N. 340 SENTENZA 8 - 12 ottobre 2007

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Delegazione  legislativa - Sindacabilita' - Criteri - Possibilita' di
  enucleare  una  nozione  rigida  valevole  per  tutte le ipotesi di
  «principi e criteri direttivi» - Esclusione.
- D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, art. 13, comma 2.
- Costituzione, art. 76.
Delegazione  legislativa  -  Cosiddetto  potere  di  riempimento  del
  legislatore delegato - Limiti.
- D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, art. 13, comma 2.
- Costituzione, art. 76.
Societa'  -  Controversie  in  materia  di  diritto  societario  e di
  intermediazione  finanziaria  - Procedimenti di primo grado dinanzi
  al  tribunale  in  composizione  collegiale  -  Mancata  o  tardiva
  notifica  della  comparsa  di costituzione da parte del convenuto -
  Valore  di  non  contestazione dei fatti affermati dall'attore (cd.
  ficta  confessio),  ove quest'ultimo depositi istanza di fissazione
  dell'udienza  -  Estraneita'  della  disposizione  del  legislatore
  delegato  alle  finalita'  di  riduzione  dei termini processuali e
  della  concentrazione del procedimento stabilite dalla legge delega
  -  Eccesso di delega - Illegittimita' costituzionale in parte qua -
  Assorbimento degli ulteriori profili di censura.
- D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, art. 13, comma 2.
- Costituzione, artt. 76, (3 e 24).
(GU n.40 del 17-10-2007 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Franco BILE;
  Giudici:  Giovanni  Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO,
Paolo  MADDALENA,  Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO,
Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE,
Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 13, comma 2,
del  decreto  legislativo  17 gennaio  2003,  n. 5  (Definizione  dei
procedimenti  in  materia  di diritto societario e di intermediazione
finanziaria,  nonche' in materia bancaria e creditizia, in attuazione
dell'articolo 12  della  legge  3 ottobre 2001, n. 366), promosso dal
Tribunale  di  Catania, nel procedimento civile vertente tra C. M. ed
altro  e la Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., con ordinanza del
17 gennaio  2006  iscritta  al  n. 240  del registro ordinanze 2006 e
pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 29, 1ª serie
speciale, dell'anno 2006.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 6 giugno 2006 il giudice
relatore Francesco Amirante.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Nel  corso  di un giudizio civile promosso da due soggetti
privati contro un istituto di credito per la nullita' di un contratto
di  acquisto  di  titoli  mobiliari  e  per il rimborso delle perdite
subite,  il  Tribunale  di  Catania ha sollevato, in riferimento agli
artt. 3,  24  e  76  della  Costituzione,  questione  di legittimita'
costituzionale   dell'art. 13,   comma 2,   del  decreto  legislativo
17 gennaio  2003,  n. 5  (Definizione  dei procedimenti in materia di
diritto  societario  e  di  intermediazione  finanziaria,  nonche' in
materia  bancaria  e creditizia, in attuazione dell'articolo 12 della
legge 3 ottobre 2001, n. 366).
    Rileva  il  Tribunale  che, a seguito della notifica dell'atto di
citazione   avvenuta   il  1° aprile  2005,  la  banca  convenuta  ha
notificato   la   propria  comparsa  di  risposta  il  successivo  1°
giugno 2005;   in  data  16  giugno 2005  gli  attori,  eccependo  la
tardivita'  della  notifica  della  comparsa,  hanno  notificato alla
controparte   l'istanza   di  fissazione  di  udienza,  chiedendo  al
Tribunale  di  considerare  non contestati i fatti cosi' come narrati
nell'atto di citazione.
