N. 745 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 maggio 2007

Ordinanza  emessa  il  28  maggio  2007  dal tribunale amministrativo
regionale  della  Lombardia sul ricorso proposto da Lule Ervin contro
Ministero dell'Interno ed altri

Straniero  -  Ingresso  e  permanenza  nel  territorio  dello Stato -
  Divieto di rilascio o di rinnovo del permesso di soggiorno, in caso
  di  condanna,  anche  a  seguito  dell'applicazione  della  pena su
  richiesta  ai  sensi  dell'art. 444 c.p.p., per determinati reati -
  Subordinazione   del   divieto   al   previo   accertamento   della
  pericolosita'  sociale - Mancata previsione - Violazione di diritto
  fondamentale   della   persona   -   Violazione  del  principio  di
  uguaglianza  sotto  vari  profili - Lesione del diritto di difesa -
  Incidenza   sul   principio   di   buon  andamento  della  pubblica
  amministrazione.
- Decreto  legislativo 25 luglio 1998, n. 286, artt. 4, comma 3 (come
  sostituito  dall'art. 4,  comma 1,  lett. b), della legge 30 luglio
  2002, n. 189), e 5, comma 5.
- Costituzione, artt. 2, 3, 24 e 97.
(GU n.44 del 14-11-2007 )
                IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza sul ricorso n. 1701/2006
proposto  da  Lule  Ervin  rappresentato e difeso dall'avv. Francesca
Benzoni  ed  elettivamente  domiciliato  presso  lo  studio dell'avv.
Daniela Viva in Milano, via Borgogna n. 9;
    Contro Ministero dell'Interno, in persona del Ministro in carica,
Questura di Varese, in persona del questore in carica e Prefettura di
Varese,  in  persona  del  prefetto in carica, rappresentati e difesi
dalla   avvocatura   distrettuale   dello   Stato,  presso  cui  sono
domiciliati ex lege in Milano, via Freguglia n. 1, per l'annullamento
del   decreto   del   questore   della   provincia  di  Varese  prot.
n. 00060/06/AN  emesso in data 5 giugno 2006, notificato il 19 giugno
2006,  di  rigetto  dell'istanza di rinnovo del permesso di soggiorno
presentata dal ricorrente per motivi di lavoro.
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto   l'atto   di   costituzione   in  giudizio  del  Ministero
dell'Interno;
    Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Nominato  relatore  alla  pubblica  udienza  del 29 marzo 2007 il
dott. Riccardo Giani;
    Uditi  l'avv.  F. Benzoni per il ricorrente ed, ai preliminari di
udienza, l'avv. dello Stato A. Blandini;
    Considerato in fatto ed in diritto quanto segue.

                              F a t t o

    Con  ricorso  notificato il 22 giugno 2006 e depositato presso la
segreteria  del  tribunale  il  23 giugno 2006, Lule Ervin, cittadino
dell'Albania,  ha  impugnato  il  decreto con il quale la Questura di
Varese,  in  data 5 giugno 2006, ha negato il rinnovo del permesso di
soggiorno,  sulla base di una sentenza emessa dal Tribunale di Varese
ai  sensi dell'art. 444 c.p.p. di applicazione della pena di anni uno
di  reclusione e E 8.000,00 di multa, ai sensi dell'art. 73, comma 5,
del d.P.R. n. 309/1990, per cessione di sostanze stupefacenti.
    A  sostegno  del  gravame  l'interessato  ha  dedotto  i seguenti
motivi:
        1)  «Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  4,  comma  3,
d.lgs. n. 286/1998 che sancisce la valenza ostativa della sentenza di
applicazione  pena  ex art. 444 c.p.p. al rilascio e/o al rinnovo del
permesso di soggiorno». Il ricorrente contesta la valenza ostativa al
rilascio  del  permesso  di soggiorno della condanna emessa a seguito
del patteggiamento.
        2)    «Violazione   di   legge,   omessa,   insufficiente   e
contraddittoria  motivazione:  art.  3  della  legge n. 241/1990». Si
contesta  la  insufficiente  motivazione del provvedimento impugnato,
contestandone la qualificazione in termini di attivita' vincolata.
