N. 492 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 gennaio 2007

Ordinanza  emessa  il  30  gennaio  2007 dal tribunale amministrativo
regionale  della  Sicilia  - Sezione staccata di Catania, sul ricorso
proposto  da  Comune  di  Rometta  contro  Commissario  delegato  per
l'emergenza rifiuti e tutela delle acque ed altri.

Giustizia  amministrativa  -  Tribunali  amministrativi  regionali  -
  Controversie  relative  alla  legittimita'  delle  ordinanze  e dei
  conseguenziali  provvedimenti  commissariali  adottati  in tutte le
  situazioni  di  emergenza dichiarate ai sensi dell'art. 5, comma 1,
  della   legge   24 febbraio  1992,  n. 225  -  Competenza,  in  via
  esclusiva,  in  primo grado, attribuita al Tribunale amministrativo
  regionale  del  Lazio  -  sede  di  Roma  - Irragionevole deroga al
  principio  della  competenza del Tribunale amministrativo regionale
  della  Regione  in  cui  il  provvedimento  e'  destinato  ad avere
  incidenza  -  Violazione  del diritto di difesa e del principio del
  giudice  naturale  -  Violazione  del  principio  del decentramento
  territoriale  della giurisdizione amministrativa - Violazione della
  norma   statutaria  che  attribuisce  al  Tribunale  amministrativo
  regionale Sicilia le controversie di interesse regionale.
- Decreto-legge  30 novembre 2005, n. 245, art. 3, commi 2-bis, 2-ter
  e 2-quater, introdotti dalla legge 27 gennaio 2006, n. 21.
- Costituzione,   artt. 3,  24,  25  e  125;  Statuto  della  Regione
  Siciliana, art. 23.
(GU n.26 del 4-7-2007 )
                IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha pronunciato la seguente ordinanza ai sensi dell'art. 23, comma
2,  legge n. 87/1953, sul ricorso n. 1233/05 R.G., proposto da Comune
di  Rometta  (Catania), rappresentato e difeso da avv. Azzaro Alberto
con  domicilio  eletto  in Catania, via V. Giuffrida, 37, presso avv.
Scuderi Andrea;
    Contro commissario delegato per emergenza rifiuti e tutela acque;
Presidenza  Consiglio  dei ministri - Dipartimento protezione civile;
Ministero   dell'interno  e  per  il  coordinamento  protez.  civile;
Presidenza della Regione Siciliana; Assessore regionale territorio ed
ambiente  -  Dipartimento  urbanistica;  Ufficio  del genio civile di
Catania;  Soprintendenza  beni culturali ed ambientali Catania, tutti
rappresentati  e  difesi  dall'Avvocatura  dello Stato, con domicilio
eletto  in  Catania,  via Vecchia Ognina, 149, presso la sua sede; la
Provincia regionale di Catania, non costituita in giudizio; l'Azienda
unita'  sanitaria  locale  n. 5  -  Messina,  in  persona  del legale
rappresentante  pro  tempore;  Organismo  di vigilanza e controllo in
persona  del  suo  legale  rappresentante  pro  tempore; il Comune di
Fiumefreddo  di  Sicilia  (Catania),  in  persona del sindaco, legale
rappresentante  pro tempore; il Comune di Piedimonte Etneo (Catania),
in  persona del legale rappresentante pro tempore; e nei confronti di
Sicil  Power  S.p.a.,  rappresentata  e  difesa  dall'avv.  Briguglio
Carmelo  ed Abbamonte Andrea, con domicilio eletto in Catania, piazza
Lanza,  18/A,  presso  avv. d'Alessandro Nicolo'; comuni di: Catania,
Messina,  Paterno',  Caronia,  Calatabiano,  ciascuno  in persona del
proprio  sindaco,  legale rappresentante pro tempore; ATO: Catania 1,
Catania  2,  Catania  3,  Catania 4, Messina 1, Messina 2, Messina 3,
Messina  4, ciascuno in persona del proprio legale rappresentante pro
tempore;  societa':  D.G.I.  - Daneco Gestione Impianti S.p.a., Waste
Italia S.p.a., Siemens S.p.a., Techinp Italy S.p.a., DB Group S.p.a.,
Altecoen   S.p.a.,   ciascuna   in   persona   del   proprio   legale
rappresentante  pro  tempore  rappresentata e difesa dall'avv. Fulvia
Fazzi,  con  domicilio  eletto  in Catania, via Crociferi, 60, presso
l'avv. Bianca Pellegrino; di questi, il Comune di Catania, in persona
del  sindaco  legale  rappresentante  pro tempore, e' rappresentato e
difeso   dall'avv.   Paolo  Patane'  dell'Avvocatura  dell'ente,  con
domicilio  eletto  presso  la sede di quest'ultima in Catania, via G.