    Cio'  premesso,  il  giudice  a  quo  osserva che la disposizione
impugnata effettivamente ricollega alla contumacia del convenuto (cui
viene  equiparata  la tardiva costituzione) l'effetto di una sorta di
ficta  confessio,  dovendosi  intendere  come  non contestati i fatti
affermati   dall'attore,   in   tal   modo  innovando  rispetto  alla
consolidata  giurisprudenza per cui la contumacia nel processo civile
non   puo'   assumere   alcun  significato  probatorio.  Tale  scelta
legislativa,  peraltro, appare in contrasto, anzitutto, con l'art. 76
Cost.,  in  quanto  nell'art. 12,  comma 2,  lettera a),  della legge
n. 366   del  2001  manca  ogni  riferimento  al  rito  contumaciale.
Richiamando,  in  proposito,  alcune  sentenze  di questa Corte sulla
necessita'  che  la  legge  di delegazione venga interpretata tenendo
presenti  le  finalita'  ispiratrici  della medesima, il Tribunale di
Catania sottolinea che la riforma del rito contumaciale operata dalla
norma in esame non risponde, se non per «mero accidente processuale»,
alla   finalita'   di  riduzione  dei  termini  processuali,  il  che
risulterebbe  ancora  piu' evidente in un processo con piu' convenuti
dei  quali  almeno  uno si sia costituito tempestivamente. E, d'altra
parte,  nessuna  volonta'  di  riforma dell'istituto della contumacia
trapela   dai   lavori   parlamentari,   poiche'   la   relazione  di
accompagnamento al disegno di legge delega per la riforma del diritto
societario   (presentato   il   3 luglio  2001)  non  contiene  alcun
riferimento  alla  materia  in  oggetto;  al  contrario,  un  preciso
richiamo  alla  contumacia  e'  presente  nel punto 23 del disegno di
legge delega per la complessiva riforma del processo civile approvato
dal Consiglio dei ministri in data 24 ottobre 2003.
    Ritiene  quindi  il  giudice remittente, per le ragioni indicate,
che  la  norma in esame sia censurabile sotto il profilo dell'eccesso
di delega.
    Il  meccanismo  della  ficta  confessio  previsto  dall'impugnato
art. 13,  comma 2,  in  caso  di  tardiva  notifica della comparsa di
risposta  appare  al  Tribunale  di Catania, «in via subordinata», in
contrasto  anche  con  l'art. 3  Cost., in quanto contrario al canone
della  ragionevolezza,  poiche'  attribuisce all'attore un privilegio
processuale  non  riscontrabile  in nessuno degli altri riti regolati
dal  nostro  sistema  processuale;  e  tale  disparita'  non potrebbe
trovare giustificazione neppure nella peculiarita' delle controversie
destinate  ad essere trattate col cosiddetto rito societario, poiche'
l'art. 70-ter   delle   disposizioni  di  attuazione  del  codice  di
procedura civile consente, nell'accordo delle parti, che tale rito si
applichi anche ai processi ordinari.
    In  via  «ulteriormente gradata», infine, il Tribunale di Catania
ravvisa un contrasto tra la censurata disposizione e l'art. 24 Cost.,
in  quanto  la  «secca previsione normativa della non contestabilita'
dei  fatti  affermati  dall'attore  in  caso di tardiva notificazione
della  comparsa  di  risposta» costituirebbe una sanzione processuale
sproporzionata  del comportamento del convenuto che, come nel caso di
specie,  ha  notificato  la  propria comparsa di risposta con un solo
giorno di ritardo rispetto al termine fissato per legge.
    Nel rito in esame, infatti, non e' neppure previsto l'obbligo (si
veda  l'art. 2,  comma 1,  lettera  a,  del d.lgs. n. 5 del 2003) che
l'atto  introduttivo  contenga  l'avvertimento  al convenuto circa le
conseguenze  negative che si possono produrre a suo carico in caso di
contumacia   o   tardiva  costituzione.  Cio'  comporta,  secondo  il
Tribunale, una lesione del diritto di difesa del convenuto.
    Quanto  alla rilevanza, infine, il giudice a quo osserva che essa
senza   dubbio  sussiste  nel  giudizio  pendente,  poiche'  si  deve
stabilire se la tardiva notifica della comparsa di risposta determini
o  meno  gli  effetti di non contestazione fissati dalla disposizione
sottoposta a scrutinio.