        3)    «Violazione   di   legge,   omessa,   insufficiente   e
contraddittoria  motivazione:  art. 11 legge 241/1990». Il ricorrente
evidenzia  che,  essendo  in  presenza di attivita' discrezionale, la
p.a.  avrebbe  dovuto  dare  ampia  motivazione  della determinazione
assunta.
        4)   «Eccesso  di  potere:  il  mancato  bilanciamento  degli
interessi concretamente tutelati».
        5)   «Violazione   di   legge:   art. 2,   comma   6,  d.lgs.
n. 286/1998».  Il  ricorrente  contesta  la  mancata  traduzione  del
provvedimento impugnato.
    Si  sono  costituite  in giudizio le Amministrazioni intimate per
resistere  al  ricorso.  Con  ordinanza  n. 1524 resa nella Camera di
consiglio  del  13  luglio  2006  la  sezione  ha  accolto la domanda
cautelare  avanzata  dall'interessato, sullo specifico rilievo che in
presenza  di  condanna  per  l'ipotesi  delittuosa  attenuata  di cui
all'art.   73,   comma   5,  d.P.R.  n. 309/1990  «si  richiedeva  la
valutazione  in  concreto della pericolosita' sociale del ricorrente,
ai  fini  della pronuncia di rigetto del permesso di soggiorno». Tale
ordinanza  e'  stata appellata dall'Amministrazione e il Consiglio di
Stato,  con  ordinanza della sez. VI, n. 121 del 2007 l'ha riformata,
respingendo  la  domanda  cautelare  proposta dal ricorrente in primo
grado,  sul  rilievo che si e' in presenza di «condanna in materia di
stupefacenti  (intervenuta  dopo  la  legge Bossi-Fini, il che impone
l'accoglimento del presente appello interinale».
    Parte   ricorrente  ha  prodotto  memoria  nella  quale  illustra
ulteriormente le proprie posizioni.
    Alla  udienza  pubblica  del  29  marzo 2007, sentiti i difensori
comparsi,  come da verbale d'udienza, la causa e' stata trattenuta in
decisione.

                            D i r i t t o

    1. -    Con   il  provvedimento  impugnato  l'Amministrazione  ha
respinto  la  domanda  del  ricorrente  di  rinnovo  del  permesso di
soggiorno  per  motivi  di  lavoro autonomo, ponendo a base dell'atto
gravato  il  fatto  che l'istante risultasse condannato, con sentenza
emessa  ai  sensi  dell'art.  444  c.p.p.,  per  reato  in materia di
stupefacenti,  e  rilevando  in particolare che «l'art 4, comma 3 del
d.lgs.  n. 286/1998 non ammette la presenza in Italia dello straniero
condannato per reati concernenti gli stupefacenti». Nei confronti del
suddetto  provvedimento  il  ricorrente  propone  una  pluralita'  di
censure,  che  sono raggruppabili intorno a tre questioni giuridiche:
a)   la  valenza  ostativa,  rispetto  al  rinnovo  del  permesso  di
soggiorno,  della  sentenza  di  applicazione della pena su richiesta
delle    parti,    dubitando   il   ricorrente   della   legittimita'
costituzionale   della   norma  che  in  tal  senso  dispone;  b)  la
motivazione  del provvedimento di rigetto del rinnovo del permesso di
soggiorno,   ritenendo   il   ricorrente   che   lo  stesso  non  sia
provvedimento  vincolato,  a  fronte  della  presenza  di sentenza di
condanna  come  quella  sussistente a suo carico, ma che al contrario
sia  provvedimento discrezionale che deve quindi essere adeguatamente
motivato, tenendo conto dei contrapposti interessi delle parti; c) la
mancata  traduzione del provvedimento gravato in lingua conosciuta al
ricorrente.