Oberdan,  141;  per  l'annullamento  dell'ordinanza  del  commissario
delegato  per l'emergenza rifiuti e tutela delle acque in Sicilia del
1°  marzo  2005  n. 183,  comunicata al comune il 9 marzo 2005, nella
parte  in  cui e' stato approvato il progetto proposto dalla societa'
concessionaria  per  la  realizzazione di una stazione di trasferenza
nel  Comune di Calatabiano; del d.P.C.m. 23 dicembre 2004, recante la
proroga  della  dichiarazione  di  stato di emergenza nel settore dei
rifiuti  fino  alla data del 31 dicembre 2005, gia' dichiarato con il
d.P.C.m. del 22 gennaio 1999; dell'ordinanza ministeriale n. 2983 del
31  maggio 1999, recante interventi per fronteggiare la situazione di
emergenza  determinatasi  nel  settore  dello smaltimento dei rifiuti
urbani  nella  Regione  Sicilia,  che ha nominato il Presidente della
Regione  Sicilia  commissario delegato; dell'ordinanza del Presidente
del   Consiglio   dei  ministri  n. 333/4/2004  con  cui  sono  stati
confermati  fino  alla  cessazione  dello stato di emergenza i poteri
gia'  conferiti  al  commissario  delegato  Presidente  della Regione
Siciliana  con  l'ordinanza  ministeriale 31 maggio 1999 n. 2983; del
verbale  della conferenza dei servizi del 29 luglio 2004, tenutasi ex
art. 27 del d.lgs. n. 22/1997;
    Visto il ricorso introduttivo del giudizio;
    Visti gli atti e i documenti depositati con il ricorso;
    Vista   la   domanda   di   sospensione   della   esecuzione  del
provvedimento impugnato;
    Visti   gli  atti  di  costituzione  in  giudizio  di:  Assessore
regionale   territorio   ed   ambiente   -  Dipartimento  urbanistica
assessorato  regionale  lavori  pubblici,  Commissario  delegato  per
emergenza  rifiuti  e  tutela acque, Ministero dell'ambiente e tutela
del   territorio,  Ministero  dell'interno  e  per  il  coordinamento
protezione  civile,  Presidenza Consiglio dei ministri - Dipartimento
protezione  civile,  Presidenza  della Regione Siciliana, Sicil Power
S.p.a.,  Soprintendenza beni culturali ed ambientali Catania, Ufficio
genio  civile  di  Catania,  Altecoen  S.p.a.,  Comune di Catania (ad
adiuvandum);
    Dato  atto  che  l'avv. Ignazio Scuderi, difensore del ricorrente
unitamente e disgiuntamente all'avv. Alberto Azzaro, ha rinunciato al
mandato con nota depositata il 20 giugno 2005 agli atti del giudizio;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 6 aprile 2006 il relatore
ref. Salvatore Gatto Costantino;
    Uditi gli avvocati come da verbale;
    Vista la documentazione tutta in atti;
    Ritenuto in fatto ed in diritto quanto segue:
                              In  fatto
    Espone il comune ricorrente che la societa' Sicilpower ha chiesto
al   commissario   delegato   per   l'emergenza  rifiuti  in  Sicilia
l'approvazione  del  sistema  di  gestione  integrato  proposto,  che
individua  un polo impiantistico nel comune di Paterno' costituito da
un  impianto  di  selezione  e  biostabilizzazione,  un  impianto  di
termovalorizzazione  e  una  discarica  per  rifiuti  non pericolosi,
nonche' diverse stazioni di' trasferenza dei rifiuti, con particolare
riguardo   alla   previsione   di  una  stazione  di  trasferenza  da
realizzarsi  nel confinante territorio del comune di Rometta ai sensi
dell'art. 27 del d.lgs. n. 22/1997.
    Espressasi  sul  progetto la commissione per la V.I.A. col parere
n. 591  del  10  giugno  1994,  in senso favorevole, con richiesta di
integrazioni  documentali  rivolta  al  commissario  per l'emergenza,
quest'ultimo  convocava  la conferenza dei servizi ex art. 27, d.lgs.
n. 22/1997 cit., per il 29 luglio 2004, in seno alla quale, peraltro,
il  sindaco del comune di Calatabiano si esprimeva in senso contrario
all'approvazione del progetto.
    Nel  frattempo,  il  comune  di Rometta aveva espresso il proprio
parere  contrario  al progetto (delibera del consiglio comunale n. 28
del  21  luglio  2004):  quindi,  in  sede di conferenza dei servizi,
reiterava  tale parere, rappresentando anche la contrarieta' espressa
da  proprietari  dei  terreni  e  delle abitazioni limitrofe all'area
interessata, nonche' da parte di varie associazioni cittadine.
    Il  commissario  delegato, nonostante l'opposizione del comune di
Rometta, reiterata anche successivamente alla conferenza dei servizi,
con  l'ordinanza  n. 532  del  2  marzo  2005, ha espresso il proprio
parere favorevole al progetto.
    Avverso  i  suddetti  atti della procedura, ha quindi proposto il
comune  di Rometta l'odierno ricorso, sollevando varie censure meglio
articolate in atti.
    Si  sono  costituiti  in  giudizio  l'Avvocatura  di  Stato  e la
societa'  ricorrente,  difendendo  la  legittimita' del provvedimento
impugnato e chiedendo il rigetto del ricorso avversario.
