N. 237 SENTENZA 18 - 26 giugno 2007

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Giudizio   di   legittimita'  costituzionale  in  via  incidentale  -
  Intervento in giudizio tardivo - Inammissibilita'.
Giustizia  amministrativa  -  Controversie relative alla legittimita'
  delle  ordinanze  e  dei consequenziali provvedimenti commissariali
  adottati  in  tutte  le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi
  dell'art. 5,  comma 1,  della  legge  24 febbraio  1992,  n. 225  -
  Attribuzione  della competenza in primo grado, in via esclusiva, al
  Tribunale  amministrativo  regionale  del  Lazio,  sede  di  Roma -
  Limitazione  della  disciplina alla emergenza rifiuti nella Regione
  Campania  - Esclusione - Portata generale della disciplina stessa -
  Sussistenza.
- D.l.   30 novembre  2005,  n. 245,  art. 3,  commi 2-bis,  2-ter  e
  2-quater,  aggiunti  dalla  legge  di  conversione 27 gennaio 2006,
  n. 21.
- Costituzione, artt. 3 e 125.
Giustizia  amministrativa  -  Controversie relative alla legittimita'
  delle  ordinanze  e  dei consequenziali provvedimenti commissariali
  adottati  in  tutte  le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi
  dell'art. 5,  comma 1,  della  legge  24 febbraio  1992,  n. 225  -
  Attribuzione  della competenza in primo grado, in via esclusiva, al
  Tribunale  amministrativo  regionale  del  Lazio,  sede  di  Roma -
  Lamentata   disparita'   di   trattamento   tra   destinatari   dei
  provvedimenti  adottati  dagli  organi governativi o dai commissari
  delegati nelle situazioni di emergenza, efficaci nell'ambito di una
  Regione e destinatari di provvedimenti aventi il medesimo ambito di
  efficacia,  adottati  da  organi  esponenziali di enti territoriali
  regionali o sub regionali - Disomogeneita' delle situazioni poste a
  raffronto - Non fondatezza della questione.
- D.l.  30 novembre  2005,  n. 245,  art. 3,  commi 2-bis,  e  2-ter,
  aggiunti dalla legge di conversione 27 gennaio 2006, n. 21.
- Costituzione, art. 3.
Giustizia  amministrativa  -  Controversie relative alla legittimita'
  delle  ordinanze  e  dei consequenziali provvedimenti commissariali
  adottati  in  tutte  le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi
  dell'art. 5,  comma 1,  della  legge  24 febbraio  1992,  n. 225  -
  Attribuzione  della competenza in primo grado, in via esclusiva, al
  Tribunale  amministrativo  regionale  del  Lazio,  sede  di  Roma -
  Lamentata violazione dell'art. 3 Cost., per essere detta competenza
  limitata   alle   sole   impugnazioni   concernenti   ordinanze   e
  provvedimenti  commissariali  e  non  estesa ai decreti governativi
  dichiarativi dello stato di emergenza - Estensione della competenza
  anche  alla  impugnazione  di  tali  atti  -  Non  fondatezza della
  questione.
- D.l.   30 novembre  2005,  n. 245,  art. 3,  commi 2-bis  e  2-ter,
  aggiunti dalla legge di conversione 27 gennaio 2006, n. 21.
- Costituzione, art. 3.
Giustizia  amministrativa  -  Controversie relative alla legittimita'
  delle  ordinanze  e  dei consequenziali provvedimenti commissariali
  adottati  in  tutte  le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi
  dell'art. 5,  comma 1,  della  legge  24 febbraio  1992,  n. 225  -
  Attribuzione  della competenza in primo grado, in via esclusiva, al
  Tribunale  amministrativo  regionale  del  Lazio,  sede  di  Roma -
  Lamentata  violazione  del principio di ragionevolezza - Fondamento
  della  disciplina  censurata rinvenibile nel particolare regime che
  connota le situazioni di emergenza, che richiedono anche l'adozione
  di  misure  di  carattere  ultraregionale  -  Non  fondatezza delle
  questioni.
- D.l.   30 novembre  2005,  n. 245,  art. 3,  commi 2-bis  e  2-ter,
  aggiunti dalla legge di conversione 27 gennaio 2006, n. 21.
- Costituzione, art. 3.
Giustizia  amministrativa  -  Controversie relative alla legittimita'
  delle  ordinanze  e  dei consequenziali provvedimenti commissariali
  adottati  in  tutte  le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi
  dell'art. 5,  comma 1,  della  legge  24 febbraio  1992,  n. 225  -
  Attribuzione  della competenza in primo grado, in via esclusiva, al
  Tribunale  amministrativo  regionale  del  Lazio,  sede  di  Roma -
  Lamentata   violazione  del  principio  di  ragionevolezza  per  la
  prevista  declinatoria  della competenza con sentenza succintamente
  motivata  ex  art. 26, legge n. 1034 del 1971 - Insussistenza - Non
  fondatezza della questione.
- D.l.   30 novembre  2005,  n. 245,  art. 3,  commi 2-bis  e  2-ter,
  aggiunti dalla legge di conversione 27 gennaio 2006, n. 21.
- Costituzione, art. 3.
Giustizia  amministrativa  -  Controversie relative alla legittimita'
  delle  ordinanze  e  dei consequenziali provvedimenti commissariali
  adottati  in  tutte  le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi
  dell'art. 5,  comma 1,  della  legge  24 febbraio  1992,  n. 225  -
  Attribuzione  della competenza in primo grado, in via esclusiva, al
  Tribunale  amministrativo  regionale  del  Lazio,  sede  di  Roma -
  Lamentata  violazione  del principio del decentramento territoriale
  della giurisdizione amministrativa - Insussistenza - Non fondatezza
  delle questioni.
- D.l.   30 novembre  2005,  n. 245,  art. 3,  commi 2-bis  e  2-ter,
  aggiunti dalla legge di conversione 27 gennaio 2006, n. 21.
- Costituzione, art. 125.
Giustizia  amministrativa  -  Controversie relative alla legittimita'
  delle  ordinanze  e  dei consequenziali provvedimenti commissariali
  adottati  in  tutte  le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi
  dell'art. 5,  comma 1,  della  legge  24 febbraio  1992,  n. 225  -
  Attribuzione  della competenza in primo grado, in via esclusiva, al
  Tribunale  amministrativo  regionale  del  Lazio,  sede  di  Roma -
  Lamentata  violazione  del  diritto  di azione, del principio della
  ragionevole  durata  del  processo  e  della tutela giurisdizionale
  avverso  atti  della  pubblica  amministrazione  - Insussistenza di
  gravi  ostacoli  al  conseguimento della tutela giurisdizionale, la
  cui  disciplina  spetta  al  legislatore  -  Non  fondatezza  delle
  questioni.
- D.l.   30 novembre  2005,  n. 245,  art. 3,  commi 2-bis  e  2-ter,
  aggiunti dalla legge di conversione 27 gennaio 2006, n. 21.
- Costituzione, artt. 24, 111 e 113.
Giustizia  amministrativa  -  Controversie relative alla legittimita'
  delle  ordinanze  e  dei consequenziali provvedimenti commissariali
  adottati  in  tutte  le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi
  dell'art. 5,  comma 1,  della  legge  24 febbraio  1992,  n. 225  -
  Attribuzione  della competenza in primo grado, in via esclusiva, al
  Tribunale  amministrativo  regionale  del  Lazio,  sede  di  Roma -
  Lamentata  violazione  del  principio contenuto nello statuto della
  Regione  Siciliana  di  attribuzione della competenza sugli «affari
  concernenti  la  Regione»,  in  sede  di  appello,  al Consiglio di
  Giustizia  Amministrativa per la Regione Siciliana - Insussistenza,
  in  considerazione  della  portata della evocata norma statutaria -
  Non fondatezza della questione.
- D.l.   30 novembre  2005,  n. 245,  art. 3,  commi 2-bis  e  2-ter,
  aggiunti dalla legge di conversione 27 gennaio 2006, n. 21.
- Statuto della Regione Siciliana, art. 23.
Giustizia  amministrativa  -  Controversie relative alla legittimita'
  delle  ordinanze  e  dei consequenziali provvedimenti commissariali
  adottati  in  tutte  le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi
  dell'art. 5,  comma 1,  della  legge  24 febbraio  1992,  n. 225  -
  Attribuzione  della competenza in primo grado, in via esclusiva, al
  Tribunale  amministrativo  regionale  del  Lazio,  sede  di  Roma -
  Disciplina  transitoria  -  Lamentata  violazione del principio del
  giudice naturale - Insussistenza - Non fondatezza delle questioni.
- D.l.   30 novembre  2005,  n. 245,  art. 3,  commi 2-bis,  2-ter  e
  2-quater,  aggiunti  dalla  legge  di  conversione 27 gennaio 2006,
  n. 21.
- Costituzione, art. 25.
Giustizia  amministrativa  -  Controversie relative alla legittimita'
  delle  ordinanze  e  dei consequenziali provvedimenti commissariali
  adottati  in  tutte  le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi
  dell'art. 5,  comma 1,  della  legge  24 febbraio  1992,  n. 225  -
  Attribuzione  della competenza in primo grado, in via esclusiva, al
  Tribunale  amministrativo  regionale  del  Lazio,  sede  di  Roma -
  Inclusione  in tale competenza anche delle controversie relative ai
  «consequenziali    provvedimenti    commissariali»    -   Lamentata
  irragionevole  deroga  al  principio della competenza del Tribunale
  amministrativo  regionale  della Regione in cui il provvedimento e'
  destinato  ad  avere  incidenza - Dedotta violazione del diritto di
  difesa,  del  principio  del  giudice  naturale,  del  principio di
  decentramento territoriale della giurisdizione amministrativa e del
  principio,  contenuto  nello  statuto  della  Regione Siciliana, di
  attribuzione   della   competenza   sugli  «affari  concernenti  la
  Regione»,   in   sede   di   appello,  al  Consiglio  di  Giustizia
  Amministrativa   per  la  Regione  Siciliana  -  Esclusione  -  Non
  fondatezza della questione.
- D.l.  30 novembre 2005, n. 245, art. 3, comma 2-bis, aggiunto dalla
  legge di conversione 27 gennaio 2006, n. 21.
- Costituzione,  artt. 3,  24 e 125; statuto della Regione Siciliana,
  art. 23.
Giustizia  amministrativa  -  Controversie relative alla legittimita'
  delle  ordinanze  e  dei consequenziali provvedimenti commissariali
  adottati  in  tutte  le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi
  dell'art. 5,  comma 1,  della  legge  24 febbraio  1992,  n. 225  -
  Attribuzione  della competenza in primo grado, in via esclusiva, al
  Tribunale  amministrativo  regionale  del  Lazio,  sede  di  Roma -
  Applicabilita'  delle  norme  anche ai processi in corso - Prevista
  efficacia  temporanea  delle misure cautelari adottate da Tribunale
  amministrativo  regionale  diverso  da quello del Lazio con sede in
  Roma,   fino   alla   loro  modificazione  e  revoca  da  parte  di
  quest'ultimo  -  Lamentata  violazione  del  diritto di difesa, del
  principio del giudice naturale, del principio del giusto processo e
  del principio di ragionevolezza - Esclusione - Applicazione, quanto
  alla  efficacia delle misure cautelari gia' concesse, di una regola
  gia' presente nel sistema - Non fondatezza delle questioni.
- D.l.  30 novembre  2005,  n. 245,  art. 3, comma 2-quater, aggiunto
  dalla legge di conversione 27 gennaio 2006, n. 21.
- Costituzione, artt. 3, 24, 25, e 111.
(GU n.26 del 4-7-2007 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Franco BILE;
  Giudici:  Giovanni  Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO,
Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso  QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA,
Gaetano  SILVESTRI,  Sabino  CASSESE,  Maria  Rita  SAULLE,  Giuseppe
TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nei  giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 3, commi 2-bis,
2-ter  e 2-quater, del decreto-legge 30 novembre 2005, n. 245 (Misure
straordinarie  per  fronteggiare  l'emergenza nel settore dei rifiuti
nella    regione   Campania),   commi   aggiunti   dalla   legge   di
conversione 27 gennaio  2006,  n. 21, promossi - con riferimento, nel
complesso,  agli artt. 3, 24, 25, 111, 113 e 125 Cost., e all'art. 23
del  regio  decreto  legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione
dello  statuto  della  Regione  siciliana),  convertito  dalla  legge
costituzionale  26 febbraio  1948,  n. 2  - con ordinanze del 6 marzo
2006  dal  Tribunale  amministrativo  regionale  della  Sicilia,  del
7 marzo  2006  dal  Tribunale amministrativo regionale della Sicilia,
sezione  staccata  di  Catania,  del  18 maggio 2006 dal Consiglio di
giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, del 10 maggio 2006
dal Tribunale amministrativo regionale del Veneto, del 23 giugno 2006
dal Tribunale amministrativo regionale della Campania e del 21 aprile
2006   dal   Tribunale   amministrativo   regionale  della  Calabria,
rispettivamente  iscritte  ai  nn. 129,  293, 336, e 394 del registro
ordinanze  2006  ed  ai  nn. 43  e  178 del registro ordinanze 2007 e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 18, 37, 39 e
41,  1ª  serie  speciale,  dell'anno 2006  ed ai nn. 8 e 14, 1ª serie
speciale, dell'anno 2007.
    Visti  gli  atti  di  costituzione della Palermo energia ambiente
s.c.p.a.,  del  comune  di  Paterno', della Sicil Power s.p.a., della
Provincia   Regionale  di  Catania,  della  Associazione  Legambiente
Comitato  regionale siciliano (fuori termine), della Maggioli s.p.a.,
di Manente Liliana ed altri, della Regione Veneto nonche' gli atti di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza pubblica del 22 maggio 2007 e nella camera di
consiglio del 23 maggio 2007 il giudice relatore Alfonso Quaranta;
    Uditi  gli avvocati Giuseppe Mingiardi per il comune di Paterno',
Francesco  Mineo  per la Provincia Regionale di Catania, Mario Ettore
Verino  per  Manente  Liliana  ed  altri,  Salvatore  Raimondi per la
Maggioli  s.p.a.,  Alberto  Romano  e  Gaetano  Armao  per la Palermo
energia ambiente s.c.p.a., Paola Salvatore per la Sicil Power s.p.a.,
Alfredo Biagini e Fulvio Lorigiola per la Regione Veneto e l'avvocato
dello  Stato  Giancarlo  Mando'  per  il Presidente del Consiglio dei
ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1. - Con quattro ordinanze, il Tribunale amministrativo regionale
della  Sicilia,  sede  centrale  (r.o.  n. 129  del  2006)  e sezione
staccata  di  Catania  (r.o. 293 del 2006), il Consiglio di giustizia
amministrativa  per la Regione Siciliana (r.o. n. 336 del 2006) ed il
Tribunale  amministrativo regionale del Veneto (r.o. n. 394 del 2006)
hanno  sollevato  - con riferimento, nel complesso, agli artt. 3, 24,
25, 111, 113 e 125 Cost., e all'art. 23 del regio decreto legislativo
15 maggio  1946,  n. 455  (Approvazione  dello  statuto della Regione
siciliana),  convertito  dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948,
n. 2, parametro, quest'ultimo, evocato solo dal primo e dal terzo dei
giudici   rimettenti   -  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 3,   commi 2-bis,   2-ter  e  2-quater,  del  decreto-legge
30 novembre  2005,  n. 245  (Misure  straordinarie  per  fronteggiare
l'emergenza  nel  settore  dei rifiuti nella regione Campania), commi
aggiunti dalla legge di conversione 27 gennaio 2006, n. 21.
    1.1.  -  In  particolare,  il  Tribunale amministrativo regionale
della  Sicilia  (r.o.  n. 129  del 2006), premesso di dover conoscere
dell'impugnativa  proposta  avverso  ordinanza emessa dal Commissario
delegato  per l'emergenza rifiuti e la tutela delle acque in Sicilia,
assume  di  essere stato investito, su eccezione dell'amministrazione
intimata  e  del soggetto controinteressato, della questione relativa
alla propria competenza territoriale.