    2.  -  Puo'  essere  preliminarmente  esaminato  l'ultimo profilo
evocato,  cioe'  la  censura n. 5), la quale risulta infondata e deve
essere  respinta. E' pacifico nella giurisprudenza amministrativa che
la  traduzione del provvedimento in lingua conosciuta al destinatario
prevista  dal  d.lgs.  n. 286  del  1998  sia  finalizzata  a rendere
effettivo   l'esercizio   del  diritto  di  difesa  del  destinatario
dell'atto,  con  l'effetto che il mancato rispetto di tale previsione
non  e'  da  solo sufficiente a rendere illegittimo il provvedimento,
sostanziandosi  in  una mera irregolarita', comportando pero', ove ne
ricorrano  i  presupposti,  la  remissione  in termini del ricorrente
(Cons.  Stato,  sez.  IV, 19 ottobre 2004, n. 6749; Cons. Stato, sez.
VI,   3  febbraio  2006,  n. 376).  Nella  specie  il  ricorrente  ha
tempestivamente impugnato il provvedimento di diniego del rinnovo del
permesso  di  soggiorno  e  ha  potuto dispiegare con pienezza il suo
diritto  di  difesa  formulando  una  serie di articolate censure nei
confronti  dello  stesso, conseguendone la infondatezza del motivo di
gravame in esame.
    3. - Le  altre censure pmtono dal rilievo che l'impugnato diniego
di  rinnovo  del  permesso  di  soggiorno e' fondato unicamente sulla
sussistenza  a  carico  del  ricorrente  di una sentenza di condanna,
emessa  a seguito di patteggiamento, per il reato di cui all'art. 73,
comma  5,  del  d.P.R.  n. 309/1990,  ritenuto  elemento  in grado di
determinare automaticamente il rigetto della domanda, e contestano la
legittimita'  dell'operato dell'Amministrazione, evidenziandone anche
profili di contrarieta' al dettato costituzionale.
    L'impugnato  provvedimento  di  diniego  si  fonda  sul combinato
disposto   degli   artt. 5,  comma  5,  e  4,  comma  3,  del  d.lgs.
n. 286/1998.  L'art. 5,  comma  5,  cit.  dispone che «il permesso di
soggiorno  o  il  suo  rinnovo  sono  rifiutati  e, se il permesso di
soggiorno  e'  stato  rilasciato,  esso  e' revocato quando mancano o
vengono a mancare i requisiti richiesti per l'ingresso e il soggiorno
nel  territorio  dello  Stato», rinviando quindi all'art. 4, comma 3,
cit.  a  mente  del  quale  non  e'  ammesso  in Italia, tra le altre
ipotesi,  lo  straniero  che  «risulti condannato, anche a seguito di
applicazione  della  pena su richiesta ai sensi dell'art. 444 c.p.p.,
per  reati previsti dall'art. 380, commi 1 e 2, del c.p.p. ovvero per
reati   inerenti   gli   stupefacenti,   la   liberta'  sessuale,  il
favoreggiamento   dell'immigrazione   clandestina  verso  l'Italia  e
dell'emigrazione  clandestina  dall'Italia  verso  altri  Stati o per
reati   diretti   al   reclutamento  di  persone  da  destinare  alla
prostituzione  o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da
impiegare in attivita' illecite».
    L'interpretazione che la giurisprudenza amministrativa ha dato di
queste  norme  e'  nel senso di ritenere che la sopravvenienza di una
sentenza  di  condanna  per una delle ipotesi di reato previste dalla
legge,  anche a seguito di patteggiamento, costituisce il presupposto
che impone e legittima l'adozione del provvedimento amministrativo di
revoca  del  permesso  gia'  concesso  o del rifiuto di rinnovo dello
stesso,  senza che residui spazio alcuno all'Autorita' amministrativa
di valutazione e ponderazione di interessi e senza che in particolare
vi sia spazio per una necessaria valutazione di pericolosita' sociale
dello  straniero,  solo in presenza della quale ritenere legittimo il
provvedimento  negativo (in tal senso ex multis Cons. Stato, sez. VI,
29  agosto 2006,n. 4410; Tribunale amministrativo regionale. Toscana,
sez.  I,  20 luglio 2006, n. 3188; Tribunale amministrativo regionale
Umbria,  12  giugno  2006, n. 319; Tribunale amministrativo regionale
Lazio Roma, sez. I, 5 giugno 2006, n. 4230).