    Alla camera di consiglio del 21 giugno 2005 e' stata disposta dal
collegio  la integrazione del contraddittorio, eseguita nei termini e
con le modalita' ivi prescritte (ricorso notificato il 29 luglio 2004
e  depositato  con  le  relative  prove  di  avvenuta  notifica il 16
settembre 2006).
    Il   26   settembre   2005   ha  depositato  propria  memoria  di
costituzione  la  societa'  «Altecoen S.p.a.» che resiste al ricorso,
chiedendone il rigetto.
    Il  7  ottobre 2005 si e' costituito, ad adiuvandum, il comune di
Catania   che,   aderendo   alle   difese  della  ricorrente,  chiede
l'annullamento degli atti impugnati.
    Alla  camera  di consiglio del 6 aprile 2006, il ricorso e' stato
chiamato  per  la  trattazione del regolamento di competenza proposto
dalla controinteressata (con il ricorso notificato il 29 giugno 2005)
con  la quale si eccepisce che la cognizione del gravame proposto con
ricorso  di  cui  sopra  spetta al Tribunale amministrativo regionale
Lazio ed e' stato trattenuto in decisione.

                            D i r i t t o

    Parte ricorrente impugna l'ordinanza commissariale di espressione
di   parere  favorevole  e  di  approvazione  del  progetto  relativo
all'impianto rilasciata a favore della societa' controinteressata.
    I)  Il  ricorso  e'  rivolto  avverso  un  provvedimento adottato
all'esito  di  una  procedura  posta  in  essere dal Presidente della
Regione  nell'esercizio  dei poteri a questo conferiti in qualita' di
commissario  delegato  di protezione civile per l'emergenza rifiuti e
tutela  delle  acque  nella  Regione Sicilia (OPCM 2983 del 31 maggio
1999).  Pertanto,  il  collegio  deve  affrontare,  necessariamente e
preliminarmente,  la  questione relativa alla competenza inderogabile
recentemente  attribuita  al  Tribunale  amministrativo regionale del
Lazio per la cognizione di vicende quale quella in esame.
    Tale  competenza  sorge per effetto della norma di cui alla legge
n. 21/2006,  pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 23 del 28 gennaio
2006,  che,  all'art.  3,  per  quel  che  qui  rileva  dispone: «...
(omissis)  ...  2-bis. In tutte le situazioni di emergenza dichiarate
ai  sensi  dell'articolo  5,  comma  1, della legge 24 febbraio 1992,
n. 225,  la  competenza di primo grado a conoscere della legittimita'
delle   ordinanze   adottate   e   dei  consequenziali  provvedimenti
commissariali  spetta  in  via  esclusiva,  anche per l'emanazione di
misure  cautelari,  al  Tribunale amministrativo regionale del Lazio,
con sede in Roma.
    2-ter.  Le  questioni  di  cui  al  comma  2-bis,  sono  rilevate
d'ufficio.  Davanti al giudice amministrativo il giudizio e' definito
con  sentenza succintamente motivata ai sensi dell'articolo 26, della
legge  6 dicembre 1971, n. 1034, e successive modificazioni, trovando
applicazione  i  commi 2 e seguenti dell'articolo 23-bis della stessa
legge.
    2-quater.  Le  norme  di  cui ai commi 2-bis e 2-ter si applicano
anche  ai  processi  in  corso.  L'efficacia  delle  misure cautelari
adottate  da  un tribunale amministrativo diverso da quello di cui al
comma  2-bis  permane  fino  alla loro modifica o revoca da parte del
Tribunale  amministrativo  regionale del Lazio, con sede in Roma, cui
la parte interessata puo' riproporre il ricorso».
    Osserva  il  collegio  che  la  fattispecie  in esame e' attratta
nell'applicazione della citata legge n. 21/2006, art. 3, in quanto il
potere  amministrativo  posto  in  essere  da  parte  del commissario
delegato  rientra nel novero delle situazioni di emergenza dichiarate
ai  sensi  dell'articolo  5,  comma  1, della legge 24 febbraio 1992,
n. 225 e «consequenziali provvedimenti commissariali applicativi».
    Il  collegio,  pertanto,  ritenendola  rilevante  ai  fini  della
decisione da assumere in ordine alla predetta trasmissione degli atti
al  Tribunale  amministrativo  regionale  Lazio  e non manifestamente
infondata,  solleva  questione  di  legittimita'  costituzionale  del
predetto  art.  3,  e segnatamente del comma 2 nelle sottonumerazioni
bis,  ter,  quater,  come sara' esposto nei seguenti paragrafi e come
gia'  fatto  in  ordine  ad altra fattispecie per la cui decisione e'
venuta  in  rilievo  la medesima norma (cfr. Tribunale amministrativo
regionale  Sicilia,  I,  ord.  n. 90  del  7  marzo  2006) proprio in
relazione  all'esame  del  regolamento  di  competenza in quella sede
proposto,  quindi  per  un caso perfettamente sovrapponibile a quello
odierno.
