N. 36 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 7 agosto 2007

Ricorso  per  questione  di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria  il  7 agosto  2007  (del  Presidente  del  Consiglio dei
ministri)

Imposte  e  tasse  - Norme della Regione Sardegna - Imposta regionale
  sulle  plusvalenze  delle seconde case ad uso turistico, realizzate
  dalla cessione a titolo oneroso delle unita' immobiliari adibite ad
  uso   abitativo,   diverse  dall'abitazione  principale  -  Mancata
  previsione  che la cessione avvenga entro cinque anni dall'acquisto
  - Localizzazione dell'unita' immobiliare entro tre chilometri dalla
  battigia  marina  - Esclusione dell'imposta per i residenti da piu'
  di  ventiquattro  mesi - Ricorso del Governo - Lamentata violazione
  dei  principi  statali in materia di tassazione delle plusvalenze e
  intento  speculativo  -  Lamentata irragionevolezza della norma che
  fissa  una  distanza  uguale  per  tutte le spiagge della Regione -
  Lamentata  ingiustificata discriminazione fondata sulla residenza -
  Denunciata   violazione   della   norma  statutaria  che  prescrive
  l'armonia  con  i  principi  del  sistema  tributario  dello Stato,
  irragionevolezza,  lesione  dei principi di eguaglianza e capacita'
  contributiva, lesione delle norme comunitarie.
- Legge della Regione Sardegna 29 maggio 2007, n. 2, art. 3, comma 1,
  sostitutivo  dell'art. 2  della  legge  della  Regione  Sardegna 11
  maggio 2006, n. 4.
- Costituzione,  artt. 3,  53,  117,  comma  primo;  Statuto  Regione
  Sardegna,  art. 8,  lett.  h);  Trattato  CE  art. 12; d.P.R. 1986,
  n. 917, art. 81, comma 1, lett. b).
Imposte  e  tasse  - Norme della Regione Sardegna - Imposta regionale
  sulle  seconde  case  ad  uso  turistico  -  Riferimento  a «unita'
  immobiliari  destinate  ad uso abitativo, non adibite ad abitazione
  principale»   -  Presupposti  e  soggetti  passivi  dell'imposta  -
  Localizzazione  dell'unita'  immobiliare entro tre chilometri dalla
  battigia marina - Criteri per il calcolo dell'imposta - Ricorso del
  Governo - Ritenuta esclusione della natura di imposta sul turismo e
  violazione  dei  principi statali in materia tributaria - Lamentata
  formulazione  irragionevole  della norma sui presupposti e soggetti
  passivi  dell'imposta  -  Lamentata  imposizione in ragione non del
  valore   ma  della  ubicazione  del  bene,  con  possibili  effetti
  irragionevoli  -  Lamentato  carattere  regressivo  dell'imposta  -
  Denunciata  violazione  dei  limiti alla potesta' legislativa della
  Regione,  violazione della norma statutaria che prescrive l'armonia
  con    i    principi    del   sistema   tributario   dello   Stato,
  irragionevolezza,    lesione    del   principio   della   capacita'
  contributiva.
- Legge della Regione Sardegna 29 maggio 2007, n. 2, art. 3, comma 2,
  sostitutivo  dell'art. 3  della  legge  della  Regione  Sardegna 11
  maggio 2006, n. 4.
- Costituzione, artt. 3, 53, 117, terzo comma, e 119; Statuto Regione
  Sardegna, art. 8, lett. h).
Imposte  e  tasse  - Norme della Regione Sardegna - Imposta regionale
  sullo  scalo turistico degli aeromobili e delle unita' da diporto -
  Applicabilita'  alle  persone fisiche o giuridiche aventi domicilio
  fiscale fuori dal territorio regionale - Presupposti dell'imposta -
  Applicabilita' nel mare territoriale - Ricorso del Governo Ritenuta
  insussistenza  dello  scopo  dichiaratamente  turistico, esclusione
  della  natura  di  imposta  sul  turismo - Lamentata ingiustificata
  discriminazione  fondata  sulla  residenza  - Lamentata alterazione
  della  concorrenza  interna e nel mercato comunitario e istituzione
  di  aiuto  alle  imprese  sarde  -  Lamentata  irragionevolezza dei
  presupposti  d'imposta,  non indicativi di capacita' contributiva -
  Lamentato    carattere    regressivo   dell'imposta   -   Lamentata
  applicazione  dell'imposta  nel mare territoriale non facente parte
  del  territorio  delle  Regioni  - Denunciata violazione dei limiti
  alla  potesta'  legislativa  della  Regione,  lesione  della unita'
  economica  della  Repubblica, lesione dei principi di eguaglianza e
  capacita'    contributiva,   lesione   delle   norme   comunitarie,
  irragionevolezza,  lesione  dei  limiti  territoriali imposti dallo
  statuto.
- Legge della Regione Sardegna 29 maggio 2007, n. 2, art. 3, comma 3,
  sostitutivo  dell'art. 4  della  legge  della  Regione  Sardegna 11
  maggio 2006, n. 4.
- Costituzione,  artt. 3,  53, 117, comma primo, e secondo, lett. e),
  120;  Statuto  Regione  Sardegna,  artt. 1,  3  e  8;  Trattato CE,
  artt. 3, lett. g), 10, 49, 81, 87.
Imposte e tasse - Norme della Regione Sardegna - Imposta di soggiorno
  -  Disciplina  di  presupposti, soggetti passivi dell'imposta, ente
  impositore,  misura,  decorrenza  - Ricorso del Governo - Lamentata
  istituzione  di imposta comunale al di fuori dei limiti statutari e
  costituzionali - Lamentata ingiustificata discriminazione a sfavore
  dei  non  residenti  -  Lamentata  compressione  della  liberta' di
  prestazione  dei  servizi  all'interno  della  Comunita'  europea -
  Denunciata  violazione  dei  limiti alla potesta' legislativa della
  Regione,    lesione    dell'autonomia    tributaria   dei   Comuni,
  irragionevolezza, lesione delle norme comunitarie.
- Legge della Regione Sardegna 29 maggio 2007, n. 2, art. 5.
- Costituzione,  artt. 3,  117,  primo  comma,  e  119;  Trattato CE,
  artt. 12 e 49.
(GU n.38 del 3-10-2007 )
    Ricorso   del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  difeso
dall'Avvocatura  generale  dello Stato, presso la quale ha il proprio
domicilio in via dei Portoghesi, 12 - Roma;

    Contro  la  Regione  Autonoma  della Sardegna, in persona del suo
presidente  per  la dichiarazione della illegittimita' costituzionale
della  legge  regionale  29 maggio  2007,  n. 2,  Disposizioni per la
formazione  del  bilancio  annuale e pluriennale della Regione (legge
finanziaria 2007) negli articoli 3, commi 1, 2 e 3 e dell'art. 5.
    Le  norme  che  vengono  impugnate  sono tributarie ed in materia
tributaria  gli  artt. 117  e  119 Cost. hanno introdotto innovazioni
radicali,  applicabili  alle  regioni  a  statuto speciale attraverso
l'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001.
