N. 8 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 13 dicembre 2007

  Ricorso  per  conflitto  di  attribuzione  tra  poteri  dello Stato
(merito) depositato in cancelleria il 13 dicembre 2007 (del Tribunale
di Milano)

  Parlamento  -  Immunita' parlamentari - Procedimento penale, per il
  reato  di  diffamazione  aggravata,  a carico del senatore Raffaele
  Iannuzzi,  per  le  opinioni  da  questi  espresse,  in un articolo
  pubblicato  su un periodico, nei confronti del defunto sindacalista
  Domenico  Geraci  -  Deliberazione  di  insindacabilita' del Senato
  della Repubblica - Conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato
  sollevato  dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di
  Milano  -  Denunciata  mancanza di nesso funzionale tra le opinioni
  espresse e l'esercizio dell'attivita' parlamentare.
  - Delibera del Senato della Repubblica del 30 gennaio 2007.
  - Costituzione, art. 68, primo comma.
(GU n.1 del 2-1-2008 )
Il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Milano,
letti gli atti del procedimento penale a carico del senatore Raffaele
Iannuzzi  nato  a  Grottella (Avellino) il 20 febbraio 1928, imputato
per  il  seguente  reato di cui agli artt. 595, commi primo secondo e
terzo  c.p.  e 13 legge n. 47/1948 poiche' quale autore dell'articolo
intitolato «Il codice segreto dell'ultimo pentito» che qui si intende
integralmente  riportato pubblicato sul periodico Panorama, offendeva
la  memoria di Geraci Domenico con la seguente frase: «... il boss di
Caccamo del '98, un sindacalista molto discusso, che avrebbe fatto da
tramite  tra  la  mafia ed ambienti di sinistra (si disse perfino che
Geraci  era  su  quello  stesso aereo su cui viaggiarono da Palermo a
Roma  Luciano  Violante  e  Giovanni Brusca)...». Con l'aggravante di
aver  attribuito  a Geraci Domenico un fatto determinato in Milano il
10  ottobre 2002 in cui sono parti offese, costituite parte civile, i
signori  Geraci  Giuseppe nato  a  Termini Imerese il 13 agosto 1979,
residente  a Caccamo, piazza Zafferana n. 41; Scimeca Vincenza nata a
Caccamo  il  1  ottobre  1954,  residente a Caccamo, piazza Zafferana
n. 41,  entrambi  assistiti  dall'avv. Armando Sorrentino del foro di
Palemo,  via  Marchese  di  Villa  Bianca  n. 4.  Rilevato che Geraci
Giuseppe  e  Scimeca  Vincenza,  rispettivamente  figlio e coniuge di
Geraci  Domenico,  hanno  proposto querela nei confronti del predetto
senatore  Raffaele  Iannuzzi  ritenendo  diffamatorie le affermazioni
riportate poiche' nell'articolo indicato, indicando il loro congiunto
come  «sindacalisia molto discusso» che «avrebbe fatto da tramite tra
la  mafia  ed  ambienti  di  sinistra»,  si recavano affermazioni che
costituivano gravissima offesa alla memoria del defunto, offendendone
la personalita' morale, delineandone una collocazione criminale.
Rilevato  che con lettera in data 27 ottobre 2004 il senatore Raffele
Iannuzzi  ha  sottoposto  al  Senato  della  Repubblica  la questione
dell'applicabilita' dell'art. 68, primo comma, della Costituzione, in
relazione al procedimento penale n. 5617\03 RG NR, n. 6259\03 RG GIP,
pendente  nei  suoi  confronti  a  seguito  della presentazione della
querela  sopra  richiamata.  Il giudice procedente ne veniva avvisato
all'udienza dell'8 novembre 2004, e disponeva rinvio, in attesa della
decisione  della Giunta delle elezioni e delle immunita' parlamentari
del Senato.