    In  senso sostanzialmente analogo altra giurisprudenza (Tribunale
amministrativo  regionale Piemonte, 31 marzo 2006, n. 1605; Tribunale
amministrativo regionale Umbria, 24 febbraio 2006, n. 64; 14 novembre
2005,  n. 496;  6  settembre  2005,  n. 416; Tribunale amministrativo
regionale  Toscana,  Sez.  I,  30  gennaio  2006,  n. 210;  Tribunale
amministrativo  regionale  Lombardia Milano, Sez. I, 18 gennaio 2006,
n. 140; 7 settembre 2005, n. 3617; T.r.g.a. Bolzano, 12 gennaio 2006,
n. 7) sostiene che nel caso in cui la condanna rientri tra le ipotesi
alle  quali  il  legislatore  ricollega un'efficacia preclusiva della
permanenza del cittadino extracomunitario nel territorio dello Stato,
la  pericolosita' sociale e' presunta ex lege, sicche' l'Autorita' di
pubblica  sicurezza  non  e'  chiamata  a  svolgere alcuna necessaria
valutazione  in tal senso e comunque, se il giudizio e' reso in senso
sfavorevole,  il ricorrente non e' legittimato a contrastarlo, se non
per contestare l'esistenza o la rilevanza della condanna, giacche' il
provvedimento  di  rifiuto  del  permesso di soggiorno o di revoca e'
vincolato ed e' tale per cui l'amministrazione, accertata la condanna
ostativa, non potrebbe adottarne uno di contenuto diverso.
    Nella  fattispecie in esame, come esposto nella pmte in fatto, la
sezione   aveva   accolto  la  domanda  incidentale  di  sospensione,
ritenendo in particolare che a fronte di una condanna per fattispecie
ritenuta  dal  legislatore di particolare tenuita' (art. 73, comma 5,
d.P.R.  n. 309/1990)  si  imponesse una valutazione in concreto della
pericolosita'  sociale  dell'istante.  Ma  il  giudice  d'appello, in
aderenza   all'indirizzo   interpretativo   dominante,  ha  riformato
l'ordinanza cautelare, ritenendo che una condanna comunque rientrante
nel  novero di quelle contemplate dall'art. 4, comma 3, d.lgs. n. 286
del  1998  sia  da  ritenersi automaticamente ostativa al rinnovo del
permesso di soggiorno.
    In  punto  di  applicazione  del diritto positivo al Collegio non
resta conseguentemente che prendere atto del diritto vivente, ponendo
in  luce  come  anche nella vicenda in esame la puntuale applicazione
della  normativa  in  vigore  non potrebbe che portare al rigetto del
ricorso.
    4. - Ricostruito  in  tal modo il diritto positivo il Collegio e'
quindi   chiamato   a   delibare   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale  della  normativa  di  cui al combinato disposto degli
artt. 4,  comma  3,  e  5, comma 5, del d.lgs. n. 286 del 1998, cosi'
come eccepite da parte ricorrente e comunque sollevabili d'ufficio.
    5. - Nel  caso  in  esame  il  ricorrente e' stato condannato con
sentenza  del  13  maggio  2005  per fatti avvenuti nel gennaio 2005,
sicche' sia l'una che gli altri sono successivi all'entrata in vigore
della  legge  30  luglio  2002,  n. 189, con la ulteriore conseguenza
della  insussistenza  nel caso di specie dei presupposti di fatto che
hanno  indotto  il Tribunale amministrativo regionale Lombardia, sez.
staccata di Brescia, dapprima con l'ordinanza 25 agosto 2003, n. 1190
e,   successivamente,   con   l'ordinanza  n. 561/2005,  a  sollevare
questione di legittimita' costituzionale della normativa in questione
in  considerazione  della  ritenuta applicabilita', ai fini della non
ammissione  in  Italia  dello  straniero,  anche  delle  sentenze  di
patteggiamento  pronunciate anteriormente all'entrata in vigore della
legge sopracitata.
