N. 814 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 - 9 agosto 2007
Ordinanza del 9 agosto 2007 emessa dal Tribunale di Roma nel procedimento civile promosso da Condominio di piazza Annibaliano n. 4, Roma, contro Comune di Roma Giurisdizioni speciali - Giurisdizione tributaria - Controversie relative alla debenza del canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche - Impugnazione del relativo avviso di pagamento - Illogicita' dell'attribuzione delle dette controversie alla giurisdizione delle commissioni tributarie, anziche' alla giurisdizione del giudice ordinario in coerenza con il diritto vivente circa la ritenuta natura non tributaria del canone dovuto - Denunciata violazione del principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge - Asserita lesione del divieto di istituzione di giudici straordinari o speciali. - Decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, art. 2, modificato dall'art. 3-bis, comma 1, lett. b), del decreto legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, nella legge 2 dicembre 2005, n. 248. - Costituzione, artt. 25, primo comma, e 102, comma secondo.(GU n.1 del 2-1-2008 )
IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza nella causa civile di primo grado iscritta al n. 83065 del ruolo generale degli affari contenziosi civili dell'anno 2006, promossa da Condominio di Piazza Annibaliano n. 4 - Roma, in persona dell'amministratore Maurizio Brunelli, rappresentato e difeso dall'avv. Danilo De Angelis presso il cui studio e' domiciliato in Roma, v. Pasquale Revoltella n. 35 attore; Contro Comune di Roma in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Bruno Ceccarani, domiciliato presso gli uffici dell'Avvocatura comunale in Roma, v. del Tempio di Giove n. 21, convenuto. Premesso che 1. - Con atto di citazione notificato il 15 dicembre 2006 il Condominio di piazza Annibaliano n. 4 in Roma ha proposto opposizione avverso l'avviso n. 0205110084, notificatogli dal Comune di Roma il 27 novembre 2006, di pagamento di complessivi euro 10.188,27 a titolo di canone di occupazione permanente di spazi ed aree pubbliche comunali (c.o.s.a.p.) relativo all'anno 2005, inclusi penale, interessi e spese, riguardante in particolare le griglie e intercapedini ubicate lungo il perimetro del fabbricato. Preliminarmente ha chiesto di sospendere l'efficacia esecutiva dell'avviso impugnato e di dichiarare la giurisdizione del giudice ordinario ai sensi dell'art. 5 della legge n. 1034/1971 (che riserva al giudice ordinario la competenza sulle controversie concernenti indennita', canoni ed altri corrispettivi relativi alla concessione dell'uso di beni pubblici) e l'illegittimita' dell'art. 2, comma 2, d.lgs. n. 546/1992, nel testo modificato dall'art. 3-bis, comma 1, lett. b), d.l. n. 203/2005, introdotto dalla legge di conversione n. 248/2005, che ha attribuito alla giurisdizione delle commissioni tributarie le controversie relative alla debenza del canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche previsto dall'art. 63, d.lgs. n. 446/1997 e succ. mod. Deducendone il contrasto con il citato art. 5 della legge n. 1034/1971 e con gli artt. 3, 24, 25, 102, 103 e VI disp. trans. della Costituzione, non avendo il suddetto canone natura tributaria, ed il conseguente snaturamento della competenza delle commissioni tributarie che finirebbero per essere configurate come nuovi giudici speciali non ammessi dalla Costituzione, ha chiesto, in subordine, di rimettere gli atti alla Corte costituzionale. Nel merito, ha dedotto l'infondatezza della pretesa di pagamento del Comune di Roma per mancanza del presupposto dell'occupazione del suolo pubblico sulla base di un atto di concessione, essendo la porzione del suolo stradale ovvero lo spazio ad esso sovrastante o sottostante irreversibilmente e definitivamente sottratto al tessuto viario pubblico poiche', nell'inerzia dell'Amministrazione pubblica, asseritamente inglobato nella costruzione del fabbricato del quale sarebbe divenuto elemento inscindibile (essendo le griglie ed intercapedini finalizzate a permettere la circolazione dell'aria ed il passaggio della luce nei locali sotterranei dell'edificio). Ha quindi chiesto di dichiarare che nulla era dovuto al Comune di Roma a titolo di canone e, per l'effetto, di dichiarare nullo o di annullare o disapplicare l'avviso di pagamento impugnato; in via subordinata, ha chiesto l'annullamento dell'avviso di pagamento nella parte riguardante la sola intercapedine ed il conseguente ricalcolo degli interessi. 