N. 814 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 - 9 agosto 2007

  Ordinanza  del  9  agosto  2007  emessa  dal  Tribunale di Roma nel
procedimento  civile  promosso  da  Condominio  di piazza Annibaliano
n. 4, Roma, contro Comune di Roma

  Giurisdizioni  speciali  -  Giurisdizione tributaria - Controversie
  relative alla debenza del canone per l'occupazione di spazi ed aree
  pubbliche  -  Impugnazione  del  relativo  avviso  di  pagamento  -
  Illogicita'   dell'attribuzione   delle   dette  controversie  alla
  giurisdizione   delle   commissioni   tributarie,   anziche'   alla
  giurisdizione  del  giudice  ordinario  in  coerenza con il diritto
  vivente circa la ritenuta natura non tributaria del canone dovuto -
  Denunciata  violazione  del  principio  costituzionale  del giudice
  naturale  precostituito per legge - Asserita lesione del divieto di
  istituzione di giudici straordinari o speciali.
  -  Decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, art. 2, modificato
  dall'art.  3-bis, comma 1, lett. b), del decreto legge 30 settembre
  2005, n. 203, convertito, con modificazioni, nella legge 2 dicembre
  2005, n. 248.
  - Costituzione, artt. 25, primo comma, e 102, comma secondo.
(GU n.1 del 2-1-2008 )
                            IL TRIBUNALE
Ha  emesso  la  seguente  ordinanza nella causa civile di primo grado
iscritta  al  n. 83065  del  ruolo  generale degli affari contenziosi
civili  dell'anno  2006, promossa da Condominio di Piazza Annibaliano
n. 4  -  Roma,  in  persona  dell'amministratore  Maurizio  Brunelli,
rappresentato  e  difeso  dall'avv.  Danilo  De Angelis presso il cui
studio e' domiciliato in Roma, v. Pasquale Revoltella n. 35 attore;
Contro   Comune   di   Roma  in  persona  del  sindaco  pro  tempore,
rappresentato  e difeso dall'avv. Bruno Ceccarani, domiciliato presso
gli  uffici  dell'Avvocatura comunale in Roma, v. del Tempio di Giove
n. 21, convenuto.
                            Premesso che
1.  -  Con  atto  di  citazione  notificato  il  15  dicembre 2006 il
Condominio di piazza Annibaliano n. 4 in Roma ha proposto opposizione
avverso  l'avviso  n. 0205110084, notificatogli dal Comune di Roma il
27 novembre 2006, di pagamento di complessivi euro 10.188,27 a titolo
di  canone  di  occupazione  permanente  di  spazi  ed aree pubbliche
comunali   (c.o.s.a.p.)   relativo  all'anno  2005,  inclusi  penale,
interessi   e   spese,   riguardante  in  particolare  le  griglie  e
intercapedini ubicate lungo il perimetro del fabbricato.
Preliminarmente   ha  chiesto  di  sospendere  l'efficacia  esecutiva
dell'avviso  impugnato  e  di dichiarare la giurisdizione del giudice
ordinario  ai sensi dell'art. 5 della legge n. 1034/1971 (che riserva
al  giudice  ordinario  la  competenza sulle controversie concernenti
indennita',  canoni  ed altri corrispettivi relativi alla concessione
dell'uso  di  beni pubblici) e l'illegittimita' dell'art. 2, comma 2,
d.lgs.  n. 546/1992,  nel  testo modificato dall'art. 3-bis, comma 1,
lett.  b),  d.l.  n. 203/2005,  introdotto dalla legge di conversione
n. 248/2005,  che  ha attribuito alla giurisdizione delle commissioni
tributarie  le  controversie  relative  alla  debenza  del canone per
l'occupazione  di  spazi  ed  aree  pubbliche  previsto dall'art. 63,
d.lgs.  n. 446/1997  e  succ.  mod.  Deducendone  il contrasto con il
citato  art.  5  della  legge n. 1034/1971 e con gli artt. 3, 24, 25,
102, 103 e VI disp. trans. della Costituzione, non avendo il suddetto
canone  natura  tributaria,  ed  il  conseguente  snaturamento  della
competenza  delle  commissioni  tributarie che finirebbero per essere
configurate   come   nuovi   giudici   speciali   non  ammessi  dalla
Costituzione,  ha  chiesto,  in subordine, di rimettere gli atti alla
Corte costituzionale.