    2.-  E'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, concludendo per l'infondatezza della questione.
    Osserva  l'Avvocatura  dello Stato, richiamando numerose pronunce
di  questa  Corte in ordine alla censura di eccesso di delega, che e'
da  escludere la violazione dell'art. 76 della Costituzione. Rientra,
a suo dire, nella fisiologia della delega legislativa il fatto che la
legge  si  limiti a contenere i principi ed i criteri direttivi senza
regolare   integralmente   tutti   gli   aspetti  della  fattispecie,
sussistendo  nel  Governo  delegato il potere di «riempimento» che la
giurisprudenza  costituzionale  ha in piu' occasioni riconosciuto. La
delega,  d'altronde,  non  puo'  eliminare ogni margine di scelta nel
momento  della  sua attuazione, anche perche' accade di frequente che
il  legislatore delegante faccia espresso riferimento a concetti come
«clausole      generali»,      «ridefinizione»,      «riordino»     e
«razionalizzazione» (sentenza n. 125 del 2003), indicando in tal modo
criteri  generici ma tuttavia sufficienti a delimitare il compito del
legislatore delegato.
    La   norma   impugnata   non   puo',   alla   luce   di  siffatte
considerazioni,  essere  considerata  illegittima, perche' l'art. 12,
comma 2,  della  legge  n. 366  del  2001  contiene  criteri idonei e
determinati:  in  esso  si  fa  riferimento  all'esigenza di una piu'
rapida  definizione  dei  procedimenti  nelle  materie  ivi indicate,
sicche' non puo' lamentarsi una violazione dell'art. 76 Cost.
    Sarebbe  improprio,  secondo  l'Avvocatura  dello Stato, invocare
l'art. 3  Cost.  per paragonare il trattamento riservato al contumace
nel  rito  ordinario con quello regolato dalla disposizione in esame,
perche'  la delega non ha vincolato il Governo a rispettare, in tutto
e  per tutto, l'ideologia che animava il codice di procedura vigente;
anzi, ai fini della concentrazione del procedimento e della riduzione
della  sua  durata  complessiva,  era  necessario  creare  un modello
processuale  piu'  agile, tale da liberare il giudice da una serie di
impegni  ripetitivi  ed  inutili;  in  vista  di quest'obiettivo, tra
l'altro,  si  e'  ritenuto  opportuno  affidare  la fase iniziale del
procedimento   alla   disponibilita'  delle  parti,  escludendo  ogni
intervento del giudice.
    Sotto  questo  profilo,  quindi,  dovrebbe dirsi che la scelta di
regolare  diversamente l'istituto della contumacia si sia tradotta in
un'attuazione  piena  della  delega,  contribuendo  a determinare una
maggiore concentrazione del procedimento ed una conseguente riduzione
dei  suoi  tempi,  anche  in  considerazione del fatto che il rito e'
destinato   ad   operare  in  controversie  «che,  per  loro  natura,
necessitano  di  soluzioni  immediate e che, di norma, non richiedono
una complessa istruttoria».

                       Considerato in diritto

    1.-  Il  Tribunale  di  Catania,  in  composizione collegiale, ha
sollevato,  in  riferimento  all'art. 76  della  Costituzione, in via
subordinata  in  riferimento  all'art. 3  Cost.  e, in via ancor piu'
gradata,  in riferimento all'art. 24 Cost., questione di legittimita'
costituzionale   dell'art. 13,   comma 2,   del  decreto  legislativo
17 gennaio  2003,  n. 5  (Definizione  dei procedimenti in materia di
diritto  societario  e  di  intermediazione  finanziaria,  nonche' in
materia  bancaria  e  creditizia, in attuazione dell'articolo12 della
legge 3 ottobre 2001, n. 366).