    Il rimettente, pur riconoscendo di dover declinare - ai sensi dei
citati  commi 2-bis,  2-ter  e 2-quater dell'art. 3 del decreto-legge
n. 245   del   2005   -   la   competenza  in  favore  del  Tribunale
amministrativo   regionale   del   Lazio,   reputa,   tuttavia,  tali
disposizioni  costituzionalmente  illegittime,  per contrasto con gli
artt. 3,  24,  25,  111  e  125  Cost.  e con l'art. 23 dello statuto
regionale siciliano.
    Quanto,  in particolare, al primo degli evocati parametri, la sua
violazione  e'  ipotizzata,  innanzitutto,  sotto  il  profilo  della
«disparita'  di  trattamento  che  la deroga alle ordinarie regole di
riparto  delle  competenze  comporta,  per  la tutela giurisdizionale
delle  rispettive  posizione  giuridiche,  tra soggetti in situazioni
eguali».
    Difatti,   le  censurate  disposizioni,  derogando  al  principio
secondo  cui  l'impugnazione di provvedimenti adottati nell'esercizio
delle  ordinarie  attribuzioni rientra nella competenza del Tribunale
amministrativo   regionale   del  luogo  ove  i  provvedimenti  hanno
incidenza  (art. 3  della  legge  6 dicembre  1971,  n. 1034, recante
«Istituzione  dei  Tribunali amministrativi regionali»), stabiliscono
che  e'  sufficiente  l'avvenuta  dichiarazione  della  situazione di
emergenza,  «ai  sensi  dell'art. 5, comma 1, della legge 24 febbraio
1992,  n. 225»  (Istituzione  del Servizio nazionale della protezione
civile),  per  comportare  la devoluzione al Tribunale amministrativo
regionale  del Lazio della «impugnazione dei provvedimenti volti alla
cura   dei   medesimi   interessi,  idonei  a  produrre  le  medesime
conseguenze,   ed   eventualmente   a   comprimere  uguali  posizioni
soggettive».  Di  qui, pertanto, «la disparita' di trattamento che la
deroga  alle  ordinarie  regole di riparto delle competenze comporta,
per  la tutela giurisdizionale delle rispettive posizioni giuridiche,
tra  soggetti  in  situazioni  eguali»,  riservando,  difatti,  dette
disposizioni  un  trattamento  ingiustificatamente  differenziato  ai
«destinatari  delle ordinanze adottate dagli organi governativi o dai
commissari delegati, nelle situazioni di dichiarata emergenza, aventi
efficacia   limitata  al  territorio  di  una  regione,  rispetto  ai
destinatari  dei provvedimenti, aventi lo stesso ambito di efficacia,
adottati,  in  via ordinaria - in genere dagli organi esponenziali di
enti territoriali regionali o sub regionali».
    Ne'   tale   diversita'   di   regime  appare  giustificabile  in
considerazione  della  eventuale  maggiore  rilevanza  dell'interesse
sotteso   ai  provvedimenti  adottati  in  situazione  di  emergenza,
giacche'   «nel  nostro  sistema  non  esiste  una  distribuzione  di
competenza» basata su di un simile criterio, che sarebbe, inoltre, in
contrasto  con  l'art. 125  Cost.,  il quale pone i diversi tribunali
amministrativi regionali «su un piano paritario».
    Del  resto,  che  non  sia possibile giustificare su tali basi la
deroga  all'art. 3  della  legge  n. 1034 del 1971 sarebbe confermato
dallo  stesso  tenore letterale del censurato comma 2-bis dell'art. 3
del  decreto-legge  n. 245  del  2005, ai sensi del quale tale deroga
«riguarda  le  ordinanze  e  gli  atti  commissariali  adottati nelle
situazioni  di  emergenza»,  dichiarate  ai  sensi del citato art. 5,
comma 1,  della  legge  n. 225  del 1992, «ma non i provvedimenti che
tali situazioni dichiarino» e che, ove si riferiscano a situazione di
limitata  estensione  territoriale, come sovente accade, continuano a
rientrare  nella  ordinaria  competenza  del Tribunale amministrativo
della   Regione  in  cui  il  provvedimento  e'  destinato  ad  avere
incidenza.  Evenienza,  questa da ultimo descritta, che testimonia la
«irragionevolezza  del  disegno  complessivo» attuato dalle censurate
disposizioni.
    Cio'  premesso, il giudice rimettente dichiara di non ignorare la
sentenza  della Corte costituzionale n. 189 del 1992, che ha ritenuto
non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4
della  legge  12 aprile  1990, n. 74 (Modifica alle norme sul sistema
elettorale   e   sul  funzionamento  del  Consiglio  superiore  della
magistratura),  disposizione che, rammenta il rimettente, modificando
l'art. 17,  secondo  comma,  della legge 24 marzo 1958, n. 195 (Norme
sulla  Costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della
Magistratura),  attribuisce al Tribunale amministrativo regionale del
Lazio  «la  competenza  esclusiva  sull'impugnazione  degli  atti del
C.S.M.».  Invero, la deroga cosi' introdotta all'ordinario sistema di
riparto  della  competenza  tra  i tribunali amministrativi regionali
troverebbe la sua giustificazione nella «particolare posizione che il
Consiglio   Superiore   della  Magistratura  occupa  nell'ordinamento
costituzionale»,  oltre  che  nella  «peculiare  funzione  svolta dai
magistrati  ordinari» (cio' che rende questi ultimi «non assimilabili
o  comparabili  ad  altre  categorie  di  pubblici  dipendenti»), non
essendo  neppure  «secondario  rilevare»  -  sempre  a  giudizio  del
rimettente  -  che  il  foro  previsto  per i dipendenti pubblici dal
secondo  comma  dell'art. 3 della legge n. 1034 del 1971 «costituisce
una  deroga,  seppur  di carattere generale, alla prioritaria regola»
che   fa   dipendere   la   competenza   territoriale   del   giudice
amministrativo    dall'«ambito   di   efficacia   del   provvedimento
impugnato».
    Nel  caso in esame, invece, la scelta del legislatore «non appare
supportata   da   alcuna  plausibile  ragione,  dotata  di  copertura
costituzionale,  idonea  a  giustificare la disparita' di trattamento
che  indubbiamente  si viene ad operare tra situazioni eguali», donde
l'ipotizzata violazione dell'art. 3 della Carta fondamentale.
    Il  rimettente  ipotizza,  poi,  la violazione anche dell'art. 24
Cost.,  atteso  che  la  translatio  iudicii  in favore del Tribunale
amministrativo  regionale  del  Lazio  «indiscutibilmente comporta un
ingiustificato  aggravio  organizzativo  e  di  costi»  a  carico dei
soggetti  «incisi dai provvedimenti adottati dagli organi governativi
e  dai  commissari  nelle situazioni di emergenza dichiarate ai sensi
dell'art. 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225».
    Inoltre,    contravvenendo    all'esigenza   «del   decentramento
territoriale  della giurisdizione amministrativa», le norme censurate
si  porrebbero  in  contrasto anche con l'art. 125 Cost., che intende
garantire  una  distribuzione territoriale delle controversie tale da
agevolare  il  ricorso alla giustizia amministrativa, «in sostanziale
coerenza  e continuita' logica con i principi desumibili dall'art. 24
della  Costituzione».  Il  suddetto  parametro  costituzionale viene,
difatti,  svuotato di contenuto, «creando una sorta di gerarchia» tra
il   Tribunale   amministrativo  regionale  del  Lazio  e  gli  altri
Tribunali,   recando   un  vulnus  anche  al  principio  del  «giusto
processo»,  «quale desumibile dal testo novellato dell'art. 111 della
Costituzione».
    Infine,  il  rimettente  deduce  la violazione dell'art. 23 dello
statuto della Regione Siciliana.
    Infatti,  l'impugnativa  dei  «provvedimenti  adottati  da organi
dello  Stato  centrale,  nelle  situazioni di emergenza dichiarate ai
sensi dell'art. 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, con
efficacia  territoriale  limitata  alla  Regione  Siciliana»  rientra
certamente  tra  quegli «affari concernenti la Regione» che, ai sensi
della  predetta  disposizione  statutaria,  sono devoluti, in sede di
appello,  alla  competenza  del Consiglio di giustizia amministrativa
per  la  Regione  Siciliana.  Conseguentemente,  lo spostamento delle
controversie di primo grado al Tribunale amministrativo regionale del
Lazio,  comportando,  di  riflesso,  anche  il  mutamento del giudice
d'appello,  viene ad incidere sul «plesso giurisdizionale» costituito
dal  Tribunale amministrativo regionale della Sicilia e dal Consiglio
di  giustizia  amministrativa  per la Regione Siciliana, ritenuto «un
vero  e  proprio comparto dotato di competenza funzionale a conoscere
di   tutte  le  controversie  insorgenti  nell'ambito  territoriale».
Orbene,  la  deroga a tale competenza funzionale si pone in contrasto
con  il  predetto  parametro  costituzionale  allorche' risulti, come
nella  specie, «non assistita da adeguato supporto parimenti di rango
costituzionale».
    Un'autonoma  censura  e',  invece,  quella che investe «il regime
transitorio  previsto  dalle  disposizioni di legge in esame», atteso
che,  interessando  lo  spostamento  della  competenza - ai sensi, in
particolare,  del  comma 2-quater  del  censurato  art. 3  -  anche i
procedimenti  in  corso al momento dell'entrata in vigore delle norme
censurate,   risulterebbe   violato  l'art. 25  Cost.,  essendo  tali
controversie sottratte al «giudice naturale precostituito per legge».
    1.1.1.  -  E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  chiedendo  che  la  questione  sia dichiarata inammissibile e
comunque infondata.
    Assume,  in  particolare, la difesa erariale l'infondatezza della
censura  formulata  ai sensi dell'art. 3 Cost., sul presupposto della
(pretesa)    «irragionevole    disparita'   di   trattamento   (nella
individuazione     del     Tribunale     amministrativo     regionale
territorialmente   competente)  tra  provvedimenti  adottati  in  via
ordinaria  e  provvedimenti  emanati  in situazioni di emergenza», ai
sensi  dell'art. 5,  comma 1, della legge n. 225 del 1992, «attesa la
evidente  disomogeneita' tra le due situazioni poste a raffronto». La
difesa   dello   Stato,  difatti,  «giustifica  la  diversita'  della
contestata  disciplina»,  espressione di una scelta «non arbitraria»,
giacche'   assunta   in   funzione  della  ragionevole  «esigenza  di
concentrare  in  un  unico  giudice  di primo grado, anche nella fase
cautelare,  la  pronta  e  uniforme cognizione delle controversie» in
esame,  relative  a  provvedimenti  caratterizzati,  per loro natura,
dalla  finalita'  di  realizzare  «interventi  miranti a fronteggiare
situazioni emergenziali».
    L'Avvocatura  generale  dello Stato esclude, inoltre, l'esistenza
del  dedotto  contrasto  con  l'art. 24  Cost., atteso che il maggior
aggravio ed i piu' rilevanti costi destinati ad essere sopportati dai
destinatari  dei  provvedimenti  in  questione,  oltre  a  costituire
«conseguenze   di   mero  fatto»,  non  integrano  l'evenienza  della
impossibilita'  o dell'estrema difficolta' dell'esercizio del diritto
di  difesa,  idonea a concretare la violazione dell'evocato parametro
costituzionale.
    Ne',  d'altra  parte,  si potrebbe ipotizzare che le disposizioni
censurate violino l'art. 125 della Carta fondamentale, in quanto esso
«non  preclude  certamente  al legislatore statale di individuare non
irragionevolmente,   per  determinate  «categorie»  di  controversie,
particolari  criteri  di  riparto  della  competenza territoriale tra
giudici  di  primo grado», derogando a quelli di cui agli artt. 2 e 3
della legge n. 1034 del 1971.
    Analogamente,  e'  da  escludere anche il contrasto con l'art. 23
dello  statuto  regionale, che esprime «soltanto la necessita» che in
Sicilia  sia  istituita  «una  particolare  articolazione del giudice
amministrativo  di  secondo  grado»,  e  che  non  implica  anche  il
riconoscimento,   in  suo  favore,  di  una  generale  «competenza  a
conoscere ogni tipo di controversia», incluse quelle che - come nella
specie - «non hanno alcun rapporto con la materia regionale».
    La   difesa   erariale,   infine,   nega  che  il  comma 2-quater
dell'art. 3,  nella parte in cui estende la nuova disciplina anche ai
processi  in  corso,  violi il principio del giudice naturale, e cio'
non solo perche' la norma censurata fa in ogni caso (temporaneamente)
salva «l'efficacia dei provvedimenti cautelari eventualmente adottati
dal  giudice  gia'  competente»,  ma  soprattutto perche' la disposta
translatio  iudicii «non puo' intendersi come diretta alla arbitraria
successiva indicazione di un giudice diverso «appositamente istituito
per  quella controversia e per quelle parti, con una scelta idonea ad
essere orientata in vista di un determinato giudizio»», evenienza che
la  giurisprudenza  costituzionale  (e' citata la sentenza n. 460 del
1994)  individuerebbe  come  la sola idonea ad integrare il contrasto
con l'art. 25, primo comma, Cost.
    1.1.2. - Si e' costituita in giudizio la societa' Palermo energia
Ambiente s.c.p.a., parte controinteressata del giudizio principale.
    Dopo  aver rammentato, nei suoi tratti essenziali, lo svolgimento
del  giudizio a quo (ed il contenuto delle disposizioni censurate) la
predetta societa' ha svolto una serie di rilievi volti a confutare il
ragionamento  svolto,  nella  propria  ordinanza  di  rimessione, dal
giudice a quo.
    Evidenzia,   infatti,   quanto   all'ipotizzata   disparita'   di
trattamento  cui  darebbe  luogo la contestata disciplina, che le due
ipotesi  poste  a raffronto dal giudice rimettente «confrontabili non
sono»,  e  cio'  «per  un  divario dovuto ad un fattore decisivo». Ed
invero,  provvedimenti  del  tipo  di  quelli  oggetto  del  giudizio
principale non risultano emanati da autorita' locali (sicche', in tal
caso,  «la  vicenda  sarebbe  totalmente  ricondotta» a tale livello,
«quello  locale,  appunto»),  atteso  che  le  stesse,  invece, «sono
sostituite  da  un Commissario delegato»; conseguentemente i medesimi
provvedimenti costituiscono «nient'altro che la fase conclusiva di un
procedimento  che  e'  iniziato e proseguito, nei momenti salienti, a
livello governativo e ministeriale».
    Assume,  poi, che la contestata disciplina, lungi dal manifestare
quel  profilo  di  irragionevolezza denunciato dal rimettente, appare
del  tutto giustificata in ragione della «specificita» che connota le
fattispecie devolute all'esame del Tribunale amministrativo regionale
del Lazio.
    Del  resto,  che  cio'  possa essere sufficiente a consentire una
deroga   agli  ordinari  criteri  di  ripartizione  della  competenza
territoriale  tra  giudici amministrativi di primo grado risulterebbe
confermato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 189 del 1992,
laddove riconosce «al legislatore ampia discrezionalita' nell'operare
il  riparto  di  competenza tra organi giurisdizionali», purche' «nel
rispetto del principio di eguaglianza, e, segnatamente, del canone di
ragionevolezza».  Ne',  d'altra parte, la scelta compiuta dall'art. 3
del  decreto-legge  n. 245 del 2005 costituisce un unicum nel sistema
della  giustizia  amministrativa,  visto  che  numerose  disposizioni
legislative   hanno   scelto   di   concentrare  determinati  giudizi
esclusivamente presso un unico tribunale amministrativo regionale.
    Cio'  premesso  in  ordine  all'ipotizzata violazione dell'art. 3
Cost.,  quanto  alle  altre  censure  prospettate  dal rimettente, la
predetta  parte privata si riporta alle considerazioni espresse nella
gia'   piu'  volte  citata  sentenza  n. 189  del  1992  della  Corte
costituzionale. In particolare, tale pronuncia e' richiamata - quanto
al  dedotto  contrasto  con  l'art. 125  Cost.  - laddove afferma che
«l'attribuzione   della   competenza   al   Tribunale  amministrativo
regionale  del  Lazio,  anziche'  ai diversi tribunali amministrativi
regionali  dislocati  su tutto il territorio nazionale, non altera il
sistema  di  giustizia  amministrativa», essendo il Tribunale laziale
parte  di  un  complessivo  sistema  «che  consta  di numerosi gangli
periferici e di uno centrale».