Nel  merito, ha dedotto l'infondatezza della pretesa di pagamento del
Comune  di  Roma  per  mancanza  del presupposto dell'occupazione del
suolo  pubblico  sulla  base  di  un  atto di concessione, essendo la
porzione  del  suolo  stradale ovvero lo spazio ad esso sovrastante o
sottostante  irreversibilmente e definitivamente sottratto al tessuto
viario  pubblico poiche', nell'inerzia dell'Amministrazione pubblica,
asseritamente  inglobato  nella  costruzione del fabbricato del quale
sarebbe   divenuto  elemento  inscindibile  (essendo  le  griglie  ed
intercapedini  finalizzate  a permettere la circolazione dell'aria ed
il  passaggio  della  luce  nei locali sotterranei dell'edificio). Ha
quindi chiesto di dichiarare che nulla era dovuto al Comune di Roma a
titolo di canone e, per l'effetto, di dichiarare nullo o di annullare
o  disapplicare  l'avviso di pagamento impugnato; in via subordinata,
ha  chiesto  l'annullamento  dell'avviso  di  pagamento  nella  parte
riguardante  la  sola intercapedine ed il conseguente ricalcolo degli
interessi.
2.  -  Il  Comune  di  Roma si e' costituito in giudizio eccependo il
difetto  di  giurisdizione  del  giudice  ordinario  in  favore delle
commissioni  tributarie  e,  nel  merito,  chiedendo il rigetto della
domanda ritenuta infondata. Premesso che il canone era dovuto in base
al  regolamento  adottato  con  delibera  comunale n. 339/1998, succ.
mod., attuativo dell'art. 63 del d.lgs. n. 446/1997 che attribuiva ai
comuni  la  facolta'  di  istituire  un  canone  per  le  occupazioni
permanenti  e temporanee di strade, aree e relativi spazi sovrastanti
e   sottostanti   appartenenti   al   proprio  demanio  o  patrimonio
indisponibile  ed  anche  di  aree  private  soggette  a  servitu' di
pubblico  passaggio  costituita  nei  modi  di  legge, ha dedotto tra
l'altro che non rilevava ne' l'esistenza o meno di un formale atto di
concessione  ne'  la  contestualita'  o  meno della realizzazione del
manufatto  rispetto  alla costruzione del fabbricato e che, comunque,
la  natura  pubblica delle strade interessate risultava dall'estratto
dell'Inventario del patrimonio immobiliare.
                           Considerato che
1.  -  La  controversia  riguarda  la  pretesa  del Comune di Roma di
conseguire   il  pagamento  di  una  somma  a  titolo  di  canone  di
occupazione  permanente  di  spazi  ed  aree pubbliche, istituito con
regolamento comunale approvato con deliberazione consiliare n. 339/98
e succ. mod., ai sensi dell'art. 63, d.lgs. n. 446/1997 e succ. mod.,
relativo  all'anno  2005.  Dal  canto  suo, il Condominio contesta la
pretesa del comune, nega l'esistenza del credito azionato e chiede la
sospensione   e   l'annullamento  dell'atto  impugnato  o,  comunque,
l'accertamento negativo della pretesa.
E'   evidente   che   qualunque   decisione   non   puo'  prescindere
dall'eccezione  di difetto di giurisdizione, compresa quella relativa
all'istanza di sospensione.
