N. 815 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 aprile 2007

  Ordinanza  dell'11  aprile  2007  emessa dal Tribunale di Fermo nel
procedimento penale a carico di Bonfigli Stefania

  Processo  penale  -  Giudizio abbreviato - Utilizzabilita', ai fini
  della   decisione   sul  merito  dell'imputazione,  degli  atti  di
  investigazione  difensiva a contenuto dichiarativo, unilateralmente
  assunti,  in  assenza  di  situazioni riconducibili ai paradigmi di
  deroga  al  contraddittorio  dettati  dall'art.  111, comma quinto,
  Cost.   -   Violazione  del  principio  del  contraddittorio  nella
  formazione  della prova, nella parita' delle armi - Irrazionalita',
  incompatibilita' ed incoerenza sistemica.
  -  Codice  di  procedura  penale, art. 442, comma 1-bis, richiamato
  dall'art. 556, comma 1, del medesimo codice.
  - Costituzione, artt. 3 e 111, commi secondo e quarto.
(GU n.1 del 2-1-2008 )
                            IL TRIBUNALE
   Ha  pronunziato  la  seguente  ordinanza  nel  procedimento penale
n. 104/2007  a carico di Bonfigli Stefania n. 27 maggio 1965 a Fermo,
via  Italia  n. 55,  libera contumace, difesa dall'avv. Anna Beatrice
Indiveri  del Foro di Fermo, di fiducia, imputata del delitto p. e p.
dall'art.  486 c.p. perche', al fine di procurare a se' un vantaggio,
abusando  di  un  foglio  firmato in bianco da Bastarelli Massimo, lo
compilava  per  scopi  propri,  utilizzandolo  mediante  consegna  al
proprio  legale  per  farne  uso  in  sede  giudiziale  allo scopo di
sostenere  che  il  Bastarelli  aveva  rinunciato a qualsiasi credito
verso essa Bonfigli e si era riconosciuto debitore della Bonfigli per
eventuale  somma  che  la  stessa  fosse  stata  chiamata  a sborsare
successivamente all'uscita dalla societa'.
   In Fermo, in epoca precedente e prossima al febbraio 2003.
   Con la partecipazione della parte civile, Bastarelli Massimo, avv.
Stefano Girotti Pucci.
   Premesso  in  fatto  che, il pubblico ministero in sede esercitava
l'azione  penale  mediante citazione diretta a giudizio dell'imputata
Bonfigli, in ordine al reato di falso specificato in rubrica;
     che,  prima  dell'apertura  del  dibattimento,  l'avv. Indiveri,
difensore  e  procuratore  speciale dell'imputata, comunicava di aver
svolto  attivita'  di  investigazione difensiva, di cui ai verbali di
assunzione  di  informazioni,  ex  artt.  391-bis  e 391-ter, comma 3
c.p.p.,  contenuti  nel  fascicolo  del  difensore  di  cui  all'art.
391-octies  c.p.p., che depositava per l'inserimento nel fascicolo di
cui   all'art.   433  c.p.p.  e,  contestualmente,  avanzava  rituale
richiesta di giudizio abbreviato (non condizionato);
     che,  lo  stesso  difensore  precisava  che  i  predetti atti di
investigazione,  nell'ottica difensiva, erano rilevanti ai fini della
prova  dei fatti per cui e' processo e ne chiedeva - in conformita' a
consolidati  indirizzi interpretativi - l'utilizzazione ai fini della
decisione sul merito dell'imputazione;
     che  il  giudice,  in  assenza  di vizi formali della richiesta,
ordinava,  doverosamente  (artt.  438,  comma 4, 556, comma 2 c.p.p.)
procedersi  al  giudizio  abbreviato;  il rito veniva accettato dalla
parte civile;
     che  il  p.m.  d'udienza  faceva  dar  atto,  per quanto potesse
rilevare,  del  proprio  dissenso  all'utilizzazione ai fini decisori
degli atti unilateralmente raccolti dalla difesa (e analogo dissenso
   veniva manifestato dalla parte civile);
     che   il   giudice   sollevava   d'ufficio   la   questione   di
illegittimita'  costituzionale  - per violazione degli artt. 3 e 111,
secondo  e  quarto  comma  della  Costituzione - dell'art. 442, comma
1-bis,  richiamato  dall'art. 556, comma 1 c.p.p., nella parte in cui
prevede  l'utilizzabilita',  nel  giudizio  abbreviato, ai fini della
decisione  sul  merito  dell'imputazione  -  in assenza di situazioni
riconducibili  ai  paradigmi  di  deroga  al  contraddittorio dettati
dall'art.  111,  quinto  comma  Cost.  - degli atti di investigazione
difensiva a contenuto dichiarativo, unilateralmente assunti.
                               Motivi
                      Rilevanza della questione
   La questione sicuramente rilevante nel giudizio in quanto, in caso
di  accoglimento,  tra  il  novero  degli  atti  a  sfondo probatorio
utilizzabili ai fini della decisione non potranno essere compresi i
   verbali  di  «assunzione  di  informazione»  di cui alle ricordate
investigazioni difensive, inseriti nel
   fascicolo  di  cui  all'art.  433  c.p.p.  Essi potranno, al piu',
suggerire al giudicante l'esercizio dei poteri
   probatori officiosi di cui all'art. 441, comma 5 c.p.p.