    6.   -  Secondo  l'interpretazione  del  diritto  positivo  sopra
evidenziata,   e   costituente   diritto   vivente  alla  luce  della
giurisprudenza  amministrativa, la condanna subita dal ricorrente per
il  reato inerente agli stupefacenti preclude, dunque, l'accoglimento
dell'istanza  di  rinnovo  del  permesso  di  soggiorno,  integrando,
l'applicazione  della  ridetta  norma,  l'esercizio  di una attivita'
amministrativa  rigorosamente  vincolata,  come  tale  priva  di ogni
possibile  spazio  per  una  interpretazione  adeguatrice nei termini
dell'insegnamento  che  i  giudici di merito debbono prioritariamente
trarre dalla giurisprudenza della Corte costituzionale.
    Corollario   del   suesposto  ordine  argomentativo  e'  che  una
eventuale  declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 5,
comma  5,  e  dell'art. 4, comma 3 (nel testo modificato dall'art. 4,
comma  1,  lett.  b), della legge 30 luglio 2002, n. 189), del d.lgs.
n. 286   del  1998,  nella  parte  in  cui  attribuiscono  automatica
rilevanza  alle  condanne pronunciate anche a seguito di applicazione
della  pena  su  richiesta  ai  sensi  dell'art.  444  del  codice di
procedura  penale,  comporterebbe  l'accoglimento del ricorso, mentre
una   eventuale   pronuncia   di   infondatezza  della  questione  di
incostituzionalita' comporterebbe necessariamente la loro reiezione.
    La questione di costituzionalita' e' dunque palesemente rilevante
nella specie.
    In  proposito va anche annotato che l'eventuale sopravvenienza di
mutamenti   del   quadro   normativo,  secondo  i  criteri  direttivi
risultanti  dal  disegno  di  legge delega recentemente approvato dal
Consiglio  dei  ministri, non potrebbe influire sulla rilevanza della
questione,  in base al principio del tempus regit actum che impone al
Collegio  di  valutare  la  legittimita'  del provvedimento alla luce
delle sole disposizioni vigenti all'epoca della sua adozione.
    7. - Sotto  il  profilo  della  non  manifesta  infondatezza,  il
Collegio  ritiene  che  il  combinato disposto dell'art. 5, comma 5 e
dell'art.  4,  comma  3  (nel  testo modificato dall'art. 4, comma 1,
lett.  b), della legge 30 luglio 2002, n. 189), del d.lgs. n. 286 del
1998,  si  ponga  in  contrasto  con  gli  artt. 2,  3, 24 e 97 della
Costituzione  nella  parte  in  cui  impone, a fronte di una sentenza
penale  di  condanna,  peraltro  pronunciata  ai  sensi dell'art. 444
c.p.p.,  per  fatti  di lieve entita' come quelli di cui all'art. 73,
comma  5,  d.P.R.  9 ottobre 1990, n. 309, l'automatico effetto della
impossibilita'  di  ottenere  e  mantenere  un  legittimo  titolo  di
soggiorno,  senza  che  venga  valutata  in concreto la pericolosita'
sociale dell'istante.
    8. - Appare violato, sotto un duplice profilo, l'art. 3 Cost.
    In  primo  luogo  il  parametro  costituzionale  invocato risulta
violato  per la intrinseca irragionevolezza della scelta compiuta dal
legislatore,  laddove  collega ad un'ipotesi penale di lieve entita',
qual  e'  quella di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990,
la  gravissima  conseguenza, sul piano amministrativo, del diniego di
concessione  o  rinnovo del permesso di soggiorno ovvero l'obbligo di
revocare il titolo di soggiorno gia' concesso.
    L'art.  73,  comma  5,  d.P.R.  n. 309  del 1990 punisce con pena
attenuata  i fatti di reato previsti dallo stesso art. 73, agli altri
commi,  «quando,  per  i  mezzi,  per  la  modalita' o le circostanze
dell'azione  ovvero  per  la  qualita'  e quantita' delle sostanze, i
fatti  previsti  dal presente articolo sono di lieve entita». I fatti
ascrivibili  all'art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 sono quindi
ontologicamente  caratterizzati  da  una «lieve entita», valutata dal
giudice penale e alla quale si collega una sanzione penale attenuata.