    Nella legge regionale non e' indicata la sua base costituzionale.
    Grava,   pertanto,   su   chi   ricorre  l'onere  di  ricercarla,
utilizzando  i  dati  disponibili,  salvo  a ritornare sull'argomento
quando  la  regione  avra'  precisato  quelli  che  sono stati i suoi
effettivi riferimenti costituzionali.
    Come  codesta Corte ha avuto occasione di ribadire ripetutamente,
e' dallo statuto regionale che si deve prendere le mosse.
    Una  volta individuata la sfera della potesta' legislativa che lo
statuto  assegna  alla  regione, si dovra' passare a verificare se il
nuovo  Titolo  V  abbia  ampliato  le  autonomie  regionali, in vista
dell'eventuale  applicazione  dell'art. 10 della legge costituzionale
n. 3 del 2001.
    Per  questo  si  premette  una indagine rapida sulle potesta' che
alla regione derivano dallo statuto e dal Titolo V della Costituzione
in modo che se ne possa tenere conto, senza ripetizioni, in occasione
dell'esame delle singole norme impugnate.
    L'art. 8,  lett. h) dello statuto speciale per la Sardegna (legge
costituzionale  26 febbraio  1948,  n. 3)  consente  alla  regione di
istituire  «imposte  e tasse sul turismo» ed «altri tributi propri...
con  legge  in  armonia  con  i principi del sistema tributario dello
Stato»  (le  altre  entrate  delle  regioni che vi sono elencate sono
estranee al giudizio).
    La  norma,  cosi'  disponendo,  ha esteso la potesta' legislativa
della regione desumibile dagli artt. 3 e 4 dello statuto.
    L'attribuzione  della  potesta' legislativa e', dunque, specifica
per le imposte e tasse sul turismo, e generica per gli altri tributi,
che,  fermo  il  carattere  di  essere propri della regione, dovranno
trovare la loro individuazione nelle leggi regionali apposite.
    Oltre alle imposte sono indicate le tasse sul turismo.
    La  formulazione  della  norma  porta  a  ritenere  che il potere
impositivo investa i servizi turistici, vale a dire le prestazioni al
quale  il turista ha accesso durante la sua permanenza nella regione,
prestazioni  in  corrispondenza  alle  quali possono essere applicate
tasse.
    Norme  analoghe  si  trovano  in  altri  statuti  speciali per la
stretta connessione che il turismo ha con il territorio.
    In  conformita' all'art. 3 Cost., secondo le leggi attualmente in
vigore  alle  imposte ed alle tasse sul turismo sono soggetti anche i
residenti  nella  regione  quando, passando le loro vacanze fuori del
comune di residenza, assumono la veste di turisti.
    Come  si  vedra'  in seguito, gran parte delle imposte, istituite
con  le  norme  che  sono  impugnate, con esclusione dell'art. 5, non
possono essere definite imposte o tasse sul turismo.
    L'argomento non per questo e' esaurito perche' resta da vedere se
possano rientrare negli altri tributi propri, richiamati nell'art. 8,
lett.  h)  dello statuto, che la regione puo' istituire con legge, ma
«in armonia con i principi del sistema tributario dello Stato».
    Norme  analoghe  si trovano in altri statuti speciali che codesta
Corte  ha  interpretato  nel  senso  che  (consentono alla regione di
deliberare  «tipi»  specifici  di  tributi  «nell'ambito,  certamente
residuale...  assegnato  dalla  vigenza  delle leggi tributarie dello
Stato, le quali sono applicabili nel territorio della regione stessa»
(sent.  n. 61/1987)  e  questo  perche' nei «tributi propri» va vista
«una  figura  distinta  da  quelle appartenenti al sistema tributario
dello  Stato  (con  i  principi  del quale... si deve "armonizzare")»
(sent. n. 62/1987).
     Se poi l'indagine andasse compiuta alla stregua del nuovo Titolo
V,  la  legge  regionale,  ai sensi (dell'art. 119 Cost., si dovrebbe
attenere  alle  norme  di  coordinamento della finanza pubblica e del
sistema  tributario,  materia  che  l'art. 117, terzo comma, Cost. ha
assegnato alla legislazione concorrente delle regioni, da esercitarsi
nell'ambito  dei principi fondamentali determinati dalla legislazione
dello Stato.
    Questi  principi,  malgrado  quanto dispone l'art. 13 della legge
n. 131  del  2003 in coerenza con quanto codesta Corte aveva chiarito
da  tempo,  non possono essere desunti dalla legislazione vigente, il
cui  presupposto  costituzionale era che la potesta' tributaria fosse
solo dello Stato, anche quando il gettito delle imposte era assegnato
alle regioni.
    Le  «leggi  statali  vigenti» non possono, pertanto, essere utili
per  ricavarne  i  principi fondamentali di un sistema tributario del
tutto nuovo.
    Codesta    Corte,    pronunciandosi   sulla   incidenza   attuale
dell'art. 119  Cost.,  ha  gia'  risolto  la  questione nel senso che
«l'attuazione  del  nuovo  disegno costituzionale richiede pero' come
necessaria  premessa  l'intervento del legislatore statale, il quale,
al  fine  di  coordinare l'insieme della finanza pubblica, dovra' non
solo   fissare  i  principi  cui  i  legislatori  regionali  dovranno
attenersi,  ma  anche determinare le grandi linee dell'intero sistema
tributario  e  definire  gli  spazi  e  i limiti entro i quali potra'
esplicarsi la potesta' impositiva, rispettivamente, di Stato, regioni
ed enti locali (sent. n. 37/2004)».
    L'art. 119  Cost.  non  puo'  costituire, pertanto, almeno per il
momento,  la  base  costituzionale  per  la legislazione regionale in
materia  tributaria,  ma ha una valenza, per cosi' dire, negativa nel
senso  che,  sempre  secondo la giurisprudenza di codesta Corte, puo'
determinare la illegittimita' delle norme che perseguissero obiettivi
contrari a quelli dell'art. 119.
    Secondo  l'art. 8, lett. g) dello statuto la potesta' legislativa
della regione in materia tributaria deve essere esercitata in armonia
con i principi del sistema tributario dello Stato.
    L'art. 119  Cost.  pone  come  limite  i principi fondamentali di
coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.
    Tra le due norme non c'e' coincidenza di effetti.
    L'art. 119 richiama il coordinamento del sistema tributario, vale
a  dire le condizioni di compatibilita' tra sistemi tributari, la cui
articolazione interna puo' non restare condizionata.
    I  principi  del sistema tributario, richiamati dall'art. 8 dello
statuto,  sono,  per  cosi'  dire,  interni al sistema, nel senso che
possono incidere sulla struttura delle singole imposte.
    Non  sembra  il  caso di soffermarsi ulteriormente sull'argomento
perche',  secondo  le enunciazioni di codesta Corte, gia' richiamate,
l'art. 119  Cost.  non  puo', almeno per il momento, rappresentare la
base costituzionale della legislazione TRIBUTARIA REGIONALE.