2. - Il Comune di Roma si e' costituito in giudizio eccependo il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore delle commissioni tributarie e, nel merito, chiedendo il rigetto della domanda ritenuta infondata. Premesso che il canone era dovuto in base al regolamento adottato con delibera comunale n. 339/1998, succ. mod., attuativo dell'art. 63 del d.lgs. n. 446/1997 che attribuiva ai comuni la facolta' di istituire un canone per le occupazioni permanenti e temporanee di strade, aree e relativi spazi sovrastanti e sottostanti appartenenti al proprio demanio o patrimonio indisponibile ed anche di aree private soggette a servitu' di pubblico passaggio costituita nei modi di legge, ha dedotto tra l'altro che non rilevava ne' l'esistenza o meno di un formale atto di concessione ne' la contestualita' o meno della realizzazione del manufatto rispetto alla costruzione del fabbricato e che, comunque, la natura pubblica delle strade interessate risultava dall'estratto dell'Inventario del patrimonio immobiliare. Considerato che 1. - La controversia riguarda la pretesa del Comune di Roma di conseguire il pagamento di una somma a titolo di canone di occupazione permanente di spazi ed aree pubbliche, istituito con regolamento comunale approvato con deliberazione consiliare n. 339/98 e succ. mod., ai sensi dell'art. 63, d.lgs. n. 446/1997 e succ. mod., relativo all'anno 2005. Dal canto suo, il Condominio contesta la pretesa del comune, nega l'esistenza del credito azionato e chiede la sospensione e l'annullamento dell'atto impugnato o, comunque, l'accertamento negativo della pretesa. E' evidente che qualunque decisione non puo' prescindere dall'eccezione di difetto di giurisdizione, compresa quella relativa all'istanza di sospensione. Il tenore inequivoco dell'art. 3-bis, comma 1, lett. b), d.l. introdotto dalla legge di conversione n. 248/2005 («Appartengono alla giurisdizione tributaria anche le controversie relative alla debenza del canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche previsto dall'art. 63 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 e successive modificazioni») e' tale da far ritenere fondata l'eccezione, di talche' dovrebbe essere declinata la giurisdizione ordinaria in favore delle commissioni tributarie (v. Cass., s.u. n. 1611/2007). Si dubita, pero', della conformita' a Costituzione di tale disposizione normativa, che dovrebbe trovare applicazione nel presente giudizio. Da qui la rilevanza della questione di legittimita' costituzionale, che viene sollevata su istanza di parte, atteso che il suo eventuale accoglimento, radicando la giurisdizione del giudice ordinario adito, consentirebbe la valutazione della controversia nel merito (anche della questione concernente la dedotta insussistenza di un formale atto concessorio che, secondo la tesi del Condominio contrastata dalla controparte, dimostrerebbe l'infondatezza della pretesa di pagamento del Comune di Roma); il rigetto determinerebbe, invece, l'epilogo del giudizio con una pronuncia di difetto di giurisdizione. 2. - Riguardo la non manifesta infondatezza della questione, si dubita della legittimita' della norma richiamata in relazione agli artt. 25, primo comma e 102, secondo comma Cost. per le ragioni di seguito esposte. 2.1. - Sono indiscussi i seguenti principi: a) le commissioni tributarie sono organi aventi natura giurisdizionale (cio' e' stato ripetutamente affermato dalla Corte costituzionale dapprima con la sentenza n. 287 del 1974 e successivamente ribadito, ex pluribus, con le sentenze n. 215 del 1976, n. 63 del 1982, n. 21 del 1986, n. 50 del 1989); b) esse sono giudici speciali compatibili con il dettato costituzionale, in quanto preesistenti alla Carta del 1948 - l'art. 102, secondo comma Cost. vieta invece l'istituzione di nuovi giudici speciali - e assoggettati a revisione - come prescritto dalla VI disp. trans. Cost. - inizialmente con il d.P.R. n. 636/1972 e, piu' di recente, con i dd. lgs. nn. 545 e 546/1992 per il loro adeguamento ai principi costituzionali (Corte cost. n. 215/1976 cit., n. 196 del 1982, n. 351 del 1995, n. 144 del 1998); c) la loro giurisdizione attiene «in via esclusiva alle controversie tributarie» e cio', per un verso, costituisce garanzia di compatibilita' con il divieto di istituzione di nuovi giudici speciali (sentenza n. 144/1998 cit.) e, per altro verso, non si pone in contrasto con l'art. 113 Cost. che, «nell'affidare la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi contro gli atti della pubblica amministrazione agli organi di