    E  tuttavia  la  condanna  anche per la fattispecie penale di cui
all'art.  73,  comma  5,  d.P.R.  n. 309 cit. e' tale da integrare il
disposto di cui all'art. 4, comma 3. d.lgs. n. 286 del 1998, laddove,
nell'indicare  le condanne penali cui si correla l'automatico diniego
di   permesso   di   soggiorno,  contempla,  in  termini  generali  e
omnicomprensivi, i «reati inerenti gli stupefacenti».
    Peraltro,  l'automatico  effetto  del  diniego  di  concessione o
rinnovo del permesso di soggiorno si produce anche, come nell'ipotesi
sottoposta  all'esame  del  Tribunale,  quando  la fattispecie penale
tenute  di  cui  all'art. 73,  comma  5,  cit.  sia  stata oggetto di
applicazione della pena su richiesta delle parti, ex art. 444 c.p.p.,
in  mancanza  quindi  di  un  accertamento penale pieno proprio di un
pronunciamento     giurisdizionale     sulla     sussistenza    della
responsabilita' penale.
    Appare   a  questo  Tribunale  che  violi  l'art.  3  Cost.,  per
intrinseca irragionevolezza delle scelta legislativa, la normativa in
esame  laddove  fa  conseguire  in termini di mero automatismo ad una
applicazione  di  pena  su  richiesta delle parti per il reato di cui
all'art.   73,   comma  5,  d.P.R.  n. 309  del  1990  la  gravissima
conseguenza  sul  piano  amministrativo  del  diniego  di rinnovo del
permesso  di  soggiorno, senza imporre alcuna valutazione in concreto
della pericolosita' sociale dell'istante.
    L'invocato  parametro  costituzionale  di  cui  all'art.  3 Cost.
risulta altresi' violato dall'art. 4, comma 3, d.lgs. n. 286 del 1998
sotto altro e diverso profilo e cioe' per aver accumunato in modo del
tutto  illogico,  ai  fini  del  diniego  del  titolo  di  soggiorno,
fattispecie  penali  tra loro assai eterogenee in termini di gravita'
della  condotta  commessa.  In  particolare,  come  gia' rilevato, la
citata  disposizione  impone  il  diniego  automatico  del  titolo di
soggiorno a coloro che siano stati condannati per una serie di reati,
tra  cui  quelli  indicati  dall'art.  380  c.p.p.  e  altre  ipotesi
delittuose,  tra  cui,  per  quel  che  rileva, i «reati inerenti gli
stupefacenti».  Attraverso  tale  generica  locuzione  il legislatore
stabilisce  che una fattispecie criminosa come quella di cui all'art.
73,  comma  5,  d.P.R.  n. 309  del  1990,  che  viene  espressamente
qualificata come caratterizzata da «lieve entita», comporti sul piano
amministrativo  gli  stessi effetti - automatico diniego di titolo di
soggiorno  -  propri  di  fattispecie  penali  comportanti  l'arresto
obbligatorio in flagranza di cui all'art. 380 c.p.p.
    In  questa seconda prospettiva l'art. 3 Cost. e' violato per aver
il  legislatore  posto  sullo  stesso  piano,  in  termini di effetti
scaturenti  sul  piano  amministrativo,  ipotesi  criminose del tutto
eterogenee e caratterizzate da gravita' del tutto incomparabili.
    Quanto  sopra  si verifica nella fattispecie dedotta in giudizio,
nella  quale  si verrebbe ad attuare una irragionevole equiparazione,
quoad  effectum,  della  condanna penale per le piu' gravi ipotesi di
reato  legate  alla pmtecipazione ad associazioni criminose dedite al
traffico  internazionale  di stupefacenti con le fattispecie di reati
inerenti  pur  sempre  gli  stupefacenti  ma  attenuate  dalla «lieve
entita»,  ovvero  dall'assenza  di continuazione o concorso con altri
reati, con concessione di tutti i benefici di legge.