   Nell'ottica della rilevanza appare opportuno altresi' evidenziare:
     A)  che  l'utilizzabilita'  a  fini  decisori  nel  procedimento
speciale  de quo delle indagini effettuate a norma della legge n. 397
del  2000  risponde  ad un consolidato - quanto opinabile - indirizzo
interpretativo. Non solo: tale utilizzabilita' sembra essere data per
scontata  dalla  stessa  Corte  costituzionale  come emerge in alcune
ordinanze  emesse  in  materia  ed  in  particolare nell'ordinanza 24
giugno   2005,   n. 245  (si  richiama,  tra  le  altre,  l'ordinanza
n. 57/2005,  per il seguente obiter dictum: «i caratteri di fondo del
giudizio  abbreviato  non  sono contraddetti dalla maggiore incidenza
riservata  alle investigazioni difensive dalla legge 7 dicembre 2000,
n. 397, in quanto anche tali atti possono essere utilizzati nel corso
del  giudizio  abbreviato  al  pari  degli atti raccolti dal pubblico
ministero  nel  corso  del  giudizio  abbreviato  al  pari degli atti
raccolti   dal   pubblico   ministero   nel   corso   delle  indagini
preliminari»);
     B)  che  nel  caso  di  specie,  con  riferimento  ai verbali di
informazioni  assunti  dalla  difesa,  non  risulta,  e  non e' stata
neanche   invocata,   alcuna  ipotesi  di  impossibilita'  di  natura
oggettiva o provata condotta illecita, che giustifichino la deroga al
principio  di  formazione della prova in contraddittorio; inoltre, la
controparte  (essenzialmente  il  p.m.)  non ha dato il consenso alla
utilizzabilita',  ne'  e' intervenuta una rinunzia al contraddittorio
con  riferimento  a  detti  atti unilateralmente assunti (il dissenso
espresso  dal  p.m. d'udienza, pur ultroneo, esclude qualsiasi dubbio
al riguardo).
             Non manifesta infondatezza della questione
   Il  principio costituzionale del «contraddittorio nella formazione
della  prova»  nella  «partia delle armi» (art. 111, secondo e quarto
comma  Cost.)
   Il   piu'   severo  ostacolo  all'utilizzabilita'  degli  atti  di
investigazioni   difensive   in   sede   di  giudizio  abbreviato  e'
rappresentato dal principio costituzionale del «contraddittorio nella
formazione  della  prova».  E'  noto  che  a  seguito  della  riforma
costituzionale  sul  «giusto processo» il processo penale deve essere
regolato da tale principio, fatte salve specifiche eccezioni.
   La   Carta   costituzionale   non   fornisce  una  definizione  di
«contraddittorio»:  spetta  pertanto  all'interprete  il  compito  di
determinarne il significato e le connotazioni. Se, da un lato, devono
evitarsi  speculazioni  del  tutto disancorate dal testo normativo di
riferimento  e  dal  quadro  costituzionale  esistente, dall'altro e'
innegabile  che  un margine di opinabilita' e' pur sempre rinvenibile
in  qualunque  «definizione»  che  si  voglia  dare  al  principio in
questione.
   In  tale ottica, puo' essere utile l'analisi di chi ha evidenziato
come   il   principio   del   contraddittorio,  «costituzionalizzato»
nell'art.  111,  presenta  almeno  due  profili,  che talora sembrano
sovrapporsi e confondersi tra loro. Di tale principio - si sostiene -
il  nuovo  testo  della Carta fondamentale accoglie a volte l'aspetto
oggettivo, che consiste nel «metodo di accertamento» dei fatti, altre
volte  l'aspetto  soggettivo,  che  si  configura  come  una garanzia
individuale.  La  singolarita' del nuovo art. 111 sta nel fatto che i
due  distinti  concetti  si trovano richiamati alternativamente in un
ordine che non pare essere quello logico.
   Per comprendere, dunque, la giusta portata del principio contenuto
nella  disposizione  in  esame  e'  necessario verificare in che modo
l'art. 111 Cost. recepisca il principio del contraddittorio. Il primo
enunciato  che  si impone all'attenzione dell'interprete e' contenuto
nella  prima  parte  del  medesimo  comma  4:  «Il processo penale e'
regolato  dal  principio del contraddittorio nella formulazione della
prova». Tuttavia, non e' questa l'unica disposizione che riconosce il
principio  del  contraddittorio.  Infatti, poche righe piu' sopra, al
comma  3,  vi e' un enunciato cosi' formulato: «la legge assicura che
la  persona  accusata  di  un  reato  (...) abbia facolta' davanti al
giudice  di  interrogare  o di far interrogare le persone che rendono
dichiarazioni  a  suo  carico».  Anche  questa  norma  costituisce un
espresso  riconoscimento  del  principio del contraddittorio. Occorre
allora  prendere  atto  della autonoma consistenza dei due enunciati.
Quello  contenuto  nel  comma 4 primo periodo da' una prescrizione di
natura  oggettiva:  e'  una  norma  preposta alla tutela del processo
penale  ed  appare funzionale ad assicurare il contraddittorio inteso
come  metodo  di  conoscenza.  Viceversa,  la regola posta al comma 3
dell'art.  111  da'  una  prescrizione di tipo soggettivo, funzionale
alla   tutela   dell'imputato.   La   norma   intende  assicurare  il
contraddittorio come garanzia individuale.
   Preso  atto  che il principio del contraddittorio assume anche una
valenza  soggettiva, sarebbe grave errore interpretare tale principio
esclusivamente  come  diritto  soggettivo:  un  diritto soggettivo al
contraddittorio,  che  l'art.  111  avrebbe attribuito essenzialmente
all'imputato e non anche alle altre parti, pubbliche o private.