    I)  La  rilevanza  della  questione  ai  fini  della decisione da
assumere e' di tutta evidenza. Il collegio sarebbe tenuto, sulla base
della    normativa   sopravvenuta   -   ove   non   dubitasse   della
incostituzionalita'   di  essa  e  quindi  non  ritenesse  necessario
investire  il  giudice  delle  leggi  della  relativa  questione  - a
trasmettere  gli  atti al Tribunale amministrativo regionale Lazio, e
cio'   per  espressa  disposizione  della  nuova  disciplina  che  ne
prescrive  l'applicazione ai procedimenti pendenti e quindi anche per
il  procedimento  odierno,  trattenuto in decisione dopo l'entrata in
vigore  della disciplina in esame (la quale e' stata pubblicata nella
Gazzetta  Ufficiale  del  23  gennaio 2006 ed e' entrata in vigore il
giorno successivo alla sua pubblicazione).
    II)  Circa  la  non manifesta infondatezza e le ragioni che fanno
sospettare  le  norme  in  esame  di  incostituzionalita', osserva il
collegio  che  la  normativa introdotta dal legislatore con l'art. 3,
comma   2,  da  bis  a  quater,  della  legge  n. 21/2006,  contrasta
innanzitutto con l'art. 125 della Costituzione, e segnatamente con il
principio  della articolazione su base regionale degli organi statali
di  giustizia  amministrativa  di  primo  grado  ivi espressa («Nella
Regione  sono  istituiti  organi di giustizia amministrativa di primo
grado,  secondo  l'ordinamento  stabilito da legge della Repubblica»)
che  implica  il  rilievo e la garanzia costituzionale della sfera di
competenza dei singoli organi predetti.
    Non  appaiono,  all'evidenza,  manifeste  o  comunque sufficienti
ragioni logiche o di coerenza istituzionale per derogare a tale sfera
di  competenze  costituzionalmente  garantita  nella  materia  di cui
trattasi  quando,  come  nel  caso in esame, le singole situazioni di
emergenza   hanno   rilievo   spiccatamente  locale  con  conseguente
efficacia  locale  dei  relativi  provvedimenti adottati dai soggetti
delegati  alla  cura  delle  varie  situazioni emergenziali, anche se
(arg.  ex  art.  2,  comma  1,  lettera "c " della legge n. 225/1992,
richiamato dall'art. 5, comma 1, legge citata) essi sono adottati per
fare  fronte  a  situazioni che «per intensita' ed estensione debbono
essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari».
    III)   Anzi,   sotto   questo   aspetto,  la  norma  e'  altresi'
contraddittoria  ed  irrazionale  in  quanto  sottopone  al  medesimo
trattamento  processuale  situazioni  disparate  e  differenti tra di
loro.
    In  questo  quadro,  l'art.  5,  comma 1, della legge 24 febbraio
1992,  n. 225,  richiama,  ai  fini  della  applicazione  dell'intera
disposizione  normativa, i casi in cui (ex art. 2, comma 1, lett. "c"
della  legge  n. 225/1992)  sia  necessario  fare  fronte con mezzi e
poteri  straordinari  alle calamita' naturali, catastrofi o gli altri
eventi  che  richiedano tale intervento per intensita' ed estensione.
La  previsione  di cui alla legge n. 21/2006 radica la competenza del
Tribunale  amministrativo  regionale Lazio in tutti i casi in cui sia
dichiarato  lo  stato  di emergenza ai sensi del comma 1, dell'art. 5
appena  citato  e  quindi  con  esclusione  dei casi di intervento di
protezione  civile  per  gli  eventi  che  possano  essere affrontati
mediante  interventi  attuabili  dai  singoli  enti e amministrazioni
competenti  in  via  ordinaria  (art.  2  lett.  "a") e di quelli che
richiedano  intervento  coordinato  di  questi  ultimi (art. 2, lett.
"b").
    Quindi,  il sistema della protezione civile e' articolato in vari
livelli  di  intervento,  contraddistinti dal corrispondente grado di
ampiezza  della  situazione  emergenziale. Sicche' per ogni tipologia
territoriale   e  «qualitativa»  della  situazione  di  emergenza  e'
chiamato ad intervenire in merito il «livello» di governo piu' vicino
alla  concreta  dimensione  delle  comunita'  colpite  e della natura
dell'emergenza,  secondo un chiaro criterio di sussidiarieta' e senza
escludere - funzionalmente e residualmente - che determinate funzioni
siano   «trasversali»   ossia   comprendano  le  competenze  di  piu'
amministrazioni o livelli di governo.
    A  fronte  di  questa  multiformita'  possibile di manifestazioni
concrete   dell'esercizio   del   potere,   la   regola  generale  di
ripartizione  delle  competenze  delineata dagli artt. 2 e s.s. della
legge Tribunale amministrativo regionale appresta una tutela coerente
con  l'art. 125 della Costituzione: derogando ad essa, l'art. 3 della
legge  n. 21/2006, contraddittoriamente ed immotivatamente assegna ex
lege   rilevanza   nazionale   a   qualsiasi   controversia   insorga
nell'esercizio  del  potere  di  protezione civile, facendo leva solo
sulla  necessita'  che  esso presupponga l'intervento extra ordinem e
quindi  a dispetto dell'articolazione del potere previsto dalla legge
n. 225/1992,  posto  che assegna la competenza funzionale a conoscere
delle  relative questioni al Tribunale amministrativo regionale Lazio
(e  quindi  spinge  l'interprete  a dover ritenere che il legislatore
abbia  cristallizzato  una  valutazione  di  rilevanza  nazionale  di
qualsiasi   questione,   inerente   la  protezione  civile,  richieda
interventi extra ordinem).