    Cio',  in  una  prospettiva  del  tutto  avulsa  da un confacente
rapporto di adeguatezza col caso concreto, senza cioe' che attraverso
il procedimento amministrativo sia possibile operare, nella selezione
delle determinazioni da assumere, alcuna graduazione riferita al caso
concreto:  in  tal  modo,  a  parere del Collegio, verrebbero a esser
vulnerati  i  principi  fondamentali  di  ragionevolezza  chiaramente
desumibili  dall'mt.  3  Cost., oltre la tutela del lavoro (artt. 4 e
35) e del buon andamento amministrativo (art. 97).
    L'indispensabile   gradualita'   importa   -   dunque  -  che  le
valutazioni relative agli effetti derivanti dalla condanna sul titolo
di  soggiorno  siano ricondotte alla naturale sede di valutazione: il
procedimento  amministrativo  di  verifica  delle  condizioni  per il
rilascio  o  il  rinnovo del permesso di soggiorno, in difetto di che
ogni   relativa   norma   risulta   incoerente,  per  il  suo  rigido
automatismo, e conseguentemente irrazionale ex art. 3 Cost.
    9. - Il  combinato disposto degli artt. 5, comma 5, e 4, comma 3,
d.lgs.  n. 286  del  1998 viola inoltre l'art. 24 della Costituzione,
nella  parte  in cui impone il rigetto del titolo di soggiorno per il
cittadino  straniero  a  cui  carico  sia stata applicata una pena ai
sensi  dell'art.  444  c.p.p.,  senza  quindi  che  ci  sia  stato un
accertamento  pieno della responsabilita' penale dell'istante ed anzi
traducendo  quello  che  per la generalita' dei consociati e' un rito
premiale in una procedura pregiudizievole per lo straniero.
    Ne'  ad  escludere  il  denunciato contrasto potrebbe rilevare la
consapevolezza,   generata   dal  dettato  normativo,  degli  effetti
preclusivi  al  rinnovo  del  permesso  di  soggiorno derivanti dalla
scelta  del  rito del patteggiamento, tenuto conto che l'applicazione
concordata  della  pena  non  rappresenta  circostanza  sufficiente a
denotare  di  per se' la proclivita' dell'interessato alla violazione
delle  norme  che  tutelano  il  rispetto della tranquillita' e della
sicurezza pubbliche.
    10. - Ma  le  norme  citate  ancora,  e  soprattutto, violano gli
artt. 2,  3,  24  e  97 Cost. laddove prevedono che l'Amministrazione
debba  automaticamente  rigettare una domanda di soggiorno presentata
da  straniero  che  abbia  subito  una condanna penale, ancorche' per
fatto  di lieve entita' e anche se a seguito di patteggiamento, senza
prevedere  al  contrario che l'Amministrazione debba procedere ad una
valutazione in concreto della singola fattispecie, facendo conseguire
il  rigetto  del  titolo  di  soggiorno  solo in ipotesi di accertata
pericolosita' sociale dello straniero istante.
    Se   per  i  cittadini  extracomunitari,  come  gia'  piu'  volte
evidenziato,  la pronuncia penale comporta automaticamente il rigetto
dell'istanza di permesso di soggiorno, al contrario il legislatore si
e' ben diversamente orientato per altre categorie di persone.
    In  primo  luogo  viene in considerazione la disciplina contenuta
nel  d.lgs.  8  gennaio  2007, n. 3, avente ad oggetto la «Attuazione
della  direttiva  2003/109/CE  relativa  allo  status di cittadini di
Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo». L'art. 1 del d.lgs. cit.,
nel sostituire l'art. 9 del d.lgs. n. 286 del 1998, prevede che anche
per i soggiornanti di lungo periodo il permesso di soggiorno non deve
essere  concesso  in  presenza  di  condanne  penali  per determinate
categorie  di  reati  ma  aggiunge  che  ªai fini dell'adozione di un
provvedimento di diniego di rilascio del permesso di soggiorno di cui
al  presente  comma il questore tiene conto altresi' della durata del
soggiorno   nel  territorio  nazionale  e  dell'inserimento  sociale,
familiare e lavorativo dello straniero».