Il  tenore  inequivoco  dell'art.  3-bis,  comma  1,  lett.  b), d.l.
introdotto dalla legge di conversione n. 248/2005 («Appartengono alla
giurisdizione  tributaria anche le controversie relative alla debenza
del  canone  per  l'occupazione  di  spazi ed aree pubbliche previsto
dall'art.  63  del  d.lgs.  15  dicembre  1997,  n. 446  e successive
modificazioni»)  e'  tale  da  far  ritenere  fondata l'eccezione, di
talche'  dovrebbe  essere  declinata  la  giurisdizione  ordinaria in
favore delle commissioni tributarie (v. Cass., s.u. n. 1611/2007).
Si   dubita,   pero',   della  conformita'  a  Costituzione  di  tale
disposizione   normativa,   che  dovrebbe  trovare  applicazione  nel
presente   giudizio.   Da   qui   la  rilevanza  della  questione  di
legittimita' costituzionale, che viene sollevata su istanza di parte,
atteso  che il suo eventuale accoglimento, radicando la giurisdizione
del  giudice  ordinario  adito,  consentirebbe  la  valutazione della
controversia nel merito (anche della questione concernente la dedotta
insussistenza di un formale atto concessorio che, secondo la tesi del
Condominio     contrastata     dalla    controparte,    dimostrerebbe
l'infondatezza  della  pretesa  di  pagamento del Comune di Roma); il
rigetto  determinerebbe,  invece,  l'epilogo  del  giudizio  con  una
pronuncia di difetto di giurisdizione.
2.  -  Riguardo  la  non  manifesta  infondatezza della questione, si
dubita  della  legittimita'  della norma richiamata in relazione agli
artt.  25,  primo  comma e 102, secondo comma Cost. per le ragioni di
seguito esposte.
2.1.  -  Sono  indiscussi  i  seguenti  principi:  a)  le commissioni
tributarie  sono  organi aventi natura giurisdizionale (cio' e' stato
ripetutamente  affermato  dalla  Corte costituzionale dapprima con la
sentenza n. 287 del 1974 e successivamente ribadito, ex pluribus, con
le  sentenze  n. 215  del 1976, n. 63 del 1982, n. 21 del 1986, n. 50
del  1989);  b) esse sono giudici speciali compatibili con il dettato
costituzionale,  in  quanto preesistenti alla Carta del 1948 - l'art.
102,  secondo comma Cost. vieta invece l'istituzione di nuovi giudici
speciali  -  e  assoggettati  a  revisione - come prescritto dalla VI
disp.  trans.  Cost. - inizialmente con il d.P.R. n. 636/1972 e, piu'
di recente, con i dd. lgs. nn. 545 e 546/1992 per il loro adeguamento
ai  principi costituzionali (Corte cost. n. 215/1976 cit., n. 196 del
1982,  n. 351  del  1995,  n. 144 del 1998); c) la loro giurisdizione
attiene  «in  via esclusiva alle controversie tributarie» e cio', per
un  verso,  costituisce  garanzia di compatibilita' con il divieto di
istituzione  di nuovi giudici speciali (sentenza n. 144/1998 cit.) e,
per  altro  verso, non si pone in contrasto con l'art. 113 Cost. che,
«nell'affidare   la   tutela  giurisdizionale  dei  diritti  e  degli
interessi  legittimi  contro  gli atti della pubblica amministrazione
agli  organi di giurisdizione ordinaria e amministrativa, non intende
escluderne  quegli  organi  speciali  di  giurisdizione, preesistenti
all'entrata  in  vigore  della Costituzione, che, come le commissioni
tributarie ... sono rimaste in vita ... attraverso un procedimento di
revisione ai fini dell'adeguamento ai principi costituzionali» (sent.
n. 351/1995 cit.).