    Le   norme  impugnate  vanno,  pertanto,  valutate  alla  stregua
dell'art. 8, 1ett. h) dello statuto.
    Solo   per  completezza  difensiva,  quando  ne  sara'  ravvisata
l'opportunita',  si terra' conto del nuovo Titolo V nella ipotesi che
codesta Corte ne ritenesse la rilevanza.
    Per alcune delle norme impugnate saranno dedotte anche violazioni
comunitarie.
    Tutte  avranno  una  premessa  comune, vale a dire che il mercato
turistico sardo ha rilievo comunitario.
    Non  sembra  necessario  richiamare la giurisprudenza comunitaria
sull'argomento:  e' ormai un principio non piu' discusso che anche un
mercato  che  interessa  un  territorio  limitato, inferiore a quello
nazionale,   puo'   costituire   una   parte  rilevante  del  mercato
comunitario.
    Sul  mercato  turistico  sardo,  e' ormai notorio, confluisce una
clientela non solo europea, ma anche transcontinentale.
    Se   le   norme  impugnate  saranno  ritenute  costituzionalmente
illegittime  e  per  questo  espunte  dall'ordinamento  italiano,  le
questioni  comunitarie  resteranno  superate per il venire meno della
ragione di contrasto con l'ordinamento comunitario.
    In  caso  contrario,  delle questioni comunitarie dovrebbe essere
investita la Corte di giustizia ai sensi dell'art. 234 CE.
                              Art. 3.1.
    Con  questo  comma  e'  stato  sostituito  l'art. 2  della  legge
regionale   n. 4   del   2006   al  quale,  piuttosto  che  modifiche
sostanziali, sono state apportate delle semplificazioni.
    Oggetto   dell'imposta   sono  le  plusvalenze  realizzate  dalla
cessione  a  titolo  oneroso  delle unita' immobiliari adibite ad uso
abitativo,  diverse  dall'abitazione  principale  (nella rubrica sono
indicate come plusvalenze delle seconde case ad uso turistico).
    La  rubrica,  nella  versione precedente dell'art. 2, le indicava
come plusvalenze dei fabbricati adibiti a seconde case.
    Secondo  la  normativa  statale  (d.P.R.  n. 917/1986, art. 81.1,
lett. b)   le   plusvalenze   immobiliari  sono  imponibili  solo  se
realizzate  mediante  cessione  a  titolo  oneroso  di  beni immobili
acquistati o costruiti da non piu' di cinque anni.
    La ragione di questo limite temporale e' evidente.
    Solo   se  la  cessione  avviene  in  tempi  brevi  puo'  vedersi
nell'operazione l'intento speculativo.
    Ma  anche  in questo caso e' stata esclusa l'imponibilita' quando
per  la  maggior  parte  del  periodo intercorso tra l'acquisto, o la
costruzione,  e  la cessione l'unita' immobiliare e' stata adibita ad
abitazione   del   cedente   o   dei  suoi  familiari,  utilizzazione
sufficiente   ad  escludere  che  l'acquisto  o  la  costruzione  sia
effettuata con intento speculativo.
    La norma regionale e' orientata nel senso esattamente opposto.
    Ha eliminato la esclusione, appena richiamata, che l'art. 2 della
legge   regionale   n. 4  del  2006  prevedeva  nella  sua  redazione
originaria.
    Per  le  unita'  immobiliari  si  richiede ora che siano «diverse
dall'abitazione principale», definizione che non corrisponde a quella
portata  dalla  normativa  statale  per  la  quale,  come  si e' gia'
rilevato,  per  la  maggior  parte  del  tempo  dovevano essere state
adibite  ad  abitazione del cedente (non necessariamente principale),
ma anche soltanto dei suoi familiari.
    Soprattutto,  richiedendo che siano acquisite o costruite da piu'
di  cinque  anni,  sono  state  rese  non  tassabili  le  plusvalenze
realizzate  nell'arco  di  tempo  in  cui  e'  presumibile  l'intento
speculativo  e  tassabili  quelle in cui quell'intento e' improbabile
per il lungo lasso di tempo trascorso dal loro acquisto.
    In   pratica,  se  qualcuno  compra  una  seconda  casa,  fidando
sull'aumento  dei  prezzi,  e realizza la plusvalenza in breve tempo,
non  sconta l'imposta, alla quale sono soggetti coloro che, dopo aver
acquistato  la  seconda  casa, l'hanno utilizzata a lungo e la cedono
soltanto perche' sono cambiate le loro esigenze familiari.
    La  legge  regionale, piuttosto che in armonia con i principi del
sistema  tributario  dello  Stato,  come  richiede l'art. 8, lett. h)
dello  statuto  regionale,  si  e'  orientata in senso opposto a quei
principi.
    Che  l'art. 81.1,  lett. b) d.P.R. n. 917/1986 porti una norma di
principio non dovrebbe essere posto in dubbio.
    Uno  dei principi della normativa statale e' che nei confronti di
una  persona fisica, perche' una plusvalenza possa costituire reddito
diverso  (che  l'art. 8.1,  lett. a)  tiene  distinto  dai redditi di
impresa), e' necessario l'intento speculativo.
     Per questo nel terzo comma dell'art. 2 e' esclusa l'applicazione
dell'imposta  alle  cessioni  effettuate in regime di impresa nel cui
reddito complessivo rientrano le plusvalenze.
    Un  secondo  principio  e'  che  l'intento speculativo va escluso
quando  tra  l'acquisto  e la vendita sia intercorso un tempo tale da
farlo ritenere quanto meno improbabile.
    L'intento  speculativo  non  puo' avere una articolazione diversa
regione per regione.
    Gli  immobili  per  uso  turistico  in Sardegna sono inseriti nel
mercato  nazionale  il  cui  andamento  non  e'  condizionato  da una
eventuale sensibilita' differenziata locale. Lo conferma il fatto che
soggetto  all'imposta  e' «l'alienante avente domicilio fiscale fuori
dal   territorio   regionale»,   soggetto   quindi   di   un  mercato
extraregionale.
    L'imposta  e'  dovuta  se l'unita' immobiliare si trova entro tre
chilometri dalla battigia marina (comma 3).
    La  norma  fa  presumere che il mercato che si intende colpire e'
quello  del turismo marino; in caso contrario non avrebbe avuto senso
porre un limite di distanza dal mare.
    Fissando  una distanza di tre chilometri, senza alcuna deroga, si
e'  resa  irrilevante  l'orografia  dei  luoghi  e  quindi le diverse
possibilita' di accesso al mare.
    Si  sono  rese  tassabili  anche  le  plusvalenze  realizzate  su
immobili  che,  per  la  conformazione  dei  luoghi,  possono  essere
utilizzate  solo  per  turismo  collinare e non marino, a causa della
difficile  accessibilita'  al  mare,  o  per  la mancanza di una vera
spiaggia  o  per  la  sua  conformazione,  che la rende inadatta alla
balneazione,  mentre  non  lo sono quelle realizzate su immobili che,
pur  a  maggior distanza dal mare, si trovano in una posizione che ne
consente la vista ed un accesso facile.