    Il  problema  acquista  uno  spessore  considerevole  se  solo si
riflette  sul  fatto  che, «ordinariamente», tali provvedimenti extra
ordinem delegano quali commissari per l'emergenza il Presidente della
Regione  o  altri  organi  locali  gia'  titolari di poteri propri in
quella  materia; in tal senso, spesso non fanno altro che «istituire»
poteri  e  programmi  di  emergenza  affidandoli quindi (per nomina o
delega),  a  quegli  stessi organismi regionali o comunque locali che
con  i  poteri  ordinari  loro  conferiti  dall'ordinamento non hanno
saputo fare fronte alle cause che hanno determinato l'emergenza (come
il   caso   dell'emergenza   rifiuti   o   dell'emergenza  idrica,  o
dell'emergenza traffico).
    Pertanto,  l'effetto  di  tale prassi e' essenzialmente quello di
rendere  i provvedimenti degli organi regionali «rafforzati» sotto il
profilo  della capacita' di derogare a norme dell'ordinamento; a tale
gia'  rilevante  «alterazione» dell'Ordinamento medesimo, si aggiunge
quindi   una   ulteriore   «tutela»  giurisdizionale,  sottraendo  la
cognizione della lite ai Tribunale amministrativo regionale regionali
su  provvedimenti  che  sono e restano a tutti gli effetti locali per
provenienza  soggettiva  oltre  che  per effetti, per affidarla ad un
unico   giudice   nazionale   con  il  quale  essi  non  hanno  alcun
collegamento «naturale».
    Appare  utile  rilevare,  in  questa sede, come la giurisprudenza
della Corte costituzionale abbia espressamente riconosciuto che:
        con  l'articolo  5 della legge n. 225 del 1992, e' attribuito
al  Consiglio  dei  ministri  il  potere  di  dichiarare  lo stato di
emergenza  in  ipotesi  di  calamita'  naturali,  ed  a seguito della
dichiarazione  di  emergenza,  e  per  fare fronte ad essa, lo stesso
Presidente  del  Consiglio dei ministri o, su sua delega, il Ministro
dell'interno   possano   adottare   ordinanze   in   deroga  ad  ogni
disposizione    vigente,   nel   rispetto   dei   principi   generali
dell'ordinamento giuridico;
        l'art. 107, comma 1, lettere b) e c), del decreto legislativo
31   marzo   1998,   n. 112   (Conferimento  di  funzioni  e  compiti
amministrativi  dello  Stato  alle  regioni  ed  agli enti locali, in
attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), a sua volta,
chiarisce  che  tali funzioni hanno rilievo nazionale, escludendo che
il   riconoscimento   di   poteri  straordinari  e  derogatori  della
legislazione vigente possa avvenire da parte di una legge regionale;
        queste  ultime  due  previsioni,  inoltre,  sono  gia'  state
ritenute  dalla  Corte costituzionale (sentenza n. 327 del 2003) come
espressive   di   un   principio  fondamentale  della  materia  della
protezione  civile,  sicche'  deve  ritenersi  che esse delimitino il
potere normativo regionale, anche sotto il nuovo regime di competenze
legislative  delineato  dalla  legge  costituzionale 18 ottobre 2001,
n. 3 (Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione).
    Alla  luce  di  quanto  sopra  ricordato,  la Corte ha dichiarato
illegittimo l'articolo 4, comma 4, della legge della Regione Campania
n. 8  del  2004, nella misura in cui essa ha attribuito al sindaco di
Napoli  i  poteri  commissariali  dell'ordinanza n. 3142 del 2001 del
Ministro  dell'interno,  dopo  la  scadenza  della emergenza alla cui
soluzione  tale ordinanza era preordinata, in quanto in contrasto con
l'art. 117, terzo comma, della Costituzione (Corte cost. n. 82/2005).
    Tale   ragionamento   comporta   che,  in  relazione  alla  legge
n. 225/1992  ed  all'art.  107,  comma  1,  lettere  b)  e c), d.lgs.
n. 112/1998,  possiedono  rilievo  nazionale «solamente» il potere di
dichiarare lo stato di emergenza e quello, distinto dal primo seppure
ad    esso   finalisticamente   connesso,   di   derogare   a   norme
dell'ordinamento.
    Ne  consegue  dunque che, sotto questo profilo, la norma in esame
e'  irragionevole  per contraddittorieta' e disparita' di trattamento
processuale,  poiche'  utilizza  lo stesso trattamento per situazioni
del  tutto  differenti  quanto  ad  ambito  territoriale  e livello e
qualita'  degli  interessi  pubblici coinvolti, nonche' per contrasto
con  l'art.  117  della Costituzione, poiche' implicitamente, finisce
per  attribuire rilievo nazionale anche alle questioni riservate alla
competenza regionale.
