N. 34 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 26 luglio 2007

Ricorso  per  questione  di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 26 luglio 2007 (della Regione Lombardia)

Sanita'  pubblica  -  Servizio  sanitario  nazionale  -  Ripiano  dei
  disavanzi sanitari delle Regioni con efficacia retroattiva mediante
  subentro  statale  -  Stanziamento  di 3.000 milioni di euro per il
  periodo  2001-2005  -  Ricorso della Regione Lombardia - Denunciata
  irragionevole  penalizzazione  delle  Regioni  virtuose,  misura di
  sanatoria  lesiva  del  principio  di eguaglianza e disincentivante
  della  responsabilizzazione,  carenza dei presupposti richiesti per
  la  decretazione  d'urgenza,  violazione  del  principio  di  leale
  collaborazione  per  mancanza  di  intesa e di coordinamento con le
  Regioni,  violazione dei criteri di riparto di competenze tra Stato
  e  Regioni,  ingerenza  dello  Stato nelle funzioni delle Regioni e
  degli  enti  locali attraverso finanziamenti vincolati, lesione dei
  principi   del   federalismo  fiscale,  contrasto  con  i  principi
  costituzionali sull'indebitamento delle Regioni e con i principi di
  ordinata  contabilita'  e  di  unita'  economica  della Repubblica,
  irragionevolezza per genericita' e inadeguatezza dei criteri per la
  quantificazione  dei  finanziamenti,  violazione  dei  principi  di
  autonomia  finanziaria di entrata e di spesa delle Regioni, lesione
  del  principio  di  buon  andamento  dell'amministrazione pubblica,
  lesione  del principio del collegamento tra le spese pubbliche e la
  capacita'  contributiva,  violazione  della  riserva  di  legge  in
  materia   di   prestazioni  personali  e  patrimoniali  per  omessa
  precisazione  delle  misure  fiscali da attivare, omessa previsione
  della   copertura  finanziaria,  omessa  previsione  di  controlli,
  sanzioni,   aumento   del   prelievo  fiscale  e  garanzie  per  la
  restituzione,   lesione   del   diritto   alla  salute,  intervento
  sostitutivo dello Stato nei confronti delle Regioni al di fuori dei
  necessari presupposti.
- Decreto-legge  20 marzo  2007,  n. 23, convertito con modificazioni
  nella legge 17 maggio 2007, n. 64, art. 1.
- Costituzione,  artt. 3,  23,  32,  53, 77, comma secondo, 81, comma
  quarto,  97,  117, commi terzo e quarto, 118, 119, intero articolo,
  119, comma sesto, e 120.
(GU n.37 del 26-9-2007 )
    Ricorso  della Regione Lombardia, in persona del presidente della
giunta   regionale   pro   tempore,   on.  dott.  Roberto  Formigoni,
autorizzato  con  delibera  di giunta regionale n. VIII/004878 del 15
giugno 2007  e  con  delibera  di giunta regionale n. VIII/005091 del
18 luglio 2007, rappresentata e difesa, come da mandato a margine del
presente atto, dall'avv. Pio Dario Vivone e dall'avv. prof. Beniamino
Caravita  di  Toritto  e  presso  lo studio del secondo elettivamente
domiciliata in Roma, via di Porta Pinciana, 6;

    Contro  il  Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore per
la  dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale dell'art. 1 del
decreto-legge   20   marzo  2007,  n. 23  pubblicato  nella  Gazzetta
Ufficiale - Serie generale - n. 66 del 20 marzo 2007, come modificato
dalla  legge  di  conversione 17 maggio  2007, n. 64 pubblicata nella
Gazzetta  Ufficiale  -  Serie  generale  - n. 115 del 19 maggio 2007,
recante  «Disposizioni urgenti per il ripiano selettivo dei disavanzi
pregressi  nel  settore  sanitario, nonche' in materia di quota fissa
sulla   ricetta   per  le  prestazioni  di  assistenza  specialistica
ambulatoriale»,  per violazione degli artt. 3, 32, 77, secondo comma,
81,  quarto  comma,  117,  terzo  e quarto comma, 118, 119, 120 della
Costituzione,   oltre  che  per  violazione  del  principio  di  buon
andamento   dell'amministrazione  (art. 97  Cost.),  dell'obbligo  di
partecipare   alle   spese   pubbliche  in  ragione  della  capacita'
contributiva  (art. 53  Cost.) e della riserva di legge in materia di
prestazioni patrimoniali (art. 23 Cost.).
    Il   decreto-legge   20 marzo   2007,   n. 23,   convertito,  con
modificazioni,  dalla  legge  17 maggio 2007, n. 64 (pubblicata nella
Gazzetta  Ufficiale  -  Serie  generale - n. 115 del 19 maggio 2007),
reca  «Disposizioni  urgenti  per  il ripiano selettivo dei disavanzi
pregressi  nel  settore  sanitario, nonche' in materia di quota fissa
sulla   ricetta   per  le  prestazioni  di  assistenza  specialistica
ambulatoriale».  Scopo primario del provvedimento e' l'adozione di un
meccanismo  di  subentro statale finalizzato al ripiano dei disavanzi
sanitari  di  alcune  regioni;  inoltre,  con disposizioni aggiuntive
introdotte  dalla  legge  di conversione, il provvedimento ha abolito
fino  al  31 dicembre  2007 il pagamento del ticket di 10 euro dovuto
per ogni ricetta relativa a prestazioni ambulatoriali specialistiche,
riducendo   cosi'   il  livello  di  partecipazione  al  costo  delle
prestazioni sanitarie richiesto agli utenti.
    Com'e'  noto, il dissesto finanziario che caratterizza il sistema
sanitario  nazionale  ha  assunto  caratteri  gravi e strutturali per
effetto  di  una  costante  divaricazione  tra  i  costi previsti per
l'erogazione  delle  prestazioni  sanitarie,  con  oneri a carico del
servizio  sanitario nazionale, e l'effettiva spesa sostenuta nei vari
distretti  sanitari;  tale  situazione  si e' tradotta, da molti anni
ormai,  in  una  radicata condizione di indebitamento. Con la riforma
del  Titolo  V  della  Costituzione  tutta  la  materia «tutela della
salute»,  di  maggiore  ampiezza della precedente materia «assistenza
sanitaria  e  ospedaliera»,  e' ricaduta nell'ambito della competenza
legislativa   concorrente   regionale;  a  questo  ampliamento  delle
competenze  e'  corrisposta  anche  l'attribuzione alle regioni della
complessiva  responsabilita'  per  il  contenimento  dei  costi  e il
mantenimento di una situazione di gestione economicamente efficiente,
fatta salva sempre la necessita' di non compromettere l'erogazione di
prestazioni attinenti ai livelli essenziali di assistenza.
    In  attuazione del generale principio di leale collaborazione tra
i  differenti  livelli  di  Governo,  e  in una visione istituzionale
improntata  al  principio di responsabilita', nonche' alla necessita'
di  salvaguardare i livelli essenziali di assistenza, nel corso degli
ultimi  anni sono state stipulate intese tra il Governo, le regioni e
le  Province autonome di Trento e Bolzano al fine di assumere impegni
vincolanti per il ripiano del disavanzo.
    Nell'accordo   dell'8 agosto   2001  (pubblicato  nella  Gazzetta
Ufficiale  n. 207 del 6 settembre 2001), appena prima dell'entrata in
vigore  del  nuovo  Titolo  V,  «allo  scopo  di  rendere  realistica
l'entita'  dei  finanziamenti  statali  eliminando  gli inconvenienti
derivanti  da  sottostime  delle  esigenze  finanziarie  e  conferire
stabilita'  alla spesa in un arco almeno triennale, nell'ambito delle
compatibilita' di finanza pubblica e nel quadro di un rinnovato patto
di  stabilita'  interno,  e'  incrementata  la  quantificazione delle
risorse  previste per l'anno 2001 a chiusura definitiva tra Governo e
regioni  della  partita  finanziaria e sulla base del principio della
corrispondenza delle risorse alle responsabilita».
    A  fronte  di  questo  impegno  del  Governo, le regioni si erano
impegnate  a  risolvere  ulteriori eventuali esigenze finanziarie con
mezzi  propri, adottando, in ogni caso, tutte le iniziative possibili
per  la  corretta  ed  efficiente  gestione  del  servizio al fine di
contenere  le  spese.  La  validita'  dell'accordo  e' stata peraltro
subordinata  all'adozione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA),
successivamente definiti con decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri  del  29 novembre  2001. Alle relative disposizioni e' stato
poi  attribuito  valore  di legge dall'art. 54 della legge n. 289 del
2002  (legge  finanziaria  2003),  che  ha  altresi'  specificato che
eventuali modifiche ai LEA (cosi' come individuati negli allegati del
d.P.C.m.  29 novembre  2001) sono definite con decreto del Presidente
del  Consiglio  dei  ministri, di intesa con la Conferenza permanente
per  i  rapporti  tra  lo Stato, le regioni e le Province autonome di
Trento e di Bolzano.
    Coerentemente   con   questa  impostazione  (nonche'  con  alcune
pronunce  della  Corte  costituzionale,  come  la n. 89 del 2000, che
individuavano  nelle  regioni i soggetti tenuti anche alla estinzione
delle  situazioni  debitorie  pregresse relative alle precedenti USL,
attraverso la costituzione delle gestioni a stralcio, trasformate poi
in   gestioni   liquidatorie   dall'art. 2,   comma 14,  della  legge
28 dicembre   1995,   n. 549),  il  decreto-legge  n. 347  del  2001,
convertito con modificazioni dalla legge n. 405 del 2001, ha previsto
che  alla  copertura  dei  disavanzi  di  gestione  fossero tenute le
regioni mediante norme regionali che disponessero, alternativamente o
cumulativamente, l'introduzione di:
        «a) misure  di  compartecipazione  alla  spesa sanitaria, ivi
inclusa   l'introduzione  di  forme  di  corresponsabilizzazione  dei
principali soggetti che concorrono alla determinazione della spesa;
        b) variazioni    dell'aliquota   dell'addizionale   regionale
all'imposta  sul reddito delle persone fisiche o altre misure fiscali
previste nella normativa vigente;
        c) altre  misure  idonee  a  contenere  la spesa, ivi inclusa
l'adozione di interventi sui meccanismi di distribuzione dei farmaci»
(comma 3 dell'art. 4 del decreto-legge n. 347 del 2001).
    Le  annuali  leggi  di bilancio, pur cercando di rimediare ad una
situazione  di  straordinaria  gravita', disponendo in alcuni casi il
finanziamento  di  quote  di  spesa del Servizio sanitario nazionale,
hanno  tuttavia sempre riconfermato, quale principio fondamentale mai
revocato  in  dubbio,  la  piena  responsabilizzazione delle regioni,
chiarendo   altresi'  la  natura  derogatoria  rispetto  ai  principi
generali  delle  misure  di  partecipazione statale di volta in volta
predisposte.  La  legge  n. 311  del  2004  (legge finanziaria 2005),
all'art. 1,  comma 173,  ha  subordinato  l'accesso  delle regioni al
finanziamento  integrativo a carico dello Stato alla realizzazione di
alcune  specifiche condizioni: vale a dire, alla stipula di un'intesa
tra  Stato  e  regioni  che  prevedesse,  tra  gli  altri  strumenti,
ulteriori  mezzi per migliorare il monitoraggio della spesa sanitaria
nell'ambito del «Nuovo sistema informativo sanitario»; o, ancora, «al
rispetto  degli  obblighi  di  programmazione a livello regionale, al
fine  di  garantire  l'effettivita' del processo di razionalizzazione
delle  reti  strutturali  dell'offerta  ospedaliera  e  della domanda
ospedaliera,  (con  particolare riguardo al riequilibrio dell'offerta
di  posti  letto  per acuti e per lungodegenza e riabilitazione, alla
promozione  del  passaggio dal ricovero ordinario al ricovero diurno,
nonche'  alla  realizzazione  degli  interventi  previsti  dal  Piano
nazionale  della prevenzione e dal Piano nazionale dell'aggiornamento
del   personale  sanitario,  coerentemente  con  il  Piano  sanitario
nazionale)».  La  stessa  disposizione  di legge (il citato comma 173
dell'art.  1  della  legge  finanziaria  2005)  ha  poi  richiesto in
capo alle  regioni, tra le condizioni che ne autorizzano l'accesso al
finanziamento   integrativo  a  carico  dello  Stato,  «l'obbligo  di
garantire  in sede di programmazione regionale, coerentemente con gli
obiettivi  sull'indebitamento  netto delle amministrazioni pubbliche,
l'equilibrio  economico-finanziario  delle proprie aziende sanitarie,
aziende ospedaliere, aziende ospedaliere universitarie ed Istituti di
ricovero  e  cura  a carattere scientifico, sia in sede di preventivo
annuale  che  di  conto  consuntivo,  realizzando  forme  di verifica
trimestrale   della   coerenza  degli  andamenti  con  gli  obiettivi
dell'indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche e prevedendo
l'obbligatorieta'  dell'adozione  di  misure  per  la riconduzione in
equilibrio   della  gestione  ove  si  prospettassero  situazioni  di
squilibrio, nonche' l'ipotesi di decadenza del direttore generale».