Rilevato che il 20 aprile 2005 il giudice chiedeva informazioni sullo
stato del procedimento, e riceveva missiva in data 3 maggio 2005, con
la  quale il presidente della Giunta delle elezioni e delle immunita'
parlamentari  del  Senato,  sen. Giovanni Crema, la informava che era
effettivamente pendente richiesta di declaratoria di insindacabilita'
avanzata  dal senatore Iannuzzi in riferimento alle dichiarazioni per
le  quali e' causa nel procedimento di cui trattasi; che la Giunta ha
svolto  una  prima seduta il 24 novembre 2004, ascoltando il senatore
richiedente,  che  peraltro,  per  il  caso di richiesta avanzata dal
parlamentare,  non  sono fissati dalla legge termini perentori per la
pronuncia,  per  cui  e'  nella discrezionalita' dell'organo politico
valutare  se  e  quando completare l'esame degli affari sottoposti al
suo  esame:  suggeriva  pertanto  di  procedere  a formulare autonoma
richiesta,  spiegando per converso, termini di legge per la pronuncia
dell'Assemblea    investita    di    una    richiesta    in    ordine
all'insindacabilita'  decorrono  laddove essa provenga dall'Autorita'
giudiziaria;
     che  dunque  questo  giudice,  con  ordinanza  6  febbraio 2006,
chiedeva  che la Giunta delle elezioni e delle immunita' parlamentari
del Senato volesse dichiarare che i fatti oggetto del procedimento, e
relativi   l'articolo   a  firma  del  sen.  Raffaele  Iannuzzi,  non
concernono  opinioni  espresse  da  parlamentare nell'esercizio delle
funzioni ex art. 68 primo comma Cost.;
     che  il  Senato  della Repubblica, nel corso della seduta del 30
gennaio  2007 in accoglimento di conforme proposta della Giunta delle
elezioni  e  delle  immunita'  parlamentari, ha riconosciuto ai sensi
dell'art.  68,  primo  comma  della  Costituzione, l'insindacabilita'
delle  opinioni  espresse  dal senatore Raffaele Iannuzzi nell'ambito
degli  articoli di stampa oggetto del presente procedimento in quanto
espresse nell'esercizio della funzione parlamentare;
Considerato  che  -  allo  stato  degli atti - non risulta provata la
verita' oggettiva dei fatti riferiti ne' appare potersi registrare un
effettivo  rigore  nel  modo  di  riportare i fatti per come appaiono
emergere dalle fonti;
     che  in ragione di tali aspetti e dell'ulteriore contenuto degli
atti  di  causa  appare sussistere una fattispecie a soluzioni aperte
meritevole  di approfondimento dibattimentale e cio' anche al fine di
accertare l'effettiva verita' dei fatti esposti;
     che la giunta e l'Assemblea, evidenziato che il sen. Iannuzzi ha
presentato in date 25 giugno 2003 e 19 febbraio 2004 disegni di legge
inerenti  la  gestione dei collaboratori di giustizia, hanno ritenuto
«di  dover  porre  l'accento  sul fatto, incontestabile ed ampiamente
noto, che l'impegno politico e parlamentare del senatore Iannuzzi sui
temi  della  criminalita'  mafiosa  e  del  contrasto  alla stessa ha
rappresentato e rappresenta in certo qual modo la naturale proiezione
del  suo  impegno  politico e che tale impegno ha avuto ad oggetto in
modo  sostanzialmente  esclusivo  le predette problematiche... non si
vede  come si possa negare al senatore Iannuzzi l'insindacabilita' ai
sensi   dell'art.   68,   primo  comma  della  Costituzione,  per  le
dichiarazioni contenute nell'articolo qui specificamente considerato,
articolo  relativo ad una vicenda - quella del pentito Giuffre' - che
rientra  senz'altro fra quei temi che, da sempre sono stati al centro
dell'attivita'  giornalistica  e  dell'impegno  politico dello stesso
senatore».
     che   la   conclusione  adottata  appare  in  contrasto  con  la
giurisprudenza  costituzionale,  costante sin dal 1997: tra le molte,
si  possono ricordare le sentenze numeri 10 e 11 dell'11 gennaio 2000
(alle  quali si sono richiamate, tra le altre, le successive sentenze
n. 52  del 27 febbraio 2002; n. 207 del 20 maggio 2002; n. 294 del 19
giugno 2002).