   In  ogni  caso,  nell'ottica  che qui interessa (che e' quella dei
parametri  costituzionali  di  cui  ai  ricordati commi due e quattro
dell'art.   111),   la   storia  politico-legislativa  della  riforma
dell'art.  111  Cost.  e la collocazione sistematica del principio di
elaborazione  dialettica  della  prova non sembrano lasciare dubbi in
ordine  al  fatto che il legislatore costituzionale abbia inteso fare
del  contraddittorio  lo  statuto  epistemologico della giurisdizione
(art.   111,  secondo  comma  Cost.)  e,  del  contraddittorio  nella
elaborazione  della prova, la specificita' della giurisdizione penale
(art.  111, quarto comma Cost.). Soltanto nel processo penale, cioe',
il  contraddittorio  deve  necessariamente  calarsi dentro il momento
genetico  della  prova,  farsene  «lievito». Disconoscerlo, significa
smarrire  le  ragioni di una disciplina costituzionale autonoma della
giurisdizione penale.
   In termini essenziali, il detto principio indica al legislatore il
canone  «minimo» di ammissibilita' e legittimita' delle prove penali:
e'  vietato  permettere  che  i  materiali conoscitivi non formati in
contraddittorio  trovino ingresso nel giudizio per fini decisori. Per
tutti  gli  altri  scopi (cioe' diversi da quelli decisori sul merito
dell'accusa) non si rinvengono particolari limitazioni.
   L'ultima   affermazione   va   rimarcata:  la  «prova»  a  cui  fa
riferimento  il comma 4 dell'art. 111 Cost. e' «la prova che consente
di  pronunciarsi  sul  merito  della  res  iudicanda»,  «la prova per
condannare   o   per   assolvere»   e   non   «qualunque  esperimento
gnoseologico».
   Restano fuori dall'ambito della previsione costituzionale le norme
che   prevedono   decisioni   incidentali  (sulla  misura  cautelare,
sull'intercettazione  telefonica,  sull'incidente  probatorio,  sulla
ricusazione o sulla rimessione, sulla proroga delle indagini, ecc.) o
processuali  (archiviazione,  sentenza  di  non  luogo  a  procedere,
sentenza  di incompetenza) che, allo stato della normativa ordinaria,
si  possono  fondare  su  «esperimenti gnoseologici» non elaborati in
contraddittorio.
   La  ricordata portata precettiva dell'art. 111, quarto comma Cost.
rappresenta, pertanto, anche il limite di tale inutilizzabilita'.
   Alla   luce  di  quanto  sopra,  infatti,  sono  ipotizzabili  usi
costituzionalmente   compatibili   degli   atti   di   investigazione
difensiva,  anche  nel  giudizio abbreviato. Ad esempio, il difensore
potra' certamente utilizzare gli atti contenuti nel proprio fascicolo
per  sollecitare  l'esercizio  dei  poteri  istruttori del giudice ai
sensi dell'art. 441, comma 5 c.p.p.
   Tornando   al   senso   e   alla   portata   del   principio   del
contraddittorio,  va detto che il termine «contraddittorio» evoca una
sfida,  una  contrapposizione  o,  meglio,  l'esistenza  di  soggetti
portatori di interessi (potenzialmente) contrapposti.
   Ne  consegue che se le prove vanno formate secondo il principio in
questione,   l'attivita'   processuale   inerente   non  puo'  essere
attribuita ad uno solo degli «antagonisti» ne', ed a maggior ragione,
al  giudice,  che  deve  rimanere per definizione terzo ed imparziale
rispetto alla materia del contendere (art. 111, secondo comma Cost.).
Pertanto   la   formazione   della   prova   deve   essere   affidata
congiuntamente  solo  a  coloro  che,  nel  processo  penale, hanno e
possono avere un interesse connesso al merito: le parti.
   Se   cosi'   e',   allora   non   vi   sara'  alcun  rispetto  del
contraddittorio  se  la  prova  non e' riconducibile ad una attivita'
processuale  e congiunta delle parti. Detto in termini espliciti, gli
elementi  probatori  formati  unilateralmente non sono e, dunque, non
possono mai essere considerati come prove assunte in contraddittorio.
   Conseguentemente  devono  ritenersi  incostituzionali tutte quelle
disposizioni  che  surrettiziamente  consentano  l'utilizzabilita' ai
fini del giudizio degli atti dichiarativi raccolti unilateralmente.
   In   sintesi,   potra'   ritenersi   conforme   al  principio  del
contraddittorio, quella disciplina nella quale:
     le  parti  avranno il diritto di formare la prova attraverso una
loro partecipazione congiunta nella fase istruttoria;
     si  escludera'  la  possibilita' di introdurre nel processo e di
utilizzare  (anche  a mezzo di meccanismi surrettizi), per fondare la
decisione   sul   merito,  il  materiale  probatorio  unilateralmente
raccolto dalle parti o comunque non assunto in contraddittorio.
   Sul  punto  sembra  chiaro il principio affermato, in motivazione,
dalla  Corte costituzionale nella sentenza 14-26 febbraio 2002, n. 32
(pronunzia  riguardante  il  divieto  di  testimonianza  indiretta di
p.g.):
     «(...)  e'  profondamente mutato (...), il quadro di riferimento
costituzionale, ora integrato dalla previsione, contenuta nella prima
parte  del  quarto  comma  dell'art.  111  Cost.,  del  principio del
contraddittorio  nella  formazione  della prova. Da questo principio,
con  il  quale  il  legislatore  ha  dato  formale  riconoscimento al
contraddittorio  come  metodo  di  conoscenza  dei  fatti oggetto del
giudizio,  deriva quale corollario il divieto di attribuire valore di
prova   alle  dichiarazioni  raccolte  unilateralmente  dagli  organi
investigativi (ed evidentemente anche dal difensore)».
Irrilevanza,  ai nostri fini, del consenso dell'imputato quale deroga
al principio del contraddittorio.
   Se cosi' e', una eventuale utilizzabilita' delle prove non assunte
dialetticamente,  in  quanto  unilateralmente  raccolte  in  sede  di
investigazioni   difensive,   potrebbe   essere   sostenuta  solo  se
riconducibile  alle  deroghe  a  tale principio introdotte dal quinto
comma dell'art. 111 Cost.