    Il  remittente  riferisce che soggetti privati hanno convenuto in
giudizio un istituto bancario per sentir dichiarare la nullita' di un
contratto  di acquisto di titoli mobiliari con esso concluso e per la
condanna  al  risarcimento  dei  danni  subiti per la dismissione dei
medesimi;  che  il  convenuto ha notificato in ritardo la comparsa di
costituzione  e  gli  attori  hanno  presentato istanza di fissazione
dell'udienza,  la  quale,  ai  sensi  della  disposizione  censurata,
comporta  che  i  fatti  dedotti  dagli  attori devono ritenersi come
ammessi.
    Secondo  il  remittente,  nello  stabilire  la  cosiddetta  ficta
confessio  in  caso  di  mancata  o  tardiva  notifica della suddetta
comparsa, il legislatore delegato e' andato al di la' della delega di
cui all'art. 12, comma 2, lettera a), della legge n. 366 del 2001, la
quale  prevedeva  soltanto  la  concentrazione  dei procedimenti e la
riduzione  dei  termini,  ma non anche una cosi' sostanziale modifica
del  procedimento  contumaciale,  contraria alla tradizione giuridica
italiana.
    Una  innovazione  come  quella  introdotta  con  la  disposizione
impugnata  avrebbe  richiesto  una specifica direttiva, come e' anche
dimostrato  dal  fatto  che  nel  disegno  di  legge di delega per la
generale  riforma  del  processo  civile, approvato dal Consiglio dei
ministri  il  24 ottobre  2003  (Atto Camera n. 4578), al punto 23 e'
indicato  come  criterio  direttivo  quello  cui  e' autonomamente, e
quindi illegittimamente, ispirata la disposizione in scrutinio.
    In  via  subordinata, il Tribunale di Catania deduce il contrasto
della disposizione suddetta con l'art. 3 Cost., in quanto attribuisce
un  ingiustificato privilegio alla parte attrice nei procedimenti che
si  svolgono  con  il  cosiddetto  rito societario; in via ancor piu'
gradata,  il  remittente lamenta la violazione dell'art. 24 Cost., in
quanto   dalla  disposizione  impugnata  consegue  l'irragionevole  e
percio'  illegittima  compressione  del diritto di difesa della parte
convenuta.
    2.-  La  questione  e'  fondata con riferimento all'art. 76 della
Costituzione.
    Questa  Corte  ha  piu'  volte  affermato  che  «il  giudizio  di
conformita'  della norma delegata alla norma delegante, condotto alla
stregua  dell'art. 76  Cost.,  si esplica attraverso il confronto tra
gli  esiti di due processi ermeneutici paralleli: l'uno relativo alla
norme  che  determinano  l'oggetto,  i principi e i criteri direttivi
indicati  dalla  delega,  tenendo  conto  del complessivo contesto di
norme  in  cui  si collocano e individuando le ragioni e le finalita'
poste  a fondamento della legge di delegazione; l'altro relativo alle
norme   poste   dal   legislatore   delegato,  da  interpretarsi  nel
significato  compatibile  con  i  principi  e criteri direttivi della
delega»  (ex plurimis sentenze n. 7 e n. 15 del 1999, n. 276, n. 163,
n. 126,  n. 425,  n. 503  del  2000,  n. 54 e n. 170 del 2007). E, in
considerazione  della  varieta'  delle materie riguardo alle quali si
puo'  ricorrere  alla  delega legislativa, non e' possibile enucleare
una  nozione  rigida  valevole  per  tutte  le ipotesi di «principi e
criteri direttivi». In questo ordine d'idee si e' anche affermato che
«il  Parlamento,  approvando  una  legge di delegazione, non e' certo
tenuto  a  rispettare regole metodologicamente rigorose...» (sentenza
n. 250 del 1991).