La  giurisdizione  tributaria,  dunque, e' una giurisdizione speciale
compatibile  con la Costituzione nei limiti in cui le controversie ad
essa  attribuite abbiano ad oggetto soltanto tributi. In tal senso la
decisione della Corte cost. n. 144/1998 cit. individua nella «materia
tributaria»  l'oggetto della giurisdizione speciale delle commissioni
tributarie  preesistenti  alla  Costituzione,  delle quali le attuali
commissioni  tributarie  sono  continuatrici,  escludendo  violazioni
della   Carta   costituzionale   ove   quella  giurisdizione  rimanga
«nell'ambito delle controversie tributarie».
Le  recenti ordinanze della Corte cost. n. 34, 35 e 94 del 2006 hanno
ribadito con chiarezza che la giurisdizione del giudice tributario e'
«imprescindibilmente   collegata»   alla   «natura   tributaria   del
rapporto».
Nello  stesso  senso  sono  le  decisioni  delle  sezioni unite della
Cassazione  che, pur avendo affermato che la giurisdizione tributaria
si  configura oggi (a seguito dell'innovazione apportata dall'art. 12
della  legge  n. 448/2001  che  l'ha  estesa a «tutte le controversie
aventi   ad  oggetto  i  tributi  di  ogni  genere  e  specie»)  come
giurisdizione  a  carattere  generale  che  si  radica  in  base alla
materia,  precisano  che deve pur sempre trattarsi di controversie su
tributi  seppur  di  ogni  genere  e  specie  (v.  ord. n. 7388/2007,
20067/2006, 16776/2005).
In  definitiva,  costituisce  limite  per  cosi'  dire  intrinseco ed
invalicabile  della  giurisdizione  tributaria la natura strettamente
tributaria   della   prestazione   che   costituisce   oggetto  della
controversia.
2.2.  -  In particolare, la Cassazione ha costantemente affermato che
la  prestazione  imposta per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche
(cosap)  non ha natura giuridica di tributo e cio' costituiva diritto
vivente   nel  dicembre  2005  quando  e'  intervenuta  l'innovazione
legislativa della cui legittimita' costituzionale qui si dubita (art.
3-bis, comma 1, lett. b), d.l. n. 203/2005, introdotto dalla legge di
conversione  n. 248/2005)  che  ha  attribuito  la giurisdizione alle
commissioni  tributarie (si consideri anche che il canone preteso dal
Comune  di  Roma nell'avviso di pagamento impugnato riguarda l'intero
anno 2005).
Con  la  sentenza n. 12167 del 2003 le sezioni unite della Cassazione
hanno  ritenuto  che  il  canone  per  l'occupazione di spazi ed aree
pubbliche,  istituito  dall'art.  63  del  d.lgs.  n. 446/1997,  come
modificato  dall'art.  31 della legge n. 448/1998, e' stato concepito
dal  legislatore  come  un  quid  ontologicamente  diverso,  sotto il
profilo  strettamente giuridico, dal tributo (tassa per l'occupazione
di  spazi  ed aree pubbliche, di cui al capo 2 del d.lgs. n. 507/1993
ed all'art. 5 della legge n. 281/1970) in luogo del quale puo' essere
applicato,   e   risulta   configurato   come  corrispettivo  di  una
concessione  di beni pubblici, con la conseguenza che le controversie
attinenti   alla   debenza   del   canone   in  esame  esulano  dalla
giurisdizione  delle commissioni tributarie (come delineata dall'art.
2  d.lgs.  n. 546/1992, pur dopo la sostituzione operata dall'art. 12
della  legge  n. 448/2001)  e  rientrano nell'ambito della competenza
giurisdizionale  del  giudice  ordinario,  ai sensi dell'art. 5 della
legge   n. 1034/1971,   come   modificato  dall'art.  33  del  d.lgs.
n. 80/1998 (poi sostituito dall'art. 7 della legge n. 205/2000).