    Nel  fissare  una  distanza,  uguale  per  tutte le spiagge della
regione,  la  norma  e'  irragionevole  e  quindi  costituzionalmente
illegittima.
    E'    prevista   una   ulteriore   esclusione   (non   esenzione)
dall'imposta,  questa volta di natura soggettiva: non sono imponibili
le  plusvalenze  realizzate a chi ha il domicilio fiscale in Sardegna
da piu' di ventiquattro mesi.
    Chi  risiede  in  Sardegna  e  ci risiede oltre un certo periodo,
puo',  dunque,  realizzare  tranquillamente  una  plusvalenza perche'
qualunque  sia  il  tempo  in  cui  la  realizza,  non e' soggetto ad
imposta.
    Il  senso  della  norma,  in  pratica,  e'  questo:  lo  sviluppo
turistico  ed  urbanistico  della  regione, legato alle sue coste, e'
motivo  di speculazione; i residenti possono realizzarla senza oneri;
chi risiede altrove deve pagare l'imposta.
    Come  codesta  Corte  ha chiarito da tempo, l'art. 53 Cost. sulla
capacita'  contributiva  e' l'articolazione in materia tributaria del
principio di uguaglianza enunciato nell'art. 3 Cost.
    Nella norma impugnata non si trova alcun elemento per il quale la
capacita'  contributiva,  espressa dalla realizzazione di plusvalenze
con  la  cessione  di  immobili  situati nella regione, sia diversa a
seconda che il soggetto risieda in Sardegna o fuori.
    Questo  effetto  fa  sorgere  anche  una  questione  comunitaria,
determinando  la  illegittimita'  costituzionale della norma anche ai
sensi dell'art. 117, primo comma.
    L'art. 12  del Trattato CE vieta le discriminazioni fondate sulla
nazionalita'.
    «Si  deve rilevare... che, secondo la giurisprudenza della Corte,
le norme relative alla parita' di trattamento vietano non soltanto le
discriminazioni  palesi in base alla cittadinanza, ma anche qualsiasi
discriminazione  dissimulata  che,  basandosi  su  altri  criteri  di
distinzione,  pervenga  di  fatto  al medesimo risultato (sentenza 12
febbraio  1974,  Sotgiu,  punto  11  della motivazione, causa 152/73,
Racc.  p. 153)».  Si  e'  trascritto  dalla  sentenza  della Corte di
giustizia 8 maggio 1990, Biehl, causa C-175/88, punto 13.
    Poiche'  la  norma  assoggetta all'imposta tutti i non residenti,
compresi  i  cittadini comunitari, si pone in contrasto con l'art. l2
del Trattato, cosi' violando anche l'art. 117, primo comma, Cost.
    La  questione  comunitaria  resterebbe superata se la norma fosse
dichiarata   costituzionalmente   (illegittima   per   contrasto  con
l'art. 8, lett. h) dello statuto regionale.
    Una imposta che colpisce le plusvalenze, realizzate attraverso la
vendita  di  immobili,  non  puo'  sicuramente  essere  rapportata al
turismo, qualunque sia la nozione che se ne segua.
    La questione e', comunque, irrilevante perche', sia che si tratti
di  imposte  e  tasse  sul  turismo  che  di  altri tributi, andavano
osservati  i  principi del sistema tributario dello Stato, che invece
sono stati violati.
    L'art. 119  Cost.,  come si e' gia' rilevato, non puo' costituire
un  parametro  utile  per giudicare della legittimita' costituzionale
della  norma  fino  a  che  non  interverranno  le  norme  statali di
attuazione.
    In loro mancanza, anche se si ritenesse applicabile l'art. 119, i
principi   fondamentali  in  materia  di  coordinamento  del  sistema
tributario si dovrebbero far corrispondere, almeno invia transitoria,
con i principi del sistema tributario dello Stato.
                              Art. 3.2.
    La  rubrica  definisce  l'imposta  «sulle  seconde  case  ad  uso
turistico».
    Nel  primo  comma del nuovo art. 3 della legge regionale n. 4 del
2006  l'imposta  viene riferita alle «unita' immobiliari destinate ad
uso abitativo, non adibite ad abitazione principale».
    Stando,  pertanto, alla formulazione della norma, e non della sua
rubrica, l'imposta e' dovuta qualunque sia l'uso dell'immobile, anche
se non turistico, ma, ad esempio, per esigenze di lavoro.
    Gia' per questo va escluso che si tratti di imposta sul turismo.
    Presupposto  dell'imposta,  ai  sensi del secondo comma del nuovo
art. 3,  e'  il  possesso delle unita' immobiliari di cui al comma 1,
vale  a  dire  delle  unita'  non adibite ad abitazione principale da
parte del proprietario.
    Soggetti  passivi  dell'imposta  sono  i proprietari delle unita'
immobiliari  ovvero  i  titolari  dei diritti reali di usufrutto, uso
abitazione.
    Perche'   la   norma,   sotto  questo  profilo,  non  incorra  in
irragionevolezza,  si  deve  concludere  che  se il proprietario, o i
titolari   degli   altri   diritti   reali,  non  sono  nel  possesso
dell'immobile, l'imposta non e' dovuta, ne' da loro (per mancanza del
possesso)  ne'  dai  possessori non titolari di quei diritti, perche'
non indicati tra i soggetti passivi.
    In  proposito  codesta  Corte dovrebbe proporre l'interpretazione
corretta,  come  e'  possibile  nei ricorsi diretti, se attraverso di
essa  si  evita  l'irragionevolezza  della  norma  e  la  conseguente
illegittimita' costituzionale.
    L'imposta  e'  dovuta  se  l'immobile  si  trova  a  meno  di tre
chilometri  dalla  linea  di  battigia  marina.  La fissazione di una
distanza  in via generale, senza distinzioni, si puo' giustificare in
materia urbanistica, quando si deve tenere conto della concentrazione
degli insediamenti sulle zone interessate.
    Non  ha  lo stesso rilievo quando si versa in materia di imposte,
dove  e'  la  capacita'  contributiva  dei soggetti ad avere rilievo,
capacita'  contributiva  legata  al  valore dei beni, e non alla loro
ubicazione o anche alla loro ubicazione, ma solo in quanto incida sul
valore.
    Rientra  nell'esperienza comune che una casa, situata in una zona
piatta,  ha un valore ridotto perche' non ha vista sul mare e perche'
nel  periodo  estivo,  nei giorni afosi, quando l'aria e' stagnante e
senza ventilazione, la sensazione di caldo supera i normali valori di
sopportabilita'.
    Una  casa,  anche  se  distanza maggiore dalla linea di battigia,
situata su di una collina o, comunque, in zona rilevata, non solo non
presenta inconvenienti del genere, ma viene ad avere un valore spesso
superiore  di quelle in prima fila verso il mare che sono piu' vicine
al pubblico transito sulla spiaggia ed ai rumori conseguenti.
    Il  criterio  e', dunque, tale che di queste possibili differenze
di valore, certo non trascurabili, non si tiene alcun conto.