    Analogamente,  sempre  alla  luce della decisione suddetta, viene
esclusa la violazione dell'art. 23 dello statuto regionale siciliano,
trattandosi   di  norma  che  «stabilisce  soltanto  che  gli  organi
giurisdizionali  centrali debbano avere in Sicilia le sezioni per gli
affari  concernenti  la  regione», dettando cosi' «una previsione che
non  implica  affatto  -  anzi esclude - la competenza a conoscere di
ogni  tipo  di  controversie, specie con riguardo a questioni che non
hanno   alcun  rapporto  con  la  materia  regionale».  Osservazione,
quest'ultima,  che  si  riconosce essere non del tutto «pertinente al
caso  in  esame»,  ma  che,  comunque,  non  esclude la rilevanza che
«l'interesse   governativo»   riveste   rispetto   alle   fattispecie
contemplate  dalla  censurata  disciplina,  rendendole  idonee - come
detto  -  ad  essere devolute alla cognizione esclusiva del Tribunale
amministrativo regionale del Lazio.
    1.2.  -  Anche  la  sezione  staccata  di  Catania  del Tribunale
amministrativo  regionale della Sicilia (r.o. 293 del 2006) censura -
in  riferimento  agli  artt. 24,  25,  111  e  125  Cost. - l'art. 3,
commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, del decreto-legge n. 245 del 2005.
    Premette  il  Tribunale  rimettente  di  essere  stato  investito
dell'impugnativa  proposta avverso ordinanza del Commissario delegato
per  l'emergenza  rifiuti  e  di  aver accolto l'istanza cautelare di
sospensione,  provvedendo  -  di seguito - a fissare udienza pubblica
per  la trattazione del merito, ai sensi dell'art. 23-bis della legge
n. 1034 del 1971. Proposto appello avverso il provvedimento cautelare
innanzi  al  Consiglio  di  giustizia  amministrativa  per la Regione
Siciliana,  il gravame e' stato dichiarato improcedibile per ritenuta
incompetenza  funzionale,  essendo  stati  inseriti,  nelle  more del
giudizio,  nel testo dell'art. 3 del decreto-legge n. 245 del 2005, i
predetti commi 2-bis, 2-ter e 2-quater.
    Ai  sensi, difatti, delle sopravvenute disposizioni la competenza
a decidere, anche quanto alla misura cautelare, di controversie quali
quella  oggetto  del  giudizio  principale spetta in via esclusiva al
Tribunale  amministrativo  regionale  del  Lazio,  con  obbligo per i
giudici  originariamente  aditi  di  rilevare  (anche  d'ufficio)  il
proprio  sopravvenuto  difetto  di  competenza, pronunciando all'uopo
sentenza  succintamente  motivata  ex art. 26 della legge n. 1034 del
1971.
    Il  rimettente, pertanto, investito del regolamento di competenza
proposto   (gia'   prima   della  sopravvenienza  delle  disposizioni
censurate)  da  uno  dei  controinteressati  intervenuto in giudizio,
reputa   rilevante   la   questione   di  legittimita'  dei  suddetti
commi 2-bis,  2-ter  e  2-quater,  osservando che «soltanto a seguito
della  declaratoria  di  illegittimita'  costituzionale» degli stessi
esso  potrebbe  pronunciarsi  sul  regolamento  di competenza e sulle
eccezioni  (segnatamente  di  tardivita'  del  mezzo)  formulate  dal
ricorrente.
    Richiama, sul punto, il «concetto ampio di rilevanza» al quale si
ispirerebbero «diverse decisioni della Corte costituzionale», citando
in particolare la sentenza n. 137 del 1983.
    In   ordine,   invece,  alla  non  manifesta  infondatezza  della
questione,   il   giudice   a  quo  ipotizza,  innanzitutto,  che  le
disposizioni   censurate   contrastino   con   l'art. 125  Cost.,  «e
segnatamente  con  il principio della articolazione su base regionale
degli  organi  statali  di  giustizia amministrativa di primo grado»,
principio  che «non ha ragione di subire deroghe nella materia di cui
trattasi,  in  cui le singole situazioni di emergenza», dichiarate ai
sensi  dell'art. 5,  comma 1,  della  legge  n. 225  del 1992, «hanno
rilievo spiccatamente locale».
    Deduce,  altresi',  la  violazione  dell'art. 24  Cost.,  «per la
evidente maggiore difficolta» di esercitare le relative azioni presso
il Tribunale amministrativo regionale del Lazio «piuttosto che presso
gli organi giurisdizionali localmente istituiti».
    Sul punto richiama, pur riconoscendo che «la fattispecie in esame
sia  diversa  da  quella oggetto della citata pronuncia», la sentenza
della  Corte  costituzionale  n. 123  del  1987. Questa, difatti, sul
presupposto  dell'accertata violazione del «valore costituzionale del
diritto  di  agire,  in quanto implicante il diritto del cittadino ad
ottenere  una  decisione  nel  merito  senza  onerose  reiterazioni»,
dichiaro'  l'illegittimita'  costituzionale  di  una disposizione che
imponeva  l'estinzione  ope  legis  di giudizi pendenti, in qualsiasi
stato  e  grado gli stessi si fossero trovati alla data di entrata in
vigore   della  norma  allora  denunciata.  In  modo  non  del  tutto
dissimile,  anche  le  norme  impugnate  impongono  a  chi abbia gia'
incardinato il giudizio, «ed addirittura abbia ottenuto una decisione
cautelare»,    di   «proseguire   altrove   la   propria   iniziativa
giudiziaria».
    Assume,  inoltre,  il rimettente «la violazione del principio del
giudice  naturale  precostituito  per legge, di cui all'art. 25 della
Costituzione», il quale esclude «che vi possa essere una designazione
tanto  da  parte del legislatore con norme singolari, che deroghino a
regole  generali,  quanto da altri soggetti, dopo che la controversia
sia  insorta»  (sentenza n. 393 del 2002), atteso che il rispetto del
citato  principio  esige  che «la regola di competenza sia prefissata
rispetto  all'insorgere  della  controversia»  (sentenza  n. 193  del
2003).
    La   dedotta  illegittimita'  connoterebbe,  in  particolare,  il
censurato  comma 2-quater,  che non solo estende le previsioni di cui
ai precedenti commi 2-bis e 2-ter del medesimo art. 3 (cioe' le norme
che   configurano  la  nuova  ipotesi  di  competenza  esclusiva  del
Tribunale  amministrativo  regionale del Lazio) ai processi pendenti,
«ma  addirittura  consente  una riforma dei provvedimenti assunti, in
sede cautelare, in tali giudizi».
    Infine,  il  rimettente  -  sul presupposto che «il principio del
doppio  grado di giudizio nella giustizia amministrativa, sia in sede
cautelare  sia  in  sede  di  merito», riceve garanzia costituzionale
dall'art. 125  della  Carta  fondamentale  (e'  citata, sul punto, la
sentenza  della  Corte  costituzionale  n. 8  del  1982)  - evidenzia
l'esistenza di un'ulteriore profilo di illegittimita' costituzionale.
    Le  norme censurate, difatti, contravvengono alla regola generale
applicabile  ad ogni giudizio, compreso quello cautelare, secondo cui
ad  una  sua  prima fase deve seguirne una d'appello, e non gia' «una
doppia pronuncia sulla stessa materia da parte di due diversi giudici
di primo grado». Tale evenienza, per contro, e' proprio quella che si
verifica nel caso di specie, con violazione del principio del «giusto
processo»  ex  art. 111  Cost.,  giacche'  la  parte  soccombente nel
giudizio  cautelare,  incardinato innanzi al giudice divenuto ex post
incompetente,  risulta  «fornita  di  uno  strumento  giurisdizionale
anomalo  e atipico», quale e' quello che le consente di rivolgere, al
Tribunale  amministrativo regionale del Lazio, la richiesta di revoca
o  modifica  del  provvedimento cautelare gia' adottato. In tal modo,
difatti,  si  realizza  «una evidente violazione del principio del ne
bis  in  idem, che, se pure non espressamente contemplato dalla Carta
costituzionale,  deve  ritenersi  corollario  del  medesimo  generale
principio del «giusto processo» teste' richiamato».
    1.2.1. - Anche nel presente giudizio e' intervenuto il Presidente
del   Consiglio  dei  ministri,  con  il  patrocinio  dell'Avvocatura
generale  dello Stato, proponendo osservazioni e conclusioni analoghe
a  quelle  formulate  nel giudizio che trae origine dall'ordinanza di
rimessione r.o. n. 129 del 2006.
    Avendo,  tuttavia,  la  sezione staccata di Catania del Tribunale
amministrativo regionale della Sicilia ipotizzato (sebbene solo nella
motivazione   della  propria  ordinanza  di  rimessione,  e  non  nel
dispositivo)  la  violazione  anche  dell'art. 111  Cost.,  la difesa
erariale  ha ritenuto necessario prendere posizione pure in relazione
a  tale censura. Ha, pertanto, osservato che il principio del «giusto
processo»  non  e'  certamente  violato  dal  potere, riconosciuto al
Tribunale  amministrativo  regionale,  «di  revocare o modificare (su
istanza dell'interessato) il provvedimento cautelare gia' assunto dal
giudice in origine competente».
    1.2.2.  -  Si  e'  costituito  in giudizio il comune di Paterno',
ricorrente  del  giudizio  principale, chiedendo l'accoglimento della
questione  sollevata  dal Tribunale rimettente e ripercorrendo l'iter
logico del ragionamento da questo svolto nel proprio provvedimento.
    1.2.3.  - Anche la societa' Sicilpower s.p.a., cointrointeressata
nel  processo  principale, si e' costituita in giudizio, chiedendo la
declaratoria   di   non   fondatezza  della  sollevata  questione  di
legittimita' costituzionale.
    Essa  sottolinea,  in  particolare,  il  «rilievo degli interessi
nazionali  e  generali  che  ineriscono  i provvedimenti» contemplati
dalle  censurate disposizioni, ritenendo, pertanto, che gli stessi, a
prescindere    dalla   loro   formale   imputazione   alle   gestioni
commissariali,   siano  «adottati  dalla  amministrazione  centrale»,
sebbene  essa  agisca  «per  il  tramite  di  propri  organi delegati
operanti  a  livello  locale»;  di  conseguenza,  la  questione  «non
afferisce  alla  sottrazione  al  Tribunale  amministrativo regionale
locale  (quello  della  Sicilia nel caso di specie) di una competenza
allo  stesso  attribuita  ex  lege»,  bensi'  attiene  «alla corretta
riconduzione  ad  un  unico, eguale e paritario organo giudiziario di
questioni aventi rilievo nazionale».
    Questi rilievi vengono invocati per escludere la fondatezza anche
del  dubbio  di  costituzionalita' prospettato ai sensi dell'art. 25,
primo comma, Cost.
    Tale  questione sarebbe, difatti, «erroneamente posta», in quanto
gia'  prima  dell'introduzione  dei  censurati  commi 2-bis,  2-ter e
2-quater,   dell'art. 3  «doveva  essere  individuato  quale  giudice
naturale  il  Tribunale amministrativo regionale del Lazio, in virtu'
della    provenienza    ministeriale   (ovvero   dell'amministrazione
governativa centrale) della figura del Commissario delegato».
    D'altra parte, anche a ritenere il contrario, e dunque escludendo
tale  competenza  «originaria» del Tribunale amministrativo regionale
del  Lazio,  cio'  non determinerebbe l'illegittimita', per contrasto
con  il citato art. 25, primo comma, Cost., della disposta translatio
iudicii,  non  esistendo  nella  giurisprudenza  costituzionale  - si
assume  -  «un chiaro ed univoco orientamento o principio che escluda
ex  se la possibilita' di una modifica del giudice naturale, anche in
corso di causa». In particolare, e' richiamata la sentenza n. 207 del
1987  (che  a  sua  volta  riprende  la precedente sentenza n. 72 del
1976),   secondo   cui  il  principio  del  giudice  naturale  «viene
rispettato  quando  la legge, sia pure con effetto anche sui processi
in  corso,  modifica in generale i presupposti o i criteri diretti ad
individuare   il   giudice   competente,  poiche'  in  tali  casi  lo
spostamento  di  competenza  non avviene in conseguenza di una deroga
alla   disciplina   generale,  che  sia  adottata  in  vista  di  una
determinata o di determinate controversie, ma per effetto di un nuovo
ordinamento  -  e,  dunque,  della  designazione  di un nuovo giudice
naturale  -  che il legislatore, nell'esercizio del suo insindacabile
potere di merito, sostituisce a quello vigente».
    1.2.4.  -  Si  e'  costituita  in  giudizio  anche  la  Provincia
Regionale  di  Catania  (anch'essa parte del giudizio principale), la
quale  -  oltre  a  ribadire,  in  via di sintesi, gli argomenti gia'
svolti  nell'ordinanza  di  rimessione  a  sostegno  della  sollevata
questione di legittimita' costituzionale - ipotizza anche l'esistenza
di  «una  violazione  del principio della separazione dei poteri», in
quanto,  «ove  mai le disposizioni in materia di riforma o revoca dei
provvedimenti  cautelari di primo grado dovessero imporre di fatto al
giudice  di  primo  grado  di  nuova  competenza  di intervenire» sui
medesimi   provvedimenti,   si   dovrebbe  concludere  che  «un  atto
legislativo   rifluirebbe  direttamente  sui  contenuti  di  un  atto
giurisdizionale».
    1.2.5.  - Si e' costituita in giudizio, peraltro oltre il termine
di  legge,  l'Associazione Legambiente, Comitato Regionale Siciliano,
insistendo   per   l'accoglimento   della   sollevata   questione  di
legittimita' costituzionale.
    1.3.-  Anche  il  Consiglio  di  giustizia  amministrativa per la
Regione  Siciliana  (r.o.  n. 336  del  2006)  ipotizza che l'art. 3,
commi 2-bis,  2-ter  (ma  limitatamente  all'inciso  secondo  cui  le
«questioni   di  cui  al  comma 2-bis  sono  rilevate  d'ufficio»)  e
2-quater,  del decreto-legge n. 245 del 2005, violi gli artt. 3, 24 e
125   Cost.   e  l'art. 23  dello  statuto  regionale,  prospettando,
subordinatamente,  l'illegittimita'  costituzionale  -  alla  stregua
degli  stessi  parametri  -  del solo comma 2-bis, limitatamente alle
parole  «e  dei consequenziali provvedimenti commissariali», ovvero -
in  via  ulteriormente  gradata  - unicamente del comma 2-quater, per
contrasto con gli artt. 24 e 25 della Carta fondamentale.
    Il  giudice  rimettente evidenzia di dover conoscere dell'appello
proposto avverso il provvedimento con cui il Tribunale amministrativo
regionale  della Sicilia ha disposto la sospensione di un'ordinanza e
degli  atti consequenziali adottati dal Sindaco del comune di Palermo
nella veste di Commissario delegato per l'attuazione degli interventi
volti  a  fronteggiare  l'emergenza  ambientale  determinatasi  nella
citta' nel settore del traffico e della mobilita'.
    Richiesto  dal comune di Palermo di dichiarare il proprio difetto
di  competenza,  il rimettente ha sollevato questione di legittimita'
costituzionale delle norme suddette.
    Il  giudice  a quo reputa, difatti, che le disposizioni censurate
violino,   innanzitutto,   l'art. 125   Cost.,   «che   prevede   una
organizzazione  su  base  regionale degli organi statali di giustizia
amministrativa  di primo grado», finalizzata non solo «a ripartire in
modo   razionale   e   equiordinato   l'organizzazione   dei  giudici
amministrativi  di  primo  grado»,  ma anche ad «agevolare il ricorso
delle  parti alla giustizia amministrativa, in coerenza e continuita'
logica con i principi desumibili dall'art. 24 della Costituzione».