    Merita quindi di essere esaminato il successivo d.lgs. 6 febbraio
2007,  n. 30 avente ad oggetto «Attuazione della direttiva 2004/38/CE
relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di
circolare  e  di  soggiornare  liberamente nel territorio degli Stati
membri».  L'art.  20 del d.lgs. cit., nel disciplinare le limitazioni
al  diritto  di ingresso e di soggiorno dei cittadini dell'Unione per
motivi  di  ordine  pubblico, stabilisce che i relativi provvedimenti
«sono  adottati  nel rispetto del principio di proporzionalita' ed in
relazione  a  comportamenti  della  persona,  che  rappresentino  una
minaccia  concreta  e  attuale  tale  da  pregiudicare  l'ordine e la
sicurezza  pubblica»,  aggiungendo poi, per quel che piu' rileva, che
«la  esistenza  di  condanne  penali  non  giustifica automaticamente
l'adozione di tali provvedimenti».
    Il  Collegio e' ben consapevole che le normative richiamate hanno
riguardo  a  categorie  di persone ben individuate, in modo tale, non
solo da non essere invocabili dai cittadini extracomunitari privi dei
necessari requisiti soggettivi, ma da non poter costituire neppure un
valido tertium comparationis nel giudizio di costituizionalita'.
    E   tuttavia  ritiene  il  Collegio  che  le  normative  invocate
esplicitino  principi che sono invero di portata generale, in base ai
quali  le  conseguenze  sul piano amministrativo devono di necessita'
correlarsi  ai  comportamenti  tenuti  dalla  persona  sulla base del
principio  di proporzionalita' e devono essere il frutto di un' ampia
e  concreta valutazione da parte dell'Amministrazione della specifica
posizione di ogni interessato.
    Tali  principi,  che  inverano  valori  costituzionali scaturenti
dagli  artt. 2,  3,  24  e 97 Cost., sono violati dalla normativa qui
censurata  nella  parte in cui preclude agli organi amministrativi di
compiere  una  valutazione  concreta  e  specifica della posizione di
ciascun  istante,  guardando  cioe' a tutti i profili inerenti il suo
radicamento  sul  territorio  ovvero  la  sua  pericolosita' sociale,
imponendo  al contrario il rigetto delle istanze di soggiorno in modo
automatico,  in  presenza di condanne penali, ancorche' patteggiate e
per fatti di lieve entita'.
    Da  ultimo  si  osserva  che  al  ricorrente,  in quanto privo di
familiari  che  siano gia' autorizzati all'ingresso e alla permanenza
sul  territorio  nazionale,  non  e'  applicabile  il nuovo regime di
particolare  tutela  introdotto  dall'art.  2,  primo comma lett. b),
d.lgs.  n. 5/2007,  in  favore  dello  straniero che ha esercitato il
diritto   al   ricongiungimento   familiare   ovvero   del  familiare
ricongiunto.
    Ritiene   in   conclusione   il  Collegio  che  la  questione  di
costituzionalita' relativa al combinato disposto degli artt. 5, comma
5,  e  4,  comma  3,  del  d.lgs.  286 del 1998, per violazione degli
artt. 2,  3,  24  e  97  Cost.  sia  rilevante  e  non manifestamente
infondata.
    Il  giudizio  deve  quindi  essere  sospeso  e  deve  disporsi la
trasmissione  degli  atti alla Corte costituzionale per l'esame della
suindicata questione di costituzionalita'.
                              P. Q. M.
    Non  definitivamente  pronunciando sul ricorso in epigrafe, visto
l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara  rilevante  e non manifestamente infondata, in relazione
agli  articoli  2,  3,  24  e  97 della Costituzione, la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 286
del  1998,  come sostituito dalla legge n. 189 del 2002, applicato in
correlazione  con il successivo articolo 5, comma 5, nei sensi di cui
in motivazione.
    Ordina la sospensione del presente giudizio e la rimessione degli
atti  alla  Corte  costituzionale, nonche' la notifica della presente
ordinanza,  a  cura  della  segreteria,  alle  parti  in  causa ed al
Presidente  del Consiglio dei ministri nonche' la comunicazione della
medesima ai Presidenti dei due rami del Parlamento.
    Cosi'  deciso  in  Milano, nella Camera di consiglio del 29 marzo
2007.
                       Il Presidente: Giordano
Il referendario estensore: Giani  07C1285