    Il  comma 174  dell'art.  1  della  legge  n. 311 del 2004 (legge
finanziaria 2005) ha disposto inoltre il ricorso allo strumento della
fiscalita' nel caso di disavanzi di gestione in ambito regionale: nel
caso in cui si evidenzia un disavanzo di gestione che i provvedimenti
regionali  non  riescono a riequilibrare, il Presidente del Consiglio
dei  ministri  puo' diffidare la regione a provvedere all'adozione di
ogni  misura  idonea entro il 30 aprile dell'anno successivo a quello
al  quale  si  riferisce  il  disavanzo; nel caso in cui tale termine
decorra  inutilmente,  il  presidente  della  regione, in qualita' di
commissario ad acta, approva il bilancio di esercizio consolidato del
Servizio  sanitario  regionale al fine di determinare l'ammontare del
disavanzo  di  gestione e adotta i necessari provvedimenti per il suo
ripianamento,  compreso  il  ricorso  agli  strumenti  fiscali  e  in
particolare  agli  aumenti  dell'addizionale  all'imposta sul reddito
delle persone fisiche e alle maggiorazioni dell'aliquota dell'imposta
regionale sulle attivita' produttive, entro le misure stabilite dalla
normativa vigente.
    Il  successivo  comma 180 dell'art. 1 della legge finanziaria per
il  2005 ha disposto che le regioni afflitte da problemi di disavanzo
per  i  quali  si  rende  necessaria  l'attivazione  delle  procedure
sostitutive   per   mezzo   del  presidente  regionale  in  veste  di
commissario  ad  acta  devono  altresi' procedere ad una ricognizione
delle  cause,  nonche' all'elaborazione di «un programma operativo di
riorganizzazione, di riqualificazione o di potenziamento del Servizio
sanitario  regionale, di durata non superiore al triennio. I ministri
della  salute  e  dell'economia  e delle finanze e la singola regione
stipulano apposito accordo che individui gli interventi necessari per
il  perseguimento dell'equilibrio economico, nel rispetto dei livelli
essenziali  di  assistenza  e  degli  adempimenti  di cui alla intesa
prevista  dal comma 173. La sottoscrizione dell'accordo e' condizione
necessaria   per  la  riattribuzione  alla  regione  interessata  del
maggiore   finanziamento   anche  in  maniera  parziale  e  graduale,
subordinatamente   alla   verifica  della  effettiva  attuazione  del
programma».
    Nell'intesa  Stato-Regioni  del  23 marzo  2005  sono  stati  poi
previsti  strumenti per il miglioramento del monitoraggio della spesa
nell'ambito  del «Nuovo Sistema Informativo Sanitario» (art. 3) e, in
attuazione delle previsioni della legge finanziaria per il 2005 (e in
particolare  del  comma 180  dell'art. 1),  sono  stati ulteriormente
precisati  i  contenuti  dell'accordo  tra  regioni  in situazioni di
disavanzo  e  ministri  della  salute, dell'economia e delle finanze,
sentito  il  ministro  per  gli  affari  regionali,  per  accedere ai
finanziamenti  previsti.  Inoltre,  sono  stati  previsti un Comitato
paritetico  permanente  per  la  verifica dell'erogazione dei Livelli
Essenziali  di  Assistenza  (art. 9) e un «Tavolo tecnico», istituito
presso  il  Ministero  dell'economia e delle finanze, per la verifica
degli  adempimenti  richiesti dalla legge finanziaria 2005 (art. 12).
Il   «tavolo»   richiede   alle  singole  regioni  la  documentazione
necessaria alla verifica degli adempimenti e all'individuazione delle
eventuali criticita' da risolvere.
    Piu'  di  recente  la  legge  n. 266  del 2005 (legge finanziaria
2006),  all'art.  1,  comma 277, ha previsto l'attivazione automatica
degli strumenti fiscali nel caso in cui «anche il commissario ad acta
non  adotti  le  misure  cui e' tenuto, con riferimento all'esercizio
2005  e  all'anno  d'imposta  2006»; in tale caso «si applicano nella
misura   massima   prevista  dalla  vigente  normativa  l'addizionale
all'imposta  sul  reddito  delle  persone  fisiche e le maggiorazioni
dell'aliquota dell'imposta regionale sulle attivita' produttive».
    Con  successivo protocollo di intesa tra il Governo, le regioni e
le   Province   autonome   di  Trento  e  di  Bolzano,  stipulato  il
28 settembre  2006  e' stato adottato un (ennesimo!) «Nuovo Patto per
la Salute», volto a «ricondurre sotto controllo la spesa sanitaria, a
dare certezza di risorse per il Servizio Sanitario Nazionale (S.S.N.)
su   un  arco  pluriennale,  a  sollecitare  e  sostenere  le  azioni
necessarie  a  elevare qualita' e appropriatezza delle prestazioni, a
riequilibrare  le capacita' di fornire servizi di analoga qualita' ed
efficacia  su  tutto il territorio nazionale». Tra le linee guida del
«Patto»  viene  esplicitamente menzionata la necessita' di assicurare
alla   sanita'   una   dinamica   di   crescita  compatibile  con  la
programmazione  finanziaria  del  Paese e di parametrare i livelli di
finanziamento  erogato alla verifica dell'effettivo costo dei Livelli
Essenziali   di   Assistenza,   in   condizioni   di   efficienza   e
appropriatezza.   Lo   strumento   inoltre  punta  dichiaratamente  a
«rafforzare   la   capacita'  programmatoria  e  organizzativa  delle
regioni»,  richiedendo a tali soggetti un'assunzione di «autonomia ed
inderogabile   responsabilita'  di  bilancio»  sia  nell'utilizzo  di
eventuali  maggiori  risorse  liberate da efficientamenti del sistema
sanitario  regionale,  sia  nell'adozione  di  misure  di  ripiano di
disavanzi.
    Su  queste  basi,  nel  patto  si conviene che il Governo ritiene
indispensabile  prorogare  il  meccanismo  di  «automatismo  fiscale»
(previsto  dalla  legge  n. 266  del  2005,  all'art.  1, comma 277).
Inoltre  il  Governo  si impegna a prevedere, in sede di approvazione
della legge finanziaria per l'anno 2007, un fondo transitorio «per le
regioni  che  presentano  grandi  criticita'  finanziarie» al fine di
sostenerle  «in  un  percorso  di  rientro (sic!) in grado di portare
all'azzeramento dei loro disavanzi entro l'anno 2010».
    In   aggiunta   agli   adempimenti   previsti   dall'Accordo  del
28 settembre  2006,  lo  stesso  documento,  al punto 1.4, ha inoltre
previsto  che  «in  via  straordinaria,  per  le  regioni che abbiano
stipulato  l'accordo  di  cui all'art. 1, comma 180, della richiamata
legge  n. 311/2004  sono  considerate  idonee  forme di copertura dei
disavanzi pregressi, cumulativamente registrati e certificati fino al
2005,   al   netto   per   l'anno 2005   della   copertura  derivante
dell'incremento   automatico  delle  aliquote,  in  deroga  a  quanto
previsto  dalla  predetta  Intesa, con misure a carattere pluriennale
derivanti  da  specifiche  entrate  certe  e vincolate. A tal fine il
Governo  si  impegna  alla  proposizione  delle  necessarie  norme di
deroga».
    Inoltre,  il  punto 3.1 dell'intesa in esame delinea un ulteriore
concorso  transitorio  dello  Stato  per  le  regioni  in difficolta'
economico-finanziaria:
        in  primo  luogo  e' stabilito che il «Tavolo tecnico» per la
verifica  degli  adempimenti,  previsto  dall'articolo 12 dell'Intesa
Stato-Regioni   del   23 marzo   2005,   individua   le  «Regioni  in
difficolta»,  cioe'  le  regioni  che  presentano un disavanzo pari o
superiore  al  7% nell'anno precedente e/o nelle quali sia entrata in
vigore  la massimizzazione dell'aliquota di addizionale Irpef e della
maggiorazione Irap;
        viene  poi  prevista  l'istituzione,  per  tutto  il triennio
2007-2009,  di  un  Fondo  transitorio di complessivi 2550 milioni di
euro  (ripartiti  in  1000  milioni  per l'anno 2007, 850 milioni per
l'anno 2008 e 700 milioni per l'anno 2009).
    L'accesso  alle  risorse  di  tale  Fondo  resta subordinato alla
sottoscrizione  dell'accordo  previsto  dalla  legge  finanziaria per
l'anno 2005 (in particolare dall'art. 1, comma 180 della legge n. 311
del  2004),  comprensivo  di  un  «Piano  di rientro». Tale «Piano di
rientro»  deve  contenere  sia  le misure di riequilibrio del profilo
erogativo dei Livelli Essenziali di Assistenza (per renderlo conforme
al  vigente  Piano  Sanitario  Nazionale  e  al  vigente  d.P.C.m. di
fissazione  dei  LEA),  sia  le misure necessarie all'azzeramento del
disavanzo  entro  il  2010,  sia gli obblighi e le procedure previsti
dalle precedenti Intese Stato-Regioni.
    L'accesso   al  fondo  transitorio  da  parte  delle  regioni  in
difficolta'  presuppone inoltre che «sia scattata formalmente in modo
automatico o che sia stato attivato l'innalzamento ai livelli massimi
dell'aliquota  di  addizionale  Irpef  e  della  maggiorazione Irap».
Qualora,  durante  il  procedimento di verifica annuale del piano, si
prefiguri  il  mancato rispetto di parte degli obiettivi intermedi di
riduzione  del  disavanzo  contenuti nel piano di rientro, la regione
interessata  puo'  proporre  misure  equivalenti  che  devono  essere
approvate  dal  Ministero della salute e dell'economia e finanze. «In
ogni  caso  l'accertato  verificarsi del mancato raggiungimento degli
obiettivi  intermedi comporta che, con riferimento all'anno d'imposta
dell'esercizio  successivo,  l'addizionale  all'imposta  sul  reddito
delle  persone  fisiche  e  l'aliquota  dell'imposta  regionale sulle
attivita'  produttive  si  applicano oltre i livelli massimi previsti
dalla  legislazione  vigente fino all'integrale copertura dei mancati
obbiettivi».
    Qualora  invece  gli  obiettivi intermedi siano stati conseguiti,
ottenendo  risultati  quantitativamente  migliori  di  quelli  minimi
prefissati,  la  regione  interessata  puo'  ridurre, con riferimento
all'anno    d'imposta    dell'esercizio   successivo,   l'addizionale
all'imposta   sul   reddito   delle   persone  fisiche  e  l'aliquota
dell'imposta  regionale  sulle  attivita'  produttive  per  la  quota
corrispondente al miglior risultato ottenuto.
    Tali  previsioni  pattizie,  contenute  nel  protocollo di intesa
siglato il 28 settembre 2006 tra il Governo, le regioni e le Province
autonome  di  Trento  e  Bolzano, sono state poi recepite dalla legge
finanziaria  per  l'anno 2007 (legge n. 296 del 2006) che, alla lett.
b)  del comma 796 dell'art. 1, ha integralmente riproposto il testo e
i  contenuti  dell'accordo,  aggiungendo  inoltre  che gli interventi
individuati    dai    programmi    operativi   di   riorganizzazione,
qualificazione  o  potenziamento  del  servizio  sanitario regionale,
necessari  per  il  perseguimento  dell'equilibrio  economico,  «sono
vincolanti  per  la  regione  che  ha  sottoscritto  l'accordo  e  le
determinazioni   in  esso  previste  possono  comportare  effetti  di
variazione   dei   provvedimenti  normativi  ed  amministrativi  gia'
adottati   dalla   medesima  regione  in  materia  di  programmazione
sanitaria».
    Sebbene  dunque  il quadro normativo sin qui richiamato dia conto
di un complesso di misure che non ha escluso l'intervento dello Stato
nel  percorso di risanamento del deficit sanitario delle regioni, non
vi   e'   dubbio  che  tale  partecipazione  e'  stata  costantemente
subordinata,  e  anzi  condizionata,  a  misure fortemente indicative
della  progressiva  responsabilizzazione delle regioni, coerentemente
con  la  soppressione  dei  trasferimenti  erariali  in  favore delle
regioni relativi al finanziamento della spesa sanitaria corrente e in
conto  capitale  disposta  dall'art. 1, lett. d) del d.lgs. n. 56 del
2000,  e,  piu'  in generale, con i percorsi di «federalismo fiscale»
che  la  Costituzione,  almeno  a partire dalla riforma del Titolo V,
chiaramente traccia.
    Questi  impegni, questa responsabilizzazione, questi tentativi di
legare  la  spesa  sanitaria  regionale  alla  responsabilita'  della
politica  e  delle  amministrazioni  regionali  sono stati totalmente
negletti  e  abbandonati all'inizio del 2007. Cosi', il decreto-legge
n. 23 del 2007, convertito dalla legge n. 64 del 2007, stanzia invece
un  ingente finanziamento statale in favore delle regioni che versano
nelle condizioni precisate dallo stesso decreto.
    Secondo   quanto   previsto   dal   comma 1   dell'art.   1   del
provvedimento,  lo  Stato,  in  deroga  all'obbligo per le regioni di
coprire  gli  eventuali  disavanzi  di  gestione  con oneri a proprio
carico  (cosi'  come  espressamente stabilito dal comma 3 dell'art. 4
del  d.l.  n. 347  del 2001, convertito con modificazioni dalla legge
n. 405  del  2001),  partecipa  al ripiano dei disavanzi del Servizio
sanitario  nazionale  per  il periodo 2001-2005 per le regioni che si
trovano in determinate situazioni.
    Il  primo  requisito  per  l'accesso  alle  somme  stanziate  dal
decreto-legge   n. 23  del  2007,  come  modificato  dalla  legge  di
conversione n. 64 del 2007, e' costituito dalla presenza di rilevanti
situazioni deficitarie regionali relative al periodo 2001-2005.