    A queste esigenze risponde la disciplina, di cui agli artt. 2 e 3
della  legge  n. 1034  del 1971, che fissa i criteri di distribuzione
territoriale  della competenza tra i diversi tribunali amministrativi
regionali, disciplina certamente derogabile, a condizione, pero', che
la   deroga  sia  «sorretta  da  giustificazioni  logiche»,  giacche'
altrimenti  essa  sarebbe  destinata  a tradursi in un ingiustificato
«aggravio  per  l'attivita'  di  alcuni  Tribunali  e per l'attivita'
difensiva   delle   parti».  Cosi',  ad  esempio,  la  giurisprudenza
costituzionale  -  sottolinea  il  rimettente - ha ritenuto (sentenza
n. 189  del 1992) «compatibile con il dettato costituzionale l'art. 4
della  legge  12 aprile 1990, n. 74» (che devolve in via esclusiva al
Tribunale  amministrativo  regionale  del Lazio l'impugnativa di atti
del  Consiglio  superiore della Magistratura riguardanti i magistrati
ordinari),  giustificando,  tuttavia,  tale  norma derogatoria «avuto
riguardo  alla particolare posizione che il Consiglio Superiore della
Magistratura  occupa nell'ordinamento costituzionale», oltre che alla
«peculiare funzione svolta dai magistrati ordinari».
    Nessuna  valida  ragione giustificativa ricorrerebbe, invece, nel
caso  in  esame,  come  confermerebbe  anche  la  circostanza  che il
legislatore  del  2006  ha  inteso riferirsi a tutte le situazioni di
emergenza di cui all'art. 5, comma 1, delle legge n. 225 del 1992.
    Il  rimettente  ipotizza,  inoltre,  che  i  commi 2-bis, 2-ter e
2-quater  del  censurato art. 3 contrastino anche con l'art. 3 Cost.,
«sotto  il  profilo  della  disparita'  di  trattamento in situazioni
eguali  di  fronte  alla  tutela  giurisdizionale»,  e  che, inoltre,
configurino  per  la  parte  privata  «un  aggravio all'esercizio del
diritto  di  difesa»,  in  violazione  anche dell'art. 24 della Carta
fondamentale.
    Ulteriore  profilo  di illegittimita' costituzionale e' ravvisato
nel contrasto con l'art. 23 dello statuto regionale siciliano.
    Nel    premettere   che,   secondo   la   stessa   giurisprudenza
costituzionale,   il   «decentramento   territoriale   degli   organi
giurisdizionali  centrali,  sancito  in  via  di principio dal citato
art. 23, corrisponde ad un'antica tradizione siciliana e si ricollega
alla  singolarita'  dell'autonomia  siciliana» (e' citata la sentenza
n. 316  del 2004), e nell'evidenziare come tale peculiare condizione,
seppure  non  implichi  affatto  una  competenza  generale,  di  esso
Consiglio  di  giustizia  amministrativa per la Regione Siciliana, «a
conoscere  ogni tipo di controversie, specie con riguardo a questioni
che  non  hanno  alcun  rapporto  con la materia regionale» (sentenza
n. 189  del  1992),  il  rimettente  sottolinea  che,  nella  specie,
verrebbe,   invece,   in   rilievo   proprio   quella   condizione  -
l'impugnativa  «di  atti  di  esclusivo rilievo regionale» - idonea a
radicare  la  competenza  del «plesso giurisdizionale» costituito dal
Tribunale  amministrativo  regionale della Sicilia e dal Consiglio di
giustizia amministrativa per la Regione Siciliana. Orbene, venendo in
rilievo «un vero e proprio comparto dotato di competenza funzionale a
conoscere   di   tutte   le   controversie   insorgenti   nell'ambito
territoriale della Regione siciliana» (e destinate ad esaurirsi nello
stesso  ambito),  la  deroga a tale competenza, che non sia assistita
«da  adeguato  supporto  parimenti  di  rango  costituzionale»,  deve
ritenersi in contrasto con il richiamato parametro costituzionale.
    Conclusione,  questa, vieppiu' da ribadire, se si tiene conto che
secondo  la  giurisprudenza  costituzionale - si richiama la sentenza
n. 26  del  1961  -  «le  ordinanze  di necessita' non potrebbero mai
menomare  diritti  costituzionalmente  garantiti e neppure operare in
sostituzione della legge nei campi riservati al legislatore».
    Di   qui,  quindi,  la  richiesta  di  caducazione  dei  predetti
commi 2-bis,   2-ter   (limitatamente   all'inciso   secondo  cui  le
«questioni di cui al comma 2-bis sono rilevate d'ufficio») e 2-quater
dell'art. 3  del decreto-legge n. 245 del 2005, l'ablazione dei quali
dovrebbe,  dunque,  fare  salvo  solo  il  frammento  di disposizione
secondo   cui,   allorche'   innanzi  al  giudice  amministrativo  si
controverta   di   situazioni   di   emergenza  dichiarate  ai  sensi
dell'art. 5,  comma 1,  della  legge n. 225 del 1992, «il giudizio e'
definito    con    sentenza    succintamente    motivata   ai   sensi
dell'articolo 26  della  legge 6 dicembre 1971, n. 1034, e successive
modificazioni,   trovando   applicazione   i   commi 2   e   seguenti
dell'articolo 23-bis della stessa legge».
    I  medesimi  rilievi  varrebbero  a  maggior  ragione, secondo il
rimettente, ove si consideri il peculiare caso (al quale corrisponde,
si precisa, quello oggetto del giudizio principale) in cui il giudice
amministrativo  risulti  investito  dei «soli provvedimenti attuativi
commissariali»,  allorche'  questi  «abbiano  carattere (soggettivo e
oggettivo)  esclusivamente  locale». Difatti, «non venendo in rilievo
atti  di  organi  centrali»,  trattandosi invece di atti ad efficacia
territorialmente  circoscritta  alla  Regione,  risulta ulteriormente
rafforzata  la tesi che esclude l'esistenza di un nesso logico tra le
controversie  de  quibus  e  la  competenza  esclusiva  del Tribunale
amministrativo regionale del Lazio.
    Su tali basi, quindi, il rimettente solleva questione subordinata
di  legittimita' costituzionale - sempre in riferimento agli artt. 3,
24  e  125  Cost.  e  all'art. 23  dello statuto regionale - del solo
comma 2-bis  del  predetto  art. 3,  limitatamente alle parole «e dei
consequenziali provvedimenti commissariali».
    Infine,  ed in via ulteriormente gradata, il rimettente prospetta
un'ulteriore questione di costituzionalita' - ai sensi degli artt. 24
e  25  Cost.  - che investe il solo regime transitorio previsto dalla
censurata disciplina (e dunque unicamente il comma 2-quater).
    Esso, difatti, sarebbe «in contrasto con il principio del giudice
naturale   precostituito  per  legge  (art. 25,  primo  comma,  della
Costituzione),  in  base al quale la regola di competenza deve essere
prefissata   rispetto   all'insorgere   della   controversia»   (sono
richiamate  le  sentenze della Corte costituzionale n. 124 del 2005 e
n. 193  del  2003), principio operante anche rispetto alla competenza
territoriale (sentenza n. 41 del 2006).
    Infine, sarebbe violato anche «il principio della difesa (art. 24
Cost.)»,   giacche'   esso   implica   -  secondo  la  giurisprudenza
costituzionale  (e' citata la sentenza n. 123 del 1987) - «il diritto
del  cittadino  ad  ottenere  una  decisione  di merito senza onerose
reiterazioni»; nella specie, invece, si assiste ad una estinzione del
giudizio   originariamente   incardinato,  con  la  necessita'  della
riproposizione   del  ricorso  innanzi  al  Tribunale  amministrativo
regionale  del  Lazio,  «al quale vanno altresi' presentate eventuali
istanze  di  revoca  o  modifica delle misure cautelari in precedenza
disposte».
    1.3.1.  - Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato
e  difeso  dall'Avvocatura generale dello Stato, e' intervenuto anche
in  questo giudizio, ribadendo le stesse conclusioni e formulando gli
stessi  rilievi  gia' espressi nei giudizi che traggono origine dalle
ordinanze r.o. n. 129 e n. 293 del 2006.
    1.3.2.  -  Anche  la  societa'  Maggioli  s.p.a. - ricorrente del
giudizio  principale  -  e'  intervenuta  in giudizio per chiedere la
declaratoria   di   illegittimita'   costituzionale  delle  censurate
disposizioni   sulla  base  delle  medesime  considerazioni  espresse
nell'ordinanza  di  rimessione pronunciata dal Consiglio di giustizia
amministrativa per la Regione Siciliana.
    1.4.  -  Il  Tribunale  amministrativo regionale del Veneto (r.o.
n. 394  del  2006)  dubita  della  legittimita'  costituzionale delle
stesse  disposizioni, i commi 2-bis, 2-ter e 2-quater dell'art. 3 del
decreto-legge  n. 245  del  2005,  ipotizzando  la  violazione  degli
artt. 3, 24, 25, 111, 113 e 125 della Costituzione.
    Premette,  non  diversamente  dagli  altri giudici rimettenti, di
essere  chiamato  a  conoscere  dell'impugnativa  proposta avverso un
provvedimento (e i suoi atti consequenziali) adottato dal Commissario
delegato  per l'emergenza socio-economico ambientale della viabilita'
di Mestre, impugnativa che dovrebbe essere definita, proprio ai sensi
delle  censurate  disposizione,  mediante  una decisione che dichiari
«tout  court  improcedibile  il ricorso», ai sensi dell'art. 26 della
legge  n. 1034  del  1971.  Secondo  il  giudice  a  quo, difatti, la
sopravvenuta  disciplina,  dal  medesimo sospettata di illegittimita'
costituzionale  (ed  applicabile  «anche  ai processi in corso», come
prescritto,  in  particolare, dal censurato comma 2-quater), comporta
lo  spostamento di competenza, in favore del Tribunale amministrativo
regionale  del  Lazio,  di tutte le controversie, come quella oggetto
del  giudizio  principale, in cui si discuta della legittimita' delle
ordinanze  e  dei consequenziali provvedimenti commissariali adottati
in   «tutte»   le   «situazioni  di  emergenza  dichiarate  ai  sensi
dell'art. 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225».
    Tanto  osservato  in  via  preliminare,  circa la rilevanza della
sollevata  questione  di  legittimita'  costituzionale, quanto invece
alla  sua  non  manifesta  infondatezza,  assume il rimettente che le
disposizioni  censurate  siano  «in  contrasto  con  l'art. 125 della
Costituzione,  e  segnatamente  con  il principio del decentramento e
dell'articolazione   su   base  regionale  degli  organi  statali  di
giustizia amministrativa di primo grado», oltre che «col principio di
ragionevolezza desumibile dall'art. 3 Cost.».
    Ai   sensi,   infatti,   del   primo   dei  richiamati  parametri
costituzionali,  del  quale  costituirebbe  attuazione  il sistema di
riparto  delle  controversie  tra  i diversi tribunali amministrativi
regionali  delineato  dalla  legge  n. 1034  del  1971,  si  dovrebbe
ritenere  che  la sfera di competenza di questi ultimi sia oggetto di
garanzia   costituzionale,   non   suscettibile,  dunque,  di  deroga
allorquando  (come  nella specie) «le singole situazioni di emergenza
abbiano  rilievo  esclusivamente  locale».  Ne',  d'altra parte, tale
deroga  potrebbe  essere  giustificata «facendo ricorso all'argomento
che  il  tribunale  locale  sarebbe  troppo sensibile ed esposto alle
tensioni  che possono sorgere presso la popolazione locale, derivanti
dagli  eventi  emergenziali». A prescindere, infatti, dal rilievo che
la  soluzione  legislativa  della  translatio iudicii si presenta non
idonea  a  soddisfare  tale  esigenza  nell'ipotesi di «situazioni di
emergenza  riguardanti  la  Regione Lazio», e' evidente come siffatta
esigenza  potrebbe  essere  piu' adeguatamente soddisfatta attraverso
«rimedi,  di carattere non generale ed assoluto ma da applicarsi caso
per caso ed in relazione a situazioni contingenti», come, ad esempio,
accadrebbe  se  lo  spostamento  di  competenza  «fosse  concepito  e
disciplinato similmente alla fattispecie di rimessione del processo»,
previsto  dagli  artt. 45  e seguenti del codice di procedura penale.
Ne',  poi,  la  ratio  della disciplina censurata potrebbe ravvisarsi
nella  volonta'  «di  assicurare  un  sistema  piu'  «rafforzato»  di
protezione  civile»,  atteso  che  tale  obiettivo sembra essere gia'
efficacemente  garantito  dall'applicazione,  ai  processi de quibus,
delle  «norme  di  accelerazione» di cui agli artt. 23-bis e seguenti
della legge n. 1034 del 1971.
    Appare,  pertanto,  evidente che il sistema delineato dalle norme
in   contestazione   realizza   «un'asimmetria»   tra   il  tribunale
amministrativo  «centrale»  e  quelli  «periferici», dando vita ad un
sistema  di  distribuzione  delle  controversie  «che  va  ben  oltre
l'attuale  criterio di riparto delle competenze basato sull'efficacia
(regionale   o  ultraregionale)  dei  provvedimenti  delle  autorita'
centrali   dello   Stato»,   presentandosi,  cosi',  «irrazionale  ed
incompatibile con il dettato costituzionale dell'art. 125 Cost.».
    Ulteriori  profili  di irragionevolezza consisterebbero, poi, nel
fatto  che  «lo  spostamento  della  competenza  su questa materia e'
irrazionalmente  solo parziale», giacche' «riguarda le ordinanze ed i
consequenziali   provvedimenti   commissariali,   ma  non  i  decreti
governativi   che   dichiarano   lo  stato  di  emergenza»,  e  dalla
circostanza  che  il Tribunale amministrativo regionale del Lazio (ai
sensi  del  censurato  comma 2-quater) «non assume soltanto una nuova
competenza   funzionale   esclusiva   di   primo   grado,  ma  sembra
configurarsi  anche  come  vero  e  proprio  giudice di appello sulle
decisioni  cautelari di un tribunale periferico, potendo «modificare»
o  «revocare» le misure cautelari da questo concesse». Dubbi, infine,
sono  avanzati anche in relazione alla scelta di imporre la pronuncia
declinatoria  di  competenza  con  sentenza succintamente motivata ai
sensi  dell'art. 26  della  legge n. 1034 del 1971 (rientrando la sua
adozione,  invece,  nella discrezionalita' del giudicante), ovvero in
ordine alla permanenza dell'efficacia delle misure cautelari adottate
da  un  tribunale amministrativo regionale dichiaratosi incompetente,
allorche'  il  relativo  ricorso  non  venga  riproposto  innanzi  al
Tribunale del Lazio.
    Viene,  altresi',  ipotizzata la violazione dell'art. 25, secondo
comma,   Cost.,  in  relazione  sia  alla  scelta  di  applicare  «lo
spostamento  di  competenza  ai  processi  pendenti»  (derogando alla
regola  secondo  cui  la  competenza deve, invece, essere «prefissata
rispetto  all'insorgere  della controversia»), sia di consentire «una
riforma  dei  provvedimenti assunti in sede cautelare» dal giudice ab
origine adito.
    Inoltre,   il  «grave  disagio  ai  ricorrenti»,  determinato  da
entrambe  tali  evenienze,  competerebbe  anche «una violazione degli
artt. 24   e  113  della  Costituzione»,  e  cio'  «per  la  maggiore
difficolta'   e   i  maggiori  costi»  da  sopportare  da  parte  del
ricorrente, del quale, quindi, si riducono «le possibilita' di tutela
dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi».
    Infine,   si   ipotizza  che  la  «concentrazione»  di  tutte  le
controversie  de  quibus  presso lo stesso giudice «potrebbe influire
negativamente  sui tempi dei processi», in contrasto con il principio
della «durata ragionevole» (art. 111, primo comma Cost.).
    1.4.1.  - Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato
e  difeso  dall'Avvocatura generale dello Stato, e' intervenuto anche
in   questo   giudizio,   reiterando  quanto  affermato  nei  giudizi
instaurati  per  effetto delle ordinanze r.o. n. 129, n. 293 e n. 336
del 2006.
    1.4.2.  -  Anche  i  ricorrenti  del  giudizio principale si sono
costituiti  nel  presente  giudizio,  concludendo  affinche' la Corte
costituzionale   dichiari   l'illegittimita'   costituzionale   delle
censurate  disposizioni,  all'uopo  riproponendo gli stessi argomenti
gia'  dedotti  dal  Tribunale  amministrativo regionale del Veneto (e
dagli altri giudici a quibus summenzionati).
    1.4.3.  -  Si  e' costituita in giudizio anche la Regione Veneto,
parte  anch'essa  del  giudizio  a  quo, per chiedere la declaratoria
d'infondatezza    della    sollevata    questione   di   legittimita'
costituzionale.