   Il  catalogo  degli  enunciati  dell'art.  111 Cost. non si ferma,
infatti,  alla  proclamazione  del  contraddittorio.  Il quinto comma
stabilisce  che la prova e' utilizzabile anche se si e' formata fuori
del  contraddittorio  «per  consenso  dell'imputato  o  per accertata
impossibilita'  di natura oggettiva o per effetto di provata condotta
illecita».
   Ci  si  chiede, allora: quale fondamento costituzionale puo' avere
l'elevazione  al  rango  di  prova  del materiale probatorio raccolto
dalla difesa, in assenza di contraddittorio?
   Tralasciando  i  casi limite di accertata impossibilita' di natura
oggettiva  e  di provata condotta illecita - che trovano spazio nelle
previsioni  di  cui all'art. 391-decies, comma 1 e 2 c.p.p. - che non
rilevano,  per  le ragioni gia' esposte, in questa sede, va esaminata
l'ipotesi di deroga fondata sul consenso dell'imputato.
   La deroga al contraddittorio fondata sul consenso dell'imputato ha
due differenti ambiti
   applicativi.
   In   primo  luogo,  essa  si  riferisce  ai  riti  deflattivi  del
dibattimento  (in  primis:  il giudizio abbreviato, in cui l'imputato
acconsente,  essenzialmente,  ad  essere  giudicato  sulla base delle
risultanze delle indagini svolte dal p.m.).
   Il  secondo  spazio operativo della clausola del consenso concerne
le  possibili  ripercussioni  nell'ambito  del giudizio ordinario (si
pensi  all'acquisizione  degli  atti  su accordo delle parti ex artt.
493,  comma  3,  555,  comma 4, 431, comma 2 c.p.p. o ai «mini-patti»
acquisitivi dibattimentali).
   La  formulazione  generica  dell'ipotesi derogatoria in questione,
per  un verso, potrebbe indurre a ritenere che in Costituzione non si
dia  alcuna  rilevanza al consenso delle parti diverse dall'imputato;
per  altro  verso,  potrebbe  ingenerare l'erronea convinzione che il
mero  consenso  dell'imputato  permetta  di derogare al principio del
contraddittorio  nella  formazione della prova. In altre parole, essa
sembrerebbe  legittimare una norma processuale che, anche nell'ambito
del  rito  ordinano,  permettesse  l'utilizzazione  di prove, formate
fuori   del   contraddittorio,  sul  solo  presupposto  del  consenso
dell'imputato.
   L'affermazione,    tuttavia,    puo'   essere   ridimensionata   e
correttamente  intesa  sol che si precisi il significato della parola
«consenso».
   Tale    sostantivo,    in   linguaggio   giuridico,   indica   una
manifestazione di volonta' con la quale un soggetto rimuove un limite
all'agire altrui nella propria sfera soggettiva. Il consenso sortisce
il  suo  effetto  naturale  soltanto  nei  casi  in cui l'ordinamento
riconosce ad un soggetto la disponibilita' esclusiva di un assetto di
interessi.   Pertanto,   per  sua  costruzione  logica,  il  consenso
dell'imputato  puo' valere esclusivamente con riferimento ad elementi
potenzialmente  contra se in quanto raccolti da altre parti, titolari
di  un  interesse  che  potrebbe  entrare  in  conflitto  con  quello
dell'imputato in parola.
   Al  riguardo  e'  stato  fondatamente  sostenuto  che  il consenso
dell'imputato  costituisce  una  rinuncia al contraddittorio in senso
soggettivo ed alla tutela rappresentata dalla inutilizzabilita' delle
dichiarazioni rese da chi ha eluso il confronto con la difesa.
   Viceversa,   il   contraddittorio   in   senso   oggettivo   -   o
contraddittorio tout court - resta indisponibile unilateralmente.
   La  rinuncia  consensuale alla formazione in contraddittorio della
prova  ne  puo'  essere  valido  succedaneo  se proviene dagli stessi
soggetti   che  sarebbero  stati  protagonisti  del  contraddittorio.
Soltanto  con  l'accordo  di  tutte le parti il contraddittorio nella
formazione  della prova puo' essere oggetto di disposizione, sia pure
entro  limiti ben precisi (v. ad esempio l'istituto dell'acquisizione
concordata  degli  atti  -  ex artt. 431, comma 2, 493, comma 3, 555,
comma  4  c.p.p.  -  a  cui  fa peraltro da contraltare il potere del
giudice  di  disporre  d'ufficio  l'assunzione  dei  mezzi  di  prova
relativi agli atti acquisiti, al fine di evitare la legittimazione di
una «verita' convenzionale»).
   Tornando  al  tema del consenso, cosi' come disciplinato dall'art.
111, quinto comma Cost., occorre ribadire un punto fondamentale.
   Sarebbe  una  contraddizione  in termini sostenere che il consenso
dell'imputato  possa  legittimare  l'acquisizione  di  elementi a se'
favorevoli formati unilateralmente dalla difesa.
   Sul  punto appare pienamente condivisibile la tesi di chi sostiene
che  non  si  puo' ritenere, rimanendo filologicamente abbarbicati al
testo  del  quinto comma dell'art. 111 Cost., che questo autorizzi un
sistema  in  cui sia sufficiente il consenso dell'imputato ad operare
la trasmutazione genetica di un suo atto di indagine in prova: appare
evidente  come tale autopromozione probatoria della investigazione di
parte sarebbe priva di qualsiasi significato epistemologico.
   Del  resto,  la  necessita'  di  ristabilire  il  sinallagma delle
posizioni, nonostante il tenore letterale della norma disinvoltamente
sbilanciato,  si  ricava  dallo stesso art. 111 Cost., che al secondo
comma  -  con  riferimento alla giurisdizione in genere - precisa che
ogni  processo  deve  svolgersi  «nel  contraddittorio delle parti in
condizioni di parita».