    IV)  Ancora, l'aggravio della tutela giurisdizionale, soprattutto
ove,  come  nella  specie, esso non sia giustificato da una effettiva
natura accentrata (o dall'efficacia estesa a tutto il territorio) dei
provvedimenti  sui quali deve esercitarsi la cognizione del Tribunale
amministrativo   regionale   Lazio,   comporta   indubbia  violazione
dell'art. 24 della Costituzione, in particolare della possibilita' di
tutela  dei  propri  diritti  ed  interessi enunciata al primo comma;
detta   tutela   ne   risulta  minorata,  per  la  evidente  maggiore
difficolta'  di  esercitare  le  relative  azioni presso il Tribunale
amministrativo  regionale  del  Lazio piuttosto che presso gli organi
giurisdizionali  localmente  istituiti.  Cio'  vale  sia  per la fase
transitoria  in  cui  i  giudizi  pendenti  trasmigrano  al Tribunale
amministrativo   regionale   del  Lazio,  sia  per  le  future  nuove
controversie  che  secondo  la  nuova  normativa dovrebbero essere ab
initio instaurate presso detto Tribunale amministrativo regionale
    La  Corte  ha  ritenuto,  in  un caso in cui il legislatore aveva
disposto  l'estinzione  ope legis di giudizi pendenti (art. 10, comma
primo,  legge  n. 425/1984),  che  siffatta  disposizione,  in quanto
«preclude   al   giudice  la  decisione  di  merito  imponendogli  di
dichiarare  d'ufficio l'estinzione dei giudizi pendenti, in qualsiasi
stato  e  grado si trovino alla data di entrata in vigore della legge
sopravvenuta»,  percio'  stesso  «viola  il valore costituzionale del
diritto  di  agire,  in quanto implicante il diritto del cittadino ad
ottenere  una  decisione di merito senza onerose reiterazioni» (Corte
costituzionale, sentenza n. 123 del 1987).
    Sebbene  la  fattispecie  in  esame sia diversa da quella oggetto
della   citata  pronuncia,  il  principio  tuttavia,  ad  avviso  del
collegio,  e' nello stesso modo applicabile. Accade infatti, nel caso
presente,  che  chi  abbia  gia'  un  giudizio  pendente  davanti  al
Tribunale  amministrativo  regionale  locale,  ed  addirittura  abbia
ottenuto  una  decisione  cautelare,  debba  proseguire altrove nella
propria  iniziativa  giudiziaria  addirittura  (se  ne  parlera' piu'
diffusamente  infra)  rimanendo  esposto  ad  una  seconda  pronuncia
cautelare  sollecitata  dalla  parte  soccombente  davanti al giudice
adito prima dell'entrata in vigore della legge in questione.
    V)  Altro  profilo  di incostituzionalita' va ravvisato, inoltre,
nella violazione del principio del giudice naturale precostituito per
legge, di cui all'art. 25 della Costituzione. La norma costituzionale
ora  citata, stabilendo che «nessuno puo' essere distolto dal giudice
naturale  precostituito  per  legge»,  esclude,  come la stessa Corte
costituzionale  afferma,  «che vi possa essere una designazione tanto
da  parte del legislatore con norme singolari, che deroghino a regole
generali,  quanto  da  altri  soggetti,  dopo che la controversia sia
insorta (sentenze n. 419 del 1998; n. 460 del 1994 e n. 56 del 1967»;
il principio e' in tali termini, e con tali citazioni dei precedenti,
richiamato nella sentenza della Corte n. 393 del 2002). Come la Corte
ha  insegnato,  perche'  tale principio possa considerarsi rispettato
occorre  che  «...  la  regola  di competenza sia prefissata rispetto
all'insorgere della controversia» (sentenza n. 193 del 2003); e basta
scorrere  le numerose decisioni della Corte costituzionale in materia
di  principio  del  giudice  naturale  per rilevare che e' proprio la
preesistenza  della  regola  che  individua la competenza rispetto al
giudizio  il  criterio  fondamentale  in  base  al  quale  sono state
valutate le questioni sollevate.
    Tale  profilo di incostituzionalita' si apprezza particolarmente,
ad  avviso  del  collegio,  nella parte della disciplina in questione
(comma  2-quater), che non solo ne dispone l'applicazione ai processi
pendenti,  ma  addirittura  consente  una  riforma  dei provvedimenti
assunti, in sede cautelare, in tali giudizi pendenti, e cio' ad opera
di  un  organo  giurisdizionale  pariordinato a quelli di provenienza
(trattasi   di   giudici   tutti   di   primo   grado,  il  Tribunale
amministrativo  regionale  del  Lazio non essendo un «super-Tribunale
amministrativo regionale»).
    Cosi'  facendo,  in  sostanza,  il  legislatore  ha introdotto un
rimedio  inedito,  che  non  e'  di  secondo  grado e che finisce per
costituire  un  doppione  del  gia' espletato giudizio (cautelare) di
primo  grado, senza alcuna possibilita' di inquadramento tra i rimedi
noti e tipizzati (appello, revocazione, reclamo).