    2.   -   Nell'imminenza  dell'udienza  pubblica  di  discussione,
l'Avvocatura  generale dello Stato ha deposito una ulteriore memoria,
ribadendo  le  ragioni a sostegno della richiesta declaratoria di non
fondatezza delle sollevate questioni di legittimita' costituzionale.
    2.1.  -  Anche  le  societa'  Palermo energia Ambiente s.c.p.a. e
Sicilpower, oltre al comune di Paterno' ed ai ricorrenti nel giudizio
pendente  innanzi  al  Tribunale amministrativo regionale del Veneto,
hanno  depositato  un'ulteriore  memoria,  ribadendo  le ragioni gia'
svolte  -  secondo  i  casi  -  a  sostegno  o  a  confutazione della
prospettata    illegittimita'    costituzionale    delle    censurate
disposizioni.
    3.  -  Infine,  anche  i Tribunali amministrativi regionali della
Campania,  sede  di  Napoli  (r.o. n. 43 del 2007), e della Calabria,
sede  di  Catanzaro (r.o. n. 178 del 2007), hanno sollevato questione
di  legittimita'  costituzionale,  in  relazione, nel complesso, agli
artt. 3,  24,  25,  111,  113  e  125  Cost., il primo unicamente del
comma 2-bis,   il  secondo  anche  del  comma 2-ter  dell'art. 3  del
decreto-legge n. 245 del 2005.
    3.1.  -  In  particolare,  il  rimettente campano (r.o. n. 43 del
2007)  premette, in fatto, di essere investito dell'impugnativa degli
atti  di  avvio  di  una  procedura espropriativa e di occupazione di
urgenza  adottati  sulla base di un accordo di programma stipulato il
28 ottobre  2005  tra la Regione Campania, la Provincia di Benevento,
il comune di Montesarchio e il Commissario di governo per l'emergenza
rifiuti  in  Campania,  accordo  relativo  alla  realizzazione di una
discarica  e  alla  riqualificazione ambientale dell'area «Tre Ponti»
del predetto comune di Montesarchio.
    Cio'   premesso,  e  non  senza  evidenziare  la  ricorrenza  dei
presupposti  per l'accoglimento della proposta domanda cautelare, ove
la  cognizione della controversia devoluta al suo esame non gli fosse
preclusa  (come eccepito dalla resistente Provincia di Benevento, che
assume  il  difetto di competenza dell'adito Tribunale amministrativo
regionale  della  Campania)  proprio  in forza di quanto disposto dal
predetto  art. 3,  comma 2-bis, del decreto-legge n. 245 del 2005, il
giudice  a  quo  reputa  di  dover sollevare, d'ufficio, questione di
legittimita'  costituzionale  di  tale disposizione per contrasto con
gli artt. 3, 24, 25, 113 e 125 Cost.
    Ipotizza,   innanzitutto,   che   la   norma   censurata  deroghi
ingiustificatamente  «al normale criterio di riparto della competenza
per  territorio  dinanzi  al  giudice  amministrativo  di primo grado
stabilito  dagli artt. 2 e 3 della legge n. 1034 del 1971», in quanto
le situazioni di emergenza, dichiarate ai sensi dell'art. 5, comma 1,
della legge n. 225 del 1992, «si caratterizzano nella quasi totalita'
dei  casi» (ed in particolare, «pacificamente», in quello oggetto del
giudizio  a  quo)  «per  essere  spazialmente delimitate», di talche'
anche   i  provvedimenti  emanati  nell'esercizio  dei  poteri  extra
ordinem,  conferiti  per fronteggiare tali situazioni, presentano «un
ambito di efficacia spaziale territorialmente delimitato a dimensione
infraregionale».
    Assume,  poi,  il  rimettente  che  tale  deroga  alla  ordinaria
disciplina  sulla competenza «si traduce in un aggravio significativo
nella  tutela del cittadino» (atteso che lo stesso, per effetto della
translatio  iudicii,  «si vede gravato di oneri economici e logistici
sicuramente  maggiori»  di  quelli  che deve normalmente affrontare),
ponendosi  anche  «come  una  differenziazione  limitativa del regime
ordinario di impugnabilita' degli atti» che «ridonda in disparita' di
trattamento», donde l'ipotizzata violazione anche degli artt. 113 e 3
della Costituzione.
    Inoltre,  la  censurata  disposizione violerebbe anche l'art. 25,
primo  comma,  Cost.,  sebbene  essa  «sembri obbedire formalmente al
criterio della precostituzione per legge del giudice competente».
    Difatti,   la   «generalizzazione  a  priori»  di  una  sorta  di
«legittima   suspicione   derogatoria   della  competenza  ordinaria»
finirebbe   per   alterare   «la   regola  fondamentale  del  diritto
processuale  per  cui  il  sospetto di condizionamento del giudice va
verificato  nel  singolo caso concreto come eccezione che conferma la
regola  di  competenza  territoriale»,  senza  poi  trascurare che la
formula  «giudice naturale precostituito per legge» non costituirebbe
«un'endiadi»,  rendendo,  dunque,  necessario «che la precostituzione
del  giudice  ad  opera  del  legislatore  avvenga nel rispetto di un
principio  di  naturalita', nel senso di razionale maggiore idoneita'
del giudice rispetto alla risoluzione di determinate controversie».
    L'evenienza  da  ultimo  descritta  non ricorrerebbe, invece, nel
caso  di  specie,  atteso  che la disciplina introdotta dal censurato
comma 2-bis   dell'art. 3  «non  e'  sorretta  da  alcuna  plausibile
giustificazione   logica,   ne'   tanto   meno  appare  diretta  alla
salvaguardia   di   valori   costituzionalmente   protetti   tali  da
giustificare  la  compressione  di  quelli,  sopra  enunciati, che ne
risultano   pregiudicati».   Per   contro,   il  ricorso  al  «metodo
dell'allontanamento  dal territorio delle controversie che in esso si
sono  generate»  -  seguito dalla censurata disposizione - si pone in
contrasto,  oltre  che con il principio del «giudice naturale», anche
con  l'art. 125  della  Carta  fondamentale,  «che esprime un profilo
attuativo   degli   art. 24   e  113  della  Costituzione  nel  senso
dell'apprestamento  di organi di giustizia amministrativa distribuiti
sul  territorio  secondo un criterio di vicinanza e di accessibilita'
per il cittadino».
    3.1.1. - Anche nel presente giudizio e' intervenuto il Presidente
del   Consiglio  dei  ministri,  con  il  patrocinio  dell'Avvocatura
generale  dello Stato, proponendo osservazioni e conclusioni analoghe
a  quelle  formulate nei giudizi che traggono origine dalle ordinanze
di rimessione r.o. n. 129, n. 293, n. 336 e n. 394 del 2006.
    3.2.  - Infine, anche il Tribunale amministrativo regionale della
Calabria,  sede  di  Catanzaro  (r.o. n. 178 del 2007), censura - con
riferimento agli artt. 3, 24, 111 e 125 Cost. - i commi 2-bis e 2-ter
del  predetto art. 3 del decreto-legge n. 245 del 2005, ipotizzandone
l'illegittimita'  nella parte in cui prevedono la competenza in primo
grado,  esclusiva  ed inderogabile, estesa anche ai giudizi in corso,
del  Tribunale  amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, sui
ricorsi   giurisdizionali   proposti   avverso   le  ordinanze  ed  i
provvedimenti  adottati  nell'ambito  delle  situazioni  di emergenza
dichiarate  ai  sensi  dell'art. 5,  comma 1, della legge 24 febbraio
1992, n. 225.
    Il Tribunale calabrese premette di essere chiamato a giudicare di
un ricorso proposto dal comune di Longobardi avverso l'ordinanza - ed
alcuni  atti  presupposti  -  con  cui  il  Commissario  delegato per
l'emergenza  ambientale  nel  territorio  della  Regione  Calabria ha
autorizzato  il  medesimo  ricorrente  «al  conferimento  dei rifiuti
solidi  urbani presso l'impianto tecnologico trattamento rifiuti sito
in localita' Bucita del comune di Rossano».
    Costituitosi  in  giudizio  il  predetto Commissario, ed eccepito
dallo  stesso  (ai  sensi delle censurate disposizioni) il difetto di
competenza   territoriale   dell'adito  Tribunale,  il  rimettente  -
chiamato   a   pronunciarsi   sull'istanza   cautelare  avanzata  dal
ricorrente  -  reputa  di  «dover esprimere dubbi di conformita' alle
norme  costituzionali  delle  norme  di  cui all'art. 3, commi 2-bis,
2-ter  e 2-quater» del decreto-legge n. 245 del 2005. In particolare,
il  giudice  a  quo evidenzia - quanto alla rilevanza della sollevata
questione   di   legittimita'   costituzionale  -  che,  proprio  «in
applicazione  di tali norme», esso dovrebbe «limitarsi a declinare la
propria competenza».
    Quanto,  poi,  alla  non  manifesta  infondatezza,  il rimettente
ipotizza,  innanzitutto,  la  violazione  dell'art. 3  Cost., «per la
disparita'  di  trattamento  che  la  deroga alle ordinarie regole di
riparto  delle  competenze  comporta,  per  la tutela giurisdizionale
delle  rispettive  situazioni  giuridiche, tra soggetti in situazioni
eguali»;   difatti,   risultano   assoggettati   ad   un  trattamento
differenziato  i  «destinatari  delle ordinanze adottate dagli organi
governativi o dai commissari delegati, nelle situazioni di dichiarata
emergenza,  eventi  efficacia limitata al territorio di una Regione»,
rispetto  ai  «destinatari dei provvedimenti, aventi lo stesso ambito
di  efficacia,  adottati,  in  via  ordinaria», e posti in essere, in
genere,  «dagli  organi esponenziali di enti territoriali regionali o
sub  regionali».  In  definitiva,  osserva  il  giudice a quo, mentre
l'impugnazione   dei   provvedimenti  adottati  nell'esercizio  delle
ordinarie   attribuzioni   rientra  nella  competenza  del  Tribunale
amministrativo   regionale   del  luogo  ove  i  provvedimenti  hanno
incidenza,  in caso di dichiarazione della situazione di emergenza ai
sensi   dell'art. 5,   comma 1,  della  legge  n. 225  del  1992,  la
cognizione a conoscere di quegli stessi provvedimenti, sebbene «volti
alla  cura  dei  medesimi  interessi»  e quindi «idonei a produrre le
medesime  conseguenze, ed eventualmente a comprimere uguali posizioni
soggettive», spetta al Tribunale amministrativo regionale del Lazio.
    Ne',  d'altra parte, tale diversita' potrebbe essere giustificata
«dalla   maggiore   o  minore  rilevanza  dell'interesse  sotteso  ai
provvedimenti» in questione, in quanto il nostro sistema di giustizia
amministrativa  non contempla una distribuzione di competenza tra gli
organi  giurisdizionali di primo grado fondata su un simile criterio,
che   sarebbe,   oltretutto,   «in   contrasto  con  le  disposizioni
costituzionali»  (segnatamente  con l'art. 125 Cost.) che li «pongono
su  un piano paritario». Inoltre, decisivo - nella stessa prospettiva
-  appare il rilievo che le situazioni di emergenza di cui all'art. 5
della legge n. 225 del 1992 «non si caratterizzano per il particolare
rilievo  dell'interesse  considerato», bensi' soltanto «per l'urgenza
di  provvedere».  Del resto, conclude sul punto il rimettente, che le
disposizioni  censurate  non  possano,  neppure  in  ipotesi, trovare
fondamento  nella pretesa maggiore rilevanza dell'interesse curato e'
conclusione  confermata dal fatto che il peculiare regime processuale
da  esse  previsto  riguarda  unicamente  le  ordinanze  e  gli  atti
commissariali   adottati   in  situazioni  emergenziali,  «ma  non  i
provvedimenti che tali situazioni di emergenza dichiarino»; cio' che,
pertanto,  rivela  anche l'irragionevolezza del «disegno complessivo»
realizzato dal legislatore.
    A giustificazione dello stesso - e quindi della deroga introdotta
all'ordinario  criterio  di riparto della competenza territoriale tra
tribunali  amministrativi  regionali previsto dagli artt. 2 e 3 della
legge  n. 1034  del  1971  -  neppure  potrebbero  invocarsi  ragioni
analoghe   a   quelle   valorizzate   dalla   sentenza   della  Corte
costituzionale n. 189 del 1992.
    La disciplina censurata, inoltre, violerebbe sia l'art. 24 Cost.,
in  ragione  dell'«ingiustificato aggravio organizzativo e di costi a
cui  debbono  andare  incontro  i  soggetti  incisi dai provvedimenti
impugnati»  a causa della prevista translatio iudicii, sia l'art. 125
della Carta fondamentale, che, «in sostanziale coerenza e continuita'
logica»   con  il  precedente  art. 24,  enuncia  il  principio  «del
decentramento  territoriale  della  giurisdizione amministrativa» con
riferimento a tutte le controversie scaturenti dalla contestazione di
atti  amministrativi  «destinati  ad  esaurire  i  propri effetti «in
loco»».  Senza  trascurare  che le censurate disposizioni creano «una
sorta  di  gerarchia tra i Tribunali territoriali», realizzando anche
un  non  irrilevante  «vulnus»  del  principio  generale  del «giusto
processo»,  quale  desumibile dal testo novellato dall'art. 111 della
Costituzione.
    Infine,  «e  per  inciso, in quanto la questione non ha rilevanza
nel   presente  giudizio»,  il  rimettente  evidenzia  che  anche  la
disposizione  di  cui  al  comma 2-quater del censurato art. 3, nella
parte  in cui estende la nuova disciplina anche ai processi in corso,
violerebbe   l'art. 25,   primo   comma,   Cost.,   «determinando  la
sottrazione  del  giudizio  al  "giudice  naturale  precostituito per
legge"».
    3.2.1. - Anche nel presente giudizio e' intervenuto il Presidente
del   Consiglio  dei  ministri,  con  il  patrocinio  dell'Avvocatura
generale  dello Stato, proponendo osservazioni e conclusioni analoghe
a  quelle  formulate nei giudizi che traggono origine dalle ordinanze
di  rimessione  r.o. n. 129, n. 293, n. 336 e n. 394 del 2006 e n. 43
del 2007.

                       Considerato in diritto

    1.  -  Vengono all'esame della Corte sei ordinanze di rimessione,
le  prime  quattro trattate nell'udienza pubblica del 22 maggio 2007,
le   altre   due  nella  camera  di  consiglio  del  23 maggio  2007,
rispettivamente  emesse  dal Tribunale amministrativo regionale della
Sicilia, sede di Palermo (r.o. n. 129 del 2006) e sezione staccata di
Catania   (r.o.   293   del   2006),   dal   Consiglio  di  giustizia
amministrativa  per la Regione Siciliana (r.o. n. 336 del 2006) e dai
Tribunali amministrativi regionali del Veneto (r.o. n. 394 del 2006),
della  Campania,  sede  di  Napoli  (r.o.  n. 43  del  2007)  e della
Calabria,  sede  di  Catanzaro  (r.o. n. 178 del 2007), relative alla
disciplina  processuale  recata  dall'art. 3,  commi 2-bis,  2-ter  e
2-quater,   del   decreto-legge   30 novembre  2005,  n. 245  (Misure
straordinarie  per  fronteggiare  l'emergenza nel settore dei rifiuti
nella     regione     Campania),     aggiunti    dalla    legge    di
conversione 27 gennaio 2006, n. 21.
    Tutti  i  rimettenti  dubitano,  innanzitutto, della legittimita'
costituzionale  del  comma 2-bis,  secondo  cui,  nelle situazioni di
emergenza  dichiarate  ai  sensi  dell'art. 5,  comma 1,  della legge
24 febbraio  1992,  n. 225  (Istituzione del Servizio nazionale della
protezione  civile),  «la competenza di primo grado a conoscere della
legittimita'   delle   ordinanze   adottate   e   dei  consequenziali
provvedimenti  commissariali  spetta  in  via  esclusiva,  anche  per
l'emanazione   di   misure  cautelari,  al  Tribunale  amministrativo
regionale del Lazio, con sede in Roma».