    Prevedendo  una  maggiorazione del 20% per i fabbricati ubicati a
distanze  inferiore ai 300 metri dalla linea di battigia (comma 6 del
nuovo  art. 3), si sono poste le condizioni per applicare una imposta
addirittura  maggiore  ad  immobili  che  potrebbero  avere un valore
minore.
    Fondata come e' sul dato rigido della distanza dal mare e non sul
valore  di  mercato,  sembrerebbe  che l'imposta sia commisurata alla
visibilita' del mare, quindi su valori panoramici.
    La  prima  domanda  da  porsi  e'  se questi valori siano materia
tassabile ai sensi dell'art. 53 Cost. La risposta non puo' essere che
negativa.
    Ma  anche se non lo fosse, la norma sarebbe irragionevole perche'
strutturata in modo tale che l'imposta sarebbe dovuta anche da chi il
mare non lo vede.
    Gia' da questo punto di vista la norma risulta costituzionalmente
illegittima per contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost.
    Anche i criteri per il calcolo dell'imposta sono irragionevoli.
    Solo  per  fare  un  esempio, precisando che lo stesso effetto si
verifica  per  tutti  gli scaglioni, per una unita' immobiliare di 60
mq.  a  299  metri  dalla linea di battigia, l'imposta risulta di 648
euro,  che  corrisponde  all'imposta  dovuta per una unita' di 77 mq.
posta  a  300  metri.  L'irragionevolezza emerge anche da un punto di
vista diverso.
    Passando  da 60 a 100 mq., vale a dire per un aumento di 40 mq di
superficie, l'imposta a mq. e' aumentata del 2,23% (da 9 ad 11 euro).
    Da  100 a 150 mq., per 50 mq., l'aumento e' del 2,72% (da 11 a 14
euro).
    Da  150 a 200, sempre per 50 mq., l'aumento e' dello 0,92% (da 14
a 15 euro).
    Da  200 metri in su (quindi senza limite superiore di superficie)
l'aumento  e' di 0,66% (da 15 a 16 euro) per ridursi progressivamente
in corrispondenza all'aumento della superficie.
    Anche se la progressivita' dall'art. 53 Cost. e' richiesta per il
sistema  tributario  e non per le singole imposte, non puo' ritenersi
ragionevole  una  imposta  che  e'  progressiva con l'aumentare delle
superfici  disponibili  da  60 mq.  a  150, ma che diventa fortemente
regressiva  da  150  mq.  a 200 per diminuire ancora per le superfici
maggiori.
    La irragionevolezza e' evidente e, di conseguenza, e' evidente la
violazione dell'art. 3 Cost.
    Va  rilevato  che  la  illegittimita'  costituzionale  si  desume
esaminando  l'imposta  di  per se', dando per presupposta la potesta'
impositiva  della  regione,  potesta'  che, peraltro, va esclusa alla
stregua  sia  dello statuto regionale che dell'art. 117, terzo comma,
Cost., in relazione all'art. 119.
    L'imposta non puo' essere considerata sul turismo perche' il fine
turistico  non  puo' essere ritenuto implicito nel fatto che l'unita'
immobiliare non sia adibita ad abitazione principale.
    Anche  riportandola  tra  gli  altri  tributi  propri  (lett.  h)
dell'art. 8 dello statuto), non sarebbe in armonia con i principi del
sistema tributario dello Stato.
    E  non  e'  una coincidenza che i principi del sistema tributario
dello  Stato,  se  osservati,  avrebbero  impedito di incorrere nelle
irragionevolezze che sono state rilevate.
    L'imposta  e' determinata in base alla superficie del fabbricato,
senza  tenere  conto del valore reale, che non e' certo quello che si
puo' desumere dai criteri di tassazione adottati.
    Dato  per  presupposto che la misura dell'imposta sia commisurata
ad  un valore che la regione ha presunto, il risultato sarebbe che il
valore  a  mq. aumenterebbe fino a 150 mq. di superficie, riducendosi
sensibilmente   per   superfici   superiori,   per   diventare  quasi
irrilevante sopra i 300 metri.
    Non  e'  facile  individuare  su  quale possibile criterio queste
valutazioni sarebbero fondate.
    Una  delle  imposte  alla  quale  richiamarsi  per  individuare i
principi  e'  l'ICI, imposta statale, secondo quanto codesta Corte ha
chiarito, anche se il gettito e' destinato ai comuni.
    Per  questa,  come  per  altre  imposte di natura reale, i valori
presi  in considerazione sono quelli catastali, che sono valori medi,
determinati  con  criteri  obiettivi per zone omogenee, tenendo conto
dei  valori  di  mercato,  quindi  variabili  in  corrispondenza alle
variazioni di questi ultimi.
    Questo  criterio e' stato ritenuto costituzionalmente legittimo e
consente di evitare la irragionevolezza di criteri diversi, di natura
astratta per non essere riferiti ai valori effettivi.
    La  tassazione  in  base  ai  valori  degli  immobili,  anche  se
determinati  per  zone  omogenee, va considerato una dei principi del
sistema tributario.
    Questo principio non e' stato seguito dalla norma regionale.
    La sua base costituzionale non puo' essere desunta, quindi, dallo
statuto   regionale  il  cui  art. 8,  lett. h),  che  non  e'  stato
osservato.
    Ma  non  la  si  puo' trovare nemmeno nell'art. 119, terzo comma,
Cost. attraverso l'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001.
    Va  rilevato  che  si  e'  al  di  fuori  della  sfera  normativa
dell'art. 117,   terzo   comma,   Cost.,   che   ha  attribuito  alla
legislazione  regionale  concorrente  il  coordinamento  del  sistema
tributario.
    In  discussione  e'  in  questa sede la legittimita' di una norma
regionale  istituiva  di  una  singola  imposta,  senza  obiettivi di
coordinamento.
    Anche  se  andasse  valutata alla stregua dell'art. 119 Cost., la
norma  sarebbe  in  contrasto  con  i principi di coordinamento delle
finanza pubblica e del sistema tributario, quali individuabili in via
transitoria in attesa delle norme statali di attuazione dell'art. 119
Cost.
    Per  l'anno  2006,  come  dispone il comma 9, l'imposta e' dovuta
nella  misura  piu'  favorevole al contribuente mediante comparazione
tra le misure previste dal presente articolo e quelle precedenti.
    La  norma non fa, pertanto, venire meno la materia del contendere
sul  ricorso  a  suo  tempo  proposto  contro  l'art. 3  della  legge
n. 4/2006,  che  sarebbe  comunque applicabile, se piu' favorevole al
contribuente.
    Ma la situazione non cambierebbe in caso contrario.
    Se  fosse  dichiarata  illegittima  costituzionalmente  la  nuova
norma,  in  ipotesi  applicabile  perche' piu' favorevole, resterebbe
applicabile   la   precedente   cosicche'   la   verifica  della  sua
legittimita' costituzionale non perderebbe di interesse.
                              Art. 3.3.
    Secondo  la  rubrica  del nuovo art. 4 della legge regionale n. 4
del   2006,  l'imposta  regionale  e'  sullo  scalo  turistico  degli
aeromobili e delle unita' da diporto.