giurisdizione ordinaria e amministrativa, non intende escluderne quegli organi speciali di giurisdizione, preesistenti all'entrata in vigore della Costituzione, che, come le commissioni tributarie ... sono rimaste in vita ... attraverso un procedimento di revisione ai fini dell'adeguamento ai principi costituzionali» (sent. n. 351/1995 cit.). La giurisdizione tributaria, dunque, e' una giurisdizione speciale compatibile con la Costituzione nei limiti in cui le controversie ad essa attribuite abbiano ad oggetto soltanto tributi. In tal senso la decisione della Corte cost. n. 144/1998 cit. individua nella «materia tributaria» l'oggetto della giurisdizione speciale delle commissioni tributarie preesistenti alla Costituzione, delle quali le attuali commissioni tributarie sono continuatrici, escludendo violazioni della Carta costituzionale ove quella giurisdizione rimanga «nell'ambito delle controversie tributarie». Le recenti ordinanze della Corte cost. n. 34, 35 e 94 del 2006 hanno ribadito con chiarezza che la giurisdizione del giudice tributario e' «imprescindibilmente collegata» alla «natura tributaria del rapporto». Nello stesso senso sono le decisioni delle sezioni unite della Cassazione che, pur avendo affermato che la giurisdizione tributaria si configura oggi (a seguito dell'innovazione apportata dall'art. 12 della legge n. 448/2001 che l'ha estesa a «tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie») come giurisdizione a carattere generale che si radica in base alla materia, precisano che deve pur sempre trattarsi di controversie su tributi seppur di ogni genere e specie (v. ord. n. 7388/2007, 20067/2006, 16776/2005). In definitiva, costituisce limite per cosi' dire intrinseco ed invalicabile della giurisdizione tributaria la natura strettamente tributaria della prestazione che costituisce oggetto della controversia. 2.2. - In particolare, la Cassazione ha costantemente affermato che la prestazione imposta per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche (cosap) non ha natura giuridica di tributo e cio' costituiva diritto vivente nel dicembre 2005 quando e' intervenuta l'innovazione legislativa della cui legittimita' costituzionale qui si dubita (art. 3-bis, comma 1, lett. b), d.l. n. 203/2005, introdotto dalla legge di conversione n. 248/2005) che ha attribuito la giurisdizione alle commissioni tributarie (si consideri anche che il canone preteso dal Comune di Roma nell'avviso di pagamento impugnato riguarda l'intero anno 2005). Con la sentenza n. 12167 del 2003 le sezioni unite della Cassazione hanno ritenuto che il canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche, istituito dall'art. 63 del d.lgs. n. 446/1997, come modificato dall'art. 31 della legge n. 448/1998, e' stato concepito dal legislatore come un quid ontologicamente diverso, sotto il profilo strettamente giuridico, dal tributo (tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche, di cui al capo 2 del d.lgs. n. 507/1993 ed all'art. 5 della legge n. 281/1970) in luogo del quale puo' essere applicato, e risulta configurato come corrispettivo di una concessione di beni pubblici, con la conseguenza che le controversie attinenti alla debenza del canone in esame esulano dalla giurisdizione delle commissioni tributarie (come delineata dall'art. 2 d.lgs. n. 546/1992, pur dopo la sostituzione operata dall'art. 12 della legge n. 448/2001) e rientrano nell'ambito della competenza giurisdizionale del giudice ordinario, ai sensi dell'art. 5 della legge n. 1034/1971, come modificato dall'art. 33 del d.lgs. n. 80/1998 (poi sostituito dall'art. 7 della legge n. 205/2000). Detta sentenza, ricostruite le vicende legislative che hanno portato alla coesistenza della tassa per l'occupazione degli spazi ed aree pubblici (tosap) e del canone per l'occupazione degli spazi ed aree pubblici (cosap), da applicare comunque in via alternativa, dal complesso delle norme ha tratto la conclusione: a) che il canone cosi' concepito dal legislatore, nel solco di un processo politico-istituzionale inteso ad una sempre piu' vasta defiscalizzazione delle entrate rimesse alla competenza degli enti locali (canoni di fognatura e di depurazione delle acque, remunerazione dei servizi di pubbliche affissioni e di ritiro dei rifiuti urbani, e cosi' via), risulta disegnato come corrispettivo di una concessione, reale o presunta (nel caso di occupazione abusiva), dell'uso esclusivo o speciale di beni pubblici; b) che l'oggettiva differenza fra tosap e cosap e' segnata dalla diversita' del titolo che ne legittima