Detta  sentenza, ricostruite le vicende legislative che hanno portato
alla  coesistenza  della  tassa per l'occupazione degli spazi ed aree
pubblici  (tosap)  e del canone per l'occupazione degli spazi ed aree
pubblici  (cosap),  da  applicare  comunque  in  via alternativa, dal
complesso delle norme ha tratto la conclusione:
     a)  che  il canone cosi' concepito dal legislatore, nel solco di
un  processo  politico-istituzionale  inteso ad una sempre piu' vasta
defiscalizzazione  delle  entrate  rimesse alla competenza degli enti
locali   (canoni   di   fognatura   e  di  depurazione  delle  acque,
remunerazione  dei  servizi  di  pubbliche affissioni e di ritiro dei
rifiuti urbani, e cosi' via), risulta disegnato come corrispettivo di
una  concessione, reale o presunta (nel caso di occupazione abusiva),
dell'uso esclusivo o speciale di beni pubblici;
     b) che l'oggettiva differenza fra tosap e cosap e' segnata dalla
diversita'   del   titolo   che   ne   legittima  l'applicazione,  da
individuarsi,  rispettivamente,  per  la  prima  nel  fatto materiale
dell'occupazione  del  suolo  e,  per il secondo, in un provvedimento
amministrativo,  effettivamente  adottato  o  fittiziamente  ritenuto
sussistente,  di  concessione  dell'uso esclusivo o speciale di detto
suolo;
     c) che va, pertanto, senz'altro esclusa la natura di tributo del
cosap, dovendosi ritenere l'attribuibilita' allo stesso dei connotati
propri  di un'entrata patrimoniale, con conseguente sussistenza della
giurisdizione del giudice ordinario.
Tali  principi  sono  ribaditi  in  numerose decisioni conformi delle
sezioni  unite  della  Cassazione:  v.  le n. 20067/2006, 14864/2006,
1239/2005,  5462/2004,  cfr.  n. 8231/2002.  In  tal  senso  si  sono
espressi    anche    il    Ministero    delle   finanze   (v.   circ.
n. 256/E/I/166.089  del  3  novembre  1998) e l'Agenzia delle entrate
(risoluzione 5 febbraio 2003 n. 25/E).
Inoltre,  una  evidente dimostrazione della natura non tributaria del
canone   in   questione   (in   senso  sostanziale  e  non  meramente
nominalistico)  e'  costituita  dalla semplice considerazione che, se
fosse  stato un tributo, il legislatore nel dicembre 2005 non avrebbe
avuto  alcuna  necessita'  di  attribuire  espressamente  le relative
controversie  al giudice tributario, al quale esse sarebbero spettate
in base alla previsione generale dell'art. 12 della legge n. 448/2001
che,  come s'e' detto, ha esteso la giurisdizione tributaria a «tutte
le  controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie»
e  (ex art. 3-bis, comma 1, lett. a), d.l. n. 203/2005 conv. con mod.
dalla legge n. 248/2005) «comunque denominati».
Puo'  allora  ragionevolmente  sostenersi  che  se  la  giurisdizione
esclusiva delle commissioni tributarie avesse ad oggetto controversie
nelle quali si fa questione di materie diverse da quella tributaria e
si  controverte  di  diritti,  si  avrebbe  l'effetto di sottrarre al
giudice  ordinario  controversie  rientranti nella sua giurisdizione,
vulnerando  il principio del giudice naturale precostituito per legge
(art.  25, primo comma Cost.) e il divieto di costituzione di giudici
speciali (art. 102, secondo comma Cost.). Ed e' proprio questo che si
ritiene  essere  avvenuto  con l'estensione (operata dall'art. 3-bis,
comma  1,  lett.  b),  d.l.  n. 203/2005  introdotto  con la legge di
conversione   n. 248/2005)   della  giurisdizione  delle  commissioni
tributarie anche alle controversie riguardanti «la debenza del canone
per  l'occupazione  di  spazi ed aree pubbliche previsto dall'art. 63
del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 e successive modificazioni».
