N. 456 ORDINANZA 13 - 28 dicembre 2007
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Processo penale - Prove - Testimonianza - Persona giudicata in un procedimento connesso che assume l'ufficio di testimone (c.d. testimone assistito) - Esenzione dall'obbligo di deporre sui fatti per i quali sia stata pronunciata nei suoi confronti sentenza di applicazione della pena, se nel procedimento egli aveva negato la propria responsabilita' o non aveva reso alcuna dichiarazione - Mancata previsione - Asserita irragionevolezza con violazione del diritto di difesa - Scelta non irragionevole del legislatore - Manifesta infondatezza della questione. - Cod. proc. pen., art. 197-bis, comma 4. - Costituzione, artt. 3 e 24, comma secondo.(GU n.1 del 2-1-2008 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: Franco BILE; Giudici: Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO; ha pronunciato la seguente
Ordinanza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 197-bis, comma 4, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza del 27 maggio 2005 dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Imperia, nel procedimento penale a carico di V.C., iscritta al n. 433 del registro ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, 1ª serie speciale, dell'anno 2005. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella Camera di consiglio del 24 ottobre 2007 il giudice relatore Giovanni Maria Flick. Ritenuto che, con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Imperia, in funzione di Giudice dell'udienza preliminare, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 197-bis, comma 4, del codice di procedura penale, «nella parte in cui non prevede che il testimone non possa essere obbligato a deporre sui fatti per i quali e' stata pronunciata nei suoi confronti sentenza di applicazione della pena, se nel procedimento egli aveva negato la propria responsabilita' ovvero non aveva reso alcuna dichiarazione»; che il rimettente premette di essere chiamato a celebrare un giudizio abbreviato subordinato alla audizione di un teste, il quale, gia' coimputato per i medesimi fatti, aveva definito la propria posizione processuale con sentenza, nel frattempo divenuta irrevocabile, di applicazione della pena su richiesta, senza aver reso alcuna dichiarazione nel corso di quel procedimento; che la descritta condizione processuale -- argomenta il giudice a quo -- non consente a tale soggetto di essere esonerato dall'obbligo di deporre sui fatti oggetto della sentenza gia' emessa nei suoi confronti: garanzia, questa, che la norma censurata riserva esclusivamente al soggetto nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di condanna all'esito di un giudizio; che peraltro, a parere del rimettente, una diversa interpretazione della norma -- idonea, cioe', ad estendere l'esenzione dall'obbligo di testimoniare anche al soggetto nei cui confronti sia stata applicata una pena a seguito di «patteggiamento» -- risulta impedita, oltre che dal suo tenore letterale, anche dall'esame dei lavori preparatori; questi ultimi, infatti, evidenziano l'esplicita volonta' del legislatore di ricomprendere, nell'ambito del dettato normativo censurato, solo le «sentenze di condanna» emesse all'esito di un «giudizio», con esclusione, quindi, delle sentenze di applicazione della pena su richiesta; che nondimeno, a parere del rimettente, tale esclusione risulterebbe incompatibile, innanzitutto, con l'art. 3 Cost., attesa l'irragionevolezza del differente trattamento: in entrambi i casi i «testimoni assistiti» hanno scelto, nei precedenti, rispettivi giudizi, di non effettuare alcuna dichiarazione ed hanno riportato una sentenza «comportante l'irrogazione di una pena»; con la conseguenza che, stante la piena omogeneita' delle situazioni, la diversa disciplina determinerebbe una discriminazione solo in ragione del momento processuale in cui la sentenza e' stata emessa; che la norma censurata contrasterebbe altresi' con l'art. 24, secondo comma, Cost., poiche', con la previsione di tale obbligo alla testimonianza, risulterebbe violato «il diritto al silenzio codificato dall'art. 64 cod. proc. pen.», esponendo «il dichiarante al rischio di un procedimento per falsa testimonianza (ancorche' sia applicabile l'esimente di cui all'art. 384 del codice penale)»; che nel giudizio di costituzionalita' e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura Generale dello Stato, concludendo per l'infondatezza della questione; che, a parere della difesa erariale, risulta innanzitutto destituita di fondamento la censura circa la pretesa irragionevolezza della normativa sottoposta a scrutinio, tenuto conto, per un verso, dell'eterogeneita' delle situazioni poste a raffronto; e, per un altro verso, della circostanza che il rito alternativo comporta la piena accettazione, accanto ai benefici premiali, anche di tutti gli ulteriori effetti di essa, tra i quali l'obbligo di assunzione della veste di testimone: in linea, d'altra parte, «con la scelta normativa di circoscrivere l'area del "diritto al silenzio"»; che, infine, quanto alla pretesa violazione del diritto di difesa, essa sarebbe esclusa dal sistema di garanzie che, comunque, preserva, in generale, il dichiarante che assuma la veste di «testimone assistito». Considerato che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Imperia, in funzione di Giudice dell'udienza preliminare, dubita, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, della legittimita' costituzionale dell'art. 197-bis, comma 4, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che il soggetto nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di applicazione della pena -- e che, nel relativo