N. 376 ORDINANZA 5 - 9 novembre 2007

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Procedimento  civile  -  Appello  -  Assunzione  di prove fuori dalla
  circoscrizione  del  tribunale  ove  ha  sede la Corte di appello -
  Impossibilita'  di  delega ad un giudice monocratico, alla luce del
  principio  di  trattazione  collegiale  della  causa  -  Denunciata
  irragionevolezza,  nonche' ingiustificata disparita' di trattamento
  rispetto   alla   disciplina   delle   rogatorie  internazionali  e
  violazione  del  principio  della ragionevole durata del processo -
  Esclusione - Esercizio non irragionevole della discrezionalita' del
  legislatore - Manifesta infondatezza della questione.
- Cod. proc. civ., art. 350.
- Costituzione, artt. 3 e 111.
(GU n.44 del 14-11-2007 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Franco BILE;
  Giudici:  Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio
FINOCCHIARO,  Alfonso  QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Sabino
CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 350 del codice
di  procedura  civile,  promosso  con ordinanza del 26 settembre 2006
dalla Corte d'appello di Venezia nel procedimento civile vertente tra
Udilla Povegliano, vedova Dal Col Colladon ed altra, da un lato, e la
Unicredit  Banca  S.p.A.,  la CreditRas Vita S.p.A. e Nardone Massimo
dall'altro,   iscritta  al  n. 208  del  registro  ordinanze  2007  e
pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, 1ª serie
speciale, dell'anno 2007;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  Camera  di consiglio del 10 ottobre 2007 il giudice
relatore Luigi Mazzella;
    Ritenuto  che,  con ordinanza depositata il 26 settembre 2006, la
Corte di appello di Venezia ha sollevato, in riferimento agli artt. 3
e  111  della  Costituzione, questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 350  del codice di procedura civile, nella parte in cui non
ammette  nel  giudizio  di  appello  la delega al giudice monocratico
dell'assunzione  di  prove  al  di  fuori  della  circoscrizione  del
tribunale ove ha sede la Corte di appello;
        che,  riferisce  la  Corte  rimettente, con altra, precedente
ordinanza  essa  aveva  ammesso consulenza tecnica d'ufficio, nonche'
interrogatorio  formale  e  prove  per  testimoni, da assumersi nella
circoscrizione dei Tribunali di Bologna, Milano, Pordenone e Treviso,
a  seconda del luogo di residenza di soggetti da sentire, delegando a
tal   fine   i   tribunali   territorialmente   competenti  ai  sensi
dell'art. 203, cod. proc. civ.;
        che, riferisce sempre la rimettente, con istanza di revoca di
tale  ordinanza,  una  delle  parti  in  giudizio aveva eccepito, tra
l'altro,  la  nullita' del provvedimento di delega, affermando che la
Corte  di  appello  dovrebbe  operare sempre collegialmente, ai sensi
dell'art. 350  cod.  proc. civ., e che tale nullita', derivando da un
vizio  relativo  alla  costituzione  del giudice, doveva considerarsi
assoluta e rilevabile d'ufficio;
        che, con nota depositata il 31 marzo 2006, un'altra parte del
medesimo giudizio si era riservata di far valere in seguito le stesse
nullita';
        che  pertanto,  secondo  la  Corte  rimettente,  la questione
sollevata  deve  ritenersi  rilevante,  giacche' il proseguimento del
processo  sarebbe sempre sottoposto alla «mina vagante della nullita'
con rinvio da pronunciarsi anche in Cassazione»;
        che,  in  punto  di  non  manifesta  infondatezza,  la  Corte
rimettente osserva che, con la riforma dell'art. 350 cod. proc. civ.,
il  legislatore  ha  optato  per un regime di integrale collegialita'
dell'appello,  per  cui  sussisterebbe nel nostro vigente ordinamento
una  incompatibilita'  fra  giudizio di appello e potere di delega, e
cio'  sia  per ragioni «verticali», connesse al rapporto «gerarchico»
tra  giudice  di  appello  e giudice di grado inferiore, il quale non
potrebbe  essere  investito  della  stessa  funzione  esercitata  dal
giudice  della  corte  di  appello, sia per ragioni «funzionali», non
essendo   sostituibile   un   collegio  di  appello  con  un  giudice
monocratico;
        che,  prosegue  la  Corte  di  Venezia,  costituirebbe  ormai
diritto   vivente  l'interpretazione  consolidata  della  Cassazione,