2.3.   -   Un  orientamento  diverso  a  proposito  del  ruolo  della
giurisdizione  delle  commissioni  tributarie  nel nostro ordinamento
sembra  espresso  in una decisione delle s.u. (la n. 2888/2006 - p.m.
difforme)  che,  nel  dare atto della «tendenza espansiva dell'ambito
della   giurisdizione   tributaria»,   afferma   che  la  stessa  non
incontrerebbe  «precisi  limiti  costituzionali,  fatto salvo in ogni
caso   il   principio   di  ragionevolezza»  in  quanto  «estesa  dal
legislatore,  per  ragioni  di  connessione in senso ampio, a materie
estranee  alle  imposte  e tributi». Altra decisione della Cassazione
(s.u.  n. 1611/2007  cit.)  si limita a constatare che la distinzione
tra  cosap  e  tosap  avrebbe perso rilievo, le relative controversie
spettando, oggi, in ogni caso, al giudice tributario.
L'idea   che   sembra   permeare   tale   orientamento   e'   di  una
sostanzialmente  illimitata  discrezionalita'  del  legislatore nella
configurazione della giurisdizione delle commissioni tributarie, alla
quale  potrebbero  attribuirsi  controversie  non  tributarie  ovvero
vertenti  su  prestazioni  anche solo connesse o affini a prestazioni
tributarie  o  di cui sia dubbia o incerta la natura giuridica. Cio',
sembrerebbe,  quasi  sul  modello  della  giurisdizione  del  giudice
amministrativo  cui  il  legislatore,  ai  sensi dell'art. 103, primo
comma  Cost., in particolari materie puo' attribuire la giurisdizione
esclusiva  anche  sui  diritti  soggettivi  quando  siano  connessi o
intrecciati  ad  interessi legittimi o quando sia dubbia o incerta la
natura giuridica della situazione soggettiva implicata dall'esercizio
del  potere  della  pubblica  amministrazione  al  punto  da  rendere
opportuna  la  concentrazione  della  giurisdizione  presso  un unico
organo giurisdizionale.
Tale  idea non e' condivisibile. Premesso che la discrezionalita' del
legislatore nella configurazione della stessa giurisdizione esclusiva
del  giudice amministrativo non e' affatto illimitata (e' sufficiente
richiamare la nota sentenza della Corte costituzionale n. 204/2004) e
che   il   fondamento   costituzionale   della   giurisdizione  delle
commissioni  tributarie non va ricercata nell'art: 103, comma 1 Cost.
(anche  perche' nell'ambito del rapporto tributario avente ad oggetto
la specifica pretesa impositiva non sussistono interessi legittimi ma
diritti  soggettivi, come e' dimostrato dalla pregressa giurisdizione
esclusiva  del  tribunale  ordinario in materia di imposte e tasse ex
artt. 9, comma 2 c.p.c. e 6, comma 3, legge n. 2248/1865 all. E),
2.4.  -  E'  opportuno  dare  conto di una decisione della Cassazione
(s.u.  n. 4895/2006)  che  ha  ritenuto  infondata  la  questione  di
legittimita'  costituzionale  della  norma  de  qua prospettata dalle
parti.   Chiamata   a   pronunciarsi   sulla   giurisdizione  in  una
controversia  riguardante  la  tariffa  di  igiene  ambientale (Tia),
istituita  con l'art. 49 d.lgs. n. 22/1997, la Cassazione afferma che
la  norma  che  riconduce  le  controversie  in  materia  di Tia alla
giurisdizione  tributaria  si  sottrae  al sospetto di illegittimita'
costituzionale  sotto il profilo della possibile violazione dell'art.
102  Cost.  e della VI disp. trans. Cost. per inosservanza del limite
della  natura  tributaria,  in  quanto  «i  "canoni"  indicati  nella
disposizione  ...  attengono  tutti  ad  entrate  che  in  precedenza
rivestivano indiscussa natura tributaria».