l'applicazione, da individuarsi, rispettivamente, per la prima nel fatto materiale dell'occupazione del suolo e, per il secondo, in un provvedimento amministrativo, effettivamente adottato o fittiziamente ritenuto sussistente, di concessione dell'uso esclusivo o speciale di detto suolo; c) che va, pertanto, senz'altro esclusa la natura di tributo del cosap, dovendosi ritenere l'attribuibilita' allo stesso dei connotati propri di un'entrata patrimoniale, con conseguente sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario. Tali principi sono ribaditi in numerose decisioni conformi delle sezioni unite della Cassazione: v. le n. 20067/2006, 14864/2006, 1239/2005, 5462/2004, cfr. n. 8231/2002. In tal senso si sono espressi anche il Ministero delle finanze (v. circ. n. 256/E/I/166.089 del 3 novembre 1998) e l'Agenzia delle entrate (risoluzione 5 febbraio 2003 n. 25/E). Inoltre, una evidente dimostrazione della natura non tributaria del canone in questione (in senso sostanziale e non meramente nominalistico) e' costituita dalla semplice considerazione che, se fosse stato un tributo, il legislatore nel dicembre 2005 non avrebbe avuto alcuna necessita' di attribuire espressamente le relative controversie al giudice tributario, al quale esse sarebbero spettate in base alla previsione generale dell'art. 12 della legge n. 448/2001 che, come s'e' detto, ha esteso la giurisdizione tributaria a «tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie» e (ex art. 3-bis, comma 1, lett. a), d.l. n. 203/2005 conv. con mod. dalla legge n. 248/2005) «comunque denominati». Puo' allora ragionevolmente sostenersi che se la giurisdizione esclusiva delle commissioni tributarie avesse ad oggetto controversie nelle quali si fa questione di materie diverse da quella tributaria e si controverte di diritti, si avrebbe l'effetto di sottrarre al giudice ordinario controversie rientranti nella sua giurisdizione, vulnerando il principio del giudice naturale precostituito per legge (art. 25, primo comma Cost.) e il divieto di costituzione di giudici speciali (art. 102, secondo comma Cost.). Ed e' proprio questo che si ritiene essere avvenuto con l'estensione (operata dall'art. 3-bis, comma 1, lett. b), d.l. n. 203/2005 introdotto con la legge di conversione n. 248/2005) della giurisdizione delle commissioni tributarie anche alle controversie riguardanti «la debenza del canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche previsto dall'art. 63 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 e successive modificazioni». 2.3. - Un orientamento diverso a proposito del ruolo della giurisdizione delle commissioni tributarie nel nostro ordinamento sembra espresso in una decisione delle s.u. (la n. 2888/2006 - p.m. difforme) che, nel dare atto della «tendenza espansiva dell'ambito della giurisdizione tributaria», afferma che la stessa non incontrerebbe «precisi limiti costituzionali, fatto salvo in ogni caso il principio di ragionevolezza» in quanto «estesa dal legislatore, per ragioni di connessione in senso ampio, a materie estranee alle imposte e tributi». Altra decisione della Cassazione (s.u. n. 1611/2007 cit.) si limita a constatare che la distinzione tra cosap e tosap avrebbe perso rilievo, le relative controversie spettando, oggi, in ogni caso, al giudice tributario. L'idea che sembra permeare tale orientamento e' di una sostanzialmente illimitata discrezionalita' del legislatore nella configurazione della giurisdizione delle commissioni tributarie, alla quale potrebbero attribuirsi controversie non tributarie ovvero vertenti su prestazioni anche solo connesse o affini a prestazioni tributarie o di cui sia dubbia o incerta la natura giuridica. Cio', sembrerebbe, quasi sul modello della giurisdizione del giudice amministrativo cui il legislatore, ai sensi dell'art. 103, primo comma Cost., in particolari materie puo' attribuire la giurisdizione esclusiva anche sui diritti soggettivi quando siano connessi o intrecciati ad interessi legittimi o quando sia dubbia o incerta la natura giuridica della situazione soggettiva implicata dall'esercizio del potere della pubblica amministrazione al punto da rendere opportuna la concentrazione della giurisdizione presso un unico organo giurisdizionale. Tale idea non e' condivisibile. Premesso che la discrezionalita' del legislatore nella configurazione della stessa giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo non e' affatto illimitata (e' sufficiente richiamare la nota sentenza della Corte costituzionale n. 204/2004) e che il