secondo  cui  la  violazione  dell'art. 350  cod.  proc.  civ. non si
traduce  automaticamente  in  un vizio di costituzione del giudice ai
sensi  dell'art. 158  cod. proc. civ. e non comporta nullita' alcuna,
quando  l'attivita'  svolta  dal  giudice  monocratico, su delega del
giudice   d'appello,  abbia  rilievo  meramente  ordinatorio,  mentre
sussiste   la  nullita'  se  il  giudice  delegato  svolge  attivita'
istruttoria  che  implica  funzioni valutative (vengono richiamate le
sentenze   della   Corte   di  cassazione 7 febbraio  2001,  n. 1731,
19 settembre 2003, n. 13894, 24 agosto 2004, n. 16720);
        che,  pertanto, secondo il giudice a quo alla stregua di tale
interpretazione,  l'istanza  di  revoca  della  predetta ordinanza di
delega  dovrebbe  essere  accolta, e si dovrebbe concludere nel senso
che  la  delega  per assumere testimoni o parti residenti puo' essere
disposta solo se gli stessi vengano assunti da un collegio, in quanto
il giudice delegato che interroga le parti o i testi svolge funzioni,
se   non   decisorie,   certamente  valutative  (basti  pensare  alla
risoluzione  degli incidenti relativi alla prova: art. 205 cod. proc.
civ.);  che  analogamente  funzioni  valutative  vengono svolte nella
delega   della  consulenza  tecnica  d'ufficio  (basti  pensare  alle
questioni   sorte   durante   le  indagini  del  consulente:  art. 92
disposizioni di attuazione cod. proc. civ.);
        che,   tuttavia,   la   Corte   rimettente  afferma  che  una
interpretazione  siffatta  -  squisitamente formalistica - sarebbe in
contrasto    con   l'art. 3,   Cost.,   «sotto   il   profilo   della
irragionevolezza  delle  conclusioni»,  nonche'  con il principio del
giusto processo di cui all'art. 111 della Costituzione;
        che,  al  riguardo,  il  giudice a quo afferma che, se per un
verso  l'attribuzione  delle  competenze  rientra  nella  sfera delle
scelte  discrezionali  del  legislatore,  il  quale  nella  sua ampia
discrezionalita'  non  e'  tenuto  ad  uniformare i diversi riti, per
altro  verso  dette  scelte  devono  essere  esercitate sulla base di
criteri  non  irragionevoli  (e'  richiamata  la sentenza della Corte
costituzionale n. 240 del 2000);
        che,   in   particolare,   la   norma   sarebbe   del   tutto
irragionevole,  prevedendo  che  se  il  teste risiede a Milano debba
essere sentito dal collegio veneto, mentre se abita a Vienna ben puo'
essere   sentito,  per  conto  della  stessa  corte,  da  un  ufficio
monocratico;
        che  in  tal  modo, secondo il rimettente, verrebbe a crearsi
una  illegittima  disparita'  di trattamento fra situazioni omogenee,
una  discrasia  nel  sistema,  non  essendovi  una  logica  ratio per
affermare   che  il  teste  in  Italia  deve  essere  sentito  sempre
collegialmente  e all'estero possa essere sentito anche da un giudice
monocratico;
        che, secondo la Corte rimettente, una simile interpretazione,
meramente formalistica, comportando una riduzione della produttivita'
dei  giudici,  contribuirebbe  in concreto ad allungare i tempi della
giustizia,   in   violazione  del  principio  costituzionale  di  cui
all'art. 111, secondo comma, Cost.;
        che   il   principio   di   collegialita'  della  trattazione
dell'appello, se inteso come riferito anche alla raccolta di prove al
di  fuori della circoscrizione, si porrebbe altresi' in contrasto con
il  diritto  dei  testimoni  e  delle  parti  di  essere  sentiti nel
tribunale  (edificio)  nella  cui circoscrizione essi risiedono, come
sarebbe  confermato  dall'art. 203, primo comma, cod. proc. civ., ove
e'   previsto   che  sia  eventualmente  il  giudice  a  trasferirsi;
dall'art. 255,  secondo  comma,  dello stesso codice, ove e' previsto
che,  se  il teste si trova nell'impossibilita' di presentarsi, e' il
giudice  a trasferirsi; dall'art 232, secondo comma, cod. proc. civ.,
ove  e'  previsto  che  il giudice riconosca alla parte il diritto ad
essere  sentito  fuori  della  sede  giudiziaria; diritto, quello del
cittadino  di  essere  sentito  nella circoscrizione di tribunale ove
egli   risiede,  che  rientrerebbe  «sotto  l'ala  protettrice  della
Costituzione»;
        che,  poiche'  nel  caso sottoposto al suo esame non potrebbe
neppure  ipotizzarsi  il  trasferimento  della  Corte  di appello nei