procedimento, abbia negato la propria responsabilita' ovvero non abbia reso alcuna dichiarazione -- non possa essere obbligato a deporre, quale testimone, sui fatti oggetto della sentenza medesima; che il dubbio di costituzionalita' e' innanzitutto riferito al principio di ragionevolezza, ritenuto violato per il differente trattamento, sancito dalla disciplina censurata, rispetto a colui che abbia subito una sentenza di condanna, il quale non puo' essere obbligato a deporre sui fatti per i quali e' stata pronunciata in giudizio sentenza di condanna nei suoi confronti: e cio' nonostante le situazioni si rivelino «assolutamente analoghe ed assimilabili»; che sarebbe inoltre violato l'art. 24, secondo comma, Cost., poiche', persistendo l'obbligo della testimonianza per il soggetto che abbia «patteggiato», egli risulterebbe esposto -- in violazione del diritto al silenzio e, dunque, del piu' generale diritto di difesa -- al rischio di un procedimento per falsa testimonianza, ancorche' sia applicabile l'esimente di cui all'art. 384 del codice penale; che il giudice a quo muove dal presupposto che -- in ragione della finalita' di garanzia della norma censurata, volta a contemperare il diritto al contraddittorio dell'imputato con il diritto al silenzio di chi, sin dall'inizio, abbia operato tale scelta -- la condizione di «colui che sceglie la via del "patteggiamento"» vada pienamente equiparata a quella del soggetto destinatario di una sentenza di condanna: entrambi, nella prospettiva del rimettente, «hanno scelto la via del silenzio ed hanno riportato una sentenza comportante l'irrogazione della pena» ed entrambi, se costretti a deporre, potrebbero invocare il principio di garanzia nemo tenetur se detegere; con la conseguenza che la disparita' di trattamento, in punto di esenzione dall'obbligo testimoniale, non potrebbe essere giustificata solo dal «momento processuale in cui la sentenza e' stata emessa»; che tuttavia -- al di la' della costante giurisprudenza ordinaria e costituzionale (si vedano, ex plurimis, le sentenze n. 313 del 1990 e n. 251 del 1991) che ha evidenziato le profonde diversita' che caratterizzano i due tipi di giudizio posti a raffronto e le sentenze che ne costituiscono l'epilogo -- ad inficiare il presupposto da cui prende le mosse la censura proposta, risulta dirimente il rilievo che, proprio a fronte delle caratteristiche che connotano il modello di patteggiamento, la posizione di coloro che decidono di accedere ad esso diverge rispetto al modulo processuale dell'accertamento «ordinario», specificamente in relazione alle caratteristiche dei dichiaranti; che, infatti, in quest'ultima situazione l'imputato e' naturalmente chiamato a dichiarare in relazione alla vicenda processuale e si prospettano, in corrispondenza di cio', varie situazioni processuali conseguenti alle diverse manifestazioni dichiarative (confessione; dichiarazione di innocenza; chiamata di correita'; facolta' di non rispondere e simili); invece, tale varieta' di ipotesi e' eccentrica rispetto alla posizione del soggetto che abbia optato per l'applicazione della pena su richiesta: costui, proprio perche' proiettato verso una soluzione processuale di nolo contendere, si propone quale soggetto sostanzialmente indifferente rispetto a prospettive defensionali diversificate e, dunque, rispetto alla stessa molteplicita' delle possibili dichiarazioni; che, pertanto, la scelta operata dal legislatore di garantire, in relazione al successivo obbligo testimoniale, maggior cautela per l'imputato condannato a seguito di giudizio, rispetto a quello che abbia scelto di definire la propria posizione processuale mediante il «patteggiamento», risulta non irragionevole alla stregua delle differenti caratteristiche strutturali dei due riti; che, d'altra parte, nell'opzione del rito alternativo, l'imputato e' posto ex ante nella piena condizione di conoscere tutte le conseguenze scaturenti dalla scelta processuale operata, tra le quali, innanzitutto, quella di ottenere un'«applicazione della pena», equiparata ad una sentenza di condanna solo rispetto ai fini espressamente indicati dalla legge: ben potendo non essere contemplato, tra di essi, l'esonero dal deporre, quale teste, in processi riguardanti altri soggetti, anche per vicende strettamente collegate a quella nella quale ha subito l'applicazione della pena; che, esclusa la violazione del principio di ragionevolezza nella scelta operata dal legislatore, risulta logicamente fugato, per cio' stesso, anche il dubbio di costituzionalita' relativo al preteso contrasto della disciplina censurata con l'art. 24, secondo comma, Cost.; d'altra parte, il diritto di difesa del soggetto gia' destinatario di una sentenza di applicazione della pena e chiamato poi a deporre sui fatti oggetto della sentenza medesima, e' adeguatamente salvaguardato: sia dalle garanzie connaturate alle modalita' di audizione di quel soggetto come «testimone assistito»; sia dal complesso di garanzie -- di diretta derivazione dal precetto costituzionale -- che risultano attuate in altre norme del sistema, quali quelle del comma 5 del medesimo art. 197-bis e del comma 2 dell'art. 198, per il codice di rito, o dell'art. 384 per il codice sostanziale; che la questione deve pertanto essere dichiarata manifestamente infondata. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
Per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 197-bis, comma 4, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Imperia con l'ordinanza in epigrafe. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 dicembre 2007. Il Presidente: Bile Il redattore: Flick Il cancelliere: Milana Depositata in cancelleria il 28 dicembre 2007. Il cancelliere: Milana