   In  realta',  con  riferimento  all'utilizzazione  delle  indagini
difensive  nel  giudizio  abbreviato  non e' neanche configurabile un
consenso  dell'imputato.  Cio'  in  quanto  -  come  si  e'  detto  -
legittimate  a  consentire  sono  soltanto  quelle parti che hanno un
interesse    contrario    alla    acquisizione   di   atti   raccolti
unilateralmente  dalla  difesa.  Esse  in tal modo rinunciano al loro
diritto alla formazione della prova in contraddittorio.
   Del  resto,  se  si  ritenesse  che il solo consenso dell'imputato
permetta di eludere il contraddittorio, perverremmo ad una concezione
massimalista del diritto di difesa, che renderebbe l'accusato arbitro
della prova.
   Con   il  che  si  finirebbe  con  il  ridurre  il  principio  del
contraddittorio nel solo alveo del diritto di difesa.
   Non  solo,  una  tale  interpretazione dovrebbe indurre a ritenere
incostituzionali   le   norme   che,  dettate  per  il  dibattimento,
subordinano  l'acquisizione  ai  fini  della  prova  di  atti formati
unilateralmente  non al mero «consenso» dell'imputato, ma all'accordo
tra tutte le parti (cfr. artt. 431, comma 2; 493, comma 3; 555, comma
4  c.p.p.).  Esse  violerebbero il principio costituzionale (si' male
interpretato)  prevedendo  un aggravio della posizione dell'imputato,
con  riferimento  ai  suoi  poteri  probatori,  non consentendogli di
acquisire,   sulla   base   del   proprio  mero  consenso,  contenuti
dichiarativi dallo stesso unilateralmente raccolti.
   Tirando  le  fila  del  discorso,  va  ribadito  che  il  consenso
presuppone  l'esistenza  di  una  pluralita'  di  parti e puo' essere
inteso   come  approvazione,  accettazione  di  qualcosa  proveniente
dall'altra  parte:  nel  nostro caso l'atto a contenuto probatorio di
formazione unilaterale.
   Parafrasando  la  definizione utilizzata per la scriminante di cui
all'art.  50  del  codice penale, si puo' dire che il consenso di cui
parla  il ricordato quinto comma dell'art. 111 Cost., sta ad indicare
l'assenso  dato  ad  un fatto («utilizzazione ai fini probatori di un
atto  di  indagine»)  previsto  in  generale  come  vietato  (perche'
unilateralmente  assunto,  in  assenza  di contraddittorio), da parte
della persona che ne e' potenzialmente danneggiata (in quanto esclusa
dalla  formazione  dell'atto  stesso).  Assenso per effetto del quale
detto fatto non e' piu' vietato.
   Se   cosi'   e',   appare  totalmente  privo  di  senso  giuridico
individuare  una  valida  deroga al principio del contraddittorio nel
consenso  dell'imputato alla iniziativa investigativa posta in essere
da se' medesimo.
   La   conclusione,   costituzionalmente   obbligata,   e'   chiara:
l'imputato   puo'   rinunciare  a  contraddire,  scegliendo  il  rito
abbreviato,  ma  non  puo' rinunciare ad una facolta' che non rientra
nella sua d
   isponibilita'; e cioe' il contraddittorio delle altre parti.
   Le  considerazioni  sin  qui  espresse  appaiono  sufficienti  per
sostenere che la censurata disciplina, consentendo l'utilizzo ai fini
probatori,  nel giudizio abbreviato - in assenze di valide deroghe al
principio  del contraddittorio - di elementi raccolti unilateralmente
in  sede  di  investigazioni  difensive,  non puo' sottrarsi a palesi
censure di incostituzionalita' rispetto ai ricordati parametri di cui
all'art.  111 Cost. Ne' valida deroga - lo si ribadisce - puo' essere
rappresentata  dal  consenso  dell'imputato  alla iniziativa posta in
essere  da  se' medesimo: il che sembra, evocare, piuttosto, contesti
di tipo psicanalitico.
L'equivoco  della  «prova  contraria»  quale  fattispecie vicaria del
«contraddittorio nella formazione della prova».
   Va  sgombrato  il  campo, inoltre, da un equivoco in cui e' caduta
parte  della  dottrina a seguito della pronunzia adottata dalla Corte
costituzionale  (ord.  245  del 2005) nella prima occasione in cui la
stessa   e'   stata   chiamata  ad  esprimersi  specificamente  sulla
disciplina qui censurata.
   Il giudice a quo (G.u.p. del Tribunale di Modena) aveva sollevato,
in  riferimento  all'art.  111,  secondo  comma,  della Costituzione,
questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 438, comma 5, del
codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede il diritto
del  pubblico  ministero  di chiedere l'ammissione di prova contraria
nell'ipotesi  in  cui  l'imputato abbia depositato il fascicolo delle
investigazioni  difensive  e  contestualmente  formulato richiesta di
giudizio abbreviato non condizionato.
   In  particolare,  il  giudice  a quo aveva ritenuto di cogliere un
profilo   di  illegittimita'  costituzionale  nel  fatto  che,  nella
situazione appena descritta - diversamente da quanto previsto in caso
di  richiesta  di giudizio abbreviato subordinata ad una integrazione
probatoria  ex  art.  438,  comma  5, cod. proc. pen. - da un lato il
giudice  non puo' sindacare la richiesta ed e' tenuto ad ammettere il
giudizio abbreviato, dall'altro il pubblico ministero non solo non ha
alcun  potere  di  interloquire  sulla  prova,  ma  «si vede altresi'
interdetta  ogni facolta' di contraddire sulla formazione unilaterale
della  prova  introdotta  in udienza ed utilizzata nel rito». In tale
situazione  sarebbe  compromessa  la «simmetria imposta dal principio
del contraddittorio come metodo dialettico di accertamento dei fatti»
e sarebbe «quindi violato il principio enunciato dall'art. 111, comma
secondo,   Cost.   secondo   cui   il  processo  deve  svolgersi  nel
contraddittorio tra le parti in posizione di parita».