fondamento costituzionale della giurisdizione delle commissioni tributarie non va ricercata nell'art: 103, comma 1 Cost. (anche perche' nell'ambito del rapporto tributario avente ad oggetto la specifica pretesa impositiva non sussistono interessi legittimi ma diritti soggettivi, come e' dimostrato dalla pregressa giurisdizione esclusiva del tribunale ordinario in materia di imposte e tasse ex artt. 9, comma 2 c.p.c. e 6, comma 3, legge n. 2248/1865 all. E), 2.4. - E' opportuno dare conto di una decisione della Cassazione (s.u. n. 4895/2006) che ha ritenuto infondata la questione di legittimita' costituzionale della norma de qua prospettata dalle parti. Chiamata a pronunciarsi sulla giurisdizione in una controversia riguardante la tariffa di igiene ambientale (Tia), istituita con l'art. 49 d.lgs. n. 22/1997, la Cassazione afferma che la norma che riconduce le controversie in materia di Tia alla giurisdizione tributaria si sottrae al sospetto di illegittimita' costituzionale sotto il profilo della possibile violazione dell'art. 102 Cost. e della VI disp. trans. Cost. per inosservanza del limite della natura tributaria, in quanto «i "canoni" indicati nella disposizione ... attengono tutti ad entrate che in precedenza rivestivano indiscussa natura tributaria». A parte il rilievo che una simile argomentazione si risolve in una petizione di principio (i canoni de quibus sarebbero oggi tributi solo perche' lo erano in passato) e che la decisione si pone in contrasto con altra decisione delle sezioni unite della Cassazione (la n. 3274/2006 ritiene «pacifico in causa che la prestazione pecuniaria imposta all' ... utente del servizio di raccolta dei rifiuti urbani, a seguito delle modifiche introdotte dal d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49, non abbia natura tributaria»), in questa sede interessa osservare che la natura necessariamente (e sostanzialmente) tributaria della prestazione costituente oggetto della controversia deve precedere la norma processuale che attribuisce la giurisdizione alle commissioni tributarie. In altri termini, il legislatore in tanto puo' attribuire alle predette commissioni la giurisdizione in determinate controversie purche' queste abbiano ad oggetto prestazioni che la legge sostanziale e/o il diritto vivente abbiano gia' precedentemente qualificato, in senso giuridico, come tributarie. Non puo', infatti, attribuirsi alla legge processuale sulla giurisdizione il potere di modificare la natura giuridica della prestazione, conferendo ex post ed implicitamente natura tributaria a prestazioni che ne siano prive, anche tenuto conto della riserva di legge che regola la materia tributaria (art. 23 Cost.). Il legislatore, attribuendo alle commissioni tributarie la giurisdizione nelle «controversie relative alla debenza del canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche», non ha snaturato la natura giuridica della prestazione ma ha snaturato la giurisdizione delle commissioni tributarie cui ha attribuito la cognizione di controversie che, secondo i normali criteri di riparto della giurisdizione, spettano al giudice ordinario in quanto implicanti diritti soggettivi perfetti. E' infatti logico sostenere che se le controversie in materia di canoni concessori, secondo Costituzione, non possono essere sottratte al giudice ordinario per essere attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell'art. 5, legge n. 1034/1971 (v., in materia di pubblici servizi, Corte cost. n. 204/2004 cit.), a maggior ragione esse non possono essere attribuite alla giurisdizione delle commissioni tributarie.
P. Q. M. Visti gli arti. 1, legge cost. 9 febbraio 1948, n. 1 e 23, legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, come modificato dall'art. 3-bis, comma 1, lett. b), decreto legge 30 settembre 2005, n. 203, introdotto dalla legge di conversione, con modificazioni, 2 dicembre 2005, n. 248, nella parte in cui stabilisce che appartengono alla giurisdizione tributaria anche le controversie relative alla debenza del canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche previsto dall'art. 63 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 e successive modificazioni, per contrasto con gli arti. 25, primo comma e 102, secondo comma Cost.; Dispone la sospensione del presente giudizio e la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che la presente ordinanza sia notificata, a cura della cancelleria, al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica e alle parti. Roma, addi' 8 agosto 2007 Il giudice: Lamorgese