    Lo   scopo   turistico  degli  scali  si  trova  solo  in  questa
enunciazione  perche'  poi  non  ve  ne  e'  traccia nella disciplina
dell'imposta,  che  colpisce  lo  scalo  di per se' indipendentemente
dagli  scopi, anche quando nel comma 2, lett. a) e' precisato che gli
aeromobili debbono essere adibiti al trasporto privato di persone.
    Al  contrario,  dalla  natura delle esenzioni, riportate sotto al
lett.  a) del comma 6, si dovrebbe ricavare che lo scopo turistico e'
motivo di esenzione dall'imposta.
    Anche in questo caso si e' al di fuori dalle tasse sul turismo.
    L'imposta  si  applica  alle  persone fisiche o giuridiche aventi
domicilio fiscale fuori dal territorio regionale.
    Perche'  una  imposta,  cosi'  concepita,  sia costituzionalmente
illegittima si e' gia' visto trattando dei commi precedenti.
    Per   il  terzo  comma  si  aggiunge  una  ulteriore  ragione  di
illegittimita' costituzionale.
    L'esercizio dell'aeromobile, assunto ai sensi dell'art. 874 c.n.,
e  l'esercizio dell'unita' da diporto, ai sensi degli artt. 265 e ss.
c.n.,  vengono  effettuati  nella maggiore parte dei casi in forma di
impresa.
    Seppure  nel  comma  2,  lett. a) del nuovo art. 4 il presupposto
dell'imposta  sia  limitato  al  trasporto  privato,  i termini della
questione  non mutano perche' anche questo trasporto viene effettuato
nella forma di impresa di servizi.
    Nei  casi  in  cui  i  soggetti,  proprietari  od  esercenti, non
usufruiranno  dell'aeromobile  o  della  unita'  di  diporto  per usi
personali,  ne  restera'  interessato  il  mercato  del  quale verra'
pregiudicata la natura concorrenziale.
    La   prestazione   dei   servizi   di  trasporto,  anche  se  con
destinazione nella Sardegna, interessa l'intero mercato nazionale nel
cui  ambito  le  imprese  con  sede  in Sardegna eviteranno costi che
graveranno, invece, su tutte le altre.
    Che   la   struttura   dell'imposta   incida  sulla  concorrenza,
alterandola,  e'  di  tutta  evidenza  e  non richiede argomentazioni
ulteriori.
    La  norma  viene  ad  essere costituzionalmente illegittima da un
duplice punto di vista.
    Prima di tutto per violazione dell'art. 117, primo comma, Cost.
    La  norma viola, infatti, l'art. 49 del Trattato CE, introducendo
una restrizione alla libera prestazione dei servizi nel mercato sardo
dei servizi nautici ed aerei, che costituisce una parte rilevante del
mercato europeo, come tale soggetto alla disciplina comunitaria.
    Viola  anche  l'art. 8l del Trattato, coordinato con gli artt. 3,
lett.  g)  e  10  del Trattato, perche' ha come effetto di falsare il
gioco della concorrenza all'interno del mercato comune.
    Viola  anche  l'art. 87  perche' istituisce un aiuto alle imprese
con sede in Sardegna.
    La  norma  e' costituzionalmente illegittima anche a considerarla
rilevante  solo  per  il mercato nazionale perche' investe la materia
della concorrenza, riservata alla legislazione statale dall'art. 117,
secondo  comma,  lett.  e)  Cost.,  incidendo,  di conseguenza, sulla
unita' economica della Repubblica, tutelata dall'art. 120 Cost.
    Prima  ancora  viola  l'art. 3,  la  cui  tutela nella iniziativa
economica e' affidata alla normativa sulla concorrenza.
    La  norma  risulta costituzionalmente illegittima anche se per la
sua irragionevolezza.
    In  quanto  imposta,  come  e'  definita, il suo presupposto deve
essere indice di capacita' contributiva ai sensi dell'art. 53 Cost.
    Per  quanto riguarda il presupposto, le due componenti, riportate
sotto le lett. a) e b) del comma 2, vanno esaminate separatamente.
      Il  presupposto  di  quella  riportata  sotto  la lettera a) e'
costituito  dallo  scalo negli aerodromi nel territorio regionale nel
periodo compreso dal 1° giugno al 30 settembre.
    Una  attivita',  esercitata  nella  stessa forma, non puo' essere
considerata  espressione  di capacita' contributiva diversa a seconda
del periodo in cui viene svolta.
    Se  in  periodi  diversi  possono  realizzarsi  utili  maggiori o
minori, questi incideranno sulla misura dell'imposta, ma non potranno
farne venire meno il presupposto.
    Tra il 1° giugno ed il 30 settembre si puo' presumere che aumenti
il   numero   degli  scali  e  quindi  l'impiego  delle  attrezzature
aeroportuali.
    Per   l'utilizzazione   degli  impianti  aeroportuali  sono  gia'
previsti  i diritti aeroportuali, o diritti per l'uso degli aeroporti
(legge  n. 324/1976), dovuti a chi, in quanto gestore dell'aeroporto,
ha  a  suo  carico  la  gestione  e  la  manutenzione  degli impianti
aeroportuali.
    Ogni  scalo,  pertanto,  comporterebbe  in  Sardegna  un  duplice
effetto:  il  pagamento  di  un  diritto  per l'uso dell'aeroporto in
favore  di  chi  fornisce i servizi e che, esercitando l'attivita' in
regime di impresa, si procura anche un margine di profitto, dopo aver
coperto  i  costi:  il  pagamento  di  un tributo che non puo' essere
definito  imposta,  perche'  colpisce  i singoli atti di esercizio di
un'impresa,  e  non  il  risultato  utile complessivo, oggetto di una
imposizione apposita, e che non puo' essere intesa nemmeno come tassa
perche'  riscossa  da  chi  non ha nessun coinvolgimento nel servizio
utilizzato.
    La  situazione  sarebbe  veramente  singolare: di un'attivita' di
impresa  sarebbe  considerato indice di capacita' contributiva non il
risultato  utile  complessivo,  ma il singolo atto di esercizio anche
se, preso isolatamente, portasse a risultati passivi.
    La  struttura disarticolata dell'imposta trova una conferma anche
nella sua misura.
    Il  criterio e' fondato sul numero di passeggeri al cui trasporto
l'aeromobile e' abilitato.
    Il  fatto  che  sia  preso  in  considerazione  non il numero dei
passeggeri  trasportati  effettivamente,  ma  l'abilitazione,  sta ad
indicare  che  la  sedicente  imposta  non  tiene  conto  dei servizi
prestati ai passeggeri stessi (il cui corrispettivo si sarebbe potuto
richiedere  a  questi  ultimi  direttamente),  ma  dei servizi di cui
usufruisce  l'aeromobile  atterrando, che sono quelli gia' compensati
con il pagamento dei diritti per l'uso dell'aeroporto.
    La    duplicazione    e'    evidente,   come   ne   e'   evidente
l'irragionevolezza. Anche questa imposta e' regressiva.