    Inoltre, quattro dei sei giudici a quibus - giacche' il Tribunale
amministrativo  regionale  della  Campania  (r.o.  n. 43  del 2007) e
quello  della  Calabria  (r.o.  n. 178  del 2007) limitano la propria
iniziativa  alla censura, l'uno, del solo comma 2-bis, l'altro, anche
del  successivo comma 2-ter - reputano costituzionalmente illegittima
la  restante  disciplina processuale introdotta dalla legge n. 21 del
2006.  In  base  ad essa, alla declaratoria del difetto di competenza
(comma  2-ter),  da  adottarsi  anche  «d'ufficio»  e  con  «sentenza
succintamente  motivata»  ex  art. 26  della  legge  6 dicembre 1971,
n. 1034  (Istituzione  dei  Tribunali  amministrativi  regionali), da
parte  di ogni Tribunale amministrativo regionale - diverso da quello
del  Lazio  con sede a Roma - che risulti investito della definizione
di   tali   controversie,   o   che   lo  fosse  gia'  stato,  stante
l'applicazione del sopravvenuto regime processuale «anche ai processi
in  corso»  (comma  2-quater),  segue  la  previsione  secondo cui la
«efficacia  delle  misure  cautelari  adottate»,  medio  tempore, dal
giudice  inizialmente adito «permane fino alla loro modifica o revoca
da  parte  del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con sede
in Roma, cui la parte interessata puo' riproporre il ricorso» (cosi',
nuovamente, il gia' citato comma 2-quater).
    Di  tali  disposizioni i giudici rimettenti - ciascuno nei limiti
anzidetti  - ipotizzano il contrasto, nel complesso, con gli artt. 3,
24,  25,  111, 113 e 125 della Costituzione e con l'art. 23 del regio
decreto   legislativo  15 maggio  1946,  n. 455  (Approvazione  dello
statuto    della   Regione   siciliana),   convertito   dalla   legge
costituzionale   26 febbraio  1948,  n. 2,  parametro,  quest'ultimo,
evocato   soltanto   dal  Tribunale  amministrativo  regionale  della
Sicilia, sede di Palermo, e dal Consiglio di giustizia amministrativa
per la Regione Siciliana.
    Il  rimettente  da  ultimo  menzionato, subordinatamente, solleva
anche  questione di legittimita' costituzionale del solo comma 2-bis,
limitatamente   alle   parole  «e  dei  consequenziali  provvedimenti
commissariali»,  mirando  a  conseguire  -  attraverso  una  parziale
declaratoria  d'illegittimita'  costituzionale  del  testo  normativo
censurato   -   un   intervento  della  Corte  che  sottragga  almeno
l'impugnativa  di  tali  atti  al  peculiare regime processuale sopra
delineato.   In  via  ulteriormente  gradata,  lo  stesso  rimettente
censura,  infine,  solo  il comma 2-quater, che regola - estendendoli
«anche   ai  processi  in  corso»  -  gli  effetti  transitori  della
sopravvenienza della nuova disciplina.
    2.  -  Cio'  premesso, in via preliminare deve essere disposta la
riunione  dei  giudizi,  atteso  che  la loro comunanza di oggetto ne
giustifica  l'unitaria  trattazione; deve, inoltre, essere dichiarata
la    tardivita'    dell'intervento    effettuato   dall'Associazione
Legambiente, Comitato Regionale Siciliano, parte di uno dei giudizi a
quibus (r.o. n. 293 del 2006).
    3.  -  La disamina delle varie questioni sollevate dai rimettenti
deve  essere  compiuta,  in primo luogo, con riferimento alle censure
che investono la nuova disciplina a regime prevista per l'impugnativa
delle  ordinanze  e  dei  provvedimenti  commissariali (distinguendo,
peraltro,   le   censure   formulate   in  base  a  parametri  tratti
direttamente  dalla Costituzione da quelle fondate sull'art. 23 dello
statuto   della   Regione   Siciliana),  e,  in  secondo  luogo,  con
riferimento al regime transitorio.
    Infine, oggetto di esame devono essere le questioni sollevate, in
via  subordinata,  dal  Consiglio  di giustizia amministrativa per la
Regione Siciliana (r.o. n. 336 del 2006), che investono - parimenti -
sia la disciplina a regime che quella transitoria.
    3.1.   -   Ai   fini   di   tale  complessiva  disamina,  occorre
necessariamente  fare  riferimento  all'ordinario  sistema di riparto
della  competenza  territoriale  tra  gli  organi  di primo grado del
sistema  della giustizia amministrativa, come delineato dagli artt. 2
e 3 della legge n. 1034 del 1971.
    E'  noto  che  la citata legge n. 1034 del 1971, nell'istituire i
Tribunali  amministrativi regionali, ha attribuito a ciascuno di essi
la  competenza  a decidere «sui ricorsi per incompetenza, per eccesso
di  potere  o  per violazione di legge» contro «atti e provvedimenti»
emessi  sia  «dagli  enti pubblici non territoriali aventi sede nella
circoscrizione   del   tribunale   amministrativo   regionale  e  che
esclusivamente   nei   limiti   della  medesima  esercitano  la  loro
attivita»,  sia  «dagli  enti  pubblici  territoriali  compresi nella
circoscrizione   del   tribunale  amministrativo  regionale»  (cosi',
rispettivamente, i numeri 2 e 3 della lettera b dell'art. 2).
    Il  successivo  art. 3,  in  relazione  agli  stessi  ricorsi che
investono  «atti  e  provvedimenti emessi dagli organi centrali dello
Stato  e degli enti pubblici a carattere ultraregionale», stabilisce,
quanto  all'impugnativa  degli  atti  «la  cui  efficacia e' limitata
territorialmente  alla  circoscrizione  del  tribunale amministrativo
regionale,  e  per quelli relativi a pubblici dipendenti in servizio,
alla  data  di  emissione  dell'atto, presso uffici aventi sede nella
circoscrizione   del  tribunale  amministrativo  regionale»,  che  la
competenza  spetti  al  «Tribunale amministrativo regionale medesimo»
(cosi',  in particolare, il secondo comma del predetto art. 3). Quale
norma  di  chiusura,  infine,  il successivo terzo comma dispone che,
negli  altri  casi,  «la  competenza,  per  gli  atti statali, e' del
tribunale  amministrativo  regionale  con  sede  a Roma; per gli atti
degli  enti  pubblici  a  carattere  ultraregionale  e' del tribunale
amministrativo regionale nella cui circoscrizione ha sede l'ente».
    3.2.  -  Su  questo sistema, tuttavia, si sono innestate numerose
disposizioni  legislative,  in  forza  delle  quali  la  competenza a
decidere  i  relativi ricorsi per determinati tipi di controversie e'
stata attribuita al Tribunale amministrativo regionale del Lazio.
    Viene  in  rilievo,  innanzitutto, l'art. 4 della legge 12 aprile
1990,  n. 74  (Modifica  alle  norme  sul  sistema  elettorale  e sul
funzionamento  del  Consiglio  superiore  della  magistratura),  che,
novellando il testo dell'art. 17, secondo comma, della legge 24 marzo
1958,  n. 195  (Norme  sulla  Costituzione  e  sul  funzionamento del
Consiglio  superiore  della  Magistratura), ha attribuito allo stesso
tribunale  «la  competenza esclusiva sull'impugnazione degli atti del
C.S.M.». Scelte analoghe sono state, poi, compiute dall'art. 33 della
legge  10 ottobre 1990, n. 287 (Norme per la tutela della concorrenza
e  del  mercato),  dall'art. 104,  comma 2,  del  decreto legislativo
1° settembre  1993,  n. 385  (Testo  unico  delle  leggi  in  materia
bancaria   e   creditizia),   dall'art. 2,   comma 25,   della  legge
14 novembre  1995,  n. 481 (Norme per la concorrenza e la regolazione
dei  servizi  di  pubblica  utilita'.  Istituzione delle Autorita' di
regolazione  dei  servizi di pubblica utilita), disposizione, questa,
che devolve la competenza a giudicare l'impugnativa dei provvedimenti
adottati  dalle  Autorita'  di  regolazione  dei  servizi di pubblica
utilita',   al   «Tribunale  amministrativo  regionale  ove  ha  sede
l'Autorita»,  dall'art. 1,  comma 26,  della  legge  31 luglio  1997,
n. 249    (Istituzione   dell'Autorita'   per   le   garanzie   nelle
comunicazioni   e   norme   sui  sistemi  delle  telecomunicazioni  e
radiotelevisivo),  dall'art. 13,  comma 11,  del  decreto legislativo
25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la
disciplina   dell'immigrazione   e   norme   sulla  condizione  dello
straniero),   nonche',   da  ultimo,  dall'art. 3  del  decreto-legge
19 agosto  2003, n. 220 (Disposizioni urgenti in materia di giustizia
sportiva),  convertito,  con  modificazioni,  dalla  legge 17 ottobre
2003,  n. 80  e  dall'art. 9  del decreto legislativo 1° agosto 2003,
n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche).
    4.  -  In questo solco si inserisce la disciplina a regime recata
dalle  censurate  disposizioni e segnatamente dai commi 2-bis e 2-ter
dell'art. 3  del decreto-legge n. 245 del 2005 della cui legittimita'
costituzionale   dubitano   i   giudici  rimettenti,  deducendone  il
contrasto, innanzitutto, con gli artt. 3 (parametro non evocato nella
sola ordinanza r.o. n. 293 del 2006) e 125 della Costituzione.
    E',  comunque,  opportuno  precisare  che  i citati commi 2-bis e
2-ter,  al  pari  del  successivo  comma 2-quater,  seppure  inseriti
formalmente  in  un  articolo  del  decreto-legge  n. 245  del  2005,
sull'emergenza  rifiuti  della  regione  Campania,  debbono ritenersi
dettati  per  tutte  le  situazioni di emergenza in qualunque Regione
esse  si manifestino, come risulta anche dai lavori preparatori della
legge  di  conversione  n. 21  del  2006  (in particolare, dal parere
espresso dal Comitato per la legislazione della Camera dei deputati).
    4.1. - Proprio dalle riportate censure - sostanzialmente comuni a
tutte le ordinanze di rimessione - e' necessario prendere le mosse ai
fini del sollecitato scrutinio di costituzionalita'.
    4.1.1.   La   violazione  dell'art. 3  Cost.  viene  prospettata,
innanzitutto,  sotto il profilo della «disparita' di trattamento» che
deriverebbe dal contestato regime processuale.
    Al  riguardo,  viene denunciata - in primo luogo - la «disparita'
di  trattamento  che la deroga alle ordinarie regole di riparto delle
competenze  comporta,  per la tutela giurisdizionale delle rispettive
posizioni giuridiche, tra soggetti in situazioni eguali», giacche' le
disposizioni      censurate     riserverebbero     un     trattamento
ingiustificatamente  differenziato  ai  «destinatari  delle ordinanze
adottate  dagli  organi  governativi o dai commissari delegati, nelle
situazioni  di  dichiarata  emergenza,  aventi  efficacia limitata al
territorio  di una Regione, rispetto ai destinatari dei provvedimenti
aventi lo stesso ambito di efficacia, adottati, in via ordinaria - in
genere dagli organi esponenziali di enti territoriali regionali o sub
regionali» (cosi', in particolare, r.o. n. 129 del 2006, nonche' r.o.
n. 178 del 2007). In sostanza, si pone in luce che, se di regola quei
provvedimenti  sono  impugnati  innanzi  al  Tribunale amministrativo
regionale  con  sede  nel  luogo  in  cui  essi  esplicano la propria
efficacia,  ove,  invece, la loro adozione avvenga (sulla base di una
situazione  di  emergenza  ex art. 5, comma 1, della legge n. 225 del
1992)  ad  opera  degli  organi governativi o dei commissari all'uopo
nominati,  la  loro impugnazione - sebbene questi provvedimenti siano
comunque  «volti  alla cura dei medesimi interessi, idonei a produrre
le   medesime  conseguenze,  ed  eventualmente  a  comprimere  eguali
posizioni  soggettive»  (cosi',  nuovamente,  r.o. n. 129 del 2006) -
risulta    devoluta   alla   competenza   esclusiva   del   Tribunale
amministrativo del Lazio, sede di Roma.
    In  secondo  luogo,  si  stigmatizza  che  «lo  spostamento della
competenza»,  operato dalle norme censurate, sarebbe «irrazionalmente
solo   parziale»,   giacche'   riguarderebbe   «le   ordinanze  ed  i
consequenziali   provvedimenti   commissariali,   ma  non  i  decreti
governativi  che  dichiarano  lo stato di emergenza» (r.o. n. 394 del
2006; in senso sostanzialmente conforme anche r.o. n. 129 del 2006).
    Infine,  si denuncia l'irragionevolezza della scelta compiuta dal
legislatore anche sotto ulteriori profili.
    Si  osserva,  infatti,  che  - ove si ritenesse di individuare la
ratio  legis  «facendo  ricorso all'argomento che il tribunale locale
sarebbe troppo sensibile ed esposto alle tensioni che possono sorgere
presso  la popolazione locale, derivanti dagli eventi emergenziali» -
si  dovrebbe  riconoscere  la  necessita' di soddisfare tale esigenza
attraverso  la  previsione  di  «rimedi  di carattere non generale ed
assoluto»,  bensi'  con  soluzioni «da applicarsi caso per caso ed in
relazione  a situazioni contingenti», come, ad esempio, accadrebbe se
lo   spostamento   di  competenza  «fosse  concepito  e  disciplinato
similmente  alla fattispecie di rimessione del processo» penale (r.o.
n. 394 del 2006).
    Si sottolinea, poi, che la scelta di derogare al normale criterio
di  riparto  della  competenza  per  territorio  innanzi  al  giudice
amministrativo di primo grado stabilito dagli artt. 2 e 3 della legge
n. 1034  del  1971,  sarebbe  del  tutto ingiustificata, in quanto le
situazioni  di  emergenza,  dichiarate ai sensi dell'art. 5, comma 1,
della  legge n. 225 del 1992, si caratterizzano nella quasi totalita'
dei casi per essere territorialmente delimitate.
    Infine,  il  Tribunale  amministrativo regionale del Veneto (r.o.
n. 394  del  2006)  individua  ulteriori  profili di irragionevolezza
intrinseca   della   censurata   disciplina,  ponendo  in  rilevo  la
circostanza  che  il Tribunale amministrativo regionale del Lazio (ai
sensi  del  censurato  comma 2-quater) «non assume soltanto una nuova
competenza   funzionale   esclusiva   di   primo   grado,  ma  sembra
configurarsi  anche  come  vero  e  proprio  giudice di appello sulle
decisioni  cautelari di un tribunale periferico, potendo «modificare»
o «revocare» le misure cautelari da questo concesse».
    A  tale  censura,  il  Tribunale del Veneto aggiunge un'ulteriore
questione  di legittimita' costituzionale ai sensi dell'art. 3 Cost.,
contestando   la   scelta  legislativa  di  imporre,  alla  pronuncia
declinatoria  della competenza, la forma della sentenza succintamente
motivata  ex  art. 26  della  legge n. 1034 del 1971 (giacche' la sua
adozione   rientra,  invece,  nella  discrezionalita'  del  giudice),
disponendo,  inoltre, la contemporanea applicazione dei commi secondo
e  seguenti  dell'art. 23-bis  della stessa legge, «che riguardano un
diverso e piu' complesso modo di procedere in giudizio».
    4.1.2. - Ai suddetti rilievi si affianca la censura di violazione
dell'art. 125  della Costituzione, articolata sulla base di ulteriori
argomenti.