    Il provvedimento precisa poi che lo Stato concorre al ripiano dei
disavanzi  nei confronti delle regioni che sottoscrivono (nella forma
di  accordo  tra  Stato e regioni) i «piani di rientro» e accedono al
fondo transitorio previsto dalla lettera b) del comma 796 dall'art. 1
della  legge  n. 296  del  2006  (legge finanziaria 2007) (fondo gia'
previsto  dal  protocollo di intesa del 28 settembre 2006); ulteriore
requisito richiesto dal provvedimento concerne:
        l'attivazione  sul  territorio  regionale,  a  copertura  dei
disavanzi  del  settore  sanitario  e a decorrere dal 2007, di misure
fiscali straordinarie;
        ovvero  l'impiego di quote di manovre fiscali gia' adottate o
di  quote di tributi erariali attribuiti alle regioni (nei limiti dei
poteri  loro  attribuiti dalla normativa statale di riferimento ed in
conformita'  ad essa), in via ulteriore rispetto all'incremento nella
misura  massima  di  Irap  e addizionale regionale all'Irpef, tali da
comportare  un  gettito  superiore  rispetto  a  quello derivante dal
predetto  incremento  nella misura massima di Irap e dell'addizionale
regionale all'Irpef.
    La legge di conversione n. 64 del 2007 ha inserito nell'art. 1 il
comma  1-bis, con il quale si precisa che il Ministro dell'economia e
delle finanze trasmette gli esiti della verifica annuale dei piani di
rientro   al  Presidente  della  Corte  dei  conti,  «anche  ai  fini
dell'avvio di un eventuale giudizio di responsabilita' amministrativa
e contabile».
    Il  secondo  comma  dell'art.  1  prevede  che  per il periodo di
imposta  successivo  al  31 dicembre  2006  e  fino all'anno 2010 (in
deroga  dunque  al  principio  per  il  quale le modifiche ai tributi
periodici  si  applicano  solo  a  partire  dal  periodo  di  imposta
successivo  a  quello  in  corso alla data di entrata in vigore delle
disposizioni  modificative,  principio  posto dall'art. 3 della legge
27 luglio  2000,  n. 212), l'addizionale all'Irpef e le maggiorazioni
dell'aliquota  dell'Irap si applicano nella misura massima consentita
(misura  corrispondente  a  quanto  previsto  dal  comma 174,  ultimo
periodo, dell'art. 1 della legge n. 311 del 2004) per le regioni che,
con  delibera  della  giunta regionale («da pubblicare nel Bollettino
ufficiale   della   regione  entro  il  27 marzo  2007»,  secondo  la
previsione  del comma 2 dell'art. 1 del decreto-legge n. 23 del 2007,
convertito dalla legge n. 64 del 2007), approvano l'Accordo stipulato
con  il  Governo  (in  particolare  con  i  ministri  della  salute e
dell'economia  e delle finanze) per l'individuazione degli interventi
necessari   per  il  perseguimento  dell'equilibrio  economico,  come
richiesto  anche  per  l'accesso al Fondo transitorio istituito dalla
lett. b) del comma 796 dell'art. 1 della legge finanziaria 2007.
    Tali  incrementi  non  si applicano nelle regioni nelle quali sia
scattato,   in   modo   automatico,  l'innalzamento  dell'addizionale
regionale  all'Irpef e della maggiorazione dell'aliquota dell'Irap e,
a  seguito  del  raggiungimento  dell'accordo  con  il  Governo sulla
copertura  dei disavanzi di gestione del Servizio sanitario regionale
(accordo  previsto  dall'art. 1-bis del decreto-legge n. 206 del 2006
convertito  con  modificazioni  dalla  legge  n. 234  del  2006) tale
innalzamento non sia stato applicato.
    Lo   stanziamento  per  il  ripiano  delle  situazioni  debitorie
accumulate  dalle  regioni  nel  settore  sanitario  autorizzato  dal
decreto  n. 23  del  2007,  convertito  con modificazioni dalla legge
n. 64  del  2007, ammonta a 3000 milioni di euro, da ripartire tra le
regioni  interessate (individuabili sulla base dei parametri indicati
dal  provvedimento)  con  decreto  del  Ministro  delle  finanze,  di
concerto  con  il  Ministro della salute, sentito il Ministro per gli
affari regionali e le autonomie locali. I criteri per l'erogazione di
tale  stanziamento saranno definiti «sulla base dei debiti accumulati
fino  al  31 dicembre 2005, della capacita' fiscale regionale e della
partecipazione   delle   regioni   al  finanziamento  del  fabbisogno
sanitario».  Secondo  il  decreto-legge,  inoltre,  le  modalita'  di
monitoraggio   e   di  riscontro  dell'estinzione  dei  debiti  «sono
disciplinate  nell'ambito  dei  piani  di  rientro». Il decreto-legge
precisa   poi  che  alla  relativa  copertura  si  provvede  mediante
«corrispondente  riduzione  dello  stanziamento iscritto, ai fini del
bilancio triennale 2007-2009, nell'ambito dell'unita' previsionale di
base  di  conto capitale "Fondo speciale" per l'anno 2007, allo scopo
parzialmente   utilizzando  l'accantonamento  relativo  al  Ministero
dell'economia  e  delle  finanze».  La legge di conversione n. 64 del
2007,  alla  fine del comma 3 dell'art. 1 del decreto-legge n. 23 del
2007  aggiunge  che  il  decreto ministeriale che effettua il riparto
della  somma  resa  disponibile  dal  decreto-legge e trasmesso «alle
competenti  commissioni  del  Senato  e  della Camera dei deputati» e
stabilisce  inoltre  che  il  Ministro dell'economia e delle finanze,
sentito  il  Ministro  della  salute,  trasmette  al  Parlamento  una
relazione    sullo   stato   del   monitoraggio   e   del   riscontro
dell'estinzione  dei debiti. L'art. 1-bis del decreto, aggiunto dalla
legge  di  conversione  n. 64  del  2007, ha poi operato una parziale
inversione  rispetto  a quanto previsto dalla legge finanziaria 2007:
ha abolito la quota fissa di 10 euro sulla ricetta per le prestazioni
di  assistenza  specialistica  ambulatoriale,  posta  a  carico degli
assistiti   non   esentati   dalla   partecipazione  al  costo  delle
prestazioni  e  ha  di  conseguenza  riquantificato  l'importo  della
«manovra»  relativa a tale tipologia di prestazioni ambulatoriali per
l'anno 2007,  passando  dagli 811 milioni di euro (previsti dall'art.
1,  comma 796,  lettera  p-bis  della  legge  n. 296  del 2006) a 300
milioni di euro. L'art. 1-bis del decreto-legge, aggiunto dalla legge
di  conversione  n. 64 del 2007, incrementa quindi per l'anno 2007 il
livello  del  finanziamento  del  Servizio  sanitario  nazionale  cui
concorre  ordinariamente  lo  Stato  di  511 milioni di euro. (L'art.
1-bis  provvede poi ad abrogare le disposizioni incompatibili come il
comma 1 dell'art. 6-quater del decreto-legge 28 dicembre 2006, n. 300
convertito  con  modificazioni,  dalla legge 26 febbraio 2007, n. 17,
che  prevedeva  l'applicazione  del  pagamento  del  ticket  fino  al
31 marzo  2007  e  comunque  fino  all'entrata in vigore delle misure
alternative    di   partecipazione   al   costo   delle   prestazioni
specialistiche  o  alla  stipulazione  di  accordi tra le regioni e i
Ministeri  della  salute  e  dell'economia  e  delle  finanze  per la
definizione  di  misure  alternative di partecipazione al costo delle
prestazioni  sanitarie, equivalenti sotto il profilo del mantenimento
dell'equilibrio     economico-finanziario     e     del     controllo
dell'appropriatezza).
    Il  comma 2  dell'art. 1-bis, aggiunto dalla legge di conversione
n. 64  del  2007,  stabilisce  che la copertura dell'onere costituito
dall'incremento  di  511 milioni di euro di maggior finanziamento del
SSN a cui concorre lo Stato per l'anno 2007, si provvede:
        1) quanto   a   100   milioni   di  euro  mediante  riduzione
dell'autorizzazione  di  spesa relative al fondo per l'estinzione dei
debiti  pregressi  delle amministrazioni centrali (di cui all'art. 1,
comma 50, della legge 23 dicembre 2005, n. 266);
        2) quanto  a  411  milioni  di  euro  mediante utilizzo delle
disponibilita'   del   fondo  di  rotazione  per  l'attuazione  delle
politiche  comunitarie  di cui all'art. 5 della legge 16 aprile 1987,
n. 183,  che,  a  tal  fine,  sono  versate  nello  stesso  anno 2007
all'entrata del bilancio dello Stato, per essere riassegnate al Fondo
sanitario  nazionale,  in deroga alla limitazione alla riassegnazione
delle entrate prevista dall'art. 1, comma 46, della legge 23 dicembre
2005, n. 266, (che prevede che a decorrere dall'anno 2006 l'ammontare
complessivo  delle riassegnazioni di entrate non superi, per ciascuna
amministrazione,    l'importo    complessivo   delle   riassegnazioni
effettuate  nell'anno 2005,  ad eccezione delle riassegnazioni per le
quali  l'iscrizione  della  spesa  non ha impatto sul conto economico
consolidato   delle  pubbliche  amministrazioni,  nonche'  di  quelle
riguardanti   l'attuazione  di  interventi  cofinanziati  dall'Unione
europea).
    L'art.  1  del  decreto-legge  n. 23  del  2007,  convertito  con
modifiche   dalla   legge  n. 64  del  2007,  lede  profondamente  le
competenze  riconosciute  alla  Regione Lombardia dalla Costituzione,
risultando lesivo dell'autonomia ad essa costituzionalmente garantita
per i seguenti motivi di

                            D i r i t t o

1) Premessa.
    E'  utile  ricordare come nelle more dell'entrata in vigore della
legge   Cost.   n. 3  del  2001,  vale  a  dire  dopo  l'approvazione
parlamentare, ma prima dell'esito positivo del referendum, l'8 agosto
2001  veniva  siglato  l'accordo tra Governo e regioni, con il quale,
sulla  base  del principio contenuto nel nuovo art. 119, quarto comma
Cost.,  della corrispondenza tra risorse e funzioni, si addiveniva ad
un  incremento  dei finanziamenti statali in materia sanitaria per il
2001   in   favore   delle  regioni,  da  intendersi  come  «chiusura
definitiva» della partita finanziaria tra gli attori dell'intesa.
    L'intervento  legislativo  qui impugnato spinge invece il sistema
in  una direzione inequivocabilmente contraria alle opzioni tracciate
dal  legislatore  costituzionale  del 2001, vanificando, di fatto, le
scelte  costitutive  ed  essenziali  di  quella  riforma, ispirata ad
un'ampia  attribuzione  di  compiti  e funzioni alle regioni e ad una
corrispondente assunzione di responsabilita'.
    Il  decreto-legge  n. 23 del 2007, convertito con modifiche dalla
legge n. 64 del 2007, lede il principio di uguaglianza e si configura
come  legge di sanatoria ponendosi in contrasto con l'art. 3 Cost; e'
in  contrasto  con  il secondo comma dell'art. 77 Cost. che limita il
ricorso  al  decreto-legge ai soli «casi straordinari di necessita' e
d'urgenza»; non rispetta il vigente riparto di competenze tra Stato e
regioni  e  contrasta  apertamente  con  i  principi  di «federalismo
fiscale»  violando  cosi'  gli artt. 117, terzo e quarto comma, e 119
Cost;  viola  inoltre  il  sesto  comma  dell'art. 119  Cost. poiche'
consente  alle  regioni di indebitarsi per il finanziamento, non gia'
di  investimenti,  ma  di debiti pregressi relativi a spese correnti;
crea  situazioni  di  disparita' contributiva e modifica l'entita' di
tributi periodici per un periodo di imposta precedente all'entrata in
vigore delle disposizioni, ponendosi cosi' in contrasto con l'art. 53
Cost.  (principio  di  capacita'  contributiva) e con l'art. 23 Cost.
(riserva   di   legge   in   materia   di  «prestazioni  personali  e
patrimoniali»);  lede  altresi'  i  principi  di buon andamento della
pubblica  amministrazione (art. 97 Cost.) e viola altresi' l'art. 120
Cost.  poiche',  disponendo  a  tutti  gli  effetti un vero e proprio
intervento sostituivo del Governo nei poteri delle regioni, ancorche'
non  esplicitato,  non  definisce  con legge le procedure di garanzia
atte  ad  assicurare  che  tale potere sostitutivo sia esercitato nel
rispetto  del  principio  di  sussidiarieta' e del principio di leale
collaborazione;  il  decreto-legge  n. 23  del 2007, convertito dalla
legge  n. 64  del  2007, non affronta e non risolve il problema della
copertura  dei  piani  di  rientro,  ponendosi cosi' in contrasto con
l'art. 81,  quarto  comma  Cost;  viola altresi' gli artt. 117, 118 e
119,  sesto  comma poiche', consentendo l'indebitamento delle regioni
per  il  finanziamento  di  debiti  pregressi,  non contiene adeguate
previsioni  sugli  strumenti  di  monitoraggio,  di  controllo, sulle
sanzioni   relative   all'eventuale   uso  improprio  delle  risorse,
sull'aumento  del  prelievo  fiscale, ne' offre alcuna garanzia sulla
restituzione   delle   somme  «prestate»  dallo  Stato  alle  regioni
deficitarie.
2) Illegittimita'  dell'art.  1  del  decreto-legge  n. 23  del 2007,
convertito   con  modificazioni  dalla  legge  n. 64  del  2007,  per
violazione dell'art. 3 Cost. sotto il profilo dell'uguaglianza tra le
regioni.