«...  E'  pacifico che costituiscono opinioni espresse nell'esercizio
della funzione quelle manifestate nel corso dei lavori della Camera e
dei suoi vari organi, in occasione dello svolgimento di una qualsiasi
fra  le  funzioni svolte dalla Camera medesima, ovvero manifestate in
atti,  anche  individuali, costituenti estrinsecazione delle facolta'
proprie del parlamentare in quanto membro dell'assemblea;
     che  l'attivita' politica svolta dal parlamentare al di fuori di
questo  ambito  non puo' dirsi di per se' esplicazione della funzione
parlamentare  nel  senso  preciso  cui  si riferisce l'art. 68, primo
comma, della Costituzione;
     che  nel  normale  svolgimento  della  vita  democratica  e  del
dibattito politico, le opinioni che il parlamentare esprima fuori dai
compiti  e  dalle  attivita'  propri  delle  assemblee  rappresentano
piuttosto  esercizio  della  liberta' di espressione comune a tutti i
consociati: ad esse dunque non puo' estendersi, senza snaturarla, una
immunita'  che  la  Costituzione  ha  voluto,  in  deroga al generale
principio  di  legalita' e di giustiziabilita' dei diritti, riservare
alle opinioni espresse nell'esercizio delle funzioni;
     che  la  linea  di  confine fra la tutela dell'autonomia e della
liberta'  delle  Camere, e, a tal fine, della liberta' di espressione
dei  loro  membri,  da  un  lato,  e  la  tutela  dei diritti e degli
interessi  costituzionalmente  protetti,  suscettibili di essere lesi
dall'espressione  di  opinioni,  dall'altro  lato,  e'  fissata dalla
Costituzione attraverso la delimitazione funzionale dell'ambito della
prerogativa.   Senza   questa   delimitazione,  l'applicazione  della
prerogativa  la  trasformerebbe  in  un  privilegio  personale  (cfr.
sentenza  n. 375 del 1997), finendo per conferire ai parlamentari una
sorta  di  statuto  personale di favore quanto all'ambito e ai limiti
della  loro  liberta'  di  manifestazione del pensiero: con possibili
distorsioni  anche  del  principio  di  eguaglianza  e  di parita' di
opportunita' fra cittadini nella dialettica politica;
     che  discende  da  quanto osservato che la semplice comunanza di
argomento  fra  la dichiarazione che si pretende lesiva e le opinioni
espresse  dal  deputato  o dal senatore in sede parlamentare non puo'
bastare a fondare l'estensione alla prima dell'immunita' che copre le
seconde;
     che  tanto  meno  puo'  bastare  a  tal fine la ricorrenza di un
contesto genericamente politico in cui la dichiarazione si inserisca.
Siffatto  tipo di collegamenti non puo' valere di per se' a conferire
carattere  di attivita' parlamentare a manifestazioni di opinioni che
siano   oggettivamente   ad  essa  estranee.  Sarebbe,  oltre  tutto,
contraddittorio  da un lato negare - come e' inevitabile negare - che
di  per  se'  l'espressione  di  opinioni  nelle  piu'  diverse  sedi
pubbliche   costituisca   esercizio   di   funzione  parlamentare,  e
dall'altro  lato  ammettere che essa invece acquisti tale carattere e
valore in forza di generici collegamenti contenutistici con attivita'
parlamentari svolte dallo stesso membro delle Camere;
     che  in  questo  senso  va  precisato  il significato del "nesso
funzionale"    che    deve    riscontrarsi,    per   poter   ritenere
l'insindacabilita',  tra la dichiarazione e l'attivita' parlamentare;
non  come  semplice  collegamento  di  argomento  o  di  contesto fra
attivita'  parlamentare  e  dichiarazione,  ma  come identificabiita'
della   dichiarazione   stessa   quale   espressione   di   attivita'
parlamentare;
     che   nel   caso   di   riproduzione   all'esterno   della  sede
parlamentare,    e'    necessario,    per   ritenere   che   sussista
l'insindacabilita',  che  si  riscontri  la  identita' sostanziale di
contenuto  fra  l'opinione  espressa  in  sede  parlamentare e quella
manifestata nella sede esterna;
     che  cio'  che  si  richiede,  ovviamente,  non  e' una puntuale
coincidenza testuale, ma una sostanziale corrispondenza di contenuti;
     che  nei  casi in cui non e' riscontrabile esercizio di funzioni
parlamentari,  il  valore  della  legalita-giurisdizione  non collide