    Si deduce, infatti, che le norme censurate contravverrebbero alla
«articolazione  su  base  regionale degli organi statali di giustizia
amministrativa di primo grado», regola che - enunciata per «agevolare
il  ricorso  delle parti alla giustizia amministrativa, in coerenza e
continuita'  logica  con  i  principi  desumibili  dall'art. 24 della
Costituzione»  (r.o.  n. 336 del 2006), nonche' dallo stesso art. 113
della   Carta   fondamentale,   che   esige  una  distribuzione,  sul
territorio,  degli  organi  di  giustizia  amministrativa «secondo un
criterio  di  vicinanza  e  di accessibilita' per il cittadino» (r.o.
n. 178 del 2007) - «non ha ragione di subire deroghe nella materia di
cui  trattasi,  in cui le singole situazioni di emergenza» presentano
«rilievo  spiccatamente  locale»  (r.o.  n. 293  del  2006), venendo,
difatti,  in evidenza l'impugnativa di atti amministrativi «destinati
ad  esaurire  i  propri  effetti "in loco"» (r.o. n. 43 del 2007). La
disciplina   contestata,  dunque,  darebbe  vita  ad  un  sistema  di
distribuzione delle controversie «che va ben oltre l'attuale criterio
di  riparto  delle  competenze  basato  sull'efficacia  (regionale  o
ultraregionale)  dei  provvedimenti  delle  autorita'  centrali dello
Stato»  (r.o.  n. 394  del  2006),  in  forza  di  un sistema che non
potrebbe   essere   neppure  giustificato  in  considerazione  «della
eventuale  maggiore rilevanza dell'interesse sotteso ai provvedimenti
adottati»,  poiche'  esso  violerebbe il principio secondo il quale i
diversi  Tribunali  amministrativi  regionali sono posti «su un piano
paritario» (r.o. n. 129 del 2006).
    5.  -  Cosi' precisato l'insieme delle censure formulate ai sensi
degli  artt. 3  e  125  della  Costituzione, le relative questioni di
costituzionalita' non sono fondate.
    5.1.  -  Deve  premettersi che si presenta priva di fondamento la
censura  di  violazione  dell'art. 3  Cost.,  formulata  ipotizzando,
innanzitutto,  la  disparita' di trattamento tra i «destinatari delle
ordinanze   adottate   dagli  organi  governativi  o  dai  commissari
delegati,  nelle situazioni di dichiarata emergenza, aventi efficacia
limitata  al  territorio  di una Regione, rispetto ai destinatari dei
provvedimenti  aventi  lo  stesso  ambito di efficacia, adottati - in
genere  -  dagli organi esponenziali di enti territoriali regionali o
sub regionali».
    Difatti,  proprio  l'avvenuta  dichiarazione  della situazione di
emergenza,   ex   art. 5,  comma 1,  della  legge  n. 225  del  1992,
costituisce  l'elemento  caratterizzante la fattispecie oggetto della
censurata  disciplina, impedendo, cosi', di ravvisare quel profilo di
omogeneita'  tra  tale  ipotesi e quella - con cui essa viene posta a
confronto  -  dell'ordinario  esercizio  dei  poteri  amministrativi;
profilo  che  rappresenta,  invece,  il presupposto indispensabile ai
fini della loro valutazione comparativa.
    E    deve    anche    osservarsi    -   ad   ulteriore   conferma
dell'eterogeneita' delle fattispecie che si pretenderebbe, viceversa,
di  porre  a confronto - che, indipendentemente dal loro (piu' o meno
delimitato)  ambito  territoriale di efficacia, i provvedimenti posti
in  essere  dai  commissari  delegati  sono atti dell'amministrazione
centrale  dello  Stato  (in  quanto emessi da organi che operano come
longa  manus  del  Governo)  finalizzati  a  soddisfare interessi che
trascendono  quelli  delle  comunita'  locali coinvolte dalle singole
situazioni  di  emergenza,  e  cio'  in ragione tanto della rilevanza
delle  stesse, quanto della straordinarieta' dei poteri necessari per
farvi fronte.
    Difatti,  la  dichiarazione  della  situazione  di emergenza - ai
sensi  del  citato  art. 5, comma 1, della legge n. 225 del 1992 - ha
quale  suo  presupposto il verificarsi di taluno degli eventi «di cui
all'articolo 2,  comma 1, lettera c)», della medesima legge, e cioe',
non   quelli   «naturali   o   connessi  con  l'attivita'  dell'uomo»
suscettibili  di  «essere  fronteggiati mediante interventi attuabili
dai  singoli  enti  e amministrazioni competenti in via ordinaria» (o
attraverso  un  coordinamento  degli  stessi), bensi' solo «calamita'
naturali,   catastrofi   o   altri  eventi  che,  per  intensita'  ed
estensione,   debbono   essere   fronteggiati   con  mezzi  e  poteri
straordinari».  Circostanza, questa, che - come si vedra' piu' avanti
- assume rilievo decisivo anche nella valutazione, della quale questa
Corte pure risulta essere investita dai giudici rimettenti, in ordine
alla   intrinseca   ragionevolezza   della   complessiva   disciplina
processuale introdotta dalle censurate disposizioni.
    5.2.  -  La violazione del medesimo art. 3 della Costituzione non
puo'  essere  ravvisata nemmeno per il carattere (asseritamente) solo
parziale  della competenza del Tribunale amministrativo regionale del
Lazio,  e cioe' per il fatto che essa riguarderebbe le ordinanze ed i
consequenziali  provvedimenti  commissariali,  ma non anche i decreti
governativi che dichiarano lo stato di emergenza.
    Al riguardo, va innanzitutto rilevato che i giudici rimettenti, i
quali  suggeriscono  tale  lettura delle norme censurate, non si sono
posti  alla  ricerca  di  una  differente interpretazione che - sulla
base,  peraltro,  della  semplice  lettera  della norma - consenta di
ritenere   sottoposta   alla   competenza  di  quel  Tribunale  anche
l'impugnativa   dei   provvedimenti   dichiarativi   dello  stato  di
emergenza,  qualunque  sia  il loro ambito territoriale di efficacia,
attesa, tra l'altro, la loro natura di atti presupposti.
    5.3.   -   Quanto,   invece,  alle  censure,  pure  proposte  con
riferimento  all'art. 3  Cost.,  ma  sotto  il profilo del difetto di
ragionevolezza,  preliminarmente  ad  ogni altro rilievo questa Corte
deve ribadire quanto gia' in passato ripetutamente affermato, e cioe'
che  spetta  «al  legislatore  un'ampia  potesta' discrezionale nella
conformazione  degli  istituti processuali, col solo limite della non
irrazionale  predisposizione  di strumenti di tutela, pur se tra loro
differenziati»  (cosi',  da  ultimo,  la  sentenza  n. 341 del 2006);
discrezionalita'   di   cui   il  legislatore  fruisce  anche  «nella
disciplina  della  competenza» (cosi', nuovamente, la citata sentenza
n. 341  del  2006  e,  nello  stesso  senso,  tra  le tante, anche la
sentenza n. 206 del 2004).
    5.3.1.   -   Cio'  premesso,  e'  innegabile  che  la  contestata
disciplina   -   tanto  in  ragione  del  suo  carattere  derogatorio
dell'ordinario sistema (delineato dagli artt. 2 e 3 della gia' citata
legge  n. 1034  del  1971)  di  ripartizione  della  competenza tra i
diversi  organi  di  primo  grado della giurisdizione amministrativa,
quanto per il fatto di costituire solo l'ultimo esempio, in ordine di
tempo,  di  una  serie  di  ripetuti interventi legislativi che hanno
concentrato  presso il Tribunale amministrativo romano interi settori
del  contenzioso  nei  confronti  della pubblica amministrazione - fa
sorgere  un delicato problema di rapporto con l'articolazione su base
regionale,    ex   art. 125   Cost.,   del   sistema   di   giustizia
amministrativa.  Di  qui,  la  necessita'  di un criterio rigoroso in
ordine  alla  verifica  della  non  manifesta  irragionevolezza della
disciplina processuale in esame.
    Sotto   questo   profilo,   piu'  che  nell'«esigenza  largamente
avvertita circa l'uniformita' della giurisprudenza fin dalle pronunce
di  primo  grado» (che questa Corte, con la sentenza n. 189 del 1992,
reputo'   di   individuare  -  unitamente  alla  peculiare  posizione
costituzionale  del  Consiglio  superiore  della magistratura - quale
motivo  idoneo  a  giustificare  la  prima, in ordine di tempo, delle
deroghe   introdotte   dal   legislatore   all'ordinario  sistema  di
ripartizione  della competenza tra i diversi tribunali amministrativi
regionali),  la  disciplina processuale a regime cui ha dato vita, in
particolare,  il  comma 2-bis  del  contestato  art. 3,  trova la sua
ragion  d'essere  proprio  nella straordinarieta' delle situazioni di
emergenza  (e  nella  eccezionalita'  dei poteri occorrenti per farvi
fronte)   che   costituiscono   il   presupposto   dei  provvedimenti
amministrativi,  l'impugnativa  dei quali forma l'oggetto dei giudizi
devoluti  alla  competenza  esclusiva  del  Tribunale  amministrativo
regionale del Lazio.
    In questa prospettiva, pertanto, deve essere ribadito quanto gia'
affermato   dalla   giurisprudenza   costituzionale,   cioe'  che  le
situazioni  di  emergenza,  prese in considerazione dall'art. 5 della
legge  n. 225  del  1992, consentono l'esercizio di poteri derogatori
della  normativa primaria solo a condizione che si tratti «di deroghe
temporalmente  delimitate,  non  anche  di  abrogazione o modifica di
norme  vigenti»  (ex  multis, sentenza n. 127 del 1995), e sempre che
tali  poteri  «siano  ben  definiti  nel  contenuto, nei tempi, nelle
modalita'  di  esercizio» (sentenza n. 418 del 1992), non potendo, in
particolare,  il  loro impiego realizzarsi «senza che sia specificato
il  nesso  di  strumentalita' tra lo stato di emergenza e le norme di
cui  si  consente  la  temporanea sospensione» (cosi', nuovamente, la
sentenza n. 127 del 1995).
    E',  dunque,  nel  peculiare  regime che connota le situazioni di
emergenza  -  e  particolarmente  quelle  di  cui alla lettera c) del
comma 1 dell'art. 2 della legge n. 225 del 1992 - che deve essere, in
definitiva,  ricercata  la ratio che ispira la disciplina processuale
in esame.
    Se  e' vero, infatti, che costituisce una precipua competenza del
Governo  -  come  ribadito  da questa Corte nella sentenza n. 284 del
2006  - quella di «disciplinare gli eventi di natura straordinaria di
cui   al   citato   art. 2,  comma 1,  lettera c)»  (tale  competenza
sostanziandosi,  propriamente, nel potere del Governo di deliberare e
revocare  lo  stato di emergenza, determinandone durata ed estensione
territoriale  in  stretto  riferimento  alla  qualita' ed alla natura
degli  eventi),  decisiva  appare la constatazione «che tali funzioni
hanno   rilievo   nazionale,  data  la  sussistenza  di  esigenze  di
unitarieta', coordinamento e direzione».
    Analogo rilievo, pertanto, contraddistingue anche i provvedimenti
attraverso  i quali le gestioni commissariali - data la gia' rilevata
loro  natura di longa manus del Governo - pongono in essere le misure
idonee  a fronteggiare le situazioni di emergenza, sicche' e' proprio
il  carattere  ultraregionale  delle  stesse  - indipendentemente dal
rispettivo   ambito   geografico  d'incidenza  -  a  giustificare  la
concentrazione   del   relativo   contenzioso   presso  il  Tribunale
amministrativo regionale del Lazio.
    Alla  luce  delle  considerazioni  che  precedono  deve,  quindi,
ritenersi  che  ci  si trovi, nella specie, di fronte ad un esercizio
non  manifestamente irragionevole della discrezionalita' legislativa,
cio' che esclude la possibilita' di ravvisare la paventata violazione
dell'art. 3 della Costituzione.
    5.3.2. - Questa conclusione deve essere vieppiu' confermata anche
in  relazione  alla  censura  specificamente  sollevata dal Tribunale
amministrativo  regionale  del Veneto, in riferimento alla scelta del
legislatore di richiamare il peculiare regime processuale di cui agli
artt. 23-bis e 26 della legge n. 1034 del 1971.
    A prescindere, difatti, dalla circostanza - che potrebbe rilevare
sotto  il  profilo del difetto di ammissibilita', in parte qua, della
sollevata  questione  -  che  e'  dubbio  se  entrambe le norme sopra
indicate   trovino   effettivamente  applicazione  sia  nel  processo
radicatosi  innanzi  al giudice territorialmente incompetente, sia in
quello  destinato ad incardinarsi innanzi al Tribunale amministrativo
regionale  del  Lazio,  deve  ribadirsi  come  la previsione di forme
celeri per la definizione delle controversie amministrative non possa
considerarsi,  di  per se', costituzionalmente illegittima, alla luce
delle peculiarita' che connotano le fattispecie in esame.
    Questa  Corte, difatti, in passato ha affermato - con riferimento
a norme relative alla riduzione dei termini - che «l'ordinamento gia'
conosce  numerose  leggi  che,  avvertendo  l'esigenza  di una rapida
definizione  del  giudizio,  in  particolari e delicate materie, e di
tempestiva   salvaguardia   dei  relativi  interessi  (individuali  e
collettivi)  coinvolti, [...] prevedono la riduzione a meta' di tutti
i  termini  processuali»,  ed  ha,  pertanto, ritenuto che una scelta
legislativa  siffatta - come, piu' in generale, tutte quelle a favore
di  modalita' celeri di definizione del giudizio amministrativo - non
siano  incompatibili con il dettato costituzionale quando, come nella
specie,  venga  assicurato il «rispetto di alcuni valori processuali,
tra  cui,  in  primo  luogo,  l'integrita'  del  contraddittorio e la
completezza  e  sufficienza  del  quadro  probatorio  ai  fini  della
sentenza da adottare» (sentenza n. 427 del 1999).
    5.4.  -  Del  pari  non  fondata  e'  la  censura  di  violazione
dell'art. 125 Cost.
    Giova,   in   proposito,   ribadire   che  «l'attribuzione  della
competenza  al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, anziche'
ai  diversi  Tribunali amministrativi regionali dislocati su tutto il
territorio   nazionale,   non   altera   il   sistema   di  giustizia
amministrativa», e dunque non viola l'art. 125 Cost. (sentenza n. 189
del  1992);  cio'  in  special  modo quando esistono ragioni idonee a
giustificare  la  deroga  agli ordinari criteri di ripartizione della
competenza   tra   gli   organi   di   primo  grado  della  giustizia
amministrativa.
    6.  -  Non fondate sono anche le questioni di costituzionalita' -
relative  ancora  alla  disciplina  a regime, introdotta dai predetti
commi 2-bis  e 2-ter del censurato art. 3 - sollevate con riferimento
agli artt. 24, 111 e 113 Cost.
    Le  censure  a  tal riguardo prospettate dai rimettenti tendono a
sottolineare, rispettivamente, l'aggravio organizzativo e di costi, a
carico  dei soggetti ricorrenti, che deriverebbe dalla necessita' per
essi  di  adire  unicamente il Tribunale amministrativo regionale del
Lazio,  ovvero  l'influenza  negativa  (o  addirittura  il  vulnus al
principio  del  giusto  processo,  conseguente  alla creazione di una
sorta  di  gerarchia  tra  quello  del  Lazio  e  gli altri tribunali
amministrativi  regionali) che la scelta compiuta dal legislatore, di
disporre  la concentrazione di tutte le controversie de quibus presso
lo  stesso,  eserciterebbe  sui  tempi  dei  processi,  ed  infine la
introduzione di una (peraltro non meglio precisata) «differenziazione
limitativa  del  regime ordinario di impugnabilita' degli atti» della
pubblica amministrazione.
    A  parte,  infatti,  il  rilievo  -  che vale segnatamente per le
doglianze   formulate   con   riferimento   all'art. 111   Cost.  (in
particolare  laddove  si lamenta, nella sostanza, la violazione di un
preteso  principio  di  pari  dignita'  dei  tribunali amministrativi
regionali)  -  che  tali  censure  non  sono  dotate  di  una propria
autonomia  rispetto  all'ipotizzata  violazione  dell'art. 125  della
Carta  fondamentale,  decisiva  e'  la  constatazione che nessuno dei
lamentati  inconvenienti  costituisce  un  «grave ostacolo» (sentenza
n. 50 del 2006) al conseguimento della tutela giurisdizionale.