    Pertanto,  anche  l'art.  25  della  Carta costituzionale risulta
vulnerato  dalla  normativa  denunciata  dal  collegio;  e se ne trae
conferma  da  una  recente  decisione della Corte costituzionale che,
sebbene  in  relazione a disciplina totalmente diversa, ha avuto modo
di  affermare un principio generale, che e' quello della appartenenza
della  competenza  territoriale  alla  nozione  del  giudice naturale
precostituito  per  legge.  Precisamente,  la sentenza n. 41 del 2006
afferma,  anzi, ribadisce (come testualmente essa si esprime, citando
sentenze  precedenti  in  termini),  che  «alla  nozione  del giudice
naturale   precostituito  per  legge  non  e'  affatto  estranea  "la
ripartizione  della  competenza  territoriale tra giudici, dettata da
normativa   nel   tempo  anteriore  alla  istituzione  del  giudizio"
(sentenze n. 251 del 1986 e n. 410 del 2005)».
    Per  altro,  atteso che il principio del doppio grado di giudizio
nella  giustizia amministrativa, sia in sede cautelare sia in sede di
merito,  riceve  garanzia  costituzionale  dall'art.  125 della Carta
(cfr. Corte cost., sentenza n. 8 del 1982), si configura un ulteriore
profilo  di  violazione  di  detta  norma.  Viene  infatti  ad essere
introdotto, per le controversie pendenti, un anomalo percorso (su cui
gia'   il   collegio  ha  poco  prima  espresso  i  propri  dubbi  di
incostituzionalita) che stravolge l'ordinario iter giudiziario.
    La  regola  e'  che  ad  un giudizio di primo grado segua, ove la
parte  soccombente  appelli, un giudizio di secondo grado, sia che si
tratti  di  giudizio  cautelare,  sia  che  si  tratti di giudizio di
merito; giammai e' prevista una doppia pronuncia sulla stessa materia
da  parte  di  due  diversi  giudici  di  primo  grado, uno dei quali
abilitato a riformare la decisione del primo giudice.
    Orbene,  ad  avviso  del  collegio,  siffatta  disciplina integra
altresi'  violazione  del  principio  del  «giusto  processo»  di cui
all'art. 111, comma primo, della medesima Carta («La giurisdizione si
attua  mediante il giusto processo regolato dalla legge»). Sempre con
riferimento  ai  processi pendenti, infatti, la parte soccombente nel
giudizio  cautelare  verrebbe  ad  essere  fornita  di  uno strumento
giurisdizionale  anomalo e atipico a tutela della propria (legittima,
ma  da  esercitare  in  modi  conformi  ai  principi  costituzionali)
aspirazione  ad  ottenere  una  pronuncia favorevole in secondo grado
(che  deve  tuttavia essere un vero giudizio di secondo grado, e non,
si ribadisce, un inedito duplicato del giudizio di primo grado).
    Cio' comporterebbe altresi' una evidente violazione del principio
del  ne bis in idem, che, se pure non espressamente contemplato dalla
Carta costituzionale, deve ritenersi corollario del medesimo generale
principio del «giusto processo» teste' richiamato.
    VI)  Da  ultimo,  si  rileva un aspetto diverso che si riconnette
ancora  al tema del giudice naturale, e che deriva in via immediata e
diretta  dall'analisi  appena  esposta.  La  norma in esame, infatti,
viola   l'art.   23   dello  Statuto  della  Regione  Sicilia  (legge
costituzionale  n. 2  del  26  febbraio 1948) a norma del quale: «Gli
organi  giurisdizionali  centrali  avranno  in  Sicilia le rispettive
sezioni  per  gli  affari  concernenti  la  regione.  Le  Sezioni del
Consiglio  di  Stato  e della Corte dei conti svolgeranno altresi' le
funzioni, rispettivamente, consultive e di controllo amministrativo e
contabile.  I  magistrati  della  Corte  dei  conti sono nominati, di
accordo,   dai  Governi  dello  Stato  e  della  regione.  I  ricorsi
amministrativi,   avanzati   in   linea   straordinaria  contro  atti
amministrativi regionali, saranno decisi dal Presidente della Regione
sentite  le  sezioni regionali del Consiglio di Stato». Tale norma e'
stata  «interpretata»  dall'art.  5 del d.lgs. 6 maggio 1948, n. 654,
contenente   norme   per  l'esercizio  delle  funzioni  spettanti  al
Consiglio  di  Stato  nella  Regione Sicilia, il quale prevede che il
Consiglio  di giustizia esercita le attribuzioni devolute dalla legge
al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale nei confronti di atti e
provvedimenti  definitivi  «dell'amministrazione  regionale  e  delle
altre  autorita'  amministrative  aventi  sede  nel  territorio della
Regione».