    Siffatti  principi, che la Corte ribadisce, vanno pero' applicati
non  disgiuntamente  da altri che pure, come si e' affermato, debbono
presiedere   allo   scrutinio   di   legittimita'  costituzionale  di
disposizioni  di  provvedimenti legislativi delegati sotto il profilo
della  loro conformita' alla legge di delegazione e che delimitano il
cosiddetto  potere  di riempimento del legislatore delegato. Infatti,
per   quanta   ampiezza  possa  a  questo  riconoscersi,  «il  libero
apprezzamento  del  legislatore  delegato  non  puo'  mai assurgere a
principio  od  a  criterio  direttivo, in quanto agli antipodi di una
legislazione vincolata, quale e', per definizione, la legislazione su
delega»  (sentenza n. 68 del 1991; e, sul carattere derogatorio della
legislazione  su  delega  rispetto  alla regola costituzionale di cui
all'art. 70 Cost., cfr. anche la sentenza n. 171 del 2007).
    Tutto  cio'  premesso,  si rileva che la disposizione censurata -
stabilendo  che, se il convenuto non notifica la comparsa di risposta
o  lo  fa tardivamente, i fatti affermati dall'attore si reputano non
contestati  - detta una regola del processo contumaciale in contrasto
con  la  tradizione  del diritto processuale italiano, nel quale alla
mancata  o  tardiva costituzione mai e' stato attribuito il valore di
confessione implicita.
    La  legge  di delegazione era finalizzata all'emanazione di norme
che,  senza  modifiche della competenza per territorio o per materia,
fossero dirette ad assicurare una piu' rapida ed efficace definizione
di procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione
finanziaria  nonche'  in  materia  bancaria  e  creditizia  (art. 12,
comma 1, lettere a e b, della legge n. 366 del 2001).
    Per  raggiungere  le  suindicate  finalita',  si stabiliva che il
Governo   era   delegato   a   dettare  regole  processuali  che,  in
particolare,  potessero prevedere «la concentrazione del procedimento
e la riduzione dei termini processuali».
    La   censurata  disposizione  del  decreto  delegato,  mentre  e'
evidentemente   estranea  alla  riduzione  dei  termini  processuali,
neppure   puo'   essere   ritenuta   conforme  alla  direttiva  della
concentrazione del procedimento. La considerazione della «piu' rapida
ed  efficace  definizione  dei procedimenti», indicata come finalita'
della  delega,  costituisce  un  utile criterio d'interpretazione sia
della  legge  di delegazione, sia delle disposizioni delegate, ma non
puo'  sostituirsi  alla valutazione dei principi e criteri direttivi,
cosi' come determinati dalla legge di delegazione. Tutto cio' anche a
voler   trascurare   il   rilievo   secondo   il   quale  non  sempre
l'introduzione  della  ficta  confessio  contribuisce  alla rapida ed
efficace definizione dei procedimenti.
    L'accertamento  della  fondatezza  della questione per violazione
dell'art. 76   Cost.   assorbe   l'esame   degli   altri  profili  di
illegittimita'  costituzionale,  del  resto  dallo  stesso remittente
prospettati in via subordinata.
    Deve essere, pertanto, dichiarata l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 13,  comma 2,  del d.lgs. n. 5 del 2003, nella parte in cui
stabilisce:  «in  quest'ultimo  caso  i  fatti affermati dall'attore,
anche  quando  il convenuto abbia tardivamente notificato la comparsa
di  costituzione,  si  intendono non contestati e il tribunale decide
sulla domanda in base alla concludenza di questa».
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  l'illegittimita'  costituzionale dell'art. 13, comma 2,
del  decreto  legislativo  17 gennaio  2003,  n. 5  (Definizione  dei
procedimenti  in  materia  di diritto societario e di intermediazione
finanziaria,  nonche' in materia bancaria e creditizia, in attuazione
dell'articolo 12  della legge 3 ottobre 2001, n. 366), nella parte in
cui  stabilisce: «in quest'ultimo caso i fatti affermati dall'attore,
anche  quando  il convenuto abbia tardivamente notificato la comparsa
di  costituzione,  si  intendono non contestati e il tribunale decide
sulla domanda in base alla concludenza di questa».
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, l'8 ottobre 2007.
                         Il Presidente: Bile
                       Il redattore: Amirante
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 12 ottobre 2007.
              Il direttore della cancelleria: Di paola
07C1208