    Cio'  in  quanto,  nella specie, non ricorre quella condizione di
«sostanziale   impedimento   all'esercizio   del  diritto  di  azione
garantito  dall'art. 24  della  Costituzione»  (cosi',  da ultimo, la
sentenza  n. 266  del  2006),  che  e'  suscettibile  di integrare la
violazione  del  citato parametro costituzionale. Ne', d'altra parte,
in  senso  contrario  puo'  richiamarsi  -  come  fanno,  invece,  il
Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione staccata di
Catania  (r.o.  n. 293  del  2006),  ed  il  Consiglio  di  giustizia
amministrativa  per  la Regione Siciliana (r.o. n. 336 del 2006) - la
sentenza n. 123 del 1987. Essa, difatti, ha ritenuto in contrasto con
«il  diritto  del cittadino ad ottenere una decisione di merito senza
onerose   reiterazioni»   -   e   dunque   con   l'evocato  parametro
costituzionale - la scelta del legislatore di prevedere un'ipotesi di
estinzione ope legis di procedimenti giurisdizionali pendenti, mentre
nel  caso in esame viene in rilievo soltanto un'ipotesi di translatio
iudicii.
    La  concentrazione  presso  il Tribunale amministrativo regionale
del  Lazio  del  contenzioso  de  quo neppure ha l'effetto di rendere
«oltremodo  difficoltosa»  la  tutela giurisdizionale contro gli atti
della  pubblica  amministrazione, evenienza che potrebbe dar luogo al
contrasto  con l'art. 113 Cost. (ordinanza n. 382 e n. 213 del 2005),
in  quanto  si  tratta  di  una  norma  il  cui disposto, oltretutto,
«interpretato  nel  suo  complesso»,  non  implica  affatto  che esso
«intenda  assicurare  in  ogni  caso contro l'atto amministrativo una
tutela  giurisdizionale  illimitata  e  invariabile,  essendo  invece
rimesso  al legislatore ordinario, per l'esplicito disposto del terzo
comma,  di  regolare  i modi e l'efficacia di detta tutela» (sentenza
n. 100  del  1987). Affermazione, quest'ultima, che puo' valere anche
per  i  giudizi  a  quibus,  se si considera che allora essa e' stata
posta   a  fondamento,  non  gia'  di  un  semplice  mutamento  nella
disciplina  della  competenza  a  giudicare provvedimenti adottati in
situazioni  di emergenza (cio' di cui si discute ora), ma addirittura
della    previsione    di    limitazioni    allo   stesso   sindacato
giurisdizionale.
    7.   -  Quanto,  poi,  alla  censura  formulata  con  riferimento
all'art. 23   dello   statuto   della   Regione   Siciliana,   basata
sull'assunto  che  anche l'impugnativa dei «provvedimenti adottati da
organi  dello  Stato centrale, nelle situazioni di emergenza» rientra
tra  quegli  «affari  concernenti  la  Regione»  che,  ai sensi della
predetta  disposizione statutaria, sono devoluti, in sede di appello,
alla  competenza  del  Consiglio  di  giustizia amministrativa per la
Regione Siciliana, anch'essa si presenta non fondata.
    Questa  Corte  ha  gia'  affermato in passato che «l'attribuzione
della  competenza  al  Tribunale  amministrativo regionale del Lazio,
anziche'  ai  diversi Tribunali amministrativi regionali dislocati su
tutto  il  territorio  nazionale»,  non viola l'art. 23 dello statuto
siciliano,   giacche'   esso  «stabilisce  soltanto  che  gli  organi
giurisdizionali  centrali debbano avere in Sicilia le sezioni per gli
affari  concernenti  la  regione:  norma in esecuzione della quale e'
stato a suo tempo istituito il Consiglio di Giustizia Amministrativa»
(sentenza n. 189 del 1992).
    Sebbene,  dunque,  tale norma statutaria rifletta «un'aspirazione
viva,  e  comunque saldamente radicata nella storia della Sicilia, ad
ottenere   forme   di   decentramento   territoriale   degli   organi
giurisdizionali centrali» (sentenza n. 316 del 2004), essa - anche in
ragione  del  suo  riferimento  ad una nozione in definitiva elastica
(«affari  concernenti  la  Regione»), non facendo leva sull'efficacia
territorialmente  circoscritta  del provvedimento impugnato - esprime
una  scelta  di organizzazione processuale rispetto alla quale non e'
necessariamente  incompatibile  la  previsione, come nella specie, di
concentrare presso un unico giudice controversie pur sempre connotate
da  specifici profili d'interesse generale, giacche' traggono origine
dall'esercizio di un potere - quello emergenziale - il cui «carattere
eccezionale»  - come gia' sopra evidenziato - e' stato a piu' riprese
sottolineato dalla giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 127 del
1995,  n. 201  del  1987,  n. 4  del  1977, n. 26 del 1961 e n. 8 del
1956).
    8.  -  Neppure  fondata e' la questione sollevata con riferimento
all'applicazione in via transitoria (comma 2-quater) della disciplina
recata  dai  predetti  commi 2-bis  e 2-ter dell'art. 3, in relazione
all'art. 25, primo comma, Cost.
    Se  e'  vero,  infatti, che alla nozione di giudice naturale - la
quale,  contrariamente  a  quanto  assume il Tribunale amministrativo
regionale della Campania (r.o. n. 43 del 2007), «corrisponde a quella
di  "giudice  precostituito  per  legge"»  (sentenza n. 460 del 1994;
nello  stesso  senso, sentenze n. 72 del 1976 e n. 29 del 1958) - non
e'  affatto  estranea  «la ripartizione della competenza territoriale
tra   giudici,   dettata   da  normativa  nel  tempo  anteriore  alla
istituzione  del giudizio» (da ultimo, sentenza n. 41 del 2006), deve
notarsi che la giurisprudenza costituzionale - diversamente da quanto
ipotizzano i rimettenti - non reputa necessariamente in contrasto con
l'art. 25, primo comma, Cost. gli interventi legislativi modificativi
della competenza aventi incidenza anche sui processi in corso.
    Ha   affermato,   difatti,   questa   Corte   che   il  principio
costituzionale  del giudice naturale «viene rispettato» allorche' «la
legge,  sia pure con effetto anche sui processi in corso, modifica in
generale  i  presupposti  o  i  criteri  in base ai quali deve essere
individuato  il  giudice  competente:  in  questo  caso,  infatti, lo
spostamento  della  competenza dall'uno all'altro ufficio giudiziario
non  avviene  in  conseguenza di una deroga alla disciplina generale,
che  sia  adottata  in  vista  di  una  determinata  o di determinate
controversie,  ma  per  effetto  di un nuovo ordinamento - e, dunque,
della   designazione   di  un  nuovo  giudice  «naturale»  -  che  il
legislatore,  nell'esercizio  del suo insindacabile potere di merito,
sostituisce  a quello vigente» (sentenza n. 56 del 1967; nello stesso
senso, sentenze n. 207 del 1987 e n. 72 del 1976).
    9.  -  Restano  da  esaminare  le  questioni di costituzionalita'
sollevate,  in via gradata, dal Consiglio di giustizia amministrativa
per la Regione Siciliana (r.o. n. 266 del 2006) prima con riferimento
a  parte  del  comma 2-bis e poi al solo comma 2-quater del censurato
art. 3.
    9.1.  -  In particolare, il rimettente, subordinatamente a quanto
dedotto  in  via  principale in ordine alla denunciata illegittimita'
costituzionale  del  comma 2-bis  nel  suo  complesso,  assume che lo
stesso  sarebbe comunque costituzionalmente illegittimo limitatamente
alla   parte   in   cui   sottrae   alla   competenza  dei  Tribunali
amministrativi  regionali  locali  l'impugnativa  dei «consequenziali
provvedimenti commissariali».
    La violazione degli artt. 3, 24 e 125 Cost., nonche' dell'art. 23
dello  statuto  di autonomia e' dedotta sotto il profilo secondo cui,
ipotizzandosi  il  caso  -  quale  e' quello, in effetti, oggetto del
giudizio  a  quo - in cui il giudice amministrativo risulti investito
dell'impugnativa  dei  «soli  provvedimenti attuativi commissariali»,
allorche'  gli  stessi presentino «carattere (soggettivo e oggettivo)
esclusivamente   locale»,   e  dunque  un'efficacia  territorialmente
circoscritta  alla  sola Regione, non ricorrerebbe alcun nesso logico
tra   la   controversia  e  la  competenza  esclusiva  del  Tribunale
amministrativo regionale del Lazio.
    9.2.  -  A  cio'  e'  da  aggiungere  che,  in  via ulteriormente
subordinata,   e'   dedotta  l'illegittimita'  costituzionale  -  per
contrasto  con gli artt. 24 e 25 Cost. - del solo comma 2-quater, sul
presupposto   che   l'estensione  della  nuova  disciplina  anche  ai
«processi  in  corso»  si ponga in contrasto sia con il principio del
giudice naturale precostituito per legge, sia con «il principio della
difesa»,  che  implica  «il  diritto  del  cittadino  ad ottenere una
decisione  di  merito  senza  onerose  reiterazioni».  Nella  specie,
invece,  si  assiste  - secondo la prospettazione del rimettente - ad
una  estinzione  del  giudizio  originariamente  incardinato,  con la
necessita'  della  riproposizione  del  ricorso  innanzi al Tribunale
amministrativo   regionale   del  Lazio,  «al  quale  vanno  altresi'
presentate  eventuali  istanze  di  revoca  o  modifica  delle misure
cautelari in precedenza disposte».
    La  suddetta  censura  si  riallaccia a quelle sollevate anche da
altri  giudici  rimettenti, ora evocando il medesimo parametro di cui
all'art. 25,   primo   comma,   Cost.   (e'  il  caso  del  Tribunale
amministrativo   regionale  palermitano),  ora  facendo  riferimento,
invece,  al principio del giusto processo, ex art. 111 Cost. (secondo
la  prospettazione  seguita  dalla  sezione catanese di quello stesso
Tribunale), ovvero denunciando - come fa il rimettente veneziano - il
presunto  difetto  di  ragionevolezza  del  predetto  comma 2-quater,
giacche'  grazie  ad  esso  il Tribunale amministrativo regionale del
Lazio  «non assume soltanto una nuova competenza funzionale esclusiva
di  primo  grado,  ma  sembra  configurarsi anche come vero e proprio
giudice   di  appello  sulle  decisioni  cautelari  di  un  tribunale
periferico,  potendo "modificare" o "revocare" le misure cautelari da
questo concesse».
    10. - Nessuna di tali ulteriori questioni e' fondata.
    10.1.  -  Quanto,  infatti,  alla pretesa - cui mira la richiesta
declaratoria  di  illegittimita'  costituzionale  in  parte  qua  del
predetto  comma 2-bis  -  di  sottrarre alla competenza del Tribunale
amministrativo  regionale  del  Lazio l'impugnativa dei provvedimenti
consequenziali  adottati  dal  commissario,  risulta evidente come la
scelta   compiuta  dal  legislatore  di  accomunare  tali  atti  alle
ordinanze  che  ne  costituiscono  il presupposto risponda alla (gia'
segnalata) non irragionevole esigenza di assicurare - per i motivi in
precedenza  esposti  -  la concentrazione presso lo stesso giudice di
tutte  le  controversie  che  investano le modalita' di esercizio dei
poteri    emergenziali,    e   cio'   indipendentemente   dall'ambito
territoriale  di efficacia, piu' o meno delimitato, dei provvedimenti
che ne sono estrinsecazione.
    10.2.  -  In  relazione, infine, alla censura che investe la sola
disciplina   transitoria,   prevista   dal   comma 2-quater,  debbono
innanzitutto richiamarsi le considerazioni, gia' innanzi svolte, tese
ad  evidenziare come il previsto meccanismo di translatio iudicii non
rappresenti,  ne'  comporti,  un  «grave  ostacolo» all'esercizio del
diritto di difesa, ne' determini la designazione del giudice compiuta
a  posteriori  «in  relazione ad una determinata controversia»; deve,
quindi,  escludersi  la  violazione degli artt. 24 e 25, primo comma,
Cost.
    Neanche,  d'altra  parte,  puo' ipotizzarsi il contrasto con tali
parametri  costituzionali  - ovvero con gli artt. 3 e 111 Cost., come
assumono,  rispettivamente,  i  Tribunali  veneziano  e catanese - in
ragione del fatto che il Tribunale amministrativo regionale del Lazio
sarebbe  necessariamente  chiamato  a decidere - donde la prospettata
duplicazione  di  attivita'  processuali  -  in ordine alla «revoca o
modifica delle misure cautelari in precedenza disposte».
    Tale  interpretazione,  difatti,  non trova conforto nello stesso
tenore letterale della norma.
    Difatti,   giova   sottolineare   che,  ai  sensi  del  censurato
comma 2-quater,  l'efficacia  delle  misure  cautelari adottate da un
tribunale  amministrativo  diverso  da  quello  di cui al comma 2-bis
permane  fino  alla  loro  modifica  o  revoca da parte del Tribunale
amministrativo  regionale  del  Lazio, con sede in Roma, cui la parte
interessata puo' riproporre il ricorso.
    Il  giudice rimettente avrebbe dovuto valutare la possibilita' di
interpretare   la   norma   in   conformita'   con   quanto  previsto
dall'art. 21,  tredicesimo  comma,  della legge n. 1034 del 1971; nel
senso  cioe' che l'efficacia del provvedimento cautelare adottato dal
Tribunale  locale  sia  destinata a venire meno, in tutto o in parte,
non  in  forza di una revisione da compiersi necessariamente da parte
del  Tribunale  amministrativo  regionale  del Lazio, il quale in tal
modo  assumerebbe  una  anomala  funzione di giudice di secondo grado
rispetto   a   provvedimenti  emessi  da  un  organo  giurisdizionale
equiordinato, bensi' in forza di una decisione da prendere sulla base
degli  ordinari  presupposti  previsti  dall'ordinamento del processo
amministrativo  per  la  modificazione  o revoca di precedenti misure
cautelari gia' concesse.
    Sotto  questo  profilo,  pertanto, la norma - che, in definitiva,
ribadisce  una  regola  gia'  presente nel sistema - si giustifica in
ragione  dell'esigenza di chiarire che se, ordinariamente, il giudice
abilitato  a  revocare  o  modificare  il  provvedimento cautelare e'
quello  che  lo  ha adottato, nei casi oggetto dei giudizi a quibus -
attesa  la  sopravvenuta  declaratoria  di  incompetenza da parte dei
Tribunali  inizialmente  aditi - tale potesta' decisoria non puo' che
essere esercitata dal giudice divenuto successivamente competente.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Riuniti i giudizi,
    Dichiara  non fondate le questioni di legittimita' costituzionale
dell'art. 3,   commi 2-bis,   2-ter  e  2-quater,  del  decreto-legge
30 novembre  2005,  n. 245  (Misure  straordinarie  per  fronteggiare
l'emergenza nel settore dei rifiuti nella regione Campania), aggiunti
dalla  legge  di  conversione 27 gennaio  2006, n. 21, sollevate - in
riferimento,  nel  complesso,  agli  artt. 3,  24, 25, 111, 113 e 125
Cost.,  e  all'art. 23  del regio decreto legislativo 15 maggio 1946,
n. 455   (Approvazione   dello   statuto  della  Regione  siciliana),
convertito  dalla  legge  costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2 - dal
Tribunale  amministrativo  regionale  della  Sicilia, sede centrale e
sezione   staccata   di   Catania,   dal   Consiglio   di   giustizia
amministrativa   per   la   Regione   Siciliana   e   dai   Tribunali
amministrativi regionali del Veneto, della Campania, sede di Napoli e
della Calabria, sede di Catanzaro, con le ordinanze in epigrafe;
    Dichiara  non fondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 3, comma 2-bis, del decreto-legge n. 245 del 2005, aggiunto
dalla  legge  di  conversione  n. 21  del  2006,  questione sollevata
limitatamente   alle   parole  «e  dei  consequenziali  provvedimenti
commissariali»  -  con  riferimento  agli  artt. 3,  24  e  125 della
Costituzione  e  all'art. 23  dello statuto della Regione Siciliana -
dal  Consiglio  di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana,
con l'ordinanza in epigrafe;
    Dichiara  non fondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 3,  comma 2-quater,  del  decreto-legge  n. 245  del  2005,
aggiunto  dalla  legge di conversione n. 21 del 2006, sollevata - con
riferimento agli artt. 24 e 25, primo comma, della Costituzione - dal
Consiglio  di  giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, con
l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 18 giugno 2007.
                         Il Presidente: Bile
                       Il redattore: Quaranta
                      Il cancelliere: Fruscella
    Depositata in cancelleria il 26 giugno 2007.
                      Il cancelliere: Fruscella
07C0880