    Osserva  il  collegio che gia' con «la sentenza della Corte cost.
in   data   12   marzo   1975,  n. 61,  dichiarando  l'illegittimita'
costituzionale delle limitazioni poste dall'art. 40, legge 6 dicembre
1971, n. 1034, alla competenza del Tribunale amministrativo regionale
Sicilia,  e'  stato ritenuto che siano state a quest'ultimo conferite
tutte   le   controversie   d'interesse  regionale  considerate  tali
dall'art.  23,  comma 1, legge 15 maggio 1946, n. 455, comprendendosi
in  tale  categoria  le  controversie  sorte  da impugnazione di atti
amministrativi  di  autorita'  centrali  aventi  effetti  limitati al
territorio   regionale  ovvero  concernenti  pubblici  dipendenti  in
servizio  nella  regione  siciliana»  (Consiglio  Stato,  sez. VI, 26
luglio 1979, n. 595).
    Quindi  la  legge  n. 21/2006,  in  esame,  e' costituzionalmente
illegittima  anche nella sua parte in cui, in violazione dell'art. 23
dello  statuto  regionale,  sia nella sua formulazione letterale, che
nella   interpretazione   pacifica   che   di  esso  ha  maturato  la
giurisprudenza,   anche   costituzionale,  riserva  al  Consiglio  di
giustizia   amministrativa   ed   in   primo   grado   al   Tribunale
amministrativo  regionale Sicilia, la competenza a conoscere circa le
controversie   sorte  da  impugnazione  di  atti  amministrativi  di'
autorita' centrali aventi effetti limitati al territorio regionale.
    Se  le  controversie quali quella in esame fossero sottratte alla
competenza  del  Tribunale amministrativo regionale Sicilia, in primo
grado  e,  affidate  alla  cognizione  dal  Tribunale  amministrativo
regionale Lazio, fossero decise da quest'ultimo, si radicherebbe, per
tale  motivo,  la  cognizione  sulla lite in appello del Consiglio di
Stato  e  non della sua sezione costituita dal Consiglio di giustizia
amministrativa  per  la Regione Sicilia, avente competenza funzionale
sulle  liti  rientranti  nella previsione statutaria siciliana appena
citata.
    Per  mero  scrupolo espositivo, si deve rilevare che in proposito
non  potrebbe  obiettarsi  che  la  norma «sposta» solo la cognizione
della  lite  nel  primo  grado  di  giudizio,  facendo  salva  quella
d'appello:  se  cosi' fosse per la Regione Sicilia, la norma dovrebbe
essere     ulteriormente     tacciata     di    irragionevolezza    e
contraddittorieta'  perche'  la  medesima  questione, decisa in primo
grado   al   Tribunale   amministrativo   regionale   Lazio,   quindi
«concentrata»  in capo all'«unico giudice» per la sua (cristallizzata
dal legislatore) rilevanza nazionale, tornerebbe ad essere poi decisa
in  appello  da  una  articolazione  regionale del giudice di secondo
grado,  senza  quindi  che  abbia  piu'  valenza  alcuna  la ritenuta
«centralita»   della   vicenda,   con   evidenti  ed  incomprensibili
«trasmigrazioni»  giudiziarie «vettoriali» della lite dalla Sicilia a
Roma (per il primo grado) e da Roma a Palermo (per il secondo grado).
    Intuitivamente, dunque, questa ipotetica obiezione presterebbe il
fianco ad ulteriori argomenti di censura anche sotto il profilo della
effettivita' della tutela del diritto alla difesa gia' trattato prima
(nel  senso  di  obbligo  di  non  aggravamento) e, quindi, anche del
giusto  processo ex art. 111 Cost. in termini di tempi decisionali ed
adempimenti del processo.
    VII)  Per  tutte  le  esposte  considerazioni, deve sollevarsi la
questione  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 3, comma 2-bis,
comma  2-ter, comma 2-quater, legge n. 21/2006, per contrasto con gli
artt.  3,  125, 24 e 25 della Costituzione e per contrasto con 1'art.
23 dello statuto della Regione Sicilia.
    Deve  pertanto  essere  disposta  la trasmissione degli atti alla
Corte  costituzionale  per  la  decisione della predetta questione di
legittimita' costituzionale, sospendendosi il giudizio instaurato con
il  ricorso  in  epigrafe, fino alla restituzione degli atti da parte
della medesima Corte.
                              P. Q. M.
    Solleva,  ritenutala  rilevante  e  non manifestamente infondata,
questione  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 3, comma 2-bis,
comma  2-ter, comma 2-quater, legge n. 21/2006, per contrasto con gli
artt.  3,  125, 24 e 25 della Costituzione e per contrasto con l'art.
23 dello statuto della Regione Sicilia.
    Dispone,  a  norma  dell'art. 23/2, legge n. 87/1953, l'immediata
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
    Il  giudizio  resta  sospeso sino alla restituzione degli atti da
parte della Corte costituzionale.
    Manda   alla   segreteria  di  notificare  copia  della  presente
ordinanza  alle  parti  in  causa,  al  Presidente  del Consiglio dei
ministri, nonche' ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
    Cosi' deciso in Catania, in Camera di consiglio, in data 6 aprile
2006.
                       Il Presidente: Zingales
L'estensore: Gatto Costantino
07C0867