   A  ben  vedere, l'ordinanza di rimessione non si nascondeva che in
discussione era soprattutto la formazione unilaterale della prova, la
sua  introduzione  in giudizio e il contestuale  «consenso» ad essere
giudicato sulla base di tale prova prestato dalla stessa parte che ne
ha  curato  l'assunzione,  senza  che  vi  sia stata alcuna «verifica
critica  della  parte  pubblica»,  ma poi ripiegava verso una pretesa
«minimale»,  sostenendo che la necessita' di ricondurre a «simmetria»
il «contraddittorio sulla prova» imponeva di «riconoscere al pubblico
ministero  la facolta' di chiedere l'ammissione della prova contraria
secondo  una  cadenza  del  resto gia' prevista dal legislatore nella
disciplina del modello del rito abbreviato condizionato»;
   Tale  evirazione precettiva dell'art. 111 Cost. ha disinnescato la
mina  ed  ha  indotto  il  Giudice  delle  leggi,  in  si'  ristretta
prospettiva   cognitiva,  ad  emettere  una  ordinanza  di  manifesta
inammissibilita',  la  n. 245  del  2005,  con cui si e' divisato che
prima  di  sollevare  questione  di  legittimita'  costituzionale  il
rimettente avrebbe dovuto «esplorare la concreta praticabilita' delle
soluzioni  offerte  dall'ordinamento  al  fine  di porre rimedio alla
denunciata anomala sperequazione tra accusa e difesa».
   Nell'ordinanza,  la  Corte  prospettava  in primis la possibilita'
offerta  dall'ordinamento  di  assicurare comunque al p.m. il diritto
alla  controprova sulle prove addotte «a sorpresa» dalla controparte,
in  modo  da  «contemperare  l'esigenza  di celerita' con la garanzia
dell'effettivita' del contraddittorio», anche attraverso differimenti
delle udienze congrui rispetto «alle singole, concrete fattispecie».
   Il  Giudice  delle leggi, in effetti, si e' limitato a prospettare
al  giudice  rimettente  -  nell'invitarlo  ad  esplorare la concreta
praticabilita'  di  letture  costituzionalmente orientate - possibili
percorsi,   nell'ottica   angusta   della  questione  sollevata:  una
valorizzazione    del    merito    delle   argomentazioni   (rectius:
prospettazioni) che hanno accompagnato l'ordinanza - si ribadisce: di
manifesta inammissibilita' - sarebbe impropria.
   Ma  - per una diffusa confusione concettuale in merito alla natura
ed  al  valore  interpretativo  e  normativo  delle  pronunzie  della
Consulta  -  tale  ordinanza  e'  stata  da  taluni «recepita», nella
sostanza,   come   una   sentenza   interpretativa  di  rigetto,  con
conseguente   attribuzione   alla  stessa  di  ingiustificabili  doti
salvifiche.
   In  sostanza,  si e' ritenuto che la Corte avesse «certificato» la
compatibilita'  costituzionale  della disciplina dell'utilizzabilita'
delle  indagini  difensive in sede di giudizio abbreviato, in quanto,
al fine di riequilibrare il principio di parita' della parti rispetto
alla  formazione  della  prova e' sufficiente la garanzia della prova
contraria  al  p.m. (e il potere integrativo del giudice ex art. 441,
comma   5  c.p.p.)  Il  travisamento  interpretativo  e'  evidente  e
deprecabile.
   In  ogni  caso,  e'  del  tutto evidente che il riconoscimento del
diritto  alla  prova  contraria  non  puo'  valere  a  superare  ogni
questione  relativa alla violazione del principio del contraddittorio
nella formazione della prova.
   L'equivoco   si   insinua   nella   confusione   concettuale   tra
contraddittorio nella formazione della prova - il contraddittorio che
deve necessariamente calarsi dentro il momento genetico della prova -
e  il contraddittorio «per» la prova, che presuppone il diritto delle
parti  di  vedere  acquisite  tutte  le prove necessarie alla propria
difesa  e,  quindi,  anche  la  prova  contraria  rispetto alle prove
introdotte dalle altre parti.
   In  realta',  la regola del contraddittorio nella formazione della
prova, come metodo elettivo per l'accertamento del fatto nel processo
penale, esige, anzitutto, che gli elementi di prova siano formati nel
dialogo  diretto  di  tutte  le  parti  con  la fonte. In base a tale
regola,  la  prova  contraria,  al  pari  di  quella che essa intende
attaccare  e'  prova  formata  nel  contraddittorio. E cio' esclude -
cosi'  come  e'  escluso  per  la  prova «diretta» - che il carattere
«contrario»  della  prova  possa  legittimare  l'uso  in  giudizio di
elementi,  per  quanto  assentamente  «decisivi», formatisi fuori del
contraddittorio con la relativa fonte.
   Dal quarto comma dell'art. 111 Cost. si trae, quindi, non solo che
la  par  condicio  tra  prove  antagoniste deve rispettarsi anche sul
terreno  del metodo probatorio (art. 111, secondo comma), ma altresi'
che,   su   tale   terreno,   essa   deve   collocarsi   al   livello
qualitativamente  «alto»  del  contraddittorio nella formazione della
prova.