luoghi di residenza dei testi, non essendo stata avanzata la concorde
istanza  delle  parti,  richiesta  dall'art. 203, cod. proc. civ., si
dovrebbero obbligare tutti i testi a recarsi a Venezia, in violazione
di tale diritto costituzionale;
        che la soluzione ipotizzabile in via alternativa, consistente
nella  delega  a  un  giudice collegiale territorialmente competente,
comporterebbe  ugualmente  l'inconveniente di dover impegnare ben tre
giudici  -  distogliendone  due  dalle  loro  normali  attivita',  in
violazione  di  ogni  principio  di  ragionevole  durata  di  tutti i
processi (art. 111 Cost.) - per soddisfare esigenze meramente formali
delle parti;
        che,  secondo  il  rimettente,  cio'  che rileva non e' tanto
l'assunzione,  ma  la  valutazione  finale  dei  testi,  proprio come
precisato  dalla  Corte  di  Cassazione (viene richiamata la sentenza
delle  sezioni unite 19 giugno 1996, n. 5629), quando ha riconosciuto
delegabile ad un solo membro del collegio l'attivita' istruttoria nel
rito camerale;
        che,  a  giudizio  della  Corte rimettente, la mancanza della
qualifica di giudice di appello del giudice monocratico eventualmente
delegato   non   potrebbe   comportare   una   minore   idoneita'  di
quest'ultimo,  dato  che la delega conferisce al giudice delegato gli
stessi  poteri  del  giudice  delegante,  si' che il giudice di grado
inferiore  verrebbe  equiparato  in  tutto e per tutto al giudice con
funzione d'appello;
        che,  conclusivamente,  il  rimettente,  pur non ignorando il
principio  per cui non si dichiara costituzionalmente illegittima una
norma perche' e' possibile darne interpretazioni incostituzionali, ma
perche'  e' impossibile darne interpretazioni costituzionali, ritiene
che  nel  caso  di  specie  il  consolidato  indirizzo della Corte di
cassazione   (seppur   perfettamente   conforme   alla  volonta'  del
legislatore che ha effettivamente pensato all'integrale collegialita'
dell'appello)  non  consenta  di dare agli artt. 203, 350 e 359, cod.
proc.  civ.  un'interpretazione  rispettosa  dei principi di cui agli
artt. 3 e 11, Cost;
        che,  in  subordine,  secondo la Corte di appello di Venezia,
essendo  consentita  dal  testo  e  dalla  ratio  della  disposizione
censurata  un'interpretazione  diversa  da  quella corrente e tale da
superare  il  denunciato  contrasto  con  gli  artt. 3  e  111  della
Costituzione,  la Corte dovrebbe almeno affermare che non sussiste il
paventato  vizio  di incostituzionalita' perche' gli artt. 203, 350 e
359  cod.  proc.  civ.,  andrebbero interpretati nel senso che spetta
all'organo  collegiale  la  piena  valutazione  sull'ammissibilita' e
rilevanza  delle  prove,  ma  non  la  loro mera assunzione, che puo'
essere   delegata   ad  altro  giudice,  anche  monocratico,  che  ha
competenza territoriale sul luogo di residenza del cittadino che deve
essere  sentito,  mentre  la  sola  raccolta degli elementi probatori
dovra'  essere  nuovamente  rimessa all'organo collegiale per la loro
definitiva valutazione;
        che,   con  memoria  depositata  il  30 aprile  2007,  si  e'
costituito  in  giudizio  il  Presidente  del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura geneale dello Stato, chiedendo
che la questione sia dichiarata «inammissibile perche' manifestamente
infondata»   e,  in  subordine,  perche'  la  stessa  sia  dichiarata
infondata;
        che  l'Avvocatura  erariale, dopo aver ricordato che, secondo
la  consolidata  giurisprudenza di legittimita', l'art. 350 impone di
procedere   collegialmente   a   tutte  le  attivita'  valutative  di
competenza   del   giudice   di  appello,  tra  cui  quelle  relative
all'assunzione  delle  prove  (a tale fine richiama le sentenze della
Corte  di  cassazione,  n. 18917 del 2004, n. 13894 del 2003, n. 1731
del  2001)  osserva,  da  un  lato,  che la scelta di privilegiare la
regola  della  collegialita' in appello costituisce espressione della
discrezionalita'  del  legislatore,  esercitata  nel caso in modo non
irrazionale in vista di una maggiore ponderazione delle decisioni nei
gradi  di  giudizio successivi al primo, e sottolinea, dall'altro, la
disomogeneita'  dei  tertia  comparationis  scelti  dalla rimettente,
rispetto all'ipotesi della prova delegata in appello.