certo  con quello dell'autonomia delle Camere e cosi si spiega che la
giurisprudenza costituzionale abbia appunto stabilito che l'immunita'
non vale per tutte quelle opinioni che "il parlamentare manifesta nel
piu esteso ambito della politica";
     che  alla  luce  di  tale  interpretazione  si  debbono pertanto
ritenere,   in   linea   di   principio,   sindacabili  tutte  quelle
dichiarazioni,  che  fuoriescono  dal  campo applicativo del "diritto
parlamentare"   e   che  non  siano  immediatamente  collegabili  con
specifiche  forme  di  esercizio  di  funzioni parlamentari, anche se
siano  caratterizzate  da un asserito "contesto politico" o ritenute,
per il contenuto delle espressioni o per il destinatario o la sede in
cui sono state rese, manifestazione di sindacato ispettivo;
     che  questa  forma  di  controllo  politico  rimessa  al singolo
parlamentare  puo'  infatti  aver  rilievo,  nei  giudizi in oggetto,
soltanto  se si esplica come funzione parlamentare, attraverso atti e
procedure  specificamente  previsti  dai regolamenti parlamentari; se
dunque  l'immunita'  copre  il membro del Parlamento per il contenuto
delle   proprie   dichiarazioni  soltanto  se  concorre  il  contesto
funzionale,  il  problema  specifico,  che  non appare irrilevante in
questo   conflitto,   della  riproduzione  all'esterno  degli  organi
parlamentari  di  dichiarazioni  gia' rese nell'esercizio di funzioni
parlamentari  si  puo' risolvere nel senso dell'insindacabilita' solo
ove  sia  riscontrabile  corrispondenza  sostanziale di contenuti con
l'atto  parlamentare,  non  essendo sufficiente a questo riguardo una
mera comunanza di tematiche»;
     che il conforme orientamento della Corte costituzionale e' stato
ribadito  con la sentenza n. 120 del 16 aprile 2004 (alla quale si e'
richiamata  l'ord.  n. 136  del  26  gennaio  2005);  nel  dichiarare
infondate  le  questioni di legittimita' costituzionale sollevate con
riferimento  all'art. 3, comma 1, della legge 20 giugno 2003, n. 140,
si e' affermato che:
      «...   Nonostante   le  evoluzioni  subite,  nel  tempo,  nella
giurisprudenza  di  questa Corte, e' enucleabile un principio, che e'
possibile  oggi  individuare  come  limite  estremo della prerogativa
dell'insindacabilita',   e   con   cio'   stesso   delle  virtualita'
interpretative astrattamente ascrivibili all'art. 68: questa non puo'
mai  trasformarsi  in  un  privilegio  personale,  quale  sarebbe una
immunita'  dalla  giurisdizione  conseguente  alla mera "qualita'" di
parlamentare».  Per  tale  ragione  l'itinerario della giurisprudenza
della  Corte  si  e'  sviluppato attorno alla nozione del c.d. «nesso
funzionale»,   che  solo  consente  di  discernere  le  opinioni  del
parlamentare  riconducibili  alla libera manifestazione del pensiero,
garantita  ad  ogni  cittadino  nei limiti generali della liberta' di
espressione,  da  quelle  che  riguardano  l'esercizio della funzione
parlamentare.  Certamente rientrano nella sfera dell'insindacabilita'
tutte  le opinioni manifestate con atti tipici nell'ambito dei lavori
parlamentari,  mentre per quanto attiene alle attivita' non tipizzate
esse si debbono tutta via considerare «coperte» dalla garanzia di cui
all'art.  68, nei casi in cui si esplicano mediante strumenti, atti e
procedure,  anche  «innominati»,  ma comunque rientranti nel campo di
applicazione  del  diritto parlamentare, che il membro del Parlamento
e'  in  grado  di  porre  in essere e di utilizzare proprio solo e in
quanto  riveste tale carica (cfr. sentenze n. 56 del 2000, n. 509 del
2002    e    n. 219   del   2003).   Cio'   che   rileva,   ai   fini
dell'insindacabilita',  e'  dunque  il collegamento necessario con le
«funzioni» del Parlamento, cioe' l'ambito funzionale entro cui l'atto
si  iscrive,  a  prescindere dal suo contenuto comunicativo, che puo'
essere  il  piu'  vario,  ma  che  in  ogni  caso deve essere tale da
rappresentare esercizio in concreto delle funzioni proprie dei membri
delle  Camere,  anche  se  attuato  in  forma  «innominata» sul piano
regolamentare.  Sotto  questo  profilo  non c'e' percio' una sorta di
automatica  equivalenza  tra  l'atto  non  previsto  dai  regolamenti