A  parte  il  rilievo che una simile argomentazione si risolve in una
petizione  di  principio  (i  canoni de quibus sarebbero oggi tributi
solo  perche'  lo  erano  in  passato)  e che la decisione si pone in
contrasto  con  altra  decisione delle sezioni unite della Cassazione
(la  n. 3274/2006  ritiene  «pacifico  in  causa  che  la prestazione
pecuniaria  imposta  all'  ...  utente  del  servizio di raccolta dei
rifiuti  urbani,  a  seguito  delle modifiche introdotte dal d.lgs. 5
febbraio  1997,  n. 22,  art.  49,  non abbia natura tributaria»), in
questa  sede  interessa  osservare  che  la natura necessariamente (e
sostanzialmente)  tributaria  della  prestazione  costituente oggetto
della   controversia   deve   precedere   la  norma  processuale  che
attribuisce  la  giurisdizione  alle commissioni tributarie. In altri
termini,  il  legislatore  in  tanto  puo'  attribuire  alle predette
commissioni  la  giurisdizione  in  determinate  controversie purche'
queste abbiano ad oggetto prestazioni che la legge sostanziale e/o il
diritto  vivente  abbiano  gia' precedentemente qualificato, in senso
giuridico, come tributarie. Non puo', infatti, attribuirsi alla legge
processuale  sulla  giurisdizione  il  potere di modificare la natura
giuridica  della  prestazione,  conferendo  ex post ed implicitamente
natura  tributaria  a  prestazioni  che  ne siano prive, anche tenuto
conto  della  riserva di legge che regola la materia tributaria (art.
23 Cost.).
Il   legislatore,   attribuendo   alle   commissioni   tributarie  la
giurisdizione  nelle  «controversie  relative alla debenza del canone
per  l'occupazione  di  spazi ed aree pubbliche», non ha snaturato la
natura  giuridica  della prestazione ma ha snaturato la giurisdizione
delle  commissioni  tributarie  cui  ha  attribuito  la cognizione di
controversie   che,  secondo  i  normali  criteri  di  riparto  della
giurisdizione,  spettano  al  giudice  ordinario in quanto implicanti
diritti  soggettivi  perfetti.  E' infatti logico sostenere che se le
controversie  in  materia di canoni concessori, secondo Costituzione,
non   possono  essere  sottratte  al  giudice  ordinario  per  essere
attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai
sensi  dell'art.  5,  legge  n. 1034/1971 (v., in materia di pubblici
servizi,  Corte  cost.  n. 204/2004 cit.), a maggior ragione esse non
possono   essere  attribuite  alla  giurisdizione  delle  commissioni
tributarie.
                              P. Q. M.
Visti  gli  arti. 1, legge cost. 9 febbraio 1948, n. 1 e 23, legge 11
marzo  1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata
la  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 2 del decreto
legislativo  31  dicembre  1992,  n. 546,  come  modificato dall'art.
3-bis,  comma  1,  lett. b), decreto legge 30 settembre 2005, n. 203,
introdotto  dalla legge di conversione, con modificazioni, 2 dicembre
2005,  n. 248,  nella  parte  in cui stabilisce che appartengono alla
giurisdizione  tributaria anche le controversie relative alla debenza
del  canone  per  l'occupazione  di  spazi ed aree pubbliche previsto
dall'art.  63  del  d.lgs.  15  dicembre  1997,  n. 446  e successive
modificazioni,  per  contrasto  con  gli arti. 25, primo comma e 102,
secondo  comma  Cost.; Dispone la sospensione del presente giudizio e
la  immediata  trasmissione  degli  atti  alla  Corte costituzionale;
Dispone  che  la  presente  ordinanza  sia  notificata,  a cura della
cancelleria,  al  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  nonche'
comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della
Repubblica e alle parti.
     Roma, addi' 8 agosto 2007
                        Il giudice: Lamorgese