   Per    comprendere    meglio   l'assurdita'   giuridica   di   una
interpretazione  che  ritenesse  il  riconoscimento  del diritto alla
prova  contraria  idoneo  a garantire il rispetto del contraddittorio
rispetto  ad  atti  a contenuto probatorio unilateralmente formati e'
opportuno ricorrere ad una domanda retorica.
   Sarebbe   rispettosa   di   tale   principio  una  disciplina  che
consentisse  di  utilizzare  nel  giudizio  ordinario, senza «accordi
acquisitivi»,  tutti  gli atti delle indagini preliminari assunti dal
p.m.  attribuendo  nel  contempo  all'imputato  il pieno diritto alla
controprova?
Irrazionalita',   incompatibilita'   ed  incoerenza  sistemica  della
disciplina censurata (art. 3 Cost.).
   La   disciplina   che   consente  l'utilizzazione  delle  indagini
difensive nel giudizio abbreviato si espone, inoltre, a gravi censure
di irrazionalita', incompatibilita' e incoerenza sistemica, rilevanti
nell'ottica del parametro di cui all'art. 3 Cost.
   Tanto  per  iniziare,  appare  stridente  il  contrasto  tra  tale
utilizzabilita'  in  sede  di  giudizio  abbreviato  e  la disciplina
dettata con riferimento allo scenario dibattimentale.
   Cosi',  l'art.  391-decies, comma 1 c.p.p. prevede che gli atti di
investigazione  difensiva  possono essere utilizzati, salvi i casi di
irripetibilita'   e   di  provata  condotta  illecita,  solo  per  le
contestazioni  dibattimentali  (come emerge dal richiamo operato agli
artt. 500, 512, 513 c.p.p.).
   Ma  vi  e' di piu': una lettura sistematica delle disposizioni che
disciplinano  l'acquisizione  in dibattimento di atti unilateralmente
formati  rende evidente che il consenso dell'imputato ivi contemplato
e' solo quello che si manifesta nella forra dell'accordo con le altre
parti processuali.
   Invero  il  legislatore,  quando  ha  previsto  la possibilita' di
attribuire  agli  atti  di  investigazione difensiva valore di prova,
l'ha  subordinata  all'accordo  con  il pubblico ministero - e con le
altre  parti  eventuali  - (v. artt. 431, comma 2, 493, comma 3, 555,
comma  4  c.p.p.):  in tali casi il consenso assume, per l'appunto le
forme dell'accordo (c.d. acquisitivo).
   Per  cui,  paradossalmente, in base alla disciplina qui censurata,
la  posizione  dell'imputato nell'ottica dell'acquisizione probatoria
e'   assai   piu'   favorevole   nel   giudizio   abbreviato  (stante
l'utilizzabilita' in questa sede degli atti a sfondo probatorio dallo
stesso  unilateralmente raccolti e selezionati) che nel dibattimento.
Il  che,  tra  l'altro,  mal  si  concilia  con il che il trattamento
premiate connesso alla scelta di detto rito alternativo.
   Ma  gli  atti  di  investigazione  difensiva  appaiono  un  «corpo
estraneo»  alla  disciplina  dello  stesso  giudizio abbreviato, come
ridisegnato dalla legge n. 479/1999.
   Basti  evidenziare  che l'ordinamento prevede, in via di eccezione
rispetto   al   modello   del  giudizio  abbreviato  «ordinario»,  la
possibilita'  per  l'imputato  di  subordinare  la richiesta del rito
alternativo ad una «integrazione probatoria» necessaria ai fini della
decisione  (il  c.d.  giudizio  abbreviato condizionato, ex art. 438,
comma  5 c.p.p.). In tale ipotesi la richiesta dovra' essere valutata
dal  giudice  che  potra'  non  ammetterla - escludendo cosi' il rito
alternativo   -   valutati  i  parametri  della  necessita'  e  della
compatibilita'  con  le finalita' di economia processuale proprie del
procedimento.  Non  solo: in caso di ammissione al rito condizionato,
al  p.m.  e' attribuita la facolta' di chiedere l'assunzione di prova
contraria.
   Ebbene,  l'utilizzabilita'  ai  fini  della  prova  degli  atti di
investigazione  difensiva  (che  non  hanno  una  valenza  probatoria
limitata:  cfr.  Cass.  30  gennaio  2002, Pedi, CED Cass. n. 221550;
Cass.  3402/1997, CED Cass. n. 209300) appare in insanabile contrasto
con l'esistenza stessa del giudizio abbreviato «condizionato».
   Che  senso  ha  -  in  termini generali - la richiesta di giudizio
abbreviato   condizionata   all'assunzione  di  una  fonte  di  prova
dichiarativa?
   L'imputato  puo' introdurre quelle acquisizioni unilaterali in uno
con la richiesta di giudizio abbreviato «ordinario» eliminando, da un
lato,   il  rischio  di  non  ammissione  da  parte  del  giudice  ed
escludendo, dall'altro, la prova contraria del p.m.
   Del  resto, e' singolare che il legislatore, dopo aver relegato il
ruolo del pubblico ministero nel rito abbreviato su crinali piuttosto
sbiaditi,  legittimi  la difesa dapprima ad acquisire unilateralmente
il  materiale  probatorio,  selezionando  solo  quello  utile  a fini
difensivi  e  mantenendo al di fuori del cono di utilizzabilita' ogni
risultanza  di  segno opposto o anche solo incerto; poi, sulla scorta
di  tale  piattaforma cognitiva sapientemente ritagliata, a formulare
l'opzione  di  giudizio  abbreviato.  Con  l'invidiabile risultato di
ottenere,  da  un  lato, il trattamento premiale connesso alla scelta
del  rito  e  di  ridurre,  dall'altro,  l'alea  di  una  sfavorevole
evoluzione    del    patrimonio   cognitivo   ai   ristretti   ambiti
dell'integrazione  probatoria  ex  artt.  441, comma 5 c.p.p. Cio' in
quanto  il pubblico ministero - si ribadisce - e' stato privato anche
della   facolta'   di   chiedere  l'ammissione  di  prova  contraria,
riconosciutagli, invece, nel giudizio abbreviato condizionato, dove -
per  converso  -  la  prova e' assunta dal giudice, con modalita' che
garantiscono la partecipazione dello stesso pubblico ministero.