parlamentari  e l'atto estraneo alla funzione parlamentare, giacche',
come gia' detto, deve essere accertato in concreto se esista un nesso
che permetta di identificare l'atto in questione come «espressione di
attivita' parlamentare» (cfr. sentenze n. 10 e n. 11 del 2000, n. 379
e  n. 219  del  2003).  E  in questa prospettiva che va effettuato lo
scrutinio  della  disposizione denunciata. Le attivita' di «ispezione
di  divulgazione,  di  critica e di denuncia politica» che appunto il
censurato  art.  3,  comma  1,  riferisce  all'ambito di applicazione
dell'art.  68, primo comma, non rappresentano, di per se', un'ipotesi
di   indebito   allargamento   della  garanzia  dell'insindacabilita'
apprestata dalla norma costituzionale, proprio perche' esse, anche se
non  manifestate  in  atti  «tipizzanti» debbono comunque, secondo la
previsione   legislativa   e   in   conforrnita'   con   il   dettato
costituzionale,  risultare in connessione con l'esercizio di funzioni
parlamentari.   E'   appunto   questo   «flesso»  il  presidio  delle
prerogative  parlamentari  e, insieme, del principio di eguaglianza e
dei   diritti   fondamentali  dei  terzi  lesi».  Occorre,  altresi',
evidenziare   che  la  legge  n. 140/2003  non  ha  natura  di  legge
costituzionale  e,  pertanto,  non e'  idonea  a stravolgere i limiti
delineati  dalla  Corte in relazione all'applicabilita' dell'art. 68,
comma  primo  della  Costituzione.  Pertanto, si ritiene che anche il
riferimento  alle  attivita'  di  «ispezione  divulgazione, critica e
denuncia  politica», espletate fuori dal Parlamento che devono essere
connesse  alla  «funzione  di  parlamentare»  non  possa  prescindere
dall'applicazione  dei  criteri  delineati dalla Corte costituzionale
sopra richiamati. La diversa interpretazione, diretta a ricomprendere
nella  sfera dell'insindacabilita' qualsiasi attivita' politica posta
in essere da parlamentare al di fuori dal Parlamento, oltre che porsi
in   contrasto   con   lo   stesso   art.   68   della  Costituzione,
determinerebbe,  di fatto, la compromissione dei diritti all'onore ed
alla reputazione, anch'essi costituzionalmente tutelati»;
     nonche',   recentemente,  e  nei  confronti  del  medesimo  sen.
Iannuzzi, la sentenza n. 373 del 14 novembre 2006:
      «...  il mero riferimento all'attivita' parlamentare o comunque
all'inerenza  a  temi  di  rilievo  generale  (pur anche dibattuti in
Parlamento),  entro  cui  le  dichiarazioni si possano collocare, non
vale  in  se' a connotarle quali espressive della funzione, ove esse,
non  costituendo  la  sostanziale riproduzione di specifiche opinioni
manifestate    dai    parlamentare   nell'esercizio   delle   proprie
attribuzioni, siano non gia' il riflesso del peculiare contributo che
ciascun  deputato  e  ciascun senatore apporta alla vita parlamentare
mediante  le  proprie  opinioni  e  i  propri voti (come tale coperto
dall'insindacabilita',  a  garanzia  delle prerogative delle Camere e
non di un "privilegio personale conseguente alla mera ‘qualita'' di
parlamentare":  sentenza  n. 120 del 2004), ma un'ulteriore e diversa
articolazione  di  siffatto  contributo,  elaborata  ed  offerta alla
pubblica  opinione  nell'esercizio  della  libera  manifestazione del
pensiero assicurata a tutti dall'art. 21 della Costituzione (sentenze
n. 329 e n. 317 del 2006 e n. 51 del 2002).
      In  tale  prospettiva, va anche disatteso l'assunto del Senato,
secondo  cui  "l'attivita' di parlamentare e giornalista, dalla quale
ha  avuto  origine  l'articolo de quo, [puo] essere considerata ormai
come parte della piu' ampia attivita' (rectius, funzione) di politico
ed   espressione   -   per   quanto  atipica  -  del  relativo  ruolo
istituzionale":  questa  Corte  ha,  infatti,  gia'  ritenuto  in se'
irrilevante  (al  fine  d'affermare  la  sussistenza  dei presupposti
dell'insindacabilita)   la   qualifica   rivestita   dal  membro  del
Parlamento  rispetto  all'esercizio  di  diritti  o di doveri che, in
quanto    spettanti    a    tutti   i   cittadini,   non   richiedono
l'intermediazione  della  rappresentanza parlamentare (cfr., sentenze
n. 329 e n. 286 del 2006).