    Per quattro passeggeri l'importo e' di 150 euro.
    Quando  i passeggeri sono dodici, quindi il triplo, l'imposta non
aumenta in proporzione, ma si ferma a 400 euro.
    Dopo  oltre  dodici  passeggeri  l'imposta e' sempre di 1000 euro
cosicche'  piu'  sono  i  passeggeri minore e' l'imposta che si paga,
riferita a ciascuno di essi.
    Non  e'  facile  cogliere  i  criteri  per  la ponderazione della
capacita' contributiva nei vari casi anche perche' dalla norma non si
ricavano elementi utili.
    Se   il  numero  dei  passeggeri  effettivamente  trasportati  e'
irrilevante,  mentre  lo  sono  le  dimensioni  dell'aereo  (a questa
conclusione  porta il fatto che sia stata tenuta in considerazione la
sola  abilitazione  al trasporto), diventa motivo di irragionevolezza
il  fatto  che  la tassa diminuisca proporzionalmente mano a mano che
aumentano le dimensioni dell'aereo.
    Il  presupposto  dell'imposta  prevista  nella  lettera  b) e' lo
scalo,  nei  luoghi  che  vi sono elencati, delle unita' utilizzate a
scopo  di  diporto  di  lunghezza  superiore  ai 14 metri nel periodo
compreso dal 1° giugno al 30 settembre.
    Della limitazione temporale si e' gia' trattato a proposito degli
aeromobili.
    Si  richiamano  ugualmente,  senza  ripeterli, gli argomenti gia'
svolti  a  sostegno della illegittimita' costituzionale fondata sulla
violazione del diritto comunitario e degli artt. 3, 117 e 120 Cost.
    Il  fatto  che  al  di  sotto  dei  14  metri  l'imposta  non sia
applicabile  sta  ad indicare che si e' ritenuto rilevante l'ingombro
del  natante,  ingombro  che  costituisce  anche  il  criterio per la
determinazione dell'importo dovuto.
    Per  i primi due metri di ingombro oltre il minimo di 14 (da 14 e
15,99 metri, lett. d) sono dovuti 1000 euro, in ragione di 500 euro a
ml.
    Se  i  metri  sono sei (da 14 a 19,99 metri, lett. e) sono dovuti
2000 euro, in ragione di 333,33 (periodico) a ml.
    Per  dieci  metri (da 14 a 23,99, lett. f) sono dovuti 3000 euro,
in ragione di 300 a ml.
    Gli euro sono 5000 per 16 ml. (lett. g), in ragione di euro 313 a
ml.
    Gli euro dovuti sono 10.000 per una lunghezza fino a m. 60 (lett.
h), in ragione di 217 euro a ml.
    Sono  dovuti  15.000  per  lunghezze  superiori a 60 metri, senza
limiti  superiori,  con  l'effetto  che  mano  a  mano che l'ingombro
aumenta l'imposta diminuisce.
    Per  ogni  scaglione  si e' presa in considerazione la dimensione
massima  per  abbreviare  l'esposizione  e  perche'  e'  guardando ai
massimi   che  la  irragionevolezza  della  disciplina  risulta  piu'
evidente.
    Anche  questa imposta e' decisamente regressiva, carattere che la
rende  irragionevole  e quidi illegittima costituzionalmente ai sensi
dell'art. 3 Cost. da qualunque punto di vista la si esamini.
    Se  ci  si  riferisce alla dimensione non si capisce perche' piu'
questa aumenta minore debba essere l'imposta quando, per la struttura
dei  porti  turistici,  piu' aumentano gli ingombri, maggiori sono le
difficolta' di ormeggio.
    Ma,  soprattutto,  maggiori  sono  le dimensioni, maggiori sono i
prezzi   di   acquisto  e  quindi  la  capacita'  contributiva  degli
interessati.
    Per  fare un esempio: una nave (correttamente l'ha cosi' definita
la  norma)  sopra  ai sessanta metri ha un prezzo nemmeno comparabile
con una barca di 16 metri.
    L'imposta  e'  dovuta  se  lo  scalo  avviene non solo nei luoghi
«ubicati  nel  territorio  regionale»  ma anche nei campi di ormeggio
attrezzati, ubicati nel mare territoriale.
    E'  un  dato  pacifico, almeno a quanto risulta sino ad oggi, che
ogni  potesta'  legislativa regionale non puo' produrre effetti al di
la' del territorio regionale.
    La  regione  Sardegna  ne  e' consapevole tanto e' vero che nella
prima  parte  della  lett.  b) del comma 2 ha limitato l'applicazione
dell'imposta allo scalo «nei punti di ormeggio ubicati nel territorio
regionale».
    Nella  seconda parte l'ha estesa ai campi di ormeggio situati nel
mare territoriale.
    Il mare territoriale non fa parte del territorio delle regioni.
    La   norma   e',  pertanto,  costituzionalmente  illegittima  per
violazione degli artt. 1, 3 ed 8 dello statuto.
    L'art. 1 individua il territorio della regione nelle «sue isole».
    Le  sue leggi, emanate ai sensi dell'art. 3, non possono produrre
effetti  all'esterno  del  suo territorio e, di conseguenza, anche la
sua  potesta' legislativa in materia tributaria (art. 8, lett. h) non
puo'  essere  esercitata al di la' degli stessi limiti. I presupposti
per  le  sue  imposte non possono, pertanto, essere individuati fuori
del suo territorio.
    Viola  questi  principi  la  norma  in  esame  che  ha posto come
presupposto  dell'imposta  un  rapporto  tra  i  natanti  ed  il mare
territoriale, che non costituisce territorio regionale.
    In  ogni  caso,  e  per  gli stessi, motivi sarebbero violati gli
artt. 117,  terzo  comma,  e  119 Cost. se in essi dovesse vedersi la
fonte della potesta' legislativa esercitata dalla regione.
    L'imposta e' dovuta annualmente (comma 4).
    Questo significa che, una volta pagata, vale per tutto l'anno. Ma
significa  anche  che  e'  dovuta  gia'  a seguito del primo scalo se
rimane  il  solo  nell'anno.  Lo  conferma  il  fatto  che  si  debba
provvedere  al pagamento «entro le 24 ore dall'arrivo delle unita' da
diporto» (comma 7, lett. b).
    Anche questa imposta ha carattere regressivo.
    Piu'   scali   si   fanno,  meno  sara'  in  proporzione  l'onere
tributario,  per  annullarsi  addirittura se l'unita' sosta per tutto
l'anno nelle strutture portuali regionali (comma 6, 1ett. b).
    Il  fatto  che le due imposte abbiano carattere regressivo sta ad
indicare   che   non   intendono   colpire  un  indice  di  capacita'
contributiva,  ma  hanno  presumibilmente  come obiettivo di favorire
coloro che si trattengono nella regione piu' a lungo, contribuendo in
misura maggiore all'arricchimento della economia regionale, obiettivo
che certo non ha rapporti con la capacita' contributiva.