    Considerato  che  la  Corte  di  appello  di  Venezia  dubita, in
riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, della legittimita'
costituzionale dell'art. 350 cod. proc. civ., nella parte in cui tale
norma  non  consentirebbe  nel  giudizio  di  appello  la delega a un
giudice  monocratico  dell'assunzione  di  prove  al  di  fuori della
circoscrizione del tribunale ove ha sede la Corte di appello;
        che,  in  altri termini, la Corte rimettente ritiene che, nel
vigente  sistema  processuale,  il  principio  di collegialita' della
trattazione  dell'appello  non permette che l'attivita' di assunzione
dei mezzi di prova ammessi possa essere delegata, in base al disposto
dell'art. 203   cod.   proc.   civ.,   dal  collegio  ad  un  giudice
monocratico;
        che  - a prescindere da ogni rilievo sulla fondatezza di tale
interpretazione  dell'art. 203, in correlazione agli artt. 350 e 356,
cod.  proc.  civ.  -  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
proposta  dal giudice rimettente, nei termini in cui e' sollevata, e'
manifestamente infondata;
        che,  infatti, con l'invocata pronunzia il giudice rimettente
chiede  a  questa  Corte di intervenire sulla disciplina del processo
civile,  per  la  quale  la  Costituzione  non  impone al legislatore
ordinario    un   modello   unico,   lasciandogli   la   piu'   ampia
discrezionalita'  nella conformazione degli istituti processuali, con
il  solo  limite  della non irragionevolezza (ex plurimis, da ultimo,
sentenze n. 383 e 327 del 2007);
        che, per affermare l'irragionevolezza della norma, il giudice
rimettente  muove  da  considerazioni che, facendo riferimento a meri
inconvenienti   di   fatto,  assumono  il  carattere  di  rilievi  di
opportunita', estranei al controllo della legittimita' costituzionale
(ex plurimis, sentenza n. 228 del 1998; ordinanza n. 410 del 2005);
        che  la  lesione del principio di uguaglianza non puo' essere
desunta  neppure  dalla  asserita  disparita' di trattamento rispetto
all'ipotesi   della   rogatoria   internazionale,   a   causa   della
disomogeneita'  dei tertia comparationis indicati dal rimettente, non
potendo  certo paragonarsi la fattispecie sottoposta al suo esame, in
cui le prove sono da assumere all'interno dello Stato, a quella della
prova da assumersi nella giurisdizione di altro Stato;
        che,  d'altra  parte,  neppure  puo'  ritenersi pertinente il
richiamo   all'art. 111   della   Costituzione   e  al  principio  di
ragionevole  durata  del  processo,  perche', in astratto, il sistema
dell'assunzione   diretta   da   parte   della  corte  d'appello  non
comporterebbe   necessariamente  un  maggiore  dispendio  di  energie
processuali e, soprattutto, di tempo.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 350  del  codice di procedura
civile,   sollevata,   in   riferimento  agli  artt. 3  e  111  della
Costituzione,  dalla  Corte  di Appello di Venezia con l'ordinanza in
epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 5 novembre 2007.
                         Il Presidente: Bile
                       Il redattore: Mazzella
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 9 novembre 2007.
              Il direttore della cancelleria: Di paola
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