    Il   provvedimento  impugnato  viola  il  basilare  principio  di
uguaglianza,  consacrato  dall'art. 3  Cost. Esso infatti, agendo con
metodo  selettivo,  opera  una  vera  e  propria  discriminazione fra
soggetti  istituzionalmente  fra  loro  equiordinati,  quali  sono le
regioni,  selezionandone  alcune  nei  confronti delle quali lo Stato
concorre  al ripiano del disavanzo nel settore del Servizio sanitario
nazionale, ed escludendo le altre che non avranno accesso ai benefici
predisposti dal decreto-legge.
    La  selezione  viene  infatti  operata sulla base di parametri la
sussistenza  dei  quali  rappresenta la dimostrazione evidente di una
prolungata  incapacita' amministrativa e gestionale di talune regioni
e,  di  fatto, porta all'esclusione di altre regioni le cui capacita'
gestionali  e  amministrative  hanno  invece  garantito situazioni di
maggiore equilibrio e di maggiore efficienza.
    Queste  capacita'  e  queste  pratiche virtuose, conseguite anche
attraverso   percorsi  di  responsabilizzazione  della  collettivita'
regionale, come il ricorso alla leva fiscale, valgono ora a escludere
le  regioni  che  le  hanno  poste  in  essere  dalla possibilita' di
ricevere   finanziamenti   statali,  in  forza  di  un  provvedimento
legislativo, qual e' quello qui impugnato, che costituisce in realta'
un  forte  disincentivo  al  reperimento di risorse nell'ambito della
finanza   regionale,  finalizzate  al  mantenimento  di  un  servizio
sanitario efficiente ed economicamente sostenibile.
    Cosi' facendo, il decreto-legge tradisce in pieno quel «carattere
incentivante»  piu'  volte  individuato  da  codesta  ecc.ma Corte in
relazione  al  finanziamento  statale ai fini del conseguimento degli
obiettivi  di  programmazione  sanitaria e del connesso miglioramento
del  livello  di assistenza (sentenze nn. 36 del 2004 e 98 del 2007),
finendo  in  realta'  per  incoraggiare  soltanto  politiche di minor
rigore,  alla  luce  di  una  sperata  e  tutt'altro  che improbabile
copertura statale delle situazioni di disavanzo.
    Tutto  cio'  in  un  ambito  nel  quale  la  collettivita' appare
direttamente  interessata  da un lato all'implementazione di pratiche
amministrative  efficienti  ed  appropriate  che  si  traducano in un
livello  di  prestazioni soddisfacenti e dall'altro alla inderogabile
responsabilizzazione  per  la  gestione del settore sanitario e delle
risorse  ad  esso  collegate  che,  come  evidenziato  anche da gravi
vicende  giudiziarie  recenti, non puo' piu' essere pretermessa, come
invece  palesemente  fa  il decreto-legge qui impugnato, attraverso i
suoi esiti di esclusivo «ripiano».
    L'art. 1 del decreto-legge n. 23 del 2007, convertito dalla legge
n. 64  del  2007,  appare inoltre lesivo del principio di uguaglianza
sancito   dall'art. 3   Cost.   anche  perche',  attribuendo  risorse
economiche  solo  ad  alcune regioni, pur oberate da gravi e tuttavia
evitabili   (doverosamente  evitabili!)  situazioni  di  debito,  non
consente  alle  regioni che quei disavanzi hanno saputo evitare (come
la  ricorrente)  di  utilizzare le risorse statali aggiuntive, per il
miglioramento  del proprio servizio sanitario, su basi di effettiva e
reale  parita'  istituzionale. A queste regioni viene cosi' negata la
possibilita'  non  solo  di  confermare  una  situazione  di pareggio
economico-finanziario  del sistema sanitario regionale ma soprattutto
di   diminuire   il  gravame  delle  compartecipazioni  richieste  ai
cittadini   per   garantire   livelli  di  efficienza  economica.  Il
decreto-legge  impugnato  premia invece quelle regioni che al fine di
porre  rimedio  alle  «inappropriatezze»  e  alle  «inefficienze  del
sistema che minano il controllo della spesa e l'efficacia dei servizi
per  i  cittadini» (secondo quanto richiesto dal Protocollo di intesa
stipulato il 28 settembre 2006), hanno fatto affidamento sull'apporto
determinante di stanziamenti provenienti dallo Stato.
3)  Illegittimita' costituzionale dell'art. 1 del decreto-legge n. 23
del  2007,  convertito  con modificazioni dalla legge n. 64 del 2007,
per violazione del principio di ragionevolezza sotto il profilo della
illegittima natura retroattiva e di sanatoria del provvedimento.
    L'art.  1  del  decreto-legge  n. 23  del  2007,  convertito  con
modificazioni  dalla  legge  n. 64  del 2007, inoltre, allontanandosi
esplicitamente   dai  caratteri  di  generalita'  e  astrattezza  che
tendenzialmente    dovrebbero   caratterizzare   ogni   provvedimento
normativo,  introduce  norme  specifiche,  puntuali  e  di  carattere
provvedimentale,   che   valgono  a  selezionare  in  modo  mirato  i
destinatari  delle  stesse. Le previsioni appaiono per di piu' munite
di  un'esplicita efficacia retroattiva, essendo dirette a ripianare i
«disavanzi   pregressi   nel   settore  sanitario».  Nella  sostanza,
introducono una vera e propria sanatoria a favore di comportamenti di
malagestione  di cui si sono rese protagoniste alcune amministrazioni
regionali.
    La  giurisprudenza  di  codesta ecc.ma Corte ha da tempo chiarito
come,  in  via  di  principio, le leggi di sanatoria, pur non essendo
costituzionalmente  precluse,  devono essere considerate come ipotesi
eccezionali,   la   cui   giustificazione  impone  uno  scrutinio  di
costituzionalita'  estremamente rigoroso. L'intervento legislativo in
sanatoria, infatti, puo' essere ragionevolmente giustificato soltanto
se  le  specifiche  peculiarita'  del  caso  siano  tali da escludere
l'arbitrarieta'   e   l'irragionevolezza   della  sostituzione  della
disciplina  generale  -  originariamente  applicabile  -  con  quella
eccezionale  successivamente  emanata.  L'ampio  vulnus  inferto alla
parita'  di  trattamento da questo decreto legge, vulnus del quale si
e'  gia'  data  ampia  evidenza,  vale  senza  dubbio ad escludere la
costituzionalita'  di una legge con i caratteri della sanatoria, qual
e'  il  decreto  qui  impugnato. Il rischio evidente di ogni legge di
sanatoria,  che  nel caso del decreto-legge n. 23 del 2007 convertito
con  modifiche  dalla  legge  n. 64  del  2007  qui impugnato diventa
pericolo  attuale,  e'  quello  di  vanificare  del  tutto i principi
regolatori  di una materia, consentendo quei comportamenti che invece
il  sistema  normativo  generale  derogato  non consente e vulnerando
gravemente altresi' la certezza del diritto.
4) Illegittimita'  costituzionale  del  decreto-legge n. 23 del 2007,
convertito   con  modificazioni  dalla  legge  n. 64  del  2007,  per
violazione  del  secondo  comma dell'art. 77  Cost,  sotto il profilo
della carenza di straordinaria necessita' e urgenza.
    La  Costituzione,  nello stabilire che la funzione legislativa e'
esercitata  collettivamente  dalle due Camere (art. 70 Cost.), adotta
una  scelta  coerente con il principio della separazione dei poteri e
con  la  forma  di Governo parlamentare, che richiede che la funzione
legislativa  spetti essenzialmente all'organo eletto direttamente dal
popolo.
    Come  codesta  ecc.ma  Corte  ha  recentissimamente ricordato, la
previsione  di  cui  al  primo  comma  dell'art. 77  Cost.,  dove  si
stabilisce  che  «il Governo non puo' senza delegazione delle Camere,
emanare  decreti  che  abbiano  valore  di legge ordinaria», potrebbe
apparire  «superflua se non le si attribuisse il fine di sottolineare
che  le  disposizioni  dei  commi  successivi  (...)  hanno carattere
derogatorio rispetto all'essenziale attribuzione del Parlamento della
funzione  di  porre  le  norme  primarie nell'ambito delle competenze
dello Stato centrale» (sentenza n. 171 del 2007).
    L'ipotesi  di  provvedimenti adottati dall'organo esecutivo senza
preventiva  delega legislativa e' quindi prevista e autorizzata dalla
Costituzione  in  quanto  motivata  da  situazioni  straordinarie  di
necessita'  ed  urgenza. In questi casi, il Governo, sotto la propria
responsabilita',  adotta  provvedimenti provvisori con forza di legge
che,  se  non  sono convertiti in legge dal Parlamento entro sessanta
giorni, perdono efficacia. Questo sistema costituzionale evidenzia in
modo  chiaro  che l'esercizio della «decretazione d'urgenza» da parte
del   Governo,   costituisce   vera   e   propria   deroga   rispetto
all'attribuzione  al Parlamento della funzione legislativa e trova la
sua  ragion d'essere nella sussistenza di situazioni straordinarie di
necessita'  ed urgenza, le sole che valgono a giustificare una vera e
propria  eccezione  alla  ripartizione  dei  poteri  e  all'ordinario
esercizio delle funzioni costituzionali connesse.
    Peraltro  il sistema delineato dall'art. 77 della Costituzione ha
storicamente  subito  un  profondo  vulnus  ad  opera  di  una prassi
politica  e  istituzionale  che  ha  trasformato  i  decreti-legge in
strumenti di legislazione ordinaria. A cio' si e' aggiunta la cattiva
pratica  della  reiterazione  di decreti-legge non convertiti, che ha
rischiato  di alterare profondamente l'assetto delle fonti normative,
assetto  che,  come  codesta  ecc.ma  Corte  ha  ricordato, «e' anche
funzionale  alla  tutela dei diritti e caratterizza la configurazione
del  sistema  costituzionale  nel suo complesso» (sentenza n. 171 del
2007).
    Proprio  a tutela di questo sistema, codesta ecc.ma Corte ha gia'
da  tempo affermato che, pur nel rispetto del ruolo del Governo e del
Parlamento  e  delle valutazioni politiche condotte da tali organi ai
fini  della  decretazione  d'urgenza,  l'esistenza  dei  requisiti di
necessita'   ed   urgenza   puo'   essere  oggetto  di  scrutinio  di
costituzionalita'  (sent. n. 29 del 1995); si tratta di verificare il
rispetto dei limiti posti alla decretazione d'urgenza, a tutela della
forma  di  Governo  parlamentare  e  della legittimazione democratica
della  produzione  di  norme giuridiche e delle stesse fonti primarie
del diritto.
    Sotto  altro  profilo,  la  Corte  costituzionale  ha  di recente
motivato che tale controllo non e' affatto precluso dall'approvazione
della legge di conversione ad opera del Parlamento, che, pertanto, e'
priva  di  efficacia sanante rispetto ad un provvedimento carente dei
presupposti  di  necessita'  ed urgenza. Come codesta ecc.ma Corte ha
chiarito  «affermare  che la legge di conversione sana in ogni caso i
vizi   del   decreto   significherebbe   attribuire  in  concreto  al
legislatore ordinario il potere di alterare il riparto costituzionale
delle  competenze del Parlamento e del Governo quanto alla produzione
delle fonti primarie» (sentenza n. 171 del 2007).
    Il  decreto-legge  n. 23 del 2007, convertito con modifiche dalla
legge  di  conversione  n. 64 del 2007, ad un esame approfondito, non
riesce  a  porre  in  evidenza  i requisiti di necessita' ed urgenza,
oltre  che  di  straordinarieta' della situazione normata, che devono
giustificare  ogni  provvedimento  provvisorio  con  forza  di  legge
adottato dal Governo.
    L'art.  1 del decreto-legge n. 23 del 2007, come convertito dalla
legge   n. 64   del  2007,  si  inserisce  nel  quadro  normativo  di
riferimento  in  precedenza  richiamato  operando  una vera e propria
sostituzione  della disciplina generale - originariamente applicabile
-   con  quella  eccezionale  successivamente  emanata.  Sotto  altro
profilo,  le  situazioni  di  colpevole  deficit che il provvedimento
intende ripianare, non possono essere realisticamente riguardate come
un «caso straordinario» (secondo quanto prescritto dall'art. 77 Cost.
per  giustificare  il  ricorso  alla decretazione d'urgenza), perche'
rappresentano   l'esito  non  improvviso  ne'  imprevedibile,  quindi
scontato  e,  dunque, di certo non straordinario, delle gravi carenze
gestionali  e  amministrative  evidenziate  da talune amministrazioni
regionali.
    Il Governo ha creduto di adempiere all'obbligo di esporre innanzi
al   Parlamento   le   ragioni   che   giustificano   l'adozione  del
decreto-legge  mediante una breve formula, inserita nel preambolo del
decreto-legge  impugnato, che enuncia «la straordinaria necessita' ed
urgenza  di  consentire  il  risanamento  strutturale e selettivo dei
servizi sanitari regionali in disavanzo e di conseguire gli obiettivi
della  manovra  finanziaria  previsti  dalla  legge 27 dicembre 2006,
n. 296  (legge  finanziaria  2007)».  Nella  relazione governativa al
disegno  di  legge  di  conversione  si  rinviene inoltre un generico
riferimento  a  «necessarie  ed improrogabili esigenze di intervenire
nel settore sanitario al fine di assicurare gli effetti della manovra
finanziaria varata dal Governo con la legge 27 dicembre 2006, n. 296,
(legge  finanziaria  per  il 2007) che, per le regioni interessate da
ampi disavanzi pregressi, non potrebbero essere realizzati in assenza
di  un quadro finanziario definito», (Atti parlamentari, Senato, leg.