      Le  dichiarazioni contenute nell'articolo di stampa a firma del
parlamentare   non  rientrano,  pertanto,  nell'esercizio  della  sua
specifica funzione e non sono garantite dall'insindacabilita'.»;
     nei  medesimi  termini  le sentenze n. 96 del 7 marzo 2007 e 151
dell'8 aprile 2007;
     che  la deliberazione adottata dal Senato della Repubblica nella
seduta  del  30  gennaio  2007  appare  in contrasto con i richiamati
canoni interpretativi atteso che non contiene alcun elemento concreto
da   cui   poter   desumere  la  sussistenza  di  una  corrispondenza
sostanziale tra i contenuti degli articoli oggetto delle querele e le
opinioni  gia'  espresse dal senatore in specifici atti parlamentari,
non essendo sufficiente una mera comunanza di tematiche e un generico
riferimento alla rilevanza dei fatti pubblici;
     che   l'interpretazione   prospettata  dalla  decisione  di  cui
trattasi  comporta,  di  fatto,  che  l'istituto previsto dalla norma
costituzionale  si  trasformi da «esenzione di responsabilita' legata
alla  funzione  in  privilegio  personale»  (cfr. sent. n. 1100, gia'
citata)  con  la  conseguenza  che  le  opinioni  e  le dichiarazioni
manifestate  da un parlamentare sarebbero sempre e comunque sottratte
alla verifica giurisdizionale;
     che  deve,  pertanto,  ritenersi che la condotta addebitabile al
senatore  Iannuzzi,  astrattamente  idonea,  nella sua specificita' e
gravita'   ad  integrare  un  illecito,  esula  dall'esercizio  delle
funzioni  parlamentari e non presenta oggettivamente alcun legame con
atti  parlamentari  neppure  nell'accezione  piu'  ampia  e come tale
dovrebbe   rientrare   nella   cognizione   riservata   al  sindacato
giurisdizionale.
     che  le  opinioni manifestate dal senatore Iannuzzi non possono,
per carenza del nesso funzionale, ritenersi rese nell'esercizio delle
funzioni   parlamentari   e   quindi   per  esse  non  e'  invocabile
l'immunita', ai sensi dell'art. 68, primo comma della Costituzione.
     che,  nel  caso  di  specie,  appare  di  conseguenza necessario
sollevare conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, conflitto
ammissibile  sia  sotto  il  profilo  soggettivo  (questo  giudice e'
l'organo   competente   a   decidere,   nell'ambito   delle  funzioni
giurisdizionali  attribuite, sulla asserita illiceita' della condotta
ascritta  all'indagato  e quindi «a dichiarare la volonta' del potere
cui  appartiene,  in  posizione di piena indipendenza garantita dalla
Costituzione:  cfr.  fra  le  altre,  ordinanze Corte cost. n. 60 del
1999;  nn.  469, 407, 261, 254 del 1998), sia sotto quello oggettivo,
trattandosi  della  sussistenza  dei  presupposti  per l'applicazione
dell'art.  68,  primo  comma della Costituzione e della lesione della
propria   sfera  di  attribuzioni  giurdizionali,  costituzionalmente
garantita,   giacche'   illegittimamente  menomata  dalla  suindicata
deliberazione del Senato della Repubblica;
                              P. Q. M.
Visti  gli  artt. 134 Cost. e 37, legge 11 marzo 1953, n. 87; Dispone
la  sospensione  del giudizio in corso a carico di Iannuzi Raffaele e
l'immediata   trasmissione  degli  atti  alla  Corte  costituzionale,
sollevando  conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato e chiede
che la Corte:
     dichiari  ammissibile  il  presente  conflitto,  adottando  ogni
consegute   provvedimento  ai  sensi  degli  artt.  37  e  ss.  legge
n. 87/1953 ed ogni altra norma applicabile;
     dichiari   che  non  spettava  al  Senato  della  Repubblica  la
valutazione   della   condotta   addebitabile  al  senatore  Iannuzzi
Raffaele,  in  quanto  estranea  alla  previsione di cui all'art. 68,
primo comma, Cost.;
     annulli la relativa delibera del Senato della Repubblica in data
30 gennaio 2007 (delibera IV-ter, n. 1).
Manda alla cancelleria per quanto di competenza.
     Cosi' deciso in Milano, martedi' 12 giugno 2007.
                          Il giudice: Corte
Avvertenza
   L'ammissibilita'  del  presente  conflitto  e'  stata  decisa  con
ordinanza n. 339/2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, 1ª serie
speciale n. 46 del 28 novembre 2007.