    Anche  questa  imposta e' dovuta dalla persona fisica o giuridica
«avente domicilio fiscale fuori del territorio regionale».
    Per  evitare ripetizioni inutili si richiama quando e' stato gia'
detto  circa le violazione costituzionali e comunitarie conseguenti a
proposito della componente riportata sotto la lettera a).
                               Art. 5.
    Vi e' istituita l'imposta di soggiorno.
    Ne  costituisce il presupposto il soggiorno nel periodo tra il 15
giugno  e  il  15  settembre  nelle strutture recettive, indicate nel
comma 2.
    Sono   soggetti   solo   coloro   «che   non  risultano  iscritti
nell'anagrafe  della popolazione residente nei comuni della Sardegna»
(comma 7).
    L'imposta  e'  comunale  ed comuni possono applicarla a decorrere
dal 2008.
    La legge regionale ha, dunque, stabilito oltre che il presupposto
ed  i  soggetti,  anche  la  misura,  disponendo che e' giornaliera e
fissandone l'importo (comma 8); il sostituto tenuto al pagamento ed i
tempi  del  pagamento  (comma  10);  le  modalita'  di  recupero,  la
disciplina integrale dell'accertamento, le sanzioni (commi 11 e ss.).
    Ai  comuni resta una sola scelta: se istituirla o non, mentre non
hanno nessun potere sulla conformazione dell'imposta.
    Poteva la regione istituirla?
    L'art. 119  Cost.  - lo si e' gia' rilevato - non puo' costituire
la base costituzionale per la legislazione tributaria regionale.
    Non   puo'   essere   utile  nemmeno  lo  statuto  regionale  che
nell'art. 8  disciplina  le  entrate  della  regione e, quindi, nella
lett.  h)  le  sole  imposte regionali e non quelle comunali, che non
poteva  prendere  in  considerazione  per  il  tempo  in cui e' stato
approvato.
    D'altro  canto,  il  fatto  che  la  regione  abbia istituito una
imposta  comunale  fa  presuppone  che  abbia  voluto  esercitare  la
potesta' legislativa desumibile dall'art. 119 Cost.
    Nella  eventualita' che la regione ripieghi sull'art. 8, lett. h)
dello  statuto, la verifica viene effettuata con riferimento ad esso,
salvo  a  ritornare  sull'argomento  quando  la  regione stessa avra'
precisato la sua posizione.
    Codesta   Corte   ha   rilevato   che,   anche  nella  situazione
costituzionale  attuale,  la legislazione tributaria, sia statale che
regionale,  non  puo'  essere  esercitata in contrasto con i principi
dell'art. 119,  pur  se non ancora attuato attraverso la legislazione
statale necessaria (tra le altre, sent. n. 16/04 e n. 37/04).
    Se   nella   potesta'  di  istituire  proprie  imposte  e  tasse,
attribuita  dallo  statuto, la regione volesse far rientrare anche le
imposte   comunali,   dovrebbe  attenersi  ai  principi  del  sistema
tributario dello Stato.
    Tra   di   essi   andrebbero   riportati  i  principi  desumibili
dall'art. 119  Cost.  che,  secondo codesta Corte, non possono essere
contraddetti dalla legislazione tributaria.
    L'autonomia  tributaria  e'  attribuita non solo alle regioni, ma
anche  ai  comuni  (primo  comma dell'art. 119), nell'esercizio della
quale essi stabiliscono ed applicano tributi ed entrate proprie.
    Stabilire non puo' essere ridotto alla sola scelta tra adottare o
non  adottare  un'  imposta,  integralmente  disciplinata dalla legge
regionale.
    L'imposta  va  stabilita  dal  comune  nell'esercizio  della  sua
autonomia  finanziaria  «secondo  i  principi  di coordinamento della
finanza pubblica e del sistema tributario».
    La  norma  impugnata  non  puo'  essere  definita  come  norma di
coordinamento del sistema tributario.
    Con  essa  e' stata stabilita un imposta comunale, senza lasciare
ai comuni nessun margine di autonomia.
    La   norma   andrebbe,  pertanto,  dichiarata  costituzionalmente
illegittima  per  violazione  dei  principi  desumibili dall'art. 119
Cost.
    La   illegittimita'   costituzionale   risulterebbe  ancora  piu'
evidente   se  l'art. 119  fosse  ritenuto  direttamente  applicabile
attraverso l'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, per il
quale  le  disposizione  del  nuovo  Titolo V si estendono anche alle
regioni  a  statuto  speciale «per le parti in cui prevedono forme di
autonomia piu' ampie rispetto a quelle gia' attribuite».
    Queste  forme di autonomia piu' ampie non debbono essere riferite
solo  alle regioni, ma a tutti gli enti ai quali sono state conferite
dalle   nuove  norme  costituzionali.  La  norma  impugnata,  invece,
istituisce  direttamente  un'imposta  comunale lasciando al comune la
sola alternativa di adottarla o non.
      L'imposta  non  colpisce  coloro  che  non  risultano  iscritti
all'anagrafe  della  popolazione residente nei comuni della Sardegna;
grava, dunque, solo sui non residenti.
    Dalla  legge non si desume quale sia la giustificazione di questa
diversita' di trattamento.
    Se  il  presupposto  e'  il  soggiorno  in un certo periodo nelle
strutture recettive indicate, dalla conformazione dell'imposta non si
ricava  il  perche' i residenti in Sardegna non vi siano soggetti. In
certe strutture recettive si soggiorna quando si e' fuori del proprio
comune di residenza. E questo vale anche per i residenti in Sardegna.
    Se,  pertanto,  tutti  indistintamente  usufruiscono degli stessi
servizi e gravano allo stesso modo sul territorio di soggiorno, sia i
residenti  nella  regione che i non residenti non dovrebbero avere un
trattamento  tributario  differenziato  poiche'  la loro posizione e'
identica se rapportata al presupposto dell'imposta.
    La  differenziazione,  in  quanto non ragionevole, viola l'art. 3
Cost.  Di  conseguenza  la  norma  che  la  prevede  viene  ad essere
costituzionalmente  illegittima  ai sensi dell'art. 117, primo comma,
Cost.  La  violazione e' duplice per il contrasto anche con l'art. 49
del Trattato CE.
    Secondo  quanto  la  Corte  di giustizia ha chiarito da tempo, la
liberta'  di  prestazione  dei servizi all'interno della comunita' e'
violata  anche  quando  vengono  frapposti  ostacoli  al godimento di
servizi da parte di cittadini dei Paesi membri.
    E  non  c'e'  dubbio  che  i  cittadini dell'Unione subiscano una
discriminazione,  rispetto  i  residenti  nella regione, in contrasto
anche con il principio enunciato nell'art. 12 del Trattato.
                              P. Q. M.
    Si    conclude   perche'   sia   dichiarata   la   illegittimita'
costituzionale  dei  commi  1,  2 e 3 dell'art. 3 e dell'art. 5 della
legge regionale della Sardegna n. 2 del 2007.
        Roma, addi' 27 luglio 2007
         Il Vice Avvocato generale dello Stato: Glauco Nori
07C1073