   La   disciplina  qui  censurata  induce  a  ritenere  illogica  la
previsione  di un istituto quale quello di cui al ricordato art. 438,
comma  5  c.p.p.:  il  potere  conferito  alla  difesa  non  solo  di
precostituire  unilateralmente  il dato utilizzabile ai fini decisori
ma  anche  di  controllarne  il  canale  d'ingresso,  rende del tutto
improbabile  il ricorso alla ben piu' rischiosa richiesta di giudizio
abbreviato   condizionato,  aleatoria  nei  risultati  e  foriera  di
conseguenze  non  propizie  sul piano del ripristino del diritto alla
prova  in capo al pubblico ministero e della modificabilita' in peius
dell'imputazione originaria.
   Ben piu' proficuo e' dapprima completare l'orizzonte del materiale
utilizzabile, depositando, nell'ultimo momento processualmente utile,
gli esiti favorevoli delle investigazioni difensive espletate, e solo
di  seguito  - a fronte di uno «stato degli atti» gia' opportunamente
orientato  -  effettuare  la  piu'  solida  opzione  per  il giudizio
abbreviato «semplice».
   A  cio'  va  aggiunto  che  la  ratio che ispira la disciplina del
giudizio  abbreviato  e'  quella  di riconoscere un congruo sconto di
pena  in cambio dell'accettazione di un processo «a prova contratta»,
della  rinuncia  ad  esercitare  il  diritto al contraddittorio nella
escussione  dei  testi  gia'  assunti  dal  pubblico ministero. Se si
attribuisce   all'imputato   il   potere   di   introdurre   atti  di
investigazione  difensiva, opportunamente selezionati, da valere come
prova  ai  fini  della  decisione, senza alcun contraddittorio con la
pubblica  accusa  e senza diritto a controprova, lo stesso fondamento
del trattamento premiale viene meno.
   Degna  di menzione appare, al riguardo, la sentenza 9 maggio 2001,
n. 115  con  cui la Corte costituzionale nel respingere le censure di
incostituzionalita'  mosse  alla  disciplina  del giudizio abbreviato
condizionato,  ne  ha individuato correttamente la ratio nella tutela
della  posizione dell'imputato «che si trova ad affrontare il rischio
di  un  giudizio  basato sugli atti raccolti dal p.m. nel corso delle
indagini preliminari ed a cui va pertanto riconosciuta la facolta' di
chiedere l'acquisizione di nuovi ed ulteriori elementi di prova».
   Il  che  evidenzia  in  modo  ancor  piu'  chiaro  che le indagini
difensive  sono  un  corpo estraneo rispetto al sistema normativo del
giudizio abbreviato.
   Le  sopra  evidenziate  irrazionalita'  rilevano  nell'ottica  del
parametro costituzionale di cui all'art. 3 Cost.
   Piu'  specificamente,  risulta una evidentissima ed ingiustificata
disparita' di trattamento, rispetto ai poteri probatori dell'imputato
in tema di atti di investigazione difensiva a contenuto dichiarativo,
tra  giudizio  ordinario,  ove  per  introdurre  contenuti  probatori
unilateralmente  formati  occorre  il  consenso  delle  altre parti e
giudizio  abbreviato,  ove  tale  introduzione  e'  espressione di un
diritto  potestativo  dello stesso imputato. Con l'aggravante che nel
secondo caso l'imputato gode anche di un rilevante sconto di pena.
   Cosi'  come  appare assolutamente irrazionale la compresenza nello
stesso  sistema  processuale,  da un lato, di un istituto (quello del
giudizio  abbreviato  condizionato),  in  cui  l'imputato  che voglia
ottenere   l'assunzione   di   un   mezzo  di  prova  (oggetto  della
condizione),  in  udienza,  dal  giudice terzo, con metodo dialogico,
offrendo al p.m. la possibilita' di far valere il diritto alla prova,
puo'  vedersi  rigettata  la  richiesta  e non essere ammesso al rito
speciale  (perdendo anche lo sconto di pena); dall'altro, del diritto
potestativo dell'imputato di raccogliere unilateralmente, selezionare
(scegliendo,  ovviamente,  solo  quelli favorevoli) e produrre atti a
contenuto  probatorio,  di  identica  natura, per vederli utilizzati,
incondizionatamente, nel giudizio abbreviato ordinario.
                              P. Q. M.
   Visto l'art. 23, legge n. 87/1953;
   Solleva  d'ufficio  e  dichiara  rilevante  e  non  manifestamente
infondata  la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 442,
comma 1-bis, richiamato dall'art. 556, comma 1 c.p.p., per violazione
degli  artt. 3, 111, commi secondo e quarto Costituzione, nella parte
in  cui  prevede  l'utilizzabilita', nel giudizio abbreviato, ai fini
della   decisione   sul  merito  dell'imputazione  -  in  assenza  di
situazioni  riconducibili  ai  paradigmi di deroga al contraddittorio
dettati   dall'art.   111,   quinto  comma  Cost.  -  degli  atti  di
investigazione  difensiva  a  contenuto dichiarativo, unilateralmente
assunti.
   Sospende il giudizio in corso;
   Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
   Dispone che la presente ordinanza sia notificata al Presidente del
Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti delle camere;
   Manda alla cancelleria per gli adempimenti di rito.
     Fermo, addi' 2 aprile 2007
                         Il giudice: Fanuli