XV,  doc.  n. 1411).  La  stessa  relazione  ha inoltre affermato che
l'urgenza  delle  misure  recate  dal  decreto-legge  n. 23  del 2007
risiederebbe  nella  circostanza  che,  in assenza del provvedimento,
«non  possono  essere  tempestivamente  sottoscritti i predetti piani
come  programmato,  tenuto  conto che i medesimi debbono contenere le
politiche  di  intervento  nel  settore  sanitario, da attivarsi gia'
dall'inizio  dell'anno in corso» (Atti parlamentari, Senato, leg. XV,
doc. n. 1411, Relazione al disegno di legge di conversione).
    In realta' un'affermazione siffatta non e' assolutamente idonea a
dimostrare l'urgenza della normativa impugnata, essendo, in almeno un
caso,   priva  di  veridicita',  o  almeno  inesatta:  alla  data  di
emanazione  del  decreto-legge  (20 marzo  2007),  i piani di rientro
delle   regioni   ammesse  al  finanziamento  risultavano  ampiamente
definiti  (anche  sul  punto  dell'entita' della partecipazione dello
Stato  al  ripiano  dei  disavanzi regionali); nel caso della Regione
Lazio  il  piano  di rientro e' stato sottoscritto dai Ministri della
salute,  dell'economia e delle finanze e dal presidente della regione
il  28 febbraio  2007 e approvato dalla giunta regionale con delibera
n. 149  del  6 marzo  2007 (pubblicato nel supplemento ordinario n. 7
del  Bollettino  ufficiale  della  Regione  Lazio n. 12 del 30 aprile
2007).
    Proprio  in  tale  «Piano  di  rientro» si legge che l'accordo e'
sottoscritto nel «presupposto» che si verifichino tutte le condizioni
indicate,  «il  cui  mancato  effettivo  verificarsi  ne  comporta la
nullita»  (art. 6).  Tra i presupposti (non ancora verificati, dunque
futuri)  e'  previsto il concorso straordinario dello Stato in favore
delle  regioni  con  elevati  disavanzi, ma, non e' dato di capire su
quali  basi giuridiche venga presupposto un finanziamento dello Stato
non ancora autorizzato e regolato da alcun testo normativo.
    D'altra  parte,  come visto, tra i requisiti che il decreto-legge
n. 23  del  2007  convertito  dalla legge n. 64 del 2007 richiede per
l'accesso  al finanziamento dello Stato per il ripiano dei disavanzi,
vi e' proprio la stipula dei piani di rientro.
    Si  e'  dunque  di fronte ad una irrisolvibile tecnica di rimando
per  cui  i  piani  di rientro richiedono un provvedimento futuro del
Governo  con  cui si dispone la partecipazione dello Stato al ripiano
dei deficit regionali (ed anzi lo «presuppongono») e il provvedimento
del  Governo  (e  cioe'  il  decreto-legge  convertito qui impugnato)
subordina  l'erogazione  delle somme stanziate alla stipula dei Piani
di rientro.
    In  realta'  il  decreto-legge  n. 23  del  2007,  convertito con
modifiche  dalla  legge  n. 64  del 2007, non puo' essere considerato
come un provvedimento indispensabile per consentire la sottoscrizione
dei  piani  di  rientro  (dal  momento  che alcuni di essi erano gia'
sottoscritti   alla  data  di  emanazione  del  decreto-legge):  piu'
semplicemente,  il  decreto  dispone  e  quantifica il concorso dello
Stato  nel  ripiano  dei  deficit regionali e cosi' facendo altera il
quadro  competenziale  definito dalla Costituzione, violando altresi'
le  competenze  regionali.  Le affermazioni che dovrebbero motivare e
giustificare  l'assunzione  di  responsabilita'  governativa rispetto
all'adozione  del  decreto-legge appaiono quindi generiche, inesatte,
inadeguate  e  si risolvono, in definitiva, nella semplice asserzione
di non meglio precisate «ragioni di necessita' ed urgenza» e valgono,
sotto  altro  profilo, ad evidenziare in modo trasparente la volonta'
di  privare  il  Parlamento del ruolo legislativo che la Costituzione
gli assegna e a spogliare le regioni delle proprie competenze.
    Proprio   di  recente  codesta  ecc.ma  Corte  ha  censurato,  in
relazione  alla decretazione d'urgenza, un siffatto contegno da parte
dell'organo    esecutivo,    chiarendo   che   «l'utilizzazione   del
decreto-legge - e l'assunzione di responsabilita' che ne consegue per
il  Governo  secondo  l'art. 77  Cost.  -  non  puo' essere sostenuta
dall'apodittica   enunciazione   dell'esistenza   delle   ragioni  di
necessita'  e di urgenza ne' puo' esaurirsi nella constatazione della
ragionevolezza  della  disciplina  che e' stata introdotta» (sentenza
n. 171 del 2007).
    La  scelta  dello  strumento  del  decreto-legge  appare altresi'
scarsamente    rispettosa    del    generale   principio   di   leale
collaborazione,   la  cui  osservanza  avrebbe  potuto  concorrere  a
legittimare  l'intervento  statale in materia di competenza regionale
e,  sotto altro aspetto, sarebbe valso a tutelare le regioni da forme
di  intervento  invasive  del  proprio  ambito  di competenze. Con la
decretazione  d'urgenza  invece,  il  coinvolgimento della Conferenza
Stato-Regioni  e'  stato  relegato ex post nella forma di un semplice
parere relativo al disegno di legge di conversione del decreto-legge.
Peraltro,  nel  caso  di specie, l'atto formale con cui la Conferenza
permanente  per  i  rapporti  tra  lo Stato, le regioni e le province
autonome  di  Trento e di Bolzano avrebbe dovuto esprimere la propria
posizione in merito al disegno di legge di conversione e' mancato, in
seguito  alle posizioni critiche e non unitarie assunte dalle regioni
e province autonome in ordine al provvedimento. Gli organi di vertice
della   Conferenza   hanno   infatti  denunciato  «l'assenza  di  una
necessaria  concertazione  preventiva con la Conferenza delle regioni
all'elaborazione  di  un  provvedimento  relativo  alla questione dei
debiti  pregressi,  questione  rimasta sospesa con il Governo dopo la
sottoscrizione  del «Patto per la Salute»» (Conferenza permanente per
i  rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento
e di Bolzano, documento del 18 aprile 2007, all. A).
    In precedenti e analoghe occasioni relative alla ripartizione tra
le  regioni (tutte le regioni) di disponibilita' finanziarie a titolo
di  concorso  dello  Stato  nel  ripiano  dei  disavanzi del Servizio
sanitario  nazionale,  previste dalla legge finanziaria 2005 (art. 1,
comma 164  della  legge  n. 311 del 2004), il decreto ministeriale di
attuazione che ripartiva le somme disponibili tra le diverse regioni,
e'  stato oggetto di intesa (Conferenza permanente per i rapporti tra
lo  Stato,  le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano,
documento  del  23 marzo  2005, n. rep. 2277), nella quale sono stati
concordati  all'unanimita',  da  parte  del  Governo  e  di  tutti  i
presidenti  delle  regioni  e delle province autonome i contenuti del
provvedimento.  Il  decreto-legge  n. 23 del 2007 convertito in legge
con  modifiche dalla legge n. 64 del 2007, che invece assegna risorse
in  modo  selettivo solo a talune regioni, escludendone altre, non e'
assistito da alcuna forma di intesa e di coordinamento con le regioni
(adottata   in  sede  di  Conferenza  permanente  Stato-regioni).  In
applicazione del principio di leale cooperazione, soprattutto li dove
appaiono  evidenti  i  segni  di un'attivita' quasi sostitutiva dello
Stato  in  ambiti  di  competenza  propri delle regioni, come codesta
ecc.ma Corte ha avuto modo di stabilire: «occorre comunque uno sforzo
delle  parti per dar vita ad una trattativa. Lo strumento dell'intesa
tra  Stato  e  regioni  costituisce  una  delle  possibili  forme  di
attuazione  del  principio  di  leale  cooperazione tra lo Stato e la
Regione   e  si  sostanzia  in  una  paritaria  codeterminazione  del
contenuto  dell'atto;  intesa,  da  realizzare  e  ricercare, laddove
occorra,   attraverso   reiterate  trattative  volte  a  superare  le
divergenze  che  ostacolino  il  raggiungimento  di un accordo, senza
alcuna   possibilita'   di   un   declassamento   dell'attivita'   di
codeterminazione connessa all'intesa in una mera attivita' consultiva
non vincolante» (sentenza n. 27 del 2004).
5) Illegittimita'  costituzionale dell'art. 1 del decreto-legge n. 23
del  2007,  convertito  con modificazioni dalla legge n. 64 del 2007,
per violazione del terzo e quarto comma dell'art. 117 e dell'art. 119
Cost., anche in relazione all'art. 32.
    La   «tutela   della  salute»  fa  parte  di  un  fondamentale  e
incomprimibile  nucleo di diritti protetti e di fini perseguiti dallo
Stato sociale. Il quadro competenziale delineato dall'art. 117, terzo
comma pone  la  materia  tra  quelle affidate alla potesta' normativa
regionale concorrente: e' dunque la Costituzione ad individuare nelle
regioni  il  soggetto istituzionale competente ad emanare le norme di
dettaglio   relative  al  settore;  la  determinazione  dei  principi
fondamentali  e' invece riservata alla legislazione dello Stato; allo
Stato  e'  inoltre  riservata  in via esclusiva la determinazione dei
«livelli  essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e
sociali   che   devono   essere  garantiti  su  tutto  il  territorio
nazionale».
    In  realta',  la  riforma  del Titolo V della Costituzione non ha
fatto  che  sottolineare  la  vocazione del diritto alla salute ad un
radicamento  territoriale,  a  garanzia  di una sua effettiva tutela.
Proprio  per  questo  l'intervento  dello  Stato  in materia non puo'
spingersi  fino  ad  abbracciare l'intero contenuto del diritto, pena
l'illegittima  soppressione  delle  competenze regionali funzionali a
modulare  l'offerta  sanitaria  in  relazione  alle concrete esigenze
locali.
    Peraltro, gia' da tempo codesta ecc.ma Corte ha affermato come la
materia  di  competenza  regionale  concorrente  della  «tutela della
salute»  deve  essere  intesa  come  «assai  piu' ampia rispetto alla
precedente  materia  assistenza  sanitaria  e  ospedaliera» (sentenze
n. 181  del  2006  e n. 270 del 2005), e a quella dell'organizzazione
sanitaria.  Si  tratta, secondo altra decisione, di materia in cui le
regioni possono adottare «una propria disciplina anche sostitutiva di
quella statale» (sentenza n. 510 del 2002).
    L'art.  1  del  decreto-legge  n. 23  del  2007,  convertito  con
modifiche  dalla legge n. 64 del 2007, altera gravemente il quadro di
competenze  delineato  dalla  Costituzione:  si  tratta infatti dello
stanziamento    di   un   ingente   finanziamento   vincolato   nella
destinazione,  ben in grado di condizionare e influire sull'esercizio
di  funzioni  che  la  Costituzione  assegna all'ambito di competenza
regionale.  Come  codesta  ecc.ma  Corte ha motivato, allorche' ci si
trovi  al  cospetto di norme che presentano una «stretta inerenza con
l'organizzazione  del  seivizio sanitario regionale e, in definitiva,
con   le   condizioni   per   la  fruizione  delle  prestazioni  rese
all'utenza»,  si  puo'  certamente  ritenere  che  le  stesse  vadano
ascritte,  con  prevalenza, alla materia «tutela della salute» (sent.
n. 181 del 2006).
    Una  norma  che  dispone un finanziamento di 3000 milioni di euro
«per  il  ripiano  selettivo  dei  disavanzi  pregressi  nel  settore
sanitario»  a vantaggio di selezionate regioni e', con ogni evidenza,
norma  di  sicuro  impatto sull'organizzazione del servizio sanitario
regionale,   essendo   certamente   in   grado   di  condizionare  le
caratteristiche  generali  dell'offerta sanitaria regionale. E, sotto
altro profilo, da una previsione di tale natura non puo' ancorarsi la
esclusiva  competenza  statale  in  materia  di  «determinazione  dei
livelli  essenziali  delle prestazioni concernenti i diritti civili e
sociali   che   devono   essere  garantiti  su  tutto  il  territorio
nazionale»,   cosi'   come  prevista  dall'art. 117,  secondo  comma,
lettera m), Cost. Come codesta ecc.ma Corte ha confermato nella sent.
n. 181  del 2006, «tale titolo di legittimazione legislativa non puo'
essere  invocato  "se non in relazione a specifiche prestazioni delle
quali  la  normativa  statale  definisca  il  livello  essenziale  di
erogazione",   risultando,   viceversa,   "del   tutto   improprio  e
inconferente   il   riferimento"   ad   esso   allorche'  si  intenda
"individuare  il fondamento costituzionale della disciplina, da parte
dello  Stato, di interi settori materiali" (sentenza n. 285 del 2005,
ma  si  vedano  anche,  ex  multis, sentenze n. 423 e n. 16 del 2004;
n. 282 del 2002)».
    Il  provvedimento  impugnato  inoltre si pone in palese contrasto
con  un principio che codesta ecc. Corte ha avuto modo di affermare e
chiarire  ripetutamente  (ad  esempio nelle sentenze n. 16 del 2004 e
n. 370  del  2003) motivando che il ricorso a finanziamenti vincolati
«puo'  divenire  uno  strumento indiretto, ma pervasivo, di ingerenza
dello  Stato nell'esercizio delle funzioni delle regioni e degli enti
locali,  nonche'  di  sovrapposizione  di  politiche  e  di indirizzi
governati  centralmente  a quelli legittimamente decisi dalle regioni
negli ambiti materiali di propria competenza» (sent. 51 del 2005).
    Il processo complessivo di riordino in senso federale dello Stato
impone  che  le singole riforme non possano essere considerate come a
se'  stanti  rispetto  al resto, essendo richiesto, al contrario, una
continua  e  stretta  interrelazione  tra  le stesse, in modo tale da
fornire  al  processo  federalista coerenza e compiutezza. Va da se',
quindi,  come  il  testo  costituzionale  novellato  a  seguito della
Riforma  del Titolo V del 2001 individui una stretta correlazione tra
gli  articoli 119  e  117  laddove  esige  che  le funzioni pubbliche
relative  a  materie  di  competenza  regionale  piena  o concorrente
debbano  essere  finanziate  con  le  risorse  proprie  alle quali si
riferisce  l'art.  119,  quarto  comma,  della  Costituzione (tributi
propri,  compartecipazioni al gettito di tributi erariali e quote del
fondo  perequativo  senza  vincolo  di  destinazione).  A sei anni di
distanza  dall'entrata  in  vigore  del  nuovo testo del Titolo V, il
«federalismo  fiscale»  previsto  dall'art. 119  -  che, insieme agli
articoli 117  e  118  opera  come vero e proprio «distributore» della
sovranita'  popolare  tra  le  istituzioni  della Repubblica - stenta
ancora a trovare la sua doverosa attuazione.
    Il  decreto  oggetto della presente impugnazione riflette infatti
la  storia  complessa dell'evoluzione della finanza locale in Italia,
spesso  caratterizzata  da  interventi  ex  post a ripiano dei debiti
degli  enti  locali,  che si sono poi cristallizzati con il tempo nel
sistema  dei  trasferimenti  e quindi dei tributi devoluti. In quanto
tale, si tratta di un sistema iniquo e irrazionale, non riconducibile
a  principi  oggettivi  di  attribuzione  delle  risorse  e  pertanto
radicalmente incostituzionale.
    Ripetutamente  codesta  ecc.ma Corte ha motivato come, pur in una
situazione di parziale attuazione dell'art. 119 Cost., deve ritenersi
preclusa   la  possibilita'  di  interventi  finanziari  statali  non
coerenti  con  il vigente riparto di competenze tra Stato e regioni e
debba  necessariamente  ridursi  l'ambito  di  tutti  i finanziamenti
statali  riconducibili  ad  una  finanza  c.d.  derivata. Cio' che la
giurisprudenza  costituzionale  ha  costantemente  affermato  e' che,
nell'attesa  della  completa  attuazione  del  dettato  dell'art. 119
Cost., e' necessario pervenire ad un ripensamento dell'intero sistema
di  relazioni  finanziarie  tra  livelli  di governo che, da un verso
riconosca  l'incompatibilita'  rispetto  al  quadro costituzionale di
riferimento di trasferimenti statali generalizzati in materie che non
siano  di  competenza  esclusiva  statale;  e,  sotto  altro profilo,
impedisca  che  l'ingerenza  statale  si  manifesti  anche attraverso
trasferimenti  particolari  e  una tantum (sentenze nn. 370 del 2003,
nn. 16, 320, 423 del 2004 e n. 118 del 2006).
    Ovviamente,  il  rispetto  delle  imprescindibili esigenze legate
allo  sviluppo  economico, alla coesione e alla solidarieta' sociale,
oltre  che  alla  rimozione  degli squilibri economici e sociali puo'
autorizzare la destinazione di risorse aggiuntive.
    Tuttavia  e' necessario sottolineare come la scelta di attribuire
le  risorse stanziate dal decreto (quantificate dal comma 3 dell'art.
1  del  decreto-legge  n. 23  del  2007, convertito con modificazioni
dalla  legge n. 64 del 2007, in 3000 milioni di euro per l'anno 2007)
«sulla  base  dei  debiti  accumulati fino al 31 dicembre 2005, delle
capacita'  fiscale  regionale e della partecipazione delle regioni al
finanziamento  del  fabbisogno  sanitario» non appare sufficiente ne'
idonea  a  garantire  nessuna effettiva perequazione finalizzata alla
rimozione  di  squilibri  «economici  e  sociali» (come richiesto dal
quinto   comma  dell'art. 119  Cost.).  In  realta'  misure  siffatte
ancorano  in  massima parte l'entita' del finanziamento all'ammontare
del debito e pertanto non hanno alcuna possibilita' di rimediare alle
situazioni  strutturali  che determinano inefficienze e diseconomie e
quindi  non sono utili a determinare effetti duraturi di riequilibrio
economico  e  sociale.  Al  contrario,  alimentano  una condizione di
irresponsabilita'  diffusa in ordine alle cause che hanno determinato
gli enormi deficit.
    Viene  inoltre  minata la logica perequativa che, in un'ottica di
federalismo  fiscale,  guida  l'individuazione delle quote da erogare
alle  regioni  relative  al  Fondo  perequativo nazionale (introdotto
dall'art. 7  del  d.lgs.  n. 56  del 2000), effettuata in funzione di
parametri   riferiti   alla  popolazione  residente,  alla  capacita'
fiscale, ai fabbisogni sanitari e alla dimensione geografica, e, piu'
in  generale,  ad  indicatori  oggettivi che non si traducono in meri
indicatori del debito.
    L'art. 7  del  d.lgs.  n. 56  del  2000  (recante  la  disciplina
relativa  al Fondo perequativo nazionale) e' stato prima «sospeso» ad
opera  dell'art. 4 del d.l. n. 314 del 2004 (convertito in legge, con
modificazioni,  dall'art.  1  della  legge n. 26 del 2005), ma ha poi
ripreso  vigenza grazie al d.P.C.m. del 3 ottobre 2006 (pubblicato in
Gazzetta  Ufficiale  del 5 dicembre 2006, n. 283) che reca appunto la
quota  da  assegnare a ciascuna regione a titolo di fondo perequativo
nazionale,   nell'ambito   della   determinazione   delle   quote  di
compartecipazione   regionale   all'IVA.   Ma   e'   chiaro   che  un
provvedimento  come  quello qui impugnato mette in gioco la validita'
di un modello di finanziamento (qual e' quello posto dal d.lgs. n. 56
del  2000),  nel  quale  la spesa sanitaria deve essere rigorosamente
controllata e progressivamente coperta con risorse regionali.
    Una   perequazione   intesa  come  mera  distribuzione  di  somme
occasionalmente reperite non puo' essere seriamente considerata quale
strumento  di  per  se'  idoneo  a  garantire  livelli di prestazioni
uniformi  su  tutto  il  territorio  nazionale,  ne'  puo'  indurre a
«dismettere»   (con  normative  permanentemente  derogatorie,  com'e'
storicamente  accaduto  nel  settore  del  finanziamento del servizio
sanitario)  i  ben  piu'  rigorosi  modelli  tracciati dalla norme in
materia di federalismo fiscale.
6) Illegittimita'  costituzionale dell'art. 1 del decreto-legge n. 23
del  2007,  convertito  con modificazioni dalla legge n. 64 del 2007,
per violazione del sesto comma dell'art. 119 Cost.
    Il  sesto  comma dell'art. 119 Cost., cosi' come modificato dalla
riforma  costituzionale  del  2001, costituzionalizza un principio di
ordinata  contabilita'  e  rappresenta  uno dei principi basilari del
sistema   di   finanza   territoriale   introdotto   con  la  riforma
dell'art. 119.  Cost.:  la norma, com'e' noto, limita la possibilita'
di  comuni,  province,  citta'  metropolitane  e regioni di ricorrere
all'indebitamento    per    il   solo   finanziamento   delle   spese
d'investimento.  In altri termini, il sesto comma dell'art. 119 Cost.
autorizza  il  finanziamento delle spese di investimento, assumendole
come  spese  «meritorie», e pone invece un'esplicita preclusione alla
possibilita'   di  indebitarsi  per  coprire  debiti  pregressi,  nel
presupposto  che  tali  finanziamenti  abbiano  scarsa  o inesistente
attitudine a produrre ricchezza.
    Deve  sottolinearsi  come  alla  legge  cost. n. 3 del 2001 hanno
fatto  seguito, dopo alcune norme di carattere transitorio deputate a
limitare  l'operativita'  del  precetto  sul  piano temporale (con il
quarto  comma dell'art. 41  della  legge  n. 448  del 2001 si escluse
infatti  l'applicazione  della  norma  per  i  debiti contratti prima
dell'entrata   in  vigore  della  riforma  costituzionale),  numerosi
interventi   legislativi   che  hanno  contribuito  a  dare  concreta
attuazione alla regola generale (altresi' nota come «golden rule»).
    Gia'  nella  legge  finanziaria  per  il  2003  si  provvedeva ad
introdurre  una  disposizione  sanzionatoria  delle condotte poste in
essere  in  violazione dell'art. 119, sesto comma Cost., affidando la
cognizione  dei  relativi  giudizi alla giurisdizione della Corte dei
conti (art. 30, comma 15, legge 27 dicembre 2002, n. 289). Le manovre
finanziarie   successive   hanno   esteso   l'ambito   soggettivo  di
applicazione  del  divieto  di  indebitamento  per  finanziare  spese
diverse  dagli  investimenti e ne hanno delimitato l'ambito oggettivo
(attraverso  la  determinazione  delle  nozioni  di investimento e di
indebitamento:  legge  n. 350  del  2003,  in  particolare  l'art. 1,
commi 16  e  21).  La legge finanziaria 2006 ha altresi' ampliato gli
strumenti  di  verifica  della  gestione delle forme d'indebitamento,
riconoscendo  un  ruolo  preminente  alle  sezioni di controllo della
Corte  dei  conti  nella  verifica  e nella concreta attuazione delle
pratiche  amministrative  in  materia (legge n. 266 del 2005, art. 1,
commi 166 e 167).
    Ne deriva un quadro normativo complessivo in cui non e' improprio
affermare  che  il  divieto  per  i  comuni,  le  province, le citta'
metropolitane  e  le regioni di ricorrere all'indebitamento per spese
diverse  da  quelle  relative  ad  investimenti  assume  il  ruolo di
pilastro  portante dell'unita' economica della Repubblica (assieme ad
altri  fondamentali  criteri  quali  il  coordinamento  della finanza
pubblica  e  il  rispetto  dei  limiti  posti dal patto di stabilita'
interno).
    Il  quadro  generale  sin  qui  tracciato  ha  trovato autorevole
conferma   nella  giurisprudenza  di  codesta  ecc.ma  Corte  che  ha
dichiarato  l'applicabilita'  del  principio  previsto dall'art. 119,
sesto  comma Cost.  anche  nei  confronti  delle regioni ad autonomia
speciale,  «senza  che sia necessario all'uopo ricorrere a meccanismi
concertati   di   attuazione   statutaria»;   la  Corte  ha  altresi'
riconosciuto   la   legittimita'   dell'estensione   della  normativa
attuativa  operata da legge statale nei confronti di tutte le regioni
(sent. n. 425 del 2004).
    Disattendendo  un  quadro normativo chiaro e univoco l'art. 1 del
decreto-legge  n. 23  del  2007,  convertito  con modificazioni dalla
legge n. 64 del 2007, autorizza l'indebitamento di talune regioni per
la   copertura  dei  disavanzi  sanitari  pregressi  per  il  periodo
2001-2005,  autorizzando, a tal fine una spesa pari a 3000 milioni di
euro  a  titolo  di  «regolazione debitoria» (comma 3 dell'art. 1 del
d.l. n. 23).
    Il medesimo comma 3 dell'art. 1 del decreto-legge n. 23 del 2007,
convertito  con  modifiche dalla legge n. 64 del 2007, prevede che la
ripartizione  della  predetta  disponibilita' finanziaria avvenga per
mezzo  di un decreto ministeriale adottato dal Ministro dell'economia
e  delle  finanze, di concerto con il Ministro per la salute, sentito
il  Ministro  per  gli  affari  regionali  e  le autonomie locali. La
ripartizione,  operata  dal  citato provvedimento, avviene sulla base
dei  debiti  accumulati  fino  al  31 dicembre 2005, sulla base della
capacita'  fiscale  regionale e della partecipazione delle regioni al
finanziamento del fabbisogno sanitario.
    Non  vi  e'  traccia  di norme che finalizzino l'indebitamento al
quale   vengono   ammesse   talune   regioni  alla  realizzazione  di
investimenti, ma solo un'asciutta (e incostituzionale) autorizzazione
di  spesa,  assistita  dalla indicazione dei capitoli di bilancio sui
quali effettuare la corrispondente riduzione, ai fini della copertura
delle somme stanziate.
7) Illegittimita'  costituzionale dell'art. 1 del decreto-legge n. 23
del  2007,  convertito  con modificazioni dalla legge n. 64 del 2007,
per  violazione  dell'art.  3, sotto il profilo della ragionevolezza,
per  la  genericita' e l'inadeguatezza dei criteri recati dal decreto
ai  fini  della  quantificazione  del  finanziamento  attribuito alle
regioni.
    Deve  poi  essere  sottolineato  come  il decreto-legge n. 23 del
2007,  convertito  con  modifiche dalla legge n. 64 del 2007, risulti
caratterizzato  da  una  formulazione  testuale che, dietro reiterati
rinvii  ad altre norme - che compromettono fortemente la leggibilita'
e  la  comprensibilita'  del  testo -, nasconde in realta' previsioni
generiche  che, di fatto, non consentono di individuare con chiarezza
il  senso  e la portata delle disposizioni stesse. A riprova di cio',
si  sottolinea  come  i  criteri  per  la ripartizione tra le regioni
interessate  delle somme stanziate previsti dal terzo comma dell'art.
1  (e  cioe'  «i  debiti  accumulati  fino  al  31 dicembre  2005, la
capacita'  fiscale  regionale  e  la  partecipazione delle regioni al
finanziamento  del  fabbisogno sanitario») sono in realta' fortemente
generici   e   l'applicazione   contabile   degli   stessi  (peraltro
problematica,  senza  nessuna  altra precisazione ed esplicazione) e'
assolutamente  inidonea  alla quantificazione del finanziamento a cui
le regioni avranno accesso.
    D'altra  parte,  il  decreto-legge  demanda tale operazione ad un
«decreto  del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con
il  Ministro  della  salute,  sentito  il  Ministro  per  gli  affari
regionali e le autonomie locali» (art. 1, comma 3).
    Nelle  more dell'approvazione della legge di conversione e' stato
emanato    il   decreto   ministeriale   4 maggio   2007   (Ministero
dell'economia  e  delle  finanze  di  concerto  con il ministro della
salute).
    Il  provvedimento  stabilisce il «Riparto delle somme concernenti
il  ripiano selettivo dei disavanzi pregressi nel settore sanitario»,
in  attuazione di quanto previsto dal decreto-legge n. 23 del 2007. A
tal fine individua le regioni destinatarie della partecipazione dello
Stato  al ripiano del disavanzo per il periodo 2001-2005 e ripartisce
fra   queste   la   somma  di  3000  milioni  di  euro  prevista  nel
decreto-legge.
    Il provvedimento ministeriale tuttavia non fa che confermare cio'
che  appariva  gia'  evidente  anche  prima  della sua adozione: tale
ripartizione  era  stata  sostanzialmente gia' definita tra Governo e
alcuni soggetti regionali, in modo non privo di opacita', dal momento
che   nei   Piani   di  rientro  gia'  approvati  da  talune  regioni
(approvazione in realta' richiesta per l'accesso al Fondo transitorio
previsto   dalla  legge  finanziaria  2007  al  comma 796,  lett.  b)
dell'art. 1)  il  concorso  statale  al  ripiano dei disavanzi per il
periodo   2001-2005   appare   gia'   quantificato  con  buona  (anzi
«preveggente») precisione e la somma dei relativi importi e' prossima
a  quella  di  3000  milioni di euro stanziata dal decreto (senza che
pero'  la ripartizione delle somme tra le regioni beneficiarie appaia
effettivamente  commisurabile  ai criteri indicati dal decreto-legge,
vista la estrema vaghezza degli stessi).
8) Illegittimita'  costituzionale dell'art. 1 del decreto-legge n. 23
del  2007,  convertito  con modificazioni dalla legge n. 64 del 2007,
per  violazione  degli  artt. 97  e 119 Cost. anche in relazione agli
artt. 23, 53 e 32.
    Il  decreto-legge  n. 23 del 2007, convertito con modifiche dalla
legge   n. 64   del  2007,  alterando  irragionevolmente  il  riparto
costituzionale  di competenze fra Stato e regioni e violando altresi'
i  principi  di  autonomia  finanziaria  di  entrata e di spesa delle
regioni,   pone   un   grave  ostacolo  al  conseguimento  di  prassi
amministrative  ordinate,  in  grado di fronteggiare con efficacia la
complessita'  delle  richieste  che i cittadini, in materia di tutela
della  salute,  devono  vedere  soddisfatte.  Le norme, nonostante le
asserite  esigenze di urgenza e il carattere radicalmente derogatorio
rispetto  alla  normativa  vigente,  non  appaiono  affatto  idonee a
incidere  sulle effettive disfunzioni del sistema ne' sulle patologie
che  hanno  posto  fuori  controllo  la  spesa  pubblica  nel settore
sanitario.   Esse  pertanto  costituiscono  un'evidente  lesione  del
generale   principio  costituzionale  relativo  al  «buon  andamento»
dell'amministrazione  pubblica,  consacrato  nell'art. 97  Cost.  Con
l'art.   1   del   decreto-legge   n. 23  del  2007,  convertito  con
modificazioni  dalla  legge  n. 64  del 2007, viene inoltre frustrato
l'affidamento della maggior parte delle regioni ad operare sulla base
delle  condizioni  normative  presenti  nell'ordinamento  in  un dato
periodo  storico  e  viene altresi' violato il principio per il quale
l'onere  relativo alle spese pubbliche e' finanziato in ragione della
capacita' contributiva di ciascuno, secondo quanto previsto dall'art.
53 Cost.
    Di fatto, nelle regioni che avranno accesso al fondo previsto dal
decreto-legge n. 23, il finanziamento del sistema sanitario regionale
avverra'  in  larga  misura sulla base della elargizione prevista dal
provvedimento  impugnato.  Il  pur richiesto requisito del preventivo
innalzamento  della  leva  fiscale  appare  in  realta' sprovvisto di
effettivita',  dal  momento che il decreto stesso, irragionevolmente,
non  determina la percentuale minima delle risorse supplementari che,
ai  sensi  del  comma 1, lett. b) dell'art. 1 del decreto-legge n. 23
del  2007 convertito con modifiche dalla legge n. 64 del 2007, devono
essere  destinate  al  settore  sanita', in aggiunta all'innalzamento
massimo  consentito  delle  addizionali  lrpef  e delle maggiorazioni
delle  aliquote  Irap.  Si tratta di una scelta che di fatto consente
l'accesso  allo stanziamento statale anche a regioni che innalzano in
maniera  minima (e ininfluente) il prelievo fiscale e che, di contro,
espone  al  rischio  di  un  iniquo aumento della pressione fiscale i
cittadini  di  quelle  regioni  che dovranno continuare a mantenere i
propri  livelli  di  efficienza  e  di  corretta  amministrazione del
servizio   sanitario,   senza   godere   delle  somme  stanziate  dal
provvedimento statale.
    Cosi'  facendo inoltre l'art. 1 del decreto-legge n. 23 del 2007,
convertito  con  modifiche  dalla  legge n. 64 del 2007, si espone ad
un'ulteriore  profilo di incostituzionalita', poiche', non precisando
l'entita'  delle  misure fiscali da attivare, non definisce l'entita'
della  compartecipazione  fiscale  che verra' richiesta ai cittadini,
violando   la   riserva   di   legge  che,  secondo  quanto  previsto
dall'art. 23  Cost., garantisce ogni tipo di prestazione patrimoniale
o  personale.  Come  insegna  la  giurisprudenza  costante di codesta
ecc.ma  Corte,  «il principio posto nell'art. 23 Cost. esige, invece,
che  nella  legge  siano  indicati  criteri  idonei  e  sufficienti a
delimitare  la  discrezionalita' dell'ente impositore in modo che sia
preclusa  la  possibilita'  di  un  esercizio  arbitrario  del potere
attribuitogli» (sentenza n. 67 del 1973). Di recente, con la sentenza
n. 190  del  2007,  codesta  ecc.ma Corte, richiamandosi alla propria
costante giurisprudenza, ha inoltre affermato che l'art. 23 Cost. pur
configurando una riserva di legge di carattere «relativo», «nel senso
che  essa  deve  ritenersi rispettata anche in assenza di un'espressa
indicazione legislativa dei criteri, limiti e controlli sufficienti a
delimitare    l'ambito   di   discrezionalita'   dell'amministrazione
(sentenza  n. 67  del  1973 e n. 507 del 1988), richiede pur tuttavia
che  «la  concreta  entita' della prestazione imposta sia chiaramente
desumibile  dagli  interventi  legislativi che riguardano l'attivita'
dell'amministrazione  (sentenze  n. 507  del  1988,  n. 182 del 1994,
n. 180 del 1996, n. 105 del 2003)» (sentenza n. 190 del 2007).
    Il  primo comma, lett. b) dell'art. 1 del decreto-legge n. 23 del
2007,   convertito   con   legge   n. 64   del  2007,  nel  prevedere
l'attivazione  di  misure fiscali ulteriori, opera invece soltanto un
generico  richiamo ai limiti dei poteri attribuiti alle regioni dalla
normativa  statale di riferimento e utilizza come unico parametro per
stabilire   l'entita'   degli   aumenti   dell'imposizione   fiscale,
l'idoneita'  degli  stessi  ad  assicurare  complessivamente «risorse
superiori» rispetto a quelle derivanti dal precedente (e infruttuoso,
ai fini del risanamento) incremento nella misura massima consentita.
    In  realta' la norma impugnata non contiene nessun elemento utile
a  precisare  l'entita' dell'imposizione che le regioni beneficiarie,
in  attuazione  del  decreto-legge  n. 23  del  2007,  convertito con
modificazioni  dalla  legge  n. 64  del  2007, dovranno praticare. Si
tratta  di  una  disposizione generica e indeterminata, che non e' in
grado   di   soddisfare   i   requisiti   indicati  dalla  richiamata
giurisprudenza costituzionale in relazione al principio di riserva di
legge  che  assiste  le  prestazioni patrimoniali e che, pertanto, si
pone in palese contrasto con l'art. 23 Cost.
9) Illegittimita'  costituzionale dell'art. 1 del decreto-legge n. 23
del  2007,  convertito  con modificazioni dalla legge n. 64 del 2007,
per  violazione  dell'art. 81,  quarto  comma  Cost. sotto il profilo
della  mancata  copertura  dei  maggiori  oneri  che il provvedimento
determina.
    L'art.  1 del decreto-legge n. 23 del 2007, cosi' come convertito
con  modifiche  dalla legge n. 64 del 2007, si pone inoltre in aperto
contrasto  con un ulteriore precetto costituzionale, quello stabilito
nel quarto comma dell'art. 81 Cost.
    A  fronte  dell'erogazione  effettuata,  un  criterio di ordinata
contabilita'  non  puo'  ritenersi soddisfatto dalla mera indicazione
dei   capitoli   di   bilancio   sui   quali   operare  la  riduzione
corrispondente  allo  stanziamento previsto. Se questo rappresenta un
criterio  minimo ed elementare per dare parvenza di legittimita' alla
norma  sotto  il  profilo della copertura finanziaria richiesta dalla
Costituzione,  l'onere  fronteggiato  nella realta' sara' invece dato
dalla   mancata   restituzione  delle  somme  erogate,  (che  non  e'
un'ipotesi  pessimistica ma lo scontato esito di un provvedimento che
nulla  dispone  e  nulla  esige  sul punto). In questo senso l'esatta
quantificazione  dell'onere  appare  dunque  di  importanza  cruciale
perche' l'obbligo di copertura finanziaria non venga violato o eluso:
non  prevedere misure puntuali relative alla restituzione delle somme
erogate si traduce nella mancata previsione di una adeguata copertura
per i costi che il provvedimento comportera'.
    Ed infatti scorrendo il testo non si rintraccia la benche' minima
previsione  in  ordine  alle  modalita' di restituzione delle ingenti
somme  erogate.  Quando  il comma 3 dell'art. 1 autorizza la spesa di
3000  milioni  di  euro  per  l'anno 2007 da ripartire tra le regioni
interessate,  «sulla  base  dei debiti accumulati fino al 31 dicembre
2005,  della capacita' fiscale regionale ed ella partecipazione delle
regioni al finanziamento del fabbisogno sanitario», il legislatore si
limita  a  stabilire  che  «nell'ambito dei ... piani di rientro sono
disciplinate   le   modalita'   di   monitoraggio   e   di  riscontro
dell'estinzione  dei  debiti». Cio' vuol dire che i piani di rientro,
per  espressa  previsione legislativa, dovranno semplicemente rendere
conto  dell'effettivo  e progressivo ripiano dei debiti accumulati da
parte  delle regioni beneficiarie del contributo statale, senza nulla
dire  sulle modalita' e sui tempi (che al contrario dovrebbero essere
definiti  e  certi)  circa  la  restituzione  allo  Stato delle somme
erogate.
    Codesta  ecc.ma  Corte  ha  chiaramente affermato che «l'esigenza
imposta  dalla  costante  interpretazione dell'art. 81, quarto comma,
della Costituzione, lungi dal costituire un inammissibile vincolo per
i  Governi  ed i Parlamenti futuri, tende anzi proprio ad evitare che
gli  stessi siano costretti a far fronte, al di fuori di ogni margine
di  apprezzamento,  ad  oneri  assunti  in  precedenza senza adeguata
ponderazione  dell'eventuale  squilibrio  futuro» (Corte cost., sent.
n. 384 del 1991). La ratio sottesa alla previsione ex art. 81, quarto
comma,  Cost.  non puo' essere solo quella volta ad assicurare che ad
ogni   spesa  sostenuta  corrisponda  un'adeguata  copertura,  ma  e'
necessariamente   piu'   ampia   e  va  rintracciata  nel  necessario
bilanciamento  tra  flussi  in  uscita  e  flussi in entrata, volto a
realizzare  sul piano finanziario, un equilibrio di sistema nel lungo
periodo.  Anche perche' (prosegue codesta ecc.ma Corte) «l'obbligo di
una  ragionevole e credibile indicazione dei mezzi di copertura anche
per  gli  anni  successivi  e'  diretto  ad  indurre  il  legislatore
ordinario  a  tener  conto dell'esigenza di un equilibrio tendenziale
fra  entrate  e  spese  la  cui  alterazione, in quanto riflettentesi
sull'indebitamento,  postula  una  scelta  legata  ad  un giudizio di
compatibilita'  con  tutti  gli  oneri  gia'  gravanti sugli esercizi
futuri».
10) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1 del decreto-legge n. 23
del  2007,  convertito  con  modificazioni dalla legge di conversione
n. 64  del 2007, per violazione degli artt. 97 e 117, 118 e 119 Cost.
sotto  il  profilo  della mancata previsione di adeguati strumenti di
monitoraggio,  di  controllo e delle relative sanzioni sull'uso delle
risorse,   sull'aumento   del   prelievo   fiscale,   sulla  regolare
restituzione delle somme dalle regioni beneficiarie allo Stato, anche
in relazione all'art. 32.
    La  possibilita'  di dare piena ed effettiva garanzia al «diritto
alla  salute»,  quel  diritto  che  la  nostra  Costituzione assume a
«fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettivita»,
e   che   deve   essere   difeso   e   presidiato   anche  attraverso
l'organizzazione   di  servizi  efficienti  e  orientati  secondo  il
criterio  costituzionale  del  «buon andamento» dell'amministrazione,
appare   fortemente   compromessa  dalle  gravi  carenze,  ridondanti
nell'incostituzionalita', del provvedimento qui impugnato.
    L'art.  1  del  decreto-legge  n. 23  del  2007,  convertito  con
modificazioni  dalla  legge  di  conversione  n. 64  del 2007, appare
infatti  fortemente  lesivo  degli artt. 97 e 117, 118 e 119 Cost. in
quanto,  a  fronte  dell'oggettiva  rilevanza  dello stanziamento che
dispone,  le modalita' di monitoraggio e di riscontro dell'estinzione
dei  debiti,  per  espressa  previsione  del  comma 3 dell'art. 1 del
decreto,  sono  disciplinate  semplicemente «nell'ambito dei piani di
rientro»!
    Il  comma  1-bis  dell'art.  1  del decreto-legge n. 23 del 2007,
introdotto dalla legge di conversione n. 64 del 2007, ha previsto che
gli   esiti  della  verifica  annuale  dei  piani  di  rientro  siano
tempestivamente  trasmessi dal Ministro dell'economia e delle finanze
al  Presidente della Corte dei conti per le valutazioni di competenza
dell'Istituto,  «anche ai fini dell'avvio di un eventuale giudizio di
responsabilita'  amministrativa  e  contabile»;  inoltre,  il comma 3
dell'art.  1  prevede  che il Ministro dell'economia e delle finanze,
sentito  il  Ministro  della  salute,  trasmette  al  Parlamento  una
relazione    sullo   stato   del   monitoraggio   e   del   riscontro
dell'estinzione dei debiti.
    Tuttavia  queste  previsioni  rappresentano  le  uniche  forme di
«controllo»  che  il  Governo  ha  inteso  attivare  a  fronte di uno
stanziamento che ammonta a ben 3000 milioni di euro! Il provvedimento
appare,   in  modo  sorprendente,  del  tutto  carente  di  qualunque
previsione  relativa  alle pur necessarie sanzioni in caso di mancato
conseguimento  degli  obiettivi.  La quantificazione dell'aumento del
prelievo  fiscale, l'eventuale riduzione del finanziamento in caso di
mancato  rientro  dalle situazioni deficitarie, nonche' le necessarie
prescrizioni  sulle modalita' di restituzione del finanziamento dalle
regioni  allo  Stato  sono  stati omessi dal testo del decreto-legge,
anche nella versione resa definitiva dalla legge di conversione n. 64
del 2007.
    Questa  scelta  del  Governo  contribuisce  di  fatto  a  dare al
provvedimento  la fisionomia di un'autentica elargizione che non solo
appare  costituzionalmente  «diseducativa»  sotto  il  profilo  della
doverosa  attuazione  dei  principi  del  federalismo fiscale, ma che
rinuncia   a   vincolare  per  legge  le  regioni  benificiarie  alla
restituzione delle somme percepite.
    Questa  scelta  peraltro  appare  in aperta discontinuita' con le
scelte  di  rigore  fin  qui  operate in tema di partecipazione dello
Stato   al   finanziamento   del  disavanzo  regionale  del  Servizio
sanitario:  ad  esempio, l'art. 40 della legge n. 448 del 2001 (legge
finanziaria  2002),  ha  previsto  che, in caso di inosservanza delle
misure  organizzative  previste  dall'accordo  dell'8 agosto 2001 (in
particolare dal punto 19), il livello di finanziamento dello Stato si
sarebbe  ridotto  in  danno delle regioni inadempienti e l'art. 4 del
decreto-legge  n. 63  del  2002  (Disposizioni  finanziarie e fiscali
urgenti  in  materia di riscossione, razionalizzazione del sistema di
formazione  del  costo  dei  prodotti  farmaceutici,  adempimenti  ed
adeguamenti   comunitari,   cartolarizzazioni,   valorizzazione   del
patrimonio  e  finanziamento  delle  infrastrutture),  ha esteso tale
previsione  anche  agli  anni 2002,  2003  e  2004: siamo di fronte a
previsioni  che  vincolano le regioni, con la forza del provvedimento
che  le contiene (cioe' leggi o atti con forza di legge) a realizzare
gli  impegni assunti, pena la riduzione del finanziamento dello Stato
per la copertura dei deficit.
    Peraltro  codesta  ecc.ma  Corte, nella perdurante assenza di una
organica     attuazione     dell'art. 119    Cost.,    ha    ritenuto
costituzionalmente    ammissibile    che   il   legislatore   statale
subordinasse  il  proprio  finanziamento  ad «adempimenti» indicativi
dell'impegno delle amministrazioni regionali per il risanamento delle
situazioni  di deficit, proprio tenendo conto «del complessivo quadro
normativo  e  delle  relazioni  fra  Stato  e  regioni  ai  fini  del
contenimento  della  spesa  sanitaria  e  degli  oneri  a  carico del
Servizio  sanitario nazionale» (sent. n. 36 del 2005 richiamata anche
dalla sent. n. 98 del 2007).
    Inoltre,  codesta ecc.ma Corte, nel dichiarare non fondate alcune
censure  che  contestavano  la  legittimita' di norme che, secondo le
ricorrenti,  avrebbero  violato l'autonomia legislativa e finanziaria
delle   regioni  perche'  subordinavano  l'accesso  al  finanziamento
statale per le regioni con deficit particolarmente grave alla stipula
di  un  apposito  accordo,  ha  motivato  che «lo speciale contributo
finanziario   dello   Stato,   (in   deroga   al  precedente  obbligo
espressamente  previsto  dalla  legislazione  sul  finanziamento  del
Servizio  sanitario  nazionale  che  siano  le  regioni a coprire gli
eventuali  deficit  del Servizio sanitario regionale) ben puo' essere
subordinato  a  particolari  condizioni  finalizzate  a conseguire un
migliore  o  piu'  efficiente  funzionamento del complessivo Servizio
sanitario,  tale  da  riservare in ogni caso alle regioni un adeguato
spazio  di  esercizio  delle  proprie  competenze nella materia della
tutela della salute» (sent. n. 98 del 2007).
    Qui  dunque  e'  in  gioco  la  garanzia  che  misure  fortemente
derogatorie  del  quadro  normativo  costituzionale  e  dei  principi
generali  che  presiedono  la  materia  possano  trovare  un giusto e
doveroso  bilanciamento nella previsione, nello stesso testo di legge
che  dispone  in  deroga,  di adeguati strumenti di monitoraggio e di
controllo,  di  sanzioni  relative  all'eventuale uso improprio delle
risorse,  e  di  garanzie  effettive  sulla  restituzione delle somme
«prestate» dallo Stato alle regioni deficitarie. L'attribuzione delle
somme a titolo di «regolazione debitoria», operata senza che il testo
del  provvedimento  precisi  con chiarezza il percorso di rientro dal
debito  contratto con lo Stato, vale invece a incentivare, ancora una
volta,  le cattive pratiche che quel disavanzo hanno alimentato e, in
definitiva,  pone  in essere l'ennesimo episodio di finanza regionale
derivata,  per di piu' votata all'indebitamento costante ed esente da
ogni  assunzione di responsabilita'. Strumenti di importanza cruciale
per  accertare  la  correttezza  dell'operato delle amministrazioni a
fronte  dell'ingente  dazione di denaro pubblico sono cosi', ad opera
del  decreto qui impugnato, sottratti all'egida della legge, rinviati
alla  sede  pattizia  e negoziale degli accordi relativi ai «piani di
rientro», quindi sviati dalle appropriate sedi di preventiva verifica
parlamentare,  in  spregio di una garanzia di trasparenza a vantaggio
della  collettivita'  e  quindi,  della stessa «tutela della salute»,
l'autentico bene giuridico qui in questione.
    Il rilievo che tali questioni assumono avrebbe dovuto imporre che
esse   fossero   trattate  nell'atto  legislativo,  a garanzia  della
collettivita'  nazionale  e  di  quella  lombarda.  D'altra parte, e'
difficile non nutrire perplessita' sulla capacita' vincolante di atti
di  natura  pattizia,  quali  sono  i  piani  di  rientro,  ai  quali
paradossalmente la risoluzione di tali questioni e' rinviata. Ammesso
e  non  concesso  che sia costituzionalmente legittimo per le ragioni
sin   qui  individuate,  un  intervento  straordinario  e  fortemente
derogatorio  del  quadro  normativo  che  governa  la materia avrebbe
dovuto  fissare,  con  la  dovuta  severita' ed accuratezza, tutte le
condizioni  e  le  garanzie per la restituzione delle somme prestate,
determinando altresi' le relative sanzioni.
11) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1 del decreto-legge n. 23
del  2007,  convertito  con modificazioni dalla legge n. 64 del 2007,
per violazione dell'art. 120 Cost., nella parte in cui, predisponendo
un  intervento  che  ha  natura di intervento sostitutivo ex art. 120
Cost.,  non  pone per legge criteri oggettivi per il monitoraggio del
finanziamento  e per l'estinzione del debito contratto dalle regioni,
individuandone altresi' condizioni, garanzie e relative sanzioni.
    Alla   luce  del  complesso  quadro  normativo  vigente  e  delle
relazioni  intercorse  fra  Stato  e regioni relative al contenimento
della  spesa  sanitaria  e agli oneri a carico del Servizio sanitario
nazionale, in una situazione di problematica attuazione dell'art. 119
Cost.,  sembra in realta' che l'intervento previsto dal decreto-legge
n. 23  del 2007, convertito con modifiche dalla legge n. 67 del 2007,
aspiri ad assumere le sembianze di un intervento sostitutivo da parte
del Governo, determinato dal mancato rispetto di numerosi obblighi di
legge  posti  alle  regioni,  o anche dalla esigenza di garantire, in
modo uniforme e non condizionato da variabili territoriali, la tutela
dei  livelli  essenziali delle prestazioni in materia di tutela della
salute.
    Al  riguardo, tuttavia, la giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte
ha  chiarito che «perche' possa ritenersi legittima la previsione del
potere  di  sostituzione  dello  Stato alle regioni e' necessario che
l'esercizio  dei poteri sostitutivi sia previsto e disciplinato dalla
legge,  la  quale deve altresi' definirne i presupposti sostanziali e
procedurali;  che  la  sostituzione  riguardi il compimento di atti o
attivita'   prive   di   discrezionalita'   nell'an;  che  il  potere
sostitutivo  sia  esercitato  da un organo di Governo o sulla base di
una  decisione  di  questo; che la legge predisponga congrue garanzie
procedimentali,  in conformita' al principio di leale collaborazione»
(cfr. ex multis sentenza n. 240 del 2004).
    Il provvedimento impugnato e' invece, anche sotto questo profilo,
del   tutto  carente,  non  presentando  nessuno  di  quei  requisiti
evidenziati  dalla  giurisprudenza  costituzionale  e  necessari  per
ritenere  legittima  la  sostituzione  dello  Stato alle regioni. Dal
momento  che, come codesta ecc.ma Corte ha riconosciuto, in realta' i
poteri   sostitutivi   previsti   dal  comma 2  dell'art. 120  Cost.,
concorrono  a  limitare l'autonomia dell'ente nei cui confronti opera
la  sostituzione  (sent.  n. 43  del  2004),  e'  evidente  che  tale
compressione  di  autonomia  debba  sottostare  da  un lato a forme e
procedure  certe  e,  sotto  altro  profilo,  debba svolgersi secondo
modalita'  congrue  alle  finalita'  per le quali e' posto in essere,
secondo criteri che adottino ogni possibile e dovuta cautela idonea a
scongiurare  il  perpetuarsi  di  quegli  effetti negativi, di quelle
inefficienze  e  inappropriatezze  che  in  realta'  hanno  originato
l'intervento stesso.
    Criteri  dei quali, nel testo del provvedimento impugnato, non e'
dato di rinvenire traccia.
                              P. Q. M.
    Chiede    che    codesta    ecc.ma    Corte   voglia   dichiarare
l'illegittimita'   costituzionale   dell'art.   1  del  decreto-legge
20 marzo   2007,   n. 23,  convertito,  con  modifiche,  dalla  legge
17 maggio  2007,  n. 64, recante «Disposizioni urgenti per il ripiano
selettivo  dei  disavanzi pregressi nel settore sanitario, nonche' in
materia di quota fissa sulla ricetta per le prestazioni di assistenza
specialistica  ambulatoriale»,  per violazione degli artt. 3, 32, 77,
secondo comma, 81, quarto comma, 117, commi terzo e quarto, 118, 119,
120  della  Costituzione,  oltre  che per violazione del principio di
buon  andamento dell'amministrazione (art. 97 Cost.), dell'obbligo di
partecipare   alle   spese   pubbliche  in  ragione  della  capacita'
contributiva  (art. 53  Cost.) e della riserva di legge in materia di
prestazioni patrimoniali (art. 23 Cost.).
        Roma-Milano, addi' 18 luglio 2007
  Avv. Pio Dario Vivone - Prof. Avv. Beniamino Caravita di Toritto
07C1053