo generale
principio del «giusto processo» teste' richiamato.
    VI)  Da  ultimo,  si  rileva un aspetto diverso che si riconnette
ancora  al tema del giudice naturale, e che deriva in via immediata e
diretta  dall'analisi  appena  esposta.  La  norma in esame, infatti,
viola   l'art. 23   dello   Statuto   della   Regione  Sicilia  legge
costituzionale  n. 2  del  26  febbraio  1948 a norma del quale: «Gli
organi  giurisdizionali  centrali  avranno  in  Sicilia le rispettive
sezioni  per  gli  affari  concernenti  la  regione.  Le  sezioni del
Consiglio  di  Stato  e della Corte dei conti svolgeranno altresi' le
funzioni, rispettivamente, consultive e di controllo amministrativo e
contabile.  I  magistrati  della  Corte  dei  conti sono nominati, di
accordo,   dai  Governi  dello  Stato  e  della  Regione.  I  ricorsi
amministrativi,   avanzati   in   linea   straordinaria  contro  atti
amministrativi regionali, saranno decisi dal Presidente della Regione
sentite  le  Sezioni regionali del Consiglio di Stato». Tale norma e'
stata  «interpretata»  dall'art. 5  del  d.lgs. 6 maggio 1948, n. 654
contenente   norme   per  l'esercizio  delle  funzioni  spettanti  al
Consiglio  di  Stato  nella  Regione  Sicilia,  il  quale prevede che
Consiglio  di Giustizia esercita le attribuzioni devolute dalla legge
al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale nei confronti di atti e
provvedimenti definitivi dell'amministrazione regionale e delle altre
autorita' amministrative aventi sede nel territorio della regione».
    Osserva  il  Collegio che gia' con «la sentenza della Corte cost.
in   data   12   marzo   1975,  n. 61,  dichiarando  l'illegittimita'
costituzionale  delle limitazioni poste dall'art. 40 legge 6 dicembre
1971,  n. 134  alla competenza del Tribunale amministrativo regionale
Sicilia,  e'  stato ritenuto che siano state a quest'ultimo conferite
tutte   le   controversie   d'interesse  regionale  considerate  tali
dall'art. 23, comma 1, d.l. 15 maggio 1946, n. 455, comprendendosi in
tale   categoria  le  controversie  sorte  da  impugnazione  di  atti
amministrativi  di  autorita'  centrali  aventi  effetti  limitati al
territorio   regionale  ovvero  concernenti  pubblici  dipendenti  in
servizio  nelIa  regione  siciliana»  (Consiglio  Stato,  sez. VI, 26
luglio 1979, n. 595).
    Quindi  la  legge  n. 21/2006,  in  esame,  e' costituzionalmente
illegittima  anche nella sua parte in cui, in violazione dell'art. 23
dello  Statuto  regionale,  sia nella sua formulazione letterale, che
nella   interpretazione   pacifica   che   di  esso  ha  maturato  la
giurisprudenza,   anche   costituzionale,  riserva  al  Consiglio  di
giustizia   amministrativa   ed   in   primo   grado   al   Tribunale
amministrativo  regionale Sicilia, la competenza a conoscere circa le
controversie   sorte   da  impugnazione  di  atti  amministrativi  di
autorita' centrali aventi effetti limitati al territorio regionale.
    Se  le  controversie quali quella in esame fossero sottratte alla
competenza  del  Tribunale amministrativo regionale Sicilia, in primo
grado  e,  affidate  alla  cognizione  dal  Tribunale  amministrativo
regionale  Lazio, fossero decise da quest'ultimo si radicherebbe, per
tale  motivo,  la  cognizione  sulla lite in appello del Consiglio di
Stato  e  non della sua Sezione costituita dal Consiglio di giustizia
amministrativa  per  la Regione Sicilia, avente competenza funzionale
sulle  liti  rientranti  nella previsione statutaria siciliana appena
citata.  Per  mero  scrupolo  espositivo,  si  deve  rilevare  che in
proposito  non  potrebbe  obiettarsi  che  la  norma «sposta» solo la
cognizione  della  lite  nel  primo  grado di giudizio, facendo salva
quella  d'appello:  se  cosi' fosse, per la Regione Sicilia, la norma
dovrebbe   essere   ulteriormente   tacciata  di  irragionevolezza  e
contraddittorieta'  perche'  la  medesima  questione, decisa in primo
grado   al   Tribunale   amministrativo   regionale   Lazio,   quindi
«concentrata»  in capo all'«unico giudice» per la sua (cristallizzata
dal legislatore) rilevanza nazionale, tornerebbe ad essere poi decisa
in  appello  da  una  articolazione  regionale del giudice di secondo
grado,  senza  quindi  che  abbia  piu'  valenza  alcuna  la ritenuta
«centralita»   della   vicenda,   con   evidenti  ed  incomprensibili
«trasmigrazioni»  giudiziarie «vettoriali» della lite dalla Sicilia a
Roma (per il primo grado) e da Roma a Palermo (per il secondo grado).
Intuitivamente,  dunque,  questa  ipotetica  obiezione presterebbe il
fianco ad ulteriori argomenti di censura anche sotto il profilo della
effettivita' della tutela del diritto alla difesa gia' trattato prima
(nel  senso  di  obbligo  di  non  aggravamento) e, quindi, anche del
giusto  processo ex art. 111 Cost. in termini di tempi decisionali ed
adempimenti del processo.
    VII)  Per  tutte  le  esposte  considerazioni, deve sollevarsi la
questione  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 3, comma 2-bis,
comma  2-ter, comma 2-quater, legge n. 21/2006, per contrasto con gli
artt. 3,  125,  24  e  25  della  Costituzione  e  per  contrasto con
l'art. 23 dello Statuto della Regione Sicilia.
    Deve  pertanto  essere  disposta  la trasmissione degli atti alla
Corte  costituzionale  per  la  decisione della predetta questione di
legittimita  costituzionale, sospendendosi il giudizio instaurato con
il  ricorso  in  epigrafe, fino alla restituzione degli atti da parte
della medesima Corte.
                              P. Q. M.
    Solleva,  ritenutala  rilevante  e  non manifestamente infondata,
questione  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 3, comma 2-bis,
comma  2-ter, comma 2-quater, legge n. 21/2006, per contrasto con gli
artt. 3,  125,  24  e  25  della  Costituzione  e  per  contrasto con
l'art. 23 dello Statuto della Regione Sicilia.
    Dispone,  a  norma  dell'art. 23/2  legge n. 87/1953, l'immediata
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
    Il  giudizio  resta  sospeso sino alla restituzione degli atti da
parte della Corte costituzionale.
    Manda   alla   segreteria  di  notificare  copia  della  presente
ordinanza  alle  parti  in  causa,  al  Presidente  del Consiglio dei
ministri, nonche' ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
        Cosi'  deciso  in  Catania, in Camera di consiglio, in data 6
aprile 2006.
                       Il Presidente: Zingales
L'estensore